Salvate il soldato Fassino
di Paolo Madron
9/1/2006
Piero Fassino, segretario dei DsScoperta del secolo: le telefonate con Consorte mostrano contiguità tra Unipol e Ds. » Forum
Siamo padroni di una banca», «Prima portiamo a casa tutto, poi quereliamo». Bastano due frasi così, pronunciate al riparo di una conversazione che si suppone privata, per mettere in croce un segretario di partito che anche gli avversari considerano uomo integerrimo e di provata moralità, rinfocolare maliziose accuse di collateralismo e, dulcis in fundo, alludere al fatto che chi va con lo zoppo (quella discreta faccia di tolla di Giovanni Consorte) impara a zoppicare.
Se tutto finisce qui, Piero Fassino ha di che dormire sonni tranquilli. Ringraziando prima Il Giornale che ha pubblicato le intercettazioni delle sue telefonate con l’ex gran capo dell’Unipol, per il servizio che gli ha reso. Da quelle conversazioni, infatti, non emerge nulla di penalmente rilevante, ma solo il suo approccio da tifoso interessato all’opa Bnl e un uso non proprio impeccabile delle forme linguistiche (sempre meglio però del bacio in fronte di Fiorani). Anche qui il segretario dei Ds ha buoni argomenti a sua difesa.
Uno come lui, così attento all’immagine e alla comunicazione come cardini del moderno agone politico (non a caso l’erede del partito che fu di Gramsci, Togliatti, Longo e Berlinguer è andato ospite a C’è posta per te), se la dovrebbe prendere con la pubblicità e i suoi ambigui messaggi. Il «siamo padroni di una banca», infatti, non deve essere assolutamente scambiato per una forma di plurale maiestatis, figura stilistica che denuncerebbe una preoccupante volontà di potenza, ma come interpretazione alla lettera dell’arcifortunato slogan «la Coop sei tu» di tanti spot televisivi. Dove si vede un’arzilla signora che, indossato sotto lo sguardo allibito della figlia il camice di un commesso del supermercato, si mette a spostare cassette di mele.
Per traslato, Fassino in quelle telefonate ha fatto la stessa cosa, calandosi nei panni del banchiere impegnato nell’operazione della vita. Ecco dunque che, se la Coop sei tu, anche la Bnl diventa «la nostra banca». Al massimo lo si può accusare di guardare troppa televisione, invece che passare la sera a leggere qualche buon libro. Ma neanche in questo, fino a prova contraria, vi sono dati penalmente rilevanti.
Il resto, con buona pace di quanti si danno scandalo, ci sembra acqua fresca. A cominciare dalla scoperta che la vicenda Unipol-Bnl avrebbe ucciso il mito della diversità della sinistra, un fatto che ci rende perplessi solo sulla lungimiranza e la capacità di analisi di coloro che giungono ora a tale conclusione. Davvero questo cameratesco «aumma aumma» tra l’intraprendente cooperatore e il partecipe segretario sono la prova che i diessini hanno fatto strame di antagonismo e diversità? Davvero, prima di questo scambio telefonico, non vi erano indizi per sostenere che i termini di cui sopra erano stati abbondantemente rimossi?
Eppure, a chi ha fatto la ferale scoperta dovrebbe essere noto che il partito comunista, poi Ds, ha sempre avuto nel ristretto mondo della finanza due soli capisaldi ben più che collaterali: il Monte dei Paschi, l’unica banca genuinamente rossa, e la Lega delle cooperative, di cui l’Unipol è l’espressione più evoluta.
Entrambi si sono sempre mossi utilizzando i più sofisticati strumenti del capitalismo e in una logica di piena accettazione di regole e rapporti di forza all’interno del sistema. E così come i vertici del maggior partito della sinistra hanno sempre cercato di condizionare le mosse della banca senese, senza che ciò suscitasse particolare riprovazione in quanti adesso gridano al tradimento identitario, è assolutamente normale che ora seguano con grande partecipazione l’impresa destinata a proiettare il mondo cooperativo nell’empireo della finanza.
Ci stanno, perciò, le telefonate, gli incitamenti, la soddisfazione e qualche segreto batter di mani. Non ci stanno le collusioni affaristiche, le tangenti, i bonifici estero su estero per mascherarne i proventi, le creste sui conti correnti di vivi e defunti. Ma di tutto questo fino a oggi non c’è traccia. E perciò mettere così barbaramente alla gogna Fassino ci sembra, oltre che un insulto alla civiltà del diritto, anche un grossolano pretesto. Tanto più se a farlo sono coloro che militano dalla sua stessa parte.
di Paolo Madron
9/1/2006
Piero Fassino, segretario dei DsScoperta del secolo: le telefonate con Consorte mostrano contiguità tra Unipol e Ds. » Forum
Siamo padroni di una banca», «Prima portiamo a casa tutto, poi quereliamo». Bastano due frasi così, pronunciate al riparo di una conversazione che si suppone privata, per mettere in croce un segretario di partito che anche gli avversari considerano uomo integerrimo e di provata moralità, rinfocolare maliziose accuse di collateralismo e, dulcis in fundo, alludere al fatto che chi va con lo zoppo (quella discreta faccia di tolla di Giovanni Consorte) impara a zoppicare.
Se tutto finisce qui, Piero Fassino ha di che dormire sonni tranquilli. Ringraziando prima Il Giornale che ha pubblicato le intercettazioni delle sue telefonate con l’ex gran capo dell’Unipol, per il servizio che gli ha reso. Da quelle conversazioni, infatti, non emerge nulla di penalmente rilevante, ma solo il suo approccio da tifoso interessato all’opa Bnl e un uso non proprio impeccabile delle forme linguistiche (sempre meglio però del bacio in fronte di Fiorani). Anche qui il segretario dei Ds ha buoni argomenti a sua difesa.
Uno come lui, così attento all’immagine e alla comunicazione come cardini del moderno agone politico (non a caso l’erede del partito che fu di Gramsci, Togliatti, Longo e Berlinguer è andato ospite a C’è posta per te), se la dovrebbe prendere con la pubblicità e i suoi ambigui messaggi. Il «siamo padroni di una banca», infatti, non deve essere assolutamente scambiato per una forma di plurale maiestatis, figura stilistica che denuncerebbe una preoccupante volontà di potenza, ma come interpretazione alla lettera dell’arcifortunato slogan «la Coop sei tu» di tanti spot televisivi. Dove si vede un’arzilla signora che, indossato sotto lo sguardo allibito della figlia il camice di un commesso del supermercato, si mette a spostare cassette di mele.
Per traslato, Fassino in quelle telefonate ha fatto la stessa cosa, calandosi nei panni del banchiere impegnato nell’operazione della vita. Ecco dunque che, se la Coop sei tu, anche la Bnl diventa «la nostra banca». Al massimo lo si può accusare di guardare troppa televisione, invece che passare la sera a leggere qualche buon libro. Ma neanche in questo, fino a prova contraria, vi sono dati penalmente rilevanti.
Il resto, con buona pace di quanti si danno scandalo, ci sembra acqua fresca. A cominciare dalla scoperta che la vicenda Unipol-Bnl avrebbe ucciso il mito della diversità della sinistra, un fatto che ci rende perplessi solo sulla lungimiranza e la capacità di analisi di coloro che giungono ora a tale conclusione. Davvero questo cameratesco «aumma aumma» tra l’intraprendente cooperatore e il partecipe segretario sono la prova che i diessini hanno fatto strame di antagonismo e diversità? Davvero, prima di questo scambio telefonico, non vi erano indizi per sostenere che i termini di cui sopra erano stati abbondantemente rimossi?
Eppure, a chi ha fatto la ferale scoperta dovrebbe essere noto che il partito comunista, poi Ds, ha sempre avuto nel ristretto mondo della finanza due soli capisaldi ben più che collaterali: il Monte dei Paschi, l’unica banca genuinamente rossa, e la Lega delle cooperative, di cui l’Unipol è l’espressione più evoluta.
Entrambi si sono sempre mossi utilizzando i più sofisticati strumenti del capitalismo e in una logica di piena accettazione di regole e rapporti di forza all’interno del sistema. E così come i vertici del maggior partito della sinistra hanno sempre cercato di condizionare le mosse della banca senese, senza che ciò suscitasse particolare riprovazione in quanti adesso gridano al tradimento identitario, è assolutamente normale che ora seguano con grande partecipazione l’impresa destinata a proiettare il mondo cooperativo nell’empireo della finanza.
Ci stanno, perciò, le telefonate, gli incitamenti, la soddisfazione e qualche segreto batter di mani. Non ci stanno le collusioni affaristiche, le tangenti, i bonifici estero su estero per mascherarne i proventi, le creste sui conti correnti di vivi e defunti. Ma di tutto questo fino a oggi non c’è traccia. E perciò mettere così barbaramente alla gogna Fassino ci sembra, oltre che un insulto alla civiltà del diritto, anche un grossolano pretesto. Tanto più se a farlo sono coloro che militano dalla sua stessa parte.
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