Aspirina agli anziani
Si discute sulla prescrizione giornaliera del farmaco agli ultracinquantenni
Uno studio pubblicato sulla rivista “British Medical Journal” (Vol. 330, pp. 1440-3), riaccende il dibattito sull’opportunità che tutte le persone sopra i cinquant’anni debbano prendere un’aspirina al giorno per ridurre il rischio di attacco cardiaco e ictus.
Peter Elwood dell’Università di Cardiff e colleghi ritengono che le prove ormai siano a favore di un utilizzo più diffuso dell’aspirina, e che sia necessaria una strategia per informare il pubblico e consentire ai pazienti più anziani di decidere in maniera autonoma. Come regola generale, l’assunzione quotidiana di aspirina è prescritta solo a coloro il cui rischio di un evento vascolare, come un attacco cardiaco o un ictus, entro cinque anni è superiore al 3 per cento. Gli autori dello studio mostrano che, all’età di 50 anni, l’80 per cento degli uomini e il 50 per cento delle donne raggiunge questo livello di rischio, e ipotizzano che il 90-95 per cento della popolazione potrebbe assumere bassi dosi di aspirina senza problemi. Ci sono inoltre crescenti indizi che un’assunzione regolare di aspirina possa ridurre l’incidenza di tumori e demenza. “La possibilità che una bassa dose giornaliera di un farmaco economico – scrivono gli autori – possa consentire una riduzione degli eventi vascolari merita seria considerazione. Anche se siamo convinti che dopo i cinquant’anni l’aspirina debba essere presa da tutti, riteniamo che il pubblico debba venire informato e che la decisione finale spetti a ciascuna persona”.
Ma Colin Baigent dell’Oxford Radcliffe Infirmary sostiene che sarebbe poco saggio adottare una politica di questo tipo, qualsiasi sia la soglia di età scelta, fino a quando non si sarà certi che i pazienti più anziani ne ricavino solo benefici. Basandosi su dati relativi a pazienti di 55-59 anni, infatti, risulterebbe che l’aspirina previene circa due primi attacchi cardiaci ogni 1000 persone l’anno, ma questo beneficio non bilancerebbe il rischio di emorragia gastrointestinale (1-2 casi su 1000 ogni anno).
Si discute sulla prescrizione giornaliera del farmaco agli ultracinquantenni
Uno studio pubblicato sulla rivista “British Medical Journal” (Vol. 330, pp. 1440-3), riaccende il dibattito sull’opportunità che tutte le persone sopra i cinquant’anni debbano prendere un’aspirina al giorno per ridurre il rischio di attacco cardiaco e ictus.
Peter Elwood dell’Università di Cardiff e colleghi ritengono che le prove ormai siano a favore di un utilizzo più diffuso dell’aspirina, e che sia necessaria una strategia per informare il pubblico e consentire ai pazienti più anziani di decidere in maniera autonoma. Come regola generale, l’assunzione quotidiana di aspirina è prescritta solo a coloro il cui rischio di un evento vascolare, come un attacco cardiaco o un ictus, entro cinque anni è superiore al 3 per cento. Gli autori dello studio mostrano che, all’età di 50 anni, l’80 per cento degli uomini e il 50 per cento delle donne raggiunge questo livello di rischio, e ipotizzano che il 90-95 per cento della popolazione potrebbe assumere bassi dosi di aspirina senza problemi. Ci sono inoltre crescenti indizi che un’assunzione regolare di aspirina possa ridurre l’incidenza di tumori e demenza. “La possibilità che una bassa dose giornaliera di un farmaco economico – scrivono gli autori – possa consentire una riduzione degli eventi vascolari merita seria considerazione. Anche se siamo convinti che dopo i cinquant’anni l’aspirina debba essere presa da tutti, riteniamo che il pubblico debba venire informato e che la decisione finale spetti a ciascuna persona”.
Ma Colin Baigent dell’Oxford Radcliffe Infirmary sostiene che sarebbe poco saggio adottare una politica di questo tipo, qualsiasi sia la soglia di età scelta, fino a quando non si sarà certi che i pazienti più anziani ne ricavino solo benefici. Basandosi su dati relativi a pazienti di 55-59 anni, infatti, risulterebbe che l’aspirina previene circa due primi attacchi cardiaci ogni 1000 persone l’anno, ma questo beneficio non bilancerebbe il rischio di emorragia gastrointestinale (1-2 casi su 1000 ogni anno).