Volume, intensità e...
Dopo un periodo di riflessione, giustificato tra l’altro dai molti impegni di federazione, torno ad occuparmi dell’intensità, o meglio di quelle grandezze che concorrono nella misurazione della qualità e della quantità del lavoro svolto in palestra. Riuscire a dare una quantificazione a tali grandezze, in riferimento agli obiettivi dell’allenamento, costituirebbe un ottimo approccio nella valutazione della efficacia di un programma e soprattutto consentirebbe di avere dei termini di paragone oggettivi a cui far riferimento.
In un mio precedente intervento avevo cercato di fare chiarezza sulla misurazione della variabile “quantità” dell’allenamento: visto il tempo che è passato (più di un mese…), è preferibile riportare qualche concetto significativo.
Il VOLUME è la misura quantitativa del lavoro svolto durante un allenamento.
Se vogliamo riprendere l’esempio dell’automobile, esso misura il numero di Km che l’auto percorre con un pieno di benzina ma non dà alcuna informazione su come tale distanza è stata coperta, sulla media in Km/h tenuta né sui picchi di velocità raggiunti.
L’INTENSITA’ è l’altra faccia della medaglia, rappresenta la misura qualitativa del lavoro svolto in palestra durante un allenamento. Se consideriamo l’automobile, fornisce indicazioni sulle prestazioni ottenute in un determinato percorso (l’allenamento) con un pieno di benzina (le nostre riserve energetiche), sulla media tenuta ma non fa riferimento alla distanza totale che si riuscirà a coprire.
Questo banale esempio permette di comprendere che VOLUME ed INTENSITA’ vanno a braccetto negli allenamenti, non ha senso parlare di una cosa senza considerare il livello dell’altra.
Conoscere i valori di VOLUME ed INTENSITA’ di un atleta momento per momento durante l’arco di una intera programmazione di allenamento (macrociclo), consente di monitorare il grado di adattamento ed i risultati che si stanno ottenendo in relazione agli obiettivi (possibilmente chiari) che ci si è prefissi.
Le due grandezze vanno sempre accoppiate: supponiamo che due atleti riescano a sostenere una intensità pari a 10 unità (per ora non sappiamo ancora come definire l’unità di misura) durante lo stesso allenamento.
Una informazione di questo tipo ci consentirebbe di affermare che i due atleti si stanno allenando con la stessa “durezza” senza nulla dire sul tipo di allenamento a cui si stanno sottoponendo né sui carichi di lavoro utilizzati.
Per stabilire la potenzialità atletica puntuale (giorno dopo giorno, settimana dopo settimana…) di questi due ipotetici atleti, occorre avere anche il dato relativo al volume di lavoro: infatti se il primo riuscisse a sostenere 15000Nm di lavoro mentre il secondo si fermasse a 10000Nm il livello atletico dei due sarebbe ovviamente ben diverso.
E’ ovvio sottolineare che un discorso di questo genere ha un senso se nell’esempio si prendono a riferimento atleti aventi caratteristiche fisiologiche e neuromuscolari simili. Questo non toglie nulla alla validità generale del concetto: infatti nel progettare e monitorare un programma di allenamento a medio/lungo termine, l’unico punto di riferimento assoluto per l’allenatore è l’atleta stesso con le sue caratteristiche strutturali immutabili. Sarà quindi sempre possibile valutare possibili evoluzioni e/o miglioramenti attraverso il monitoraggio ed il confronto tra questi primi, semplici parametri (in realtà ve ne sono altri, ben più complessi da valutare, inerenti le capacità di recupero da stress indotto…).
Un atleta, allenandosi al massimo delle proprie capacità psicofisiche del momento otterrà, a seconda del tipo di allenamento, un certo rapporto (diciamo ottimale) tra intensità e volume, tra qualità e quantità di lavoro, tra prestazioni pure e percorrenza se vogliamo riprendere l’esempio dell’automobile.
Qualora l’allenatore (o l’atleta stesso) decidesse di aumentare la quantità di lavoro (il volume, la percorrenza…) inevitabilmente l’altra variabile ne verrebbe a soffrire, ossia la qualità globale dell’allenamento (l’intensità, le prestazioni medie…) calerebbe: se così non fosse significherebbe o che l’atleta in questione prima non si stava allenando al massimo delle proprie capacità, oppure che è sopravvenuto un miglioramento tale delle sue condizioni atletiche da permettere tale incremento di prestazioni senza intaccare la percorrenza totale.
Una volta chiarito definitivamente il senso del rapporto inversamente proporzionale esistente tra Volume ed Intensità, proviamo a dare una definizione quanto più possibile generale ed efficace dell’Intensità stessa.
Come accade per il Volume, ferma restando la variabilità tra persona e persona, la cosa che più interessa è misurare il proprio grado di qualità del lavoro non tanto per confrontarlo con quello realizzabile da altri quanto piuttosto per monitorare in maniera efficace e produttiva le varie fasi del proprio allenamento, valutando eventuali miglioramenti e/o mettendo in pratica gli accorgimenti necessari per ottimizzare i risultati.
Veniamo allora al cuore del problema, la definizione dei parametri che influenzano l’intensità.
La prima cosa che viene spontaneo chiedersi se vogliamo stabilire la qualità di un certo lavoro è la definizione dell’obiettivo, ossia di cosa tale lavoro vorrebbe ottenere: se l’obiettivo è correre la maratona di New York e lavoriamo con carichi attorno al 75% del max, svilupperemo un gran lavoro ma la sua qualità (riferita all’obiettivo) sarà decisamente scarsa.
Questo significa che, ammesso di riuscire a trovare un algoritmo (una formula) che riesca a fornire con un buon grado di approssimazione la misura dell’intensità di uno sforzo, vi sarebbero comunque delle limitazioni alle variabili in gioco determinate da fattori puramente fisiologici di cui in ultima analisi occorre tener conto.
Come base di partenza potremmo senz’altro far riferimento alle considerazioni sviluppate dal Dott. Filippo Massaroni in tanti anni di ricerca e divulgazione: nel corso degli anni il Dott. (nonché Mr. Universo NABBA) Massaroni elaborò una relazione che doveva servire a dare una misurazione alla variabile intensità dell’allenamento.
Nella prima stesura (del 1984 se non ricordo male…), tale formula si presentava nella forma:
I = (Kg x Reps)/ T
In cui Kg è il peso caricato all’attrezzo, Reps sono il numero delle ripetizioni effettuate in una singola serie e T identifica il tempo di recupero tra una serie e l’altra.
Si trattava solo di un primo tentativo, ma racchiudeva già l’essenza di quello che comunemente si intende per allenamento intenso: infatti analizzando tale relazione, è facile comprendere come un aumento dell’intensità è ottenibile:
- a parità di reps effettuate e di tempo di recupero, aumentando il carico al bilanciere;
- a parità di carico e di tempo di recupero, aumentando il numero delle reps effettuate;
- a parità di carico e di reps effettuate, diminuendo il tempo di recupero tra una serie e l’altra.
Non che questo algoritmo sia perfetto, ma si è trattato del primo tentativo analitico di misurazione dell’intensità.
Ragionando un po’ su questa formula si potrebbero però sollevare almeno un paio di serie obiezioni: in primo luogo l’intensità dovrebbe essere un parametro indipendente dalla statura atletica del soggetto che si sta allenando, al contrario in questo caso il valore che otteniamo è senz’altro influenzato dalla forza massimale.
Infatti supponiamo di voler misurare la qualità dell’allenamento di due atleti: l’atleta A, con un massimale di 100Kg, esegue 10 reps con un carico di 70Kg ed un riposo di 2 minuti tra una serie e l’altra; l’atleta B esegue lo stesso lavoro (10 reps x 70Kg) ma con un massimale di 150Kg.
Applicando la relazione, si ottiene per entrambi i soggetti che:
I = (Kg x Reps)/ T = (70 x 10)/120 = 5,83
L’esperienza comune ci insegna però che, in una situazione di questo tipo, l’atleta A sta lavorando con un carico pari al 70% del proprio massimale e, eseguendo 10 reps, sta facendo un ottimo lavoro; al contrario l’atleta B si sta allenando con un carico di poco superiore al 45% del proprio massimale, per cui le 10 reps eseguite equivalgono ad un riscaldamento.
Altro neo di questa relazione è senz’altro rappresentato dal tempo di recupero T al quale non sapremmo mai dare un valore qualora ci riferissimo alla prima serie di un esercizio (o all’ultima serie, a seconda del senso che si dà a T).
Sulla base di questa ed altre considerazioni, Massaroni propose (all’inizio degli anni ’90) una versione più evoluta dell’algoritmo di calcolo dell’intensità:
I = (Kg x Reps)/Max = 100 x %Carico x Reps
in cui Max non è altro che il massimale. In tal modo viene superato il problema più grande della versione precedente; infatti, riprendendo l’esempio degli atleti A e B, avremo stavolta:
I(A) = (70 x 10)/100 = 7 I(B) = (70 x 10)/150 = 4,67
a conferma che l’atleta A compie un lavoro di qualità senz’altro maggiore rispetto all’atleta B.
In questa nuova ottica quest’ultimo, per allenarsi allo stesso livello dell’atleta A, dovrebbe caricare il bilanciere con il 70% del proprio massimale (ossia 105Kg) ed eseguire sempre 10 reps.
Qualcuno di voi a questo punto potrebbe domandarsi: dato che è evidente il fatto che l’atleta B sia atleticamente più preparato rispetto all’atleta A, numericamente come possiamo determinare tale differenza?
Ebbene abbiamo già detto che gli indicatori caratteristici di un allenamento sono la sua quantità e la sua qualità, il suo volume e la sue intensità: tali variabili prese singolarmente hanno un significato davvero ristretto, devono sempre essere evidenziate entrambe. Infatti, nell’esempio appena fatto avremo (supponendo per semplicità spostamenti unitari):
I(A) = (70 x 10)/100 = 7 I(B) = (105 x 10)/150 = 7
V(A) = 700 Nm V(B) = 1050 Nm
Quindi la differenza sostanziale consiste nel fatto che l’atleta B riesce a portare a termine un allenamento (o meglio una serie) con la stessa intensità dell’atleta A ma realizzando un volume di lavoro ben più elevato (del 50%).
La variabile intensità è dunque vista come un’unità adimensionale (è un numero puro, senza unità di misura), una specie di votazione data alla qualità dell’allenamento svolto prendendo in considerazione non il potenziale assoluto dell’atleta ma il suo impegno in rapporto alle potenzialità a disposizione.
Non che tale relazione sia assoluta ed esente da critiche: anzi essa è stata formulata da un culturista attento e preparato, che è riuscito ad attingere in maniera critica dai testi sacri della teoria dell’allenamento, adattando alcuni concetti alla realtà culturistica che, diciamoci la verità, è fisiologicamente al di fuori dai parametri di qualunque sport ufficiale, quindi poco e male studiata dai ricercatori.
Sicuramente i più attenti di voi avranno notato che, in questa seconda formulazione dell’algoritmo, è scomparsa la variabile “tempo di recupero”.
In realtà non si tratta di una dimenticanza, ma del tentativo di introdurre, nell’allora (allora?) asfittico quadro della teoria dell’allenamento applicata al bodybuilding, una ulteriore variabile: oltre alla quantità (volume di lavoro), all’intensità (qualità del lavoro) nella teoria dell’allenamento esiste infatti anche un altro parametro di valutazione di fondamentale importanza nella costruzione di un programma di allenamento, ossia la DENSITA’ dello stimolo. La densità del lavoro è generalmente definita dal rapporto tra la durata effettiva delle esercitazioni (ossia delle serie) ed il tempo totale della seduta di allenamento (lavoro più pause); in altre parole si tratta di un indicatore del rapporto che intercorre tra il tempo di lavoro e il tempo di recupero nell'ambito dell'unità o del ciclo di allenamento.
D = Teff/Ttot o, volendola esprimere in termini percentuali: D = 100 x Teff/Ttot
La densità è una caratteristica che si aggiunge alle precedenti; a parità d’intensità di stimolo e di volume, la diminuzione del tempo di recupero fra più stimoli, determina fenomeni di accumulo di fatica per insufficiente recupero, creando situazioni di sforzo che modificano alcuni aspetti della specificità e che, pur non modificando la natura delle caratteristiche sopra descritte, permettono di variare e mirare l’efficacia dell’allenamento.
Riassumendo quanto detto sinora, possiamo affermare che il carico di lavoro prodotto in una determinata seduta di allenamento è dato dalla misurazione di tre parametri fondamentali: il volume di lavoro (quantità), l’intensità di lavoro (qualità) e la densità di stimolo (specificità). Le grandezze Volume ed Intensità sono legate tra loro da relazioni inversamente proporzionali: ne consegue che, se in un atleta che si sta allenando al massimo delle proprie capacità psicofisiche, aumentiamo una delle due variabili, inevitabilmente l’altra ne soffre.
Per i nostri atleti A e B, supponendo un tempo medio di esecuzione di 3-4 secondi a ripetizione ed un recupero di 2 minuti, avremo quindi:
Teff = 3,5s x Reps = 3,5 x 10 = 35s Ttot = Teff + Trec = 35s + 120s = 155s
per cui D(A) = D(B) = 35s/155s = 0,2258 ovvero 22,58%
ossia gli atleti A e B passano circa il 23% del tempo di allenamento alle prese con gli attrezzi ed il rimanente 77% lo dedicano al recupero.
Ma la densità che ruolo gioca? Variando la densità come si modificano le altre due componenti?
Questo aspetto risulta un po’ meno immediato.
Nell’ambito delle discussioni inerenti l’allenamento del bodybuilder, di volume ed intensità ne parlano e sparlano tutti, quindi sono (o dovrebbero essere) concetti piuttosto familiari.
In genere invece quando arrivo a parlare con qualche atleta di densità, mi accorgo dall’espressione del viso che qualcosa si spegne… In realtà la densità dello stimolo non determina altro che la specificità dello sforzo che stiamo sostenendo: sappiamo che, negli allenamenti con carichi submassimali, il tipo di richiesta energetica (anaerobico alattacida, anaerobico lattacida) e la modalità di reclutamento delle unità motorie dipende essenzialmente dal tempo di contrazione, se consideriamo il singolo gesto atletico (la singola serie), dal rapporto tra tempo di contrazione e tempo di recupero se consideriamo invece il contesto più ampio di tutto l’allenamento.
Per questo motivo risulta di particolare importanza in un programma di allenamento definire a priori la densità con cui dovremmo lavorare. La corretta scelta della densità allenante deriva dall’attento esame delle caratteristiche fisiologiche e muscolari che vogliamo andare a stimolare; una volta stabilito il grado di densità, allora ha un senso parlare di Volume ed Intensità.
Volendo ancora riprendere il parallelismo dell’automobile, la densità equivale alle caratteristiche del percorso scelto (salita, discesa, curve...), alle condizioni atmosferiche (caldo, vento, pioggia...), ossia a tutte quelle condizioni esterne ed interne che influenzano la percorrenza totale (volume) e le prestazioni (intensità) con un pieno di carburante.
Non ha senso infatti parlare di percorrenza totale e/o di prestazioni massime se non si specifica prima il tipo di percorso su cui eseguire la prova, allo stesso modo non ha senso parlare di un certo grado di volume ed intensità di un allenamento, se non si stabilisce il livello di densità a cui tale allenamento che deve essere sostenuto.
Questo è quello che la teoria dell’allenamento mette a nostra disposizione per la valutazione delle capacità motorie in riferimento al bodybuilding: non è molto, è vero, ma è comunque qualcosa.
Qualcosa che può essere migliorato attraverso l’analisi e l’osservazione attenta dei fenomeni che stanno a monte di tali algoritmi: dicevo prima che le relazioni che descrivono volume, intensità e densità sono soggette a forti vincoli da parte della natura delle caratteristiche biologiche che si vogliono di volta in volta allenare.
Una relazione matematica semplice non potrà mai descrivere in pieno tutte le peculiarità fisiologiche che stanno a monte di un gesto atletico, potrà solo darne un’indicazione di massima da valutare con intelligenza ed attenzione.
L’argomento del prossimo intervento sarà proprio questo: innanzitutto generalizzare il discorso fatto (sinora ristretto nell’ambito di una singola serie) e proiettarlo nell’ottica sequenziale di un numero n di serie, poi analizzare i principali adattamenti neuromuscolari e contrattili attraverso le relazioni ottenute e verificarne la natura scientifica mediante l’illustrazione di quello che avviene all’interno dei nostri muscoli variando i parametri in gioco.
E’ un discorso tutt’altro che semplice, mi sforzerò di spingermi all’interno del nostro corpo e di valutare le reazioni che esso intraprende per far fronte agli attacchi portati da allenamenti svolti a diversi livelli di densità e variando intensità e/o volume.
A presto... presto? Mah...
BY ROX68
Dopo un periodo di riflessione, giustificato tra l’altro dai molti impegni di federazione, torno ad occuparmi dell’intensità, o meglio di quelle grandezze che concorrono nella misurazione della qualità e della quantità del lavoro svolto in palestra. Riuscire a dare una quantificazione a tali grandezze, in riferimento agli obiettivi dell’allenamento, costituirebbe un ottimo approccio nella valutazione della efficacia di un programma e soprattutto consentirebbe di avere dei termini di paragone oggettivi a cui far riferimento.
In un mio precedente intervento avevo cercato di fare chiarezza sulla misurazione della variabile “quantità” dell’allenamento: visto il tempo che è passato (più di un mese…), è preferibile riportare qualche concetto significativo.
Il VOLUME è la misura quantitativa del lavoro svolto durante un allenamento.
Se vogliamo riprendere l’esempio dell’automobile, esso misura il numero di Km che l’auto percorre con un pieno di benzina ma non dà alcuna informazione su come tale distanza è stata coperta, sulla media in Km/h tenuta né sui picchi di velocità raggiunti.
L’INTENSITA’ è l’altra faccia della medaglia, rappresenta la misura qualitativa del lavoro svolto in palestra durante un allenamento. Se consideriamo l’automobile, fornisce indicazioni sulle prestazioni ottenute in un determinato percorso (l’allenamento) con un pieno di benzina (le nostre riserve energetiche), sulla media tenuta ma non fa riferimento alla distanza totale che si riuscirà a coprire.
Questo banale esempio permette di comprendere che VOLUME ed INTENSITA’ vanno a braccetto negli allenamenti, non ha senso parlare di una cosa senza considerare il livello dell’altra.
Conoscere i valori di VOLUME ed INTENSITA’ di un atleta momento per momento durante l’arco di una intera programmazione di allenamento (macrociclo), consente di monitorare il grado di adattamento ed i risultati che si stanno ottenendo in relazione agli obiettivi (possibilmente chiari) che ci si è prefissi.
Le due grandezze vanno sempre accoppiate: supponiamo che due atleti riescano a sostenere una intensità pari a 10 unità (per ora non sappiamo ancora come definire l’unità di misura) durante lo stesso allenamento.
Una informazione di questo tipo ci consentirebbe di affermare che i due atleti si stanno allenando con la stessa “durezza” senza nulla dire sul tipo di allenamento a cui si stanno sottoponendo né sui carichi di lavoro utilizzati.
Per stabilire la potenzialità atletica puntuale (giorno dopo giorno, settimana dopo settimana…) di questi due ipotetici atleti, occorre avere anche il dato relativo al volume di lavoro: infatti se il primo riuscisse a sostenere 15000Nm di lavoro mentre il secondo si fermasse a 10000Nm il livello atletico dei due sarebbe ovviamente ben diverso.
E’ ovvio sottolineare che un discorso di questo genere ha un senso se nell’esempio si prendono a riferimento atleti aventi caratteristiche fisiologiche e neuromuscolari simili. Questo non toglie nulla alla validità generale del concetto: infatti nel progettare e monitorare un programma di allenamento a medio/lungo termine, l’unico punto di riferimento assoluto per l’allenatore è l’atleta stesso con le sue caratteristiche strutturali immutabili. Sarà quindi sempre possibile valutare possibili evoluzioni e/o miglioramenti attraverso il monitoraggio ed il confronto tra questi primi, semplici parametri (in realtà ve ne sono altri, ben più complessi da valutare, inerenti le capacità di recupero da stress indotto…).
Un atleta, allenandosi al massimo delle proprie capacità psicofisiche del momento otterrà, a seconda del tipo di allenamento, un certo rapporto (diciamo ottimale) tra intensità e volume, tra qualità e quantità di lavoro, tra prestazioni pure e percorrenza se vogliamo riprendere l’esempio dell’automobile.
Qualora l’allenatore (o l’atleta stesso) decidesse di aumentare la quantità di lavoro (il volume, la percorrenza…) inevitabilmente l’altra variabile ne verrebbe a soffrire, ossia la qualità globale dell’allenamento (l’intensità, le prestazioni medie…) calerebbe: se così non fosse significherebbe o che l’atleta in questione prima non si stava allenando al massimo delle proprie capacità, oppure che è sopravvenuto un miglioramento tale delle sue condizioni atletiche da permettere tale incremento di prestazioni senza intaccare la percorrenza totale.
Una volta chiarito definitivamente il senso del rapporto inversamente proporzionale esistente tra Volume ed Intensità, proviamo a dare una definizione quanto più possibile generale ed efficace dell’Intensità stessa.
Come accade per il Volume, ferma restando la variabilità tra persona e persona, la cosa che più interessa è misurare il proprio grado di qualità del lavoro non tanto per confrontarlo con quello realizzabile da altri quanto piuttosto per monitorare in maniera efficace e produttiva le varie fasi del proprio allenamento, valutando eventuali miglioramenti e/o mettendo in pratica gli accorgimenti necessari per ottimizzare i risultati.
Veniamo allora al cuore del problema, la definizione dei parametri che influenzano l’intensità.
La prima cosa che viene spontaneo chiedersi se vogliamo stabilire la qualità di un certo lavoro è la definizione dell’obiettivo, ossia di cosa tale lavoro vorrebbe ottenere: se l’obiettivo è correre la maratona di New York e lavoriamo con carichi attorno al 75% del max, svilupperemo un gran lavoro ma la sua qualità (riferita all’obiettivo) sarà decisamente scarsa.
Questo significa che, ammesso di riuscire a trovare un algoritmo (una formula) che riesca a fornire con un buon grado di approssimazione la misura dell’intensità di uno sforzo, vi sarebbero comunque delle limitazioni alle variabili in gioco determinate da fattori puramente fisiologici di cui in ultima analisi occorre tener conto.
Come base di partenza potremmo senz’altro far riferimento alle considerazioni sviluppate dal Dott. Filippo Massaroni in tanti anni di ricerca e divulgazione: nel corso degli anni il Dott. (nonché Mr. Universo NABBA) Massaroni elaborò una relazione che doveva servire a dare una misurazione alla variabile intensità dell’allenamento.
Nella prima stesura (del 1984 se non ricordo male…), tale formula si presentava nella forma:
I = (Kg x Reps)/ T
In cui Kg è il peso caricato all’attrezzo, Reps sono il numero delle ripetizioni effettuate in una singola serie e T identifica il tempo di recupero tra una serie e l’altra.
Si trattava solo di un primo tentativo, ma racchiudeva già l’essenza di quello che comunemente si intende per allenamento intenso: infatti analizzando tale relazione, è facile comprendere come un aumento dell’intensità è ottenibile:
- a parità di reps effettuate e di tempo di recupero, aumentando il carico al bilanciere;
- a parità di carico e di tempo di recupero, aumentando il numero delle reps effettuate;
- a parità di carico e di reps effettuate, diminuendo il tempo di recupero tra una serie e l’altra.
Non che questo algoritmo sia perfetto, ma si è trattato del primo tentativo analitico di misurazione dell’intensità.
Ragionando un po’ su questa formula si potrebbero però sollevare almeno un paio di serie obiezioni: in primo luogo l’intensità dovrebbe essere un parametro indipendente dalla statura atletica del soggetto che si sta allenando, al contrario in questo caso il valore che otteniamo è senz’altro influenzato dalla forza massimale.
Infatti supponiamo di voler misurare la qualità dell’allenamento di due atleti: l’atleta A, con un massimale di 100Kg, esegue 10 reps con un carico di 70Kg ed un riposo di 2 minuti tra una serie e l’altra; l’atleta B esegue lo stesso lavoro (10 reps x 70Kg) ma con un massimale di 150Kg.
Applicando la relazione, si ottiene per entrambi i soggetti che:
I = (Kg x Reps)/ T = (70 x 10)/120 = 5,83
L’esperienza comune ci insegna però che, in una situazione di questo tipo, l’atleta A sta lavorando con un carico pari al 70% del proprio massimale e, eseguendo 10 reps, sta facendo un ottimo lavoro; al contrario l’atleta B si sta allenando con un carico di poco superiore al 45% del proprio massimale, per cui le 10 reps eseguite equivalgono ad un riscaldamento.
Altro neo di questa relazione è senz’altro rappresentato dal tempo di recupero T al quale non sapremmo mai dare un valore qualora ci riferissimo alla prima serie di un esercizio (o all’ultima serie, a seconda del senso che si dà a T).
Sulla base di questa ed altre considerazioni, Massaroni propose (all’inizio degli anni ’90) una versione più evoluta dell’algoritmo di calcolo dell’intensità:
I = (Kg x Reps)/Max = 100 x %Carico x Reps
in cui Max non è altro che il massimale. In tal modo viene superato il problema più grande della versione precedente; infatti, riprendendo l’esempio degli atleti A e B, avremo stavolta:
I(A) = (70 x 10)/100 = 7 I(B) = (70 x 10)/150 = 4,67
a conferma che l’atleta A compie un lavoro di qualità senz’altro maggiore rispetto all’atleta B.
In questa nuova ottica quest’ultimo, per allenarsi allo stesso livello dell’atleta A, dovrebbe caricare il bilanciere con il 70% del proprio massimale (ossia 105Kg) ed eseguire sempre 10 reps.
Qualcuno di voi a questo punto potrebbe domandarsi: dato che è evidente il fatto che l’atleta B sia atleticamente più preparato rispetto all’atleta A, numericamente come possiamo determinare tale differenza?
Ebbene abbiamo già detto che gli indicatori caratteristici di un allenamento sono la sua quantità e la sua qualità, il suo volume e la sue intensità: tali variabili prese singolarmente hanno un significato davvero ristretto, devono sempre essere evidenziate entrambe. Infatti, nell’esempio appena fatto avremo (supponendo per semplicità spostamenti unitari):
I(A) = (70 x 10)/100 = 7 I(B) = (105 x 10)/150 = 7
V(A) = 700 Nm V(B) = 1050 Nm
Quindi la differenza sostanziale consiste nel fatto che l’atleta B riesce a portare a termine un allenamento (o meglio una serie) con la stessa intensità dell’atleta A ma realizzando un volume di lavoro ben più elevato (del 50%).
La variabile intensità è dunque vista come un’unità adimensionale (è un numero puro, senza unità di misura), una specie di votazione data alla qualità dell’allenamento svolto prendendo in considerazione non il potenziale assoluto dell’atleta ma il suo impegno in rapporto alle potenzialità a disposizione.
Non che tale relazione sia assoluta ed esente da critiche: anzi essa è stata formulata da un culturista attento e preparato, che è riuscito ad attingere in maniera critica dai testi sacri della teoria dell’allenamento, adattando alcuni concetti alla realtà culturistica che, diciamoci la verità, è fisiologicamente al di fuori dai parametri di qualunque sport ufficiale, quindi poco e male studiata dai ricercatori.
Sicuramente i più attenti di voi avranno notato che, in questa seconda formulazione dell’algoritmo, è scomparsa la variabile “tempo di recupero”.
In realtà non si tratta di una dimenticanza, ma del tentativo di introdurre, nell’allora (allora?) asfittico quadro della teoria dell’allenamento applicata al bodybuilding, una ulteriore variabile: oltre alla quantità (volume di lavoro), all’intensità (qualità del lavoro) nella teoria dell’allenamento esiste infatti anche un altro parametro di valutazione di fondamentale importanza nella costruzione di un programma di allenamento, ossia la DENSITA’ dello stimolo. La densità del lavoro è generalmente definita dal rapporto tra la durata effettiva delle esercitazioni (ossia delle serie) ed il tempo totale della seduta di allenamento (lavoro più pause); in altre parole si tratta di un indicatore del rapporto che intercorre tra il tempo di lavoro e il tempo di recupero nell'ambito dell'unità o del ciclo di allenamento.
D = Teff/Ttot o, volendola esprimere in termini percentuali: D = 100 x Teff/Ttot
La densità è una caratteristica che si aggiunge alle precedenti; a parità d’intensità di stimolo e di volume, la diminuzione del tempo di recupero fra più stimoli, determina fenomeni di accumulo di fatica per insufficiente recupero, creando situazioni di sforzo che modificano alcuni aspetti della specificità e che, pur non modificando la natura delle caratteristiche sopra descritte, permettono di variare e mirare l’efficacia dell’allenamento.
Riassumendo quanto detto sinora, possiamo affermare che il carico di lavoro prodotto in una determinata seduta di allenamento è dato dalla misurazione di tre parametri fondamentali: il volume di lavoro (quantità), l’intensità di lavoro (qualità) e la densità di stimolo (specificità). Le grandezze Volume ed Intensità sono legate tra loro da relazioni inversamente proporzionali: ne consegue che, se in un atleta che si sta allenando al massimo delle proprie capacità psicofisiche, aumentiamo una delle due variabili, inevitabilmente l’altra ne soffre.
Per i nostri atleti A e B, supponendo un tempo medio di esecuzione di 3-4 secondi a ripetizione ed un recupero di 2 minuti, avremo quindi:
Teff = 3,5s x Reps = 3,5 x 10 = 35s Ttot = Teff + Trec = 35s + 120s = 155s
per cui D(A) = D(B) = 35s/155s = 0,2258 ovvero 22,58%
ossia gli atleti A e B passano circa il 23% del tempo di allenamento alle prese con gli attrezzi ed il rimanente 77% lo dedicano al recupero.
Ma la densità che ruolo gioca? Variando la densità come si modificano le altre due componenti?
Questo aspetto risulta un po’ meno immediato.
Nell’ambito delle discussioni inerenti l’allenamento del bodybuilder, di volume ed intensità ne parlano e sparlano tutti, quindi sono (o dovrebbero essere) concetti piuttosto familiari.
In genere invece quando arrivo a parlare con qualche atleta di densità, mi accorgo dall’espressione del viso che qualcosa si spegne… In realtà la densità dello stimolo non determina altro che la specificità dello sforzo che stiamo sostenendo: sappiamo che, negli allenamenti con carichi submassimali, il tipo di richiesta energetica (anaerobico alattacida, anaerobico lattacida) e la modalità di reclutamento delle unità motorie dipende essenzialmente dal tempo di contrazione, se consideriamo il singolo gesto atletico (la singola serie), dal rapporto tra tempo di contrazione e tempo di recupero se consideriamo invece il contesto più ampio di tutto l’allenamento.
Per questo motivo risulta di particolare importanza in un programma di allenamento definire a priori la densità con cui dovremmo lavorare. La corretta scelta della densità allenante deriva dall’attento esame delle caratteristiche fisiologiche e muscolari che vogliamo andare a stimolare; una volta stabilito il grado di densità, allora ha un senso parlare di Volume ed Intensità.
Volendo ancora riprendere il parallelismo dell’automobile, la densità equivale alle caratteristiche del percorso scelto (salita, discesa, curve...), alle condizioni atmosferiche (caldo, vento, pioggia...), ossia a tutte quelle condizioni esterne ed interne che influenzano la percorrenza totale (volume) e le prestazioni (intensità) con un pieno di carburante.
Non ha senso infatti parlare di percorrenza totale e/o di prestazioni massime se non si specifica prima il tipo di percorso su cui eseguire la prova, allo stesso modo non ha senso parlare di un certo grado di volume ed intensità di un allenamento, se non si stabilisce il livello di densità a cui tale allenamento che deve essere sostenuto.
Questo è quello che la teoria dell’allenamento mette a nostra disposizione per la valutazione delle capacità motorie in riferimento al bodybuilding: non è molto, è vero, ma è comunque qualcosa.
Qualcosa che può essere migliorato attraverso l’analisi e l’osservazione attenta dei fenomeni che stanno a monte di tali algoritmi: dicevo prima che le relazioni che descrivono volume, intensità e densità sono soggette a forti vincoli da parte della natura delle caratteristiche biologiche che si vogliono di volta in volta allenare.
Una relazione matematica semplice non potrà mai descrivere in pieno tutte le peculiarità fisiologiche che stanno a monte di un gesto atletico, potrà solo darne un’indicazione di massima da valutare con intelligenza ed attenzione.
L’argomento del prossimo intervento sarà proprio questo: innanzitutto generalizzare il discorso fatto (sinora ristretto nell’ambito di una singola serie) e proiettarlo nell’ottica sequenziale di un numero n di serie, poi analizzare i principali adattamenti neuromuscolari e contrattili attraverso le relazioni ottenute e verificarne la natura scientifica mediante l’illustrazione di quello che avviene all’interno dei nostri muscoli variando i parametri in gioco.
E’ un discorso tutt’altro che semplice, mi sforzerò di spingermi all’interno del nostro corpo e di valutare le reazioni che esso intraprende per far fronte agli attacchi portati da allenamenti svolti a diversi livelli di densità e variando intensità e/o volume.
A presto... presto? Mah...
BY ROX68