in segno di protesta contro la barbarie, mi trasferisco qua:
forse l'approccio storico non è il tuo preferito, tuttavia..
solitamente si tende a distinguere il cristianesimo dal giudaismo perché il primo ha codificato il messaggio della salvezza sino a connotarlo alla luce di una portata universale, mentre nel secondo la salvezza riguarda esclusivamente il popolo eletto in virtù del patto stretto con YWHW (declinato ovviamente in vari modi, dalla stretta osservanza della Legge propria della riforma esdrina e recepita dall'esperienza farisaica, sino alla predestinazione connotante l'essenismo).
distinzione fondamentale e, attenendosi alla lettera, incontrovertibile: ma è bene non dimenticare che, in nuce, una delle spinte che avrebbero poi portato all'universalismo (ed al conseguente proselitismo) proprio del cristianesimo era già presente nel giudaismo post-babilonese. lo stesso popolo eletto che aveva codificato la teologia della salvezza in termini tanto esclusivi, come qualcosa riguardante il solo ethnos ebraico, in epoca ellenistica non fu esente, nella pratica, da autentici slanci missionari relegati tuttavia a pagine di storia non sufficientemente approfondite: dalla conversione in massa degli idumei all'epoca del regno asmoneo, sino alle dinamiche ancor più oscure che, attorno al VII secolo d.C., portarono all'adozione della fede ebraica da parte dei nomadi khazari all'epoca della fondazione del loro khanato.
lo stesso formalismo riguardante l'osservanza della legge mosaica, rimproverato da gesù al farisaismo, è un fenomeno di grande complessità: in primis costituiva un'interpretazione tutt'altro che condivisa dalla galassia composta da quella miriade di movimenti settari che connotava il giudaismo di epoca ellenistica.
in secundis, per quanto possa apparire paradossale, il formalismo farisaico derivava (quantomeno ab origine) da un genuino sforzo di attualizzazione dell'antica legge mosaica e del suo adeguamento ai mutati caratteri del popolo giudaico: tentativo fondato sul riconoscimento della validità vincolante non solo della tradizione scritta della torah ma anche di quella orale, che ammetteva come conseguenza la codificazione di nuove norme comportamentali finalizzate a quello che era il cuore della predicazione farisaica: trasportare la santità propria dell'ufficio sacerdotale nella vita quotidiana, fare di ogni giudeo osservante un esempio di purezza. un messaggio, se ben si guarda, non così dissonante da quello cristiano.
forse l'approccio storico non è il tuo preferito, tuttavia..
solitamente si tende a distinguere il cristianesimo dal giudaismo perché il primo ha codificato il messaggio della salvezza sino a connotarlo alla luce di una portata universale, mentre nel secondo la salvezza riguarda esclusivamente il popolo eletto in virtù del patto stretto con YWHW (declinato ovviamente in vari modi, dalla stretta osservanza della Legge propria della riforma esdrina e recepita dall'esperienza farisaica, sino alla predestinazione connotante l'essenismo).
distinzione fondamentale e, attenendosi alla lettera, incontrovertibile: ma è bene non dimenticare che, in nuce, una delle spinte che avrebbero poi portato all'universalismo (ed al conseguente proselitismo) proprio del cristianesimo era già presente nel giudaismo post-babilonese. lo stesso popolo eletto che aveva codificato la teologia della salvezza in termini tanto esclusivi, come qualcosa riguardante il solo ethnos ebraico, in epoca ellenistica non fu esente, nella pratica, da autentici slanci missionari relegati tuttavia a pagine di storia non sufficientemente approfondite: dalla conversione in massa degli idumei all'epoca del regno asmoneo, sino alle dinamiche ancor più oscure che, attorno al VII secolo d.C., portarono all'adozione della fede ebraica da parte dei nomadi khazari all'epoca della fondazione del loro khanato.
lo stesso formalismo riguardante l'osservanza della legge mosaica, rimproverato da gesù al farisaismo, è un fenomeno di grande complessità: in primis costituiva un'interpretazione tutt'altro che condivisa dalla galassia composta da quella miriade di movimenti settari che connotava il giudaismo di epoca ellenistica.
in secundis, per quanto possa apparire paradossale, il formalismo farisaico derivava (quantomeno ab origine) da un genuino sforzo di attualizzazione dell'antica legge mosaica e del suo adeguamento ai mutati caratteri del popolo giudaico: tentativo fondato sul riconoscimento della validità vincolante non solo della tradizione scritta della torah ma anche di quella orale, che ammetteva come conseguenza la codificazione di nuove norme comportamentali finalizzate a quello che era il cuore della predicazione farisaica: trasportare la santità propria dell'ufficio sacerdotale nella vita quotidiana, fare di ogni giudeo osservante un esempio di purezza. un messaggio, se ben si guarda, non così dissonante da quello cristiano.