Leonarda Cianciulli (Montella, 14 novembre 1893 – Pozzuoli, 15 ottobre 1970) è stata una criminale e serial killer italiana, meglio nota come La saponificatrice di Correggio.
Nasce a Montella, un piccolo paese dell'Irpinia, da Mariano Cianciulli ed Emilia Marano. Sembra che da bambina avesse sofferto di epilessia. Leonarda trascorre dunque un'infanzia infelice, di cui racconta:
« Cercai due volte di impiccarmi; una volta arrivarono in tempo a salvarmi e l'altra si spezzò la fune. La mamma mi fece capire che le dispiaceva di rivedermi viva. Una volta ingoiai due stecche del suo busto, sempre con l'intenzione di morire e mangiai dei cocci di vetro: non accadde nulla. »
Con l'adolescenza, il suo carattere cambiò facendosi estroverso e comunicativo, capace di aggregare le persone. Considerata una persona intelligente ma "un poco eccentrica", malgrado fosse tutt'altro che bella, si vantava con le amiche delle proprie precoci esperienze sessuali.
Nel 1914, all'età di 21 anni, sposa Raffaele Pansardi, impiegato del catasto, in aperto contrasto con i famigliari che avevano individuato - com'era consueto all'epoca - un altro candidato. La madre maledisse la figlia alla vigilia delle nozze e troncò ogni rapporto con lei, un fatto questo che segnò profondamente la personalità della futura assassina.
La giovane coppia va a vivere a Lauria, in provincia di Potenza, ma nel 1930 il terremoto del Vulture costringe gli sposi, caduti in miseria, a trasferirsi a Correggio in provincia di Reggio Emilia, dove vanno a vivere in via Cavour 11A. La Cianciulli si organizza per risollevare le sorti della famiglia: avvia un piccolo ma fiorente commercio di abiti. Dall'inizio del matrimonio, Leonarda ha 17 gravidanze che si risolvono in 3 parti prematuri, 10 figli morti in tenera età e 4 sopravvissuti: questi diventano per Leonarda un bene da difendere a qualsiasi prezzo.
Nel 1939 scoppia la Seconda guerra mondiale. I giovani Pansardi, Bernardo e Biagio, frequentano il ginnasio e l'unica figlia, Norma, l'asilo delle suore, ma al pensiero della sorte di Giuseppe, studente di lettere all'Università di Milano, che è ormai dell'età giusta per essere chiamato al fronte, Leonarda cade preda dello sconforto e prende una drastica decisione: fare sacrifici umani in cambio della vita del figlio, come si legge nelle sue memorie:
« Non potevo sopportare la perdita di un altro figlio. Quasi ogni notte sognavo le piccole bare bianche, inghiottite una dopo l'altra dalla terra nera... per questo ho studiato magia, ho letto i libri che parlano di chiromanzia, astronomia, scongiuri, fatture, spiritismo: volevo apprendere tutto sui sortilegi per riuscire a neutralizzarli. »
In realtà la Cianciulli non ucciderà per salvare i figli: quando compie il primo delitto l'Italia non è ancora in guerra. Nel suo paese Leonarda è benvoluta e stimata, considerata una madre esemplare e - siamo negli anni del Ventennio - una fervente fascista. Frequenta molta gente (cui offre i deliziosi dolci che ama cucinare) e in particolare tre amiche, tutte donne sole e non più giovani, insoddisfatte della ridente Correggio: approfittando di questo loro desiderio, Leonarda le attira nella sua trappola.
La più anziana delle sue vittime è Faustina Setti, una donna di settant'anni semianalfabeta ma inguaribilmente romantica, che viene attirata da Leonarda con l'assicurazione di averle trovato un marito a Pola. Leonarda convince la donna a non parlare a nessuno della novità per evitare invidie e maldicenze; il giorno della partenza Faustina si reca a casa dell'amica per farsi dare le ultime istruzioni e per farsi dettare da Leonarda una lettera da spedire alle amiche appena giunta a Pola, nonché per firmare alla Leonarda una delega per gestire i suoi beni... Ma il viaggio è destinato a non cominciare mai: Leonarda infatti uccide la sua anziana amica a colpi di ascia, trascina il corpo in uno stanzino e lo seziona in nove parti, raccogliendo il sangue in un catino. Come ella stessa scriverà nel memoriale redatto in carcere (intitolato "Le confessioni di un'anima amareggiata"):
« Gettai i pezzi nella pentola, aggiunsi sette chilogrammi di soda caustica, che avevo comprato per fare il sapone, e rimescolai il tutto finché il corpo sezionato si sciolse in una poltiglia scura e vischiosa con la quale riempii alcuni secchi e che vuotai in un vicino pozzo nero. Quanto al sangue del catino, aspettai che si coagulasse, lo feci seccare al forno lo macinai e lo mescolai con farina, zucchero, cioccolato, latte e uova, oltre a un poco di margarina, impastando il tutto. Feci una grande quantità di pasticcini croccanti e li servii alle signore che venivano in visita, ma ne mangiammo anche Giuseppe e io. »
La seconda vittima, un'insegnante d'asilo di nome Francesca Soavi, a cui Leonarda aveva promesso un lavoro al collegio femminile di Piacenza, cade nella trappola il 5 settembre 1940: per stornare i sospetti più a lungo possibile, Leonarda la convince a scrivere delle cartoline ai familiari per scusarsi dell'assenza e a spedirle da Correggio per evitare di far conoscere la sua destinazione, almeno fino a quando non sarà sicura di aver ottenuto il posto. Il copione si ripete: dopo averla uccisa, Leonarda ruba i pochi soldi della vittima e, con il permesso che costei le aveva concesso prima di morire, si fa carico di vendere tutte le sue cose e si tiene la somma guadagnata. Il figlio Giuseppe va a Piacenza a spedire le lettere della vittima.
Leonarda non può ancora sapere che Francesca non ha mantenuto la promessa di tenere la bocca chiusa sul suo imminente trasferimento: una vicina di casa, infatti, è a conoscenza della destinazione della sua vecchia amica, ma non si fa avanti e la vicenda viene dimenticata.
La terza vittima è un'ex cantante lirica di discreto successo, la cinquantanovenne Virginia Cacioppo. Leonarda attira la sua curiosità offrendole un impiego a Firenze come segretaria di un misterioso impresario teatrale, e contemporaneamente la stuzzica ventilando l'ipotesi di una possibile scrittura, in futuro, per una nuova parte. Si rinnova la preghiera di non dire niente a nessuno, ma ancora una volta la promessa viene infranta: Virginia scrive della sua imminente avventura ad una sua cognata di Napoli, Albertina Fanti, e le comunica tutti i dettagli.
Il 30 novembre 1940 anche la Cacioppo finisce nella pentola di Leonarda, che scrive nel suo memoriale:
« Finì nel pentolone, come le altre due (…); la sua carne era grassa e bianca, quando fu disciolta vi aggiunsi un flacone di colonia e, dopo una lunga bollitura, ne vennero fuori delle saponette cremose accettabili. Le diedi in omaggio a vicine e conoscenti. Anche i dolci furono migliori: quella donna era veramente dolce. »
Non ricevendo più notizie della cognata, Albertina Fanti si insospettisce e, giunta a Correggio, comincia a sollevare un gran polverone unendosi alle amiche delle altre due donne scomparse: esse denunciano dunque le sparizioni al questore di Reggio Emilia, il commissario Serrao, il quale ben presto giunge a conoscenza di grosse somme di denaro che sono finite di recente sul conto di Leonarda Cianciulli, la quale oltretutto vanta già qualche denuncia per truffa e appropriazione indebita, una delle quali sporta dalla stessa madre di lei. Trovati nella casa della saponificatrice i gioielli dell'ultima vittima ed ascoltata una sua confessione integrale, nel 1946 a Reggio Emilia si apre il processo, nel quale emerge un interessante punto di dibattito: mentre l'accusa sostiene infatti che la Cianciulli ha agito per pura avidità nei confronti del denaro delle sue tre vittime, Leonarda si intestardisce a motivare i suoi omicidi come un tributo di sangue alla memoria della madre morta, che le era comparsa in sogno ed aveva promesso di prendersi le vite dei suoi figli se lei non avesse versato sangue fresco in cambio di quello delle sue creature.
La corte ventila anche l'ipotesi di un coinvolgimento del figlio maggiore, Giuseppe Pansardi, parendo impossibile agli avvocati che una donna piccola e minuta come lei avesse potuto da sola saponificare i corpi delle sue vittime in così poco tempo: a questa insinuazione Leonarda s'infuria, e in mezzo all'aula grida che il figlio non sa nulla di tutta la vicenda e che la colpa è tutta sua ed è pronta a darne dimostrazione. La leggenda narra che, qualche giorno dopo la sua affermazione, essa sarebbe stata portata in un obitorio di nascosto per provare le sue parole e, con l'aiuto di seghe e coltelli, sarebbe riuscita a smembrare un cadavere in solo dodici minuti.
La perizia del professor Filippo Saporito, docente all'università di Roma e direttore del manicomio criminale di Aversa, riesce a convincere la giuria della seminfermità mentale dell'imputata seguendo le teorie di Cesare Lombroso, allora molto in voga. La Cianciulli viene ritenuta colpevole dei tre omicidi, delle rapine ad essi seguite e della distruzione dei cadaveri, e condannata a trent'anni di reclusione e al ricovero per almeno tre anni in un manicomio criminale. Di questi anni, Leonarda ne sconta solo ventiquattro: il 15 ottobre1970 muore infatti nel manicomio di Pozzuoli, all'età di 78 anni, per apoplessia cerebrale. Una suora del carcere la ricorda in questo modo:
« Malgrado gli scarsi mezzi di cui disponevamo preparava dolci gustosissimi che nessuna detenuta però, si azzardava a mangiare. Credevano che contenessero qualche sostanza magica. »
Il martello, il seghetto, il coltello da cucina, le scuri, la mannaia e il treppiede usati per compiere i tre omicidi sono conservati dal 1949 al Museo Criminologico a Roma.
La tradizione locale racconta che uno dei motivi che insospettirono la cittadinanza riguardo alla saponificatrice era il camino della sua casa che, inspiegabilmente, emetteva fumo per molte ore anche d'estate.
Nasce a Montella, un piccolo paese dell'Irpinia, da Mariano Cianciulli ed Emilia Marano. Sembra che da bambina avesse sofferto di epilessia. Leonarda trascorre dunque un'infanzia infelice, di cui racconta:
« Cercai due volte di impiccarmi; una volta arrivarono in tempo a salvarmi e l'altra si spezzò la fune. La mamma mi fece capire che le dispiaceva di rivedermi viva. Una volta ingoiai due stecche del suo busto, sempre con l'intenzione di morire e mangiai dei cocci di vetro: non accadde nulla. »
Con l'adolescenza, il suo carattere cambiò facendosi estroverso e comunicativo, capace di aggregare le persone. Considerata una persona intelligente ma "un poco eccentrica", malgrado fosse tutt'altro che bella, si vantava con le amiche delle proprie precoci esperienze sessuali.
Nel 1914, all'età di 21 anni, sposa Raffaele Pansardi, impiegato del catasto, in aperto contrasto con i famigliari che avevano individuato - com'era consueto all'epoca - un altro candidato. La madre maledisse la figlia alla vigilia delle nozze e troncò ogni rapporto con lei, un fatto questo che segnò profondamente la personalità della futura assassina.
La giovane coppia va a vivere a Lauria, in provincia di Potenza, ma nel 1930 il terremoto del Vulture costringe gli sposi, caduti in miseria, a trasferirsi a Correggio in provincia di Reggio Emilia, dove vanno a vivere in via Cavour 11A. La Cianciulli si organizza per risollevare le sorti della famiglia: avvia un piccolo ma fiorente commercio di abiti. Dall'inizio del matrimonio, Leonarda ha 17 gravidanze che si risolvono in 3 parti prematuri, 10 figli morti in tenera età e 4 sopravvissuti: questi diventano per Leonarda un bene da difendere a qualsiasi prezzo.
Nel 1939 scoppia la Seconda guerra mondiale. I giovani Pansardi, Bernardo e Biagio, frequentano il ginnasio e l'unica figlia, Norma, l'asilo delle suore, ma al pensiero della sorte di Giuseppe, studente di lettere all'Università di Milano, che è ormai dell'età giusta per essere chiamato al fronte, Leonarda cade preda dello sconforto e prende una drastica decisione: fare sacrifici umani in cambio della vita del figlio, come si legge nelle sue memorie:
« Non potevo sopportare la perdita di un altro figlio. Quasi ogni notte sognavo le piccole bare bianche, inghiottite una dopo l'altra dalla terra nera... per questo ho studiato magia, ho letto i libri che parlano di chiromanzia, astronomia, scongiuri, fatture, spiritismo: volevo apprendere tutto sui sortilegi per riuscire a neutralizzarli. »
In realtà la Cianciulli non ucciderà per salvare i figli: quando compie il primo delitto l'Italia non è ancora in guerra. Nel suo paese Leonarda è benvoluta e stimata, considerata una madre esemplare e - siamo negli anni del Ventennio - una fervente fascista. Frequenta molta gente (cui offre i deliziosi dolci che ama cucinare) e in particolare tre amiche, tutte donne sole e non più giovani, insoddisfatte della ridente Correggio: approfittando di questo loro desiderio, Leonarda le attira nella sua trappola.
La più anziana delle sue vittime è Faustina Setti, una donna di settant'anni semianalfabeta ma inguaribilmente romantica, che viene attirata da Leonarda con l'assicurazione di averle trovato un marito a Pola. Leonarda convince la donna a non parlare a nessuno della novità per evitare invidie e maldicenze; il giorno della partenza Faustina si reca a casa dell'amica per farsi dare le ultime istruzioni e per farsi dettare da Leonarda una lettera da spedire alle amiche appena giunta a Pola, nonché per firmare alla Leonarda una delega per gestire i suoi beni... Ma il viaggio è destinato a non cominciare mai: Leonarda infatti uccide la sua anziana amica a colpi di ascia, trascina il corpo in uno stanzino e lo seziona in nove parti, raccogliendo il sangue in un catino. Come ella stessa scriverà nel memoriale redatto in carcere (intitolato "Le confessioni di un'anima amareggiata"):
« Gettai i pezzi nella pentola, aggiunsi sette chilogrammi di soda caustica, che avevo comprato per fare il sapone, e rimescolai il tutto finché il corpo sezionato si sciolse in una poltiglia scura e vischiosa con la quale riempii alcuni secchi e che vuotai in un vicino pozzo nero. Quanto al sangue del catino, aspettai che si coagulasse, lo feci seccare al forno lo macinai e lo mescolai con farina, zucchero, cioccolato, latte e uova, oltre a un poco di margarina, impastando il tutto. Feci una grande quantità di pasticcini croccanti e li servii alle signore che venivano in visita, ma ne mangiammo anche Giuseppe e io. »
La seconda vittima, un'insegnante d'asilo di nome Francesca Soavi, a cui Leonarda aveva promesso un lavoro al collegio femminile di Piacenza, cade nella trappola il 5 settembre 1940: per stornare i sospetti più a lungo possibile, Leonarda la convince a scrivere delle cartoline ai familiari per scusarsi dell'assenza e a spedirle da Correggio per evitare di far conoscere la sua destinazione, almeno fino a quando non sarà sicura di aver ottenuto il posto. Il copione si ripete: dopo averla uccisa, Leonarda ruba i pochi soldi della vittima e, con il permesso che costei le aveva concesso prima di morire, si fa carico di vendere tutte le sue cose e si tiene la somma guadagnata. Il figlio Giuseppe va a Piacenza a spedire le lettere della vittima.
Leonarda non può ancora sapere che Francesca non ha mantenuto la promessa di tenere la bocca chiusa sul suo imminente trasferimento: una vicina di casa, infatti, è a conoscenza della destinazione della sua vecchia amica, ma non si fa avanti e la vicenda viene dimenticata.
La terza vittima è un'ex cantante lirica di discreto successo, la cinquantanovenne Virginia Cacioppo. Leonarda attira la sua curiosità offrendole un impiego a Firenze come segretaria di un misterioso impresario teatrale, e contemporaneamente la stuzzica ventilando l'ipotesi di una possibile scrittura, in futuro, per una nuova parte. Si rinnova la preghiera di non dire niente a nessuno, ma ancora una volta la promessa viene infranta: Virginia scrive della sua imminente avventura ad una sua cognata di Napoli, Albertina Fanti, e le comunica tutti i dettagli.
Il 30 novembre 1940 anche la Cacioppo finisce nella pentola di Leonarda, che scrive nel suo memoriale:
« Finì nel pentolone, come le altre due (…); la sua carne era grassa e bianca, quando fu disciolta vi aggiunsi un flacone di colonia e, dopo una lunga bollitura, ne vennero fuori delle saponette cremose accettabili. Le diedi in omaggio a vicine e conoscenti. Anche i dolci furono migliori: quella donna era veramente dolce. »
Non ricevendo più notizie della cognata, Albertina Fanti si insospettisce e, giunta a Correggio, comincia a sollevare un gran polverone unendosi alle amiche delle altre due donne scomparse: esse denunciano dunque le sparizioni al questore di Reggio Emilia, il commissario Serrao, il quale ben presto giunge a conoscenza di grosse somme di denaro che sono finite di recente sul conto di Leonarda Cianciulli, la quale oltretutto vanta già qualche denuncia per truffa e appropriazione indebita, una delle quali sporta dalla stessa madre di lei. Trovati nella casa della saponificatrice i gioielli dell'ultima vittima ed ascoltata una sua confessione integrale, nel 1946 a Reggio Emilia si apre il processo, nel quale emerge un interessante punto di dibattito: mentre l'accusa sostiene infatti che la Cianciulli ha agito per pura avidità nei confronti del denaro delle sue tre vittime, Leonarda si intestardisce a motivare i suoi omicidi come un tributo di sangue alla memoria della madre morta, che le era comparsa in sogno ed aveva promesso di prendersi le vite dei suoi figli se lei non avesse versato sangue fresco in cambio di quello delle sue creature.
La corte ventila anche l'ipotesi di un coinvolgimento del figlio maggiore, Giuseppe Pansardi, parendo impossibile agli avvocati che una donna piccola e minuta come lei avesse potuto da sola saponificare i corpi delle sue vittime in così poco tempo: a questa insinuazione Leonarda s'infuria, e in mezzo all'aula grida che il figlio non sa nulla di tutta la vicenda e che la colpa è tutta sua ed è pronta a darne dimostrazione. La leggenda narra che, qualche giorno dopo la sua affermazione, essa sarebbe stata portata in un obitorio di nascosto per provare le sue parole e, con l'aiuto di seghe e coltelli, sarebbe riuscita a smembrare un cadavere in solo dodici minuti.
La perizia del professor Filippo Saporito, docente all'università di Roma e direttore del manicomio criminale di Aversa, riesce a convincere la giuria della seminfermità mentale dell'imputata seguendo le teorie di Cesare Lombroso, allora molto in voga. La Cianciulli viene ritenuta colpevole dei tre omicidi, delle rapine ad essi seguite e della distruzione dei cadaveri, e condannata a trent'anni di reclusione e al ricovero per almeno tre anni in un manicomio criminale. Di questi anni, Leonarda ne sconta solo ventiquattro: il 15 ottobre1970 muore infatti nel manicomio di Pozzuoli, all'età di 78 anni, per apoplessia cerebrale. Una suora del carcere la ricorda in questo modo:
« Malgrado gli scarsi mezzi di cui disponevamo preparava dolci gustosissimi che nessuna detenuta però, si azzardava a mangiare. Credevano che contenessero qualche sostanza magica. »
Il martello, il seghetto, il coltello da cucina, le scuri, la mannaia e il treppiede usati per compiere i tre omicidi sono conservati dal 1949 al Museo Criminologico a Roma.
La tradizione locale racconta che uno dei motivi che insospettirono la cittadinanza riguardo alla saponificatrice era il camino della sua casa che, inspiegabilmente, emetteva fumo per molte ore anche d'estate.
Commenta