Premessa 1: questo è un post lungo. Ma merita…
Premessa 2: i culturisti non se la passano bene. Abbiate rispetto di loro.
Una grossa percentuale di coloro che si dedicano al culturismo hanno preso le mosse da seri problemi di autostima e da marcati complessi di inferiorità. Sia esso l’adolescente rachitico, oppure quello sovrappeso, chi ha problemi relativi al proprio corpo in relazione a quello altrui spesso vede nel culturismo una delle poche possibilità di rivalsa.
“L’eccesso appare sempre più facile e desiderabile del giusto”.
Il culturista è uno che ha qualcosa da dimostrare. Prodotto spesso di un sottocultura urbana, nato e crescito nella mitologia dell’edonismo americano, generalmente di estrazione umile (ma non per questo biasimabile) e di professionalità “manuale” (cameriere, facchino, camionista, contadino, barista, muratore…) e di mentalità “rionale” (o borgatara, come dir si voglia) il culturista italiano ha sempre problemi di comunicazione. Il culturista, poco diversamente dal pugile, è un disperato che ha trovato una strada per emergere. O perlomeno per riaffermare la propria esistenza.
Non è un caso che abbia dovuto scegliere un sport che non è uno sport ma piuttosto un gioco di ruolo velleitario, in cui il “mi trasformo in qualcos’altro” si sostituisce al gesto atletico.
Insomma, il culturismo sta allo sport come Scientology sta alla religione.
Il culturista vive e si riproduce per simboli. Veste tamarro, predilige una scarpa pesante o da ginnastica, il jeans su tutto, la giacca di pelle o da motociclista (il cuoio è la sua prima scelta). Sceglie, se il mutuo glielo consente, un auto debordante e ipertrofica, come lui: si va dalla utilitaria elaborata Abarth, alla Jeep o al Pajero, o, alla peggio, una qualche tipologia di suv. La chiave è farsi notare tramite un gioco di “sproporzioni”.
La cosa curiosa è che il culturista nella maggior parte dei casi non piace alle donne. Quelle normali gli preferiscono un uomo asciutto, tonico e tornito.
E’ per questo che lui invece frequenta un “modello femminile” diverso, più coatto, più simile a lui: quello da stivaletti bianchi di vernice, calza più o meno reticolare, improbabili mini, oppure pelle, o comunque pantaloni aderenti. Lei come lui sfoggia mediamente un’abbronzatura “da ultimo stadio”, una roba alla “figlia di Wanna Marchi”, di quelle che si ottengono con anni di lampada, sempre a un passo dal tumore della pelle. Lei ha solitamente un capello nero corvino, che vira quasi al blu, o un biondo platino che sembra finta. A volte anche lei ha un’analoga fissa per la palestra (che frequenta rigorosamente truccata e senza muovere un dito), la discoteca e l’aperitivo.
E la darebbe in realtà via, gratis, anche a chiunque altro gliela chiedesse. Ma il culturista preferisce non pensarci…
Non si sa, in realtà, se al culturista piacciono le donne. Di sicuro gli piace il corpo maschile e, altrettanto sicuramente, è un’ icona gay che più gay non si può. Così se alle donne il culturista piace soltanto fino ad un certo punto, i gay impazziscono per lui e lo desiderano: dal vivo, appeso ai muri in forma di poster, o al cinema, nei loro filmetti preferiti (sì, quelli!).
Il culturista stesso è sempre in tentazione: il continuo contatto virile negli spogliatoi, il mostrarsi i muscoli l’un l’altro, il toccarsi “per sentire quant’è gonfio” (il muscolo) di sicuro li mette a dura prova. Le botte ormonali potrebbero fare il resto…
Il culturista comincia a fare il culturista perché lo sfottono. Eppure continuano a sfotterlo anche dopo che è diventato culturista. Ecco perché preferisce stare con i suoi simili, con i quali si apparta e si capisce. La sua andatura goffa, la sua “proporzione fatta di sproporzioni”, la massa muscolare che lo fa apparire persino grasso quando è vestito, si traduce spesso in risolini di commiserazione da parte dei comuni mortali. Ma il culturista prende positivamente qui gridolini, perché li considera la prova della propria esistenza. E tanto gli basta..
Il culturista soffre. Teme di essere considerato poco intelligente e, soprattutto, molto ignorante. Il fatto che il più delle volte lo sia è secondario. D’altronde pomparsi richiede dedizione e non sempre rimane la concentrazione necessaria per affrontare un libro che non sia “Total Workout”, “Joe Weider’s Ultimate Body Building” o “The New Enciclopedia of Body Building” del mitico Schwarzenegger. Un altro che o moriva di fame o diventava governatore della patria delle prugne.
Il culturista soffre. Soffre di fegato e di reni. La sua alimentazione para-scientifica lo sovraccarica di proteine e lui ci aggiunge regolarmente un’importante dose di chimica a basso prezzo. Il culturista hai grossi brufoli sulla schiena, a volte sul viso, è vittima di ritenzione idrica e soffre di una forte alopecia androgenetica dovuta alle dosi di precursori del testosterone che si inietta nelle ombre degli spogliatoi. Maschera la sua calvizie, disperato, con l’acconciatura del palestrato: si rasa a zero oppure opta per la capigliatura a spazzola, che fa tanto “buttafuori estivo” e lo fa sentire cattivo e incazzato. Cosa che quando devi fare lo stacco su panca aiuta.
Il culturista è spesso aggressivo e maleducato. Non è colpa sua. E’ colpa del Decadurabolin e del Winstrol: rendono tremendamente irritabili, provocano anche accessi di vera e propria violenza. D’altronde cosa sarebbe un culturista senza anabolizzanti? Glieli consigliano e lui li consiglia agli altri, con la competenza scientifica di un nano da giardino. Il culturista si “droga” perché è interessato ai risultati e non al percorso. E più il culturista è un “atleta della domenica”, e più si anabolizza chimicamente.
Certo, teme gli effetti collaterali (soprattutto quella protratta “flaccidità genitale” che non gli fornisce una gran fame di “mangiatore di femmine”) ma non può farne a meno. Il suo muscolo non cresce esattamente come il nostro grasso non cala. Siamo fratelli di frustrazione…
Il culturista è buono, ingenuo, quasi candido. Ma è ignorante come una capra, lo sa e ne soffre. Non sa nulla di alimentazione o di medicina, ma non accetterebbe mai un consiglio medico da una persona qualificata. Si nutre di Internet, di dicerie da spogliatoio, di riviste come “Flex” e “Muscle & Fitness”, dalle quale copia le “diete dei campioni” e le tabelle dei Mr. Olimpia; più o meno come la casalinga di Voghera adotta la dieta del pompelmo dopo aver letto Anna, nella speranza di diventare come la Falchi (magari senza chirurgia estetica e senza neppure Ricucci).
Il culturista non si “fa fare la tabella” dall’istruttore, ma è lui a volerla fare a tutti gli altri. Istruttore compreso.
Il culturista parla di “aminoacidi ramificati”, “proteine”, “cromo picolinato”, “stack termogenico”, “carnitina”, “niacina”, “lisina”, perché gli piace parlare il linguaggio del gruppo e adora l’idea di capirci qualcosa. In realtà forma il parco buoi di un’industria che conta su di lui per smerciargli due tipi di supplementazioni: quelle che non gli servono a nulla e quelle che lo ammazzano.
Fa la “dieta carne e acqua”, fa la “ricarica dei carboidrati”, fa le “ripetizioni forzate”. Si ingozza di frullatoni di proteine al 90, banane, petti di pollo e chiare d’uovo. Ma non capisce neppure da che parte è girato in quel momento. Non sa perché lo fa. Non sa se gli fa male o se gli fa bene.
Potrebbe uccidersi allenandosi, per quanto ne capisce. Tant’è che spesso lo fa davvero.
Il culturista non ha un stile di vita, ma piuttosto dei “rituali”. In palestra il culturista interpreta un ruolo. Si deve procurare una felpa da tagliare un palmo sopra la vita e sulle maniche vicino alle spalle: devono potersi affacciare gli addominali e la curva del bicipite. Poi sotto magari ci mette comunque una canotta, così somiglia un po’ a Rocky. Gira da una panca all’altra, stirandosi il collo come se sapesse dov’è il trapezio, si guarda il pettorale nello specchio, camminando con le cosce leggermente divaricate (per avvertire e far avvertire l’imponenza del quadricipite), trascinandosi sul pavimento (o tenendolo poggiato sulla spalla) il cinturone in cuoio che dovrebbe proteggere i lombari. Ma che serve solo per stringergli la vita, e farlo sembrare un po’ più a “V”, come gli eroi che si appende in camera o si sceglie come avatar. E poi c’è la fascia elastica al polso e i guantini senza dita. …
Sbuffa, suda ma “oggi non ho voglia di lavorare” e “raga, basta, vado a farmi un frullato!”.
Il culturista è una persona che soffre. Dobbiamo stargli vicino.
Andrea
Premessa 2: i culturisti non se la passano bene. Abbiate rispetto di loro.
Una grossa percentuale di coloro che si dedicano al culturismo hanno preso le mosse da seri problemi di autostima e da marcati complessi di inferiorità. Sia esso l’adolescente rachitico, oppure quello sovrappeso, chi ha problemi relativi al proprio corpo in relazione a quello altrui spesso vede nel culturismo una delle poche possibilità di rivalsa.
“L’eccesso appare sempre più facile e desiderabile del giusto”.
Il culturista è uno che ha qualcosa da dimostrare. Prodotto spesso di un sottocultura urbana, nato e crescito nella mitologia dell’edonismo americano, generalmente di estrazione umile (ma non per questo biasimabile) e di professionalità “manuale” (cameriere, facchino, camionista, contadino, barista, muratore…) e di mentalità “rionale” (o borgatara, come dir si voglia) il culturista italiano ha sempre problemi di comunicazione. Il culturista, poco diversamente dal pugile, è un disperato che ha trovato una strada per emergere. O perlomeno per riaffermare la propria esistenza.
Non è un caso che abbia dovuto scegliere un sport che non è uno sport ma piuttosto un gioco di ruolo velleitario, in cui il “mi trasformo in qualcos’altro” si sostituisce al gesto atletico.
Insomma, il culturismo sta allo sport come Scientology sta alla religione.
Il culturista vive e si riproduce per simboli. Veste tamarro, predilige una scarpa pesante o da ginnastica, il jeans su tutto, la giacca di pelle o da motociclista (il cuoio è la sua prima scelta). Sceglie, se il mutuo glielo consente, un auto debordante e ipertrofica, come lui: si va dalla utilitaria elaborata Abarth, alla Jeep o al Pajero, o, alla peggio, una qualche tipologia di suv. La chiave è farsi notare tramite un gioco di “sproporzioni”.
La cosa curiosa è che il culturista nella maggior parte dei casi non piace alle donne. Quelle normali gli preferiscono un uomo asciutto, tonico e tornito.
E’ per questo che lui invece frequenta un “modello femminile” diverso, più coatto, più simile a lui: quello da stivaletti bianchi di vernice, calza più o meno reticolare, improbabili mini, oppure pelle, o comunque pantaloni aderenti. Lei come lui sfoggia mediamente un’abbronzatura “da ultimo stadio”, una roba alla “figlia di Wanna Marchi”, di quelle che si ottengono con anni di lampada, sempre a un passo dal tumore della pelle. Lei ha solitamente un capello nero corvino, che vira quasi al blu, o un biondo platino che sembra finta. A volte anche lei ha un’analoga fissa per la palestra (che frequenta rigorosamente truccata e senza muovere un dito), la discoteca e l’aperitivo.
E la darebbe in realtà via, gratis, anche a chiunque altro gliela chiedesse. Ma il culturista preferisce non pensarci…
Non si sa, in realtà, se al culturista piacciono le donne. Di sicuro gli piace il corpo maschile e, altrettanto sicuramente, è un’ icona gay che più gay non si può. Così se alle donne il culturista piace soltanto fino ad un certo punto, i gay impazziscono per lui e lo desiderano: dal vivo, appeso ai muri in forma di poster, o al cinema, nei loro filmetti preferiti (sì, quelli!).
Il culturista stesso è sempre in tentazione: il continuo contatto virile negli spogliatoi, il mostrarsi i muscoli l’un l’altro, il toccarsi “per sentire quant’è gonfio” (il muscolo) di sicuro li mette a dura prova. Le botte ormonali potrebbero fare il resto…
Il culturista comincia a fare il culturista perché lo sfottono. Eppure continuano a sfotterlo anche dopo che è diventato culturista. Ecco perché preferisce stare con i suoi simili, con i quali si apparta e si capisce. La sua andatura goffa, la sua “proporzione fatta di sproporzioni”, la massa muscolare che lo fa apparire persino grasso quando è vestito, si traduce spesso in risolini di commiserazione da parte dei comuni mortali. Ma il culturista prende positivamente qui gridolini, perché li considera la prova della propria esistenza. E tanto gli basta..
Il culturista soffre. Teme di essere considerato poco intelligente e, soprattutto, molto ignorante. Il fatto che il più delle volte lo sia è secondario. D’altronde pomparsi richiede dedizione e non sempre rimane la concentrazione necessaria per affrontare un libro che non sia “Total Workout”, “Joe Weider’s Ultimate Body Building” o “The New Enciclopedia of Body Building” del mitico Schwarzenegger. Un altro che o moriva di fame o diventava governatore della patria delle prugne.
Il culturista soffre. Soffre di fegato e di reni. La sua alimentazione para-scientifica lo sovraccarica di proteine e lui ci aggiunge regolarmente un’importante dose di chimica a basso prezzo. Il culturista hai grossi brufoli sulla schiena, a volte sul viso, è vittima di ritenzione idrica e soffre di una forte alopecia androgenetica dovuta alle dosi di precursori del testosterone che si inietta nelle ombre degli spogliatoi. Maschera la sua calvizie, disperato, con l’acconciatura del palestrato: si rasa a zero oppure opta per la capigliatura a spazzola, che fa tanto “buttafuori estivo” e lo fa sentire cattivo e incazzato. Cosa che quando devi fare lo stacco su panca aiuta.
Il culturista è spesso aggressivo e maleducato. Non è colpa sua. E’ colpa del Decadurabolin e del Winstrol: rendono tremendamente irritabili, provocano anche accessi di vera e propria violenza. D’altronde cosa sarebbe un culturista senza anabolizzanti? Glieli consigliano e lui li consiglia agli altri, con la competenza scientifica di un nano da giardino. Il culturista si “droga” perché è interessato ai risultati e non al percorso. E più il culturista è un “atleta della domenica”, e più si anabolizza chimicamente.
Certo, teme gli effetti collaterali (soprattutto quella protratta “flaccidità genitale” che non gli fornisce una gran fame di “mangiatore di femmine”) ma non può farne a meno. Il suo muscolo non cresce esattamente come il nostro grasso non cala. Siamo fratelli di frustrazione…
Il culturista è buono, ingenuo, quasi candido. Ma è ignorante come una capra, lo sa e ne soffre. Non sa nulla di alimentazione o di medicina, ma non accetterebbe mai un consiglio medico da una persona qualificata. Si nutre di Internet, di dicerie da spogliatoio, di riviste come “Flex” e “Muscle & Fitness”, dalle quale copia le “diete dei campioni” e le tabelle dei Mr. Olimpia; più o meno come la casalinga di Voghera adotta la dieta del pompelmo dopo aver letto Anna, nella speranza di diventare come la Falchi (magari senza chirurgia estetica e senza neppure Ricucci).
Il culturista non si “fa fare la tabella” dall’istruttore, ma è lui a volerla fare a tutti gli altri. Istruttore compreso.
Il culturista parla di “aminoacidi ramificati”, “proteine”, “cromo picolinato”, “stack termogenico”, “carnitina”, “niacina”, “lisina”, perché gli piace parlare il linguaggio del gruppo e adora l’idea di capirci qualcosa. In realtà forma il parco buoi di un’industria che conta su di lui per smerciargli due tipi di supplementazioni: quelle che non gli servono a nulla e quelle che lo ammazzano.
Fa la “dieta carne e acqua”, fa la “ricarica dei carboidrati”, fa le “ripetizioni forzate”. Si ingozza di frullatoni di proteine al 90, banane, petti di pollo e chiare d’uovo. Ma non capisce neppure da che parte è girato in quel momento. Non sa perché lo fa. Non sa se gli fa male o se gli fa bene.
Potrebbe uccidersi allenandosi, per quanto ne capisce. Tant’è che spesso lo fa davvero.
Il culturista non ha un stile di vita, ma piuttosto dei “rituali”. In palestra il culturista interpreta un ruolo. Si deve procurare una felpa da tagliare un palmo sopra la vita e sulle maniche vicino alle spalle: devono potersi affacciare gli addominali e la curva del bicipite. Poi sotto magari ci mette comunque una canotta, così somiglia un po’ a Rocky. Gira da una panca all’altra, stirandosi il collo come se sapesse dov’è il trapezio, si guarda il pettorale nello specchio, camminando con le cosce leggermente divaricate (per avvertire e far avvertire l’imponenza del quadricipite), trascinandosi sul pavimento (o tenendolo poggiato sulla spalla) il cinturone in cuoio che dovrebbe proteggere i lombari. Ma che serve solo per stringergli la vita, e farlo sembrare un po’ più a “V”, come gli eroi che si appende in camera o si sceglie come avatar. E poi c’è la fascia elastica al polso e i guantini senza dita. …
Sbuffa, suda ma “oggi non ho voglia di lavorare” e “raga, basta, vado a farmi un frullato!”.
Il culturista è una persona che soffre. Dobbiamo stargli vicino.
Andrea
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