La foto della nuova copertina con i titoli ed a seguire l'editoriale di Amedeo Marsan.
C’era una volta il culturismo… Potrebbe cominciare così il nostro racconto a un bambino che ci chiedesse chi (o cosa…) sono quegli uomini di Las Vegas, che ai suoi occhi appaiono così grossi, "gonfi", muscolosi… Come dargli torto? Il body-building, specie ai suoi livelli più elevati, è diventato la sistematica negazione delle proprie origini. Ecco perché va recuperato il suo spirito originario, rifuggendo tutto ciò che non va. Intendiamoci: non si tratta di "sputare nel piatto" nel quale ogni operatore del settore, a vari livelli, ha mangiato e continua a mangiare. Tutt’altro. Si tratta di ridare credibilità a un ambiente che nel tempo ha perso ogni traccia del suo antico splendore, della sua stessa ragion d’essere. Lo diciamo — lo dico — da anni. Adesso è giunto il momento di passare all’azione, insieme a quanti hanno veramente a cuore (per i più diversi e validi motivi) le sorti della nostra disciplina. Urge discontinuità. Non ho certo la presunzione di cambiare, con queste riflessioni e qualche iniziativa concreta messa in atto dalla nostra rivista, le sorti dell’universo culturistico. Mi basterebbe che queste parole servissero per favorire un confronto progettuale, che a sua volta si traducesse in un ritorno ai veri valori (sportivi, disciplinari, umani) della cultura fisica italiana. Anche perché "Cultura Fisica" non si riconosce più in tanti, troppi aspetti della cultura fisica attuale. Urge discontinuità, dunque, dal modo corrente di intendere il culturismo: sia in un ambito puramente amatoriale che, ancor più, in funzione agonistica. Non è credibile che un ragazzino entri in palestra ponendosi come obiettivo il corpo di Ronnie Coleman — da raggiungere a qualunque costo. E difatti le giovani leve della nostra disciplina sono sempre più esigue. Non è naturale, né fisiologico che una ragazza si ponga lo scopo di emulare Yaxeni Oriquen o la stessa Jenny Hendershott. E difatti il settore agonistico femminile langue. Urge discontinuità dal concetto vigente di body-building agonistico. E qui non posso che rivolgermi ancora una volta alle federazioni. Cosa aspettano a ridefinire i parametri fisico-atletici ed a riformulare i regolamenti delle proprie competizioni? Quando si decideranno a dotarsi di maestri, istruttori e giudici che pongano nuovamente la bellezza, la tonicità, la muscolarità naturale, l’eleganza delle routine, la reale forza fisica al centro dell’interesse e delle stesse valutazioni agonistiche? Quando ricominceranno a divulgare e premiare le bellezza — e non le masse fini a se stesse, i ventri prominenti, le protesi, le ginecomastie, l’ipervascolarizzazione, la stessa definizione portata a livelli parossistici? In tutta onestà, ritengo che quando ciò avverrà (se avverrà) sarà sempre tardi — forse troppo tardi… Urge discontinuità anche in ambito professionistico. Non si può predicare bene e razzolare male: parlare (solo parlare…) di anti-doping ed innalzare Coleman a "modello" di riferimento. Ma fossero soltanto i "Pro"… Avete visto, su internet, le immagini del "Miss Olympia"? E quelle dello stesso "Fitness Olympia"? Mi chiedo: è questo il concetto di fitness che si vuole divulgare, con il quale attrarre le donne in palestra? È questo il concetto fondante (e la sua diretta applicazione pratica, che dovrebbe promuoverlo) del fitness? È questo l’esempio della bellezza sportiva femminile, della salute, dell’efficienza fisico-atletica? Mascelle squadrate, volti scarnificati, inespressivi sorrisi stereotipati, rotondità in serie (più o meno credibili) — insomma fisici improbabili, naturalmente improbabili… Se in qualche decennio si è passati da Larry Scott, Frank Zane e lo stesso Arnold Schwarzenegger (per non parlare di Steve Reeves) a Dorian Yates e Coleman, appunto, significa che qualcosa non va. Se le nostre amazzoni non sono più Raquel McLish e Cory Everson si deve parlare di progresso o di regresso? E che fine ha fatto il sogno olimpico? E la coerenza, mister Weider? Urge discontinuità rispetto alla "polverizzazione" federale — e così torniamo alla nostra quotidiana realtà, con un fenomeno tipicamente italiano: un fenomeno che si traduce in una situazione paradossale che non giova ad alcuno. Anche perché, mentre le sigle private proliferavano più o meno allegramente, lo Stato è entrato pesantemente nel settore — impossessandosi di fatto di quelle due letterine (la "C" e la "F" — che stanno per cultura fisica…), senza peraltro apportare alcunché alla disciplina. Anche per la mancanza di un effettivo interlocutore. Ancora: dov’erano e dove sono i vari vertici federali? Forse a contare con il pallottoliere i propri iscritti? Urge discontinuità da una tendenza (un "trend", direbbero coloro i quali hanno uso di mondo…) che impone mega-strutture "sportive" polivalenti, nelle quali ci si vergogna addirittura a pensare di allenarsi… "Inutiloteche" del corpo, all’interno delle quali l’esercizio più praticato è quello che impegna la lingua nell’ardua pronuncia dei neologismi americaneggianti delle nuove "discipline"… Tornate in palestra, amici. Tornate ad allenarvi. E voi, manager dei nuovi "Center" (del wellness, of corse…), lasciate le scimmiottature di marketing (che talvolta neanche comprendete) e tornate ad essere appassionati, competenti e umanissimi proprietari e gestori di palestra. Ah, com’è bella la parola "palestra"! Urge discontinuità rispetto agli eccessi — a partire da quel "fattore D", che tutti li determina. Lo vogliamo (volete) capire che il doping fa male? Che di doping si muore? Che per il doping si va in galera? Che il sordido doping è il ricorso più anti-sportivo e truffaldino che ci possa essere? Lo volete capire che il doping, in Italia, è reato (vero, presidente Pescante…)? Urge discontinuità, in conclusione, da tutto ciò che va contro il culturismo ed i culturisti. E dunque basta con certe pratiche assurde, basta con le "mode", basta con gli atteggiamenti demenziali, basta con le fiere della volgarità, basta con gli spettacoli indecorosi. Insomma, basta con la bruttezza! Il culturismo — l’ho già affermato più volte — deve tornare ad essere sinonimo di bellezza, altrimenti non avrà futuro. Altrimenti non ce ne sarà più bisogno. Ci vuole dunque un salto culturale, prima di tutto, verso un passato di valori che non passano — e, notate, non si tratta di un regresso, bensì di un progresso: l’unico vero progresso sul quale potrà fondarsi il nostro futuro. Tanti auguri, caro culturismo — ne hai (ne abbiamo) proprio bisogno…
C’era una volta il culturismo… Potrebbe cominciare così il nostro racconto a un bambino che ci chiedesse chi (o cosa…) sono quegli uomini di Las Vegas, che ai suoi occhi appaiono così grossi, "gonfi", muscolosi… Come dargli torto? Il body-building, specie ai suoi livelli più elevati, è diventato la sistematica negazione delle proprie origini. Ecco perché va recuperato il suo spirito originario, rifuggendo tutto ciò che non va. Intendiamoci: non si tratta di "sputare nel piatto" nel quale ogni operatore del settore, a vari livelli, ha mangiato e continua a mangiare. Tutt’altro. Si tratta di ridare credibilità a un ambiente che nel tempo ha perso ogni traccia del suo antico splendore, della sua stessa ragion d’essere. Lo diciamo — lo dico — da anni. Adesso è giunto il momento di passare all’azione, insieme a quanti hanno veramente a cuore (per i più diversi e validi motivi) le sorti della nostra disciplina. Urge discontinuità. Non ho certo la presunzione di cambiare, con queste riflessioni e qualche iniziativa concreta messa in atto dalla nostra rivista, le sorti dell’universo culturistico. Mi basterebbe che queste parole servissero per favorire un confronto progettuale, che a sua volta si traducesse in un ritorno ai veri valori (sportivi, disciplinari, umani) della cultura fisica italiana. Anche perché "Cultura Fisica" non si riconosce più in tanti, troppi aspetti della cultura fisica attuale. Urge discontinuità, dunque, dal modo corrente di intendere il culturismo: sia in un ambito puramente amatoriale che, ancor più, in funzione agonistica. Non è credibile che un ragazzino entri in palestra ponendosi come obiettivo il corpo di Ronnie Coleman — da raggiungere a qualunque costo. E difatti le giovani leve della nostra disciplina sono sempre più esigue. Non è naturale, né fisiologico che una ragazza si ponga lo scopo di emulare Yaxeni Oriquen o la stessa Jenny Hendershott. E difatti il settore agonistico femminile langue. Urge discontinuità dal concetto vigente di body-building agonistico. E qui non posso che rivolgermi ancora una volta alle federazioni. Cosa aspettano a ridefinire i parametri fisico-atletici ed a riformulare i regolamenti delle proprie competizioni? Quando si decideranno a dotarsi di maestri, istruttori e giudici che pongano nuovamente la bellezza, la tonicità, la muscolarità naturale, l’eleganza delle routine, la reale forza fisica al centro dell’interesse e delle stesse valutazioni agonistiche? Quando ricominceranno a divulgare e premiare le bellezza — e non le masse fini a se stesse, i ventri prominenti, le protesi, le ginecomastie, l’ipervascolarizzazione, la stessa definizione portata a livelli parossistici? In tutta onestà, ritengo che quando ciò avverrà (se avverrà) sarà sempre tardi — forse troppo tardi… Urge discontinuità anche in ambito professionistico. Non si può predicare bene e razzolare male: parlare (solo parlare…) di anti-doping ed innalzare Coleman a "modello" di riferimento. Ma fossero soltanto i "Pro"… Avete visto, su internet, le immagini del "Miss Olympia"? E quelle dello stesso "Fitness Olympia"? Mi chiedo: è questo il concetto di fitness che si vuole divulgare, con il quale attrarre le donne in palestra? È questo il concetto fondante (e la sua diretta applicazione pratica, che dovrebbe promuoverlo) del fitness? È questo l’esempio della bellezza sportiva femminile, della salute, dell’efficienza fisico-atletica? Mascelle squadrate, volti scarnificati, inespressivi sorrisi stereotipati, rotondità in serie (più o meno credibili) — insomma fisici improbabili, naturalmente improbabili… Se in qualche decennio si è passati da Larry Scott, Frank Zane e lo stesso Arnold Schwarzenegger (per non parlare di Steve Reeves) a Dorian Yates e Coleman, appunto, significa che qualcosa non va. Se le nostre amazzoni non sono più Raquel McLish e Cory Everson si deve parlare di progresso o di regresso? E che fine ha fatto il sogno olimpico? E la coerenza, mister Weider? Urge discontinuità rispetto alla "polverizzazione" federale — e così torniamo alla nostra quotidiana realtà, con un fenomeno tipicamente italiano: un fenomeno che si traduce in una situazione paradossale che non giova ad alcuno. Anche perché, mentre le sigle private proliferavano più o meno allegramente, lo Stato è entrato pesantemente nel settore — impossessandosi di fatto di quelle due letterine (la "C" e la "F" — che stanno per cultura fisica…), senza peraltro apportare alcunché alla disciplina. Anche per la mancanza di un effettivo interlocutore. Ancora: dov’erano e dove sono i vari vertici federali? Forse a contare con il pallottoliere i propri iscritti? Urge discontinuità da una tendenza (un "trend", direbbero coloro i quali hanno uso di mondo…) che impone mega-strutture "sportive" polivalenti, nelle quali ci si vergogna addirittura a pensare di allenarsi… "Inutiloteche" del corpo, all’interno delle quali l’esercizio più praticato è quello che impegna la lingua nell’ardua pronuncia dei neologismi americaneggianti delle nuove "discipline"… Tornate in palestra, amici. Tornate ad allenarvi. E voi, manager dei nuovi "Center" (del wellness, of corse…), lasciate le scimmiottature di marketing (che talvolta neanche comprendete) e tornate ad essere appassionati, competenti e umanissimi proprietari e gestori di palestra. Ah, com’è bella la parola "palestra"! Urge discontinuità rispetto agli eccessi — a partire da quel "fattore D", che tutti li determina. Lo vogliamo (volete) capire che il doping fa male? Che di doping si muore? Che per il doping si va in galera? Che il sordido doping è il ricorso più anti-sportivo e truffaldino che ci possa essere? Lo volete capire che il doping, in Italia, è reato (vero, presidente Pescante…)? Urge discontinuità, in conclusione, da tutto ciò che va contro il culturismo ed i culturisti. E dunque basta con certe pratiche assurde, basta con le "mode", basta con gli atteggiamenti demenziali, basta con le fiere della volgarità, basta con gli spettacoli indecorosi. Insomma, basta con la bruttezza! Il culturismo — l’ho già affermato più volte — deve tornare ad essere sinonimo di bellezza, altrimenti non avrà futuro. Altrimenti non ce ne sarà più bisogno. Ci vuole dunque un salto culturale, prima di tutto, verso un passato di valori che non passano — e, notate, non si tratta di un regresso, bensì di un progresso: l’unico vero progresso sul quale potrà fondarsi il nostro futuro. Tanti auguri, caro culturismo — ne hai (ne abbiamo) proprio bisogno…