Questo articolo pubblicato su Luce e Ombra (n. 2/2004)tratta aspetti dell'aldilà in relazione ai motivi che possono indurre lo spirito ad incarnarsi, ed ai legami di interesse e di fascino che intercorrono tra la psiche e lo spirito... informazioni ricavate nella letteratura di origine medianica, i dati di maggior interesse e secondo me più affidabili in merito all'esistenza extraterrena sono quelli contenuti nelle comunicazioni dell'entità A, o chiamata pure Andrea, col nome che quello spirito ha scelto per farsi identificare dagli esseri umani.
un'ipotesi sulla natura dell'esistenza umana che sia dotata di significato non può avere come punto di partenza la nostra nascita terrena (questo mi sembra un limite della dottrina cattolica), ma deve essere in grado di inserire tutta la nostra vita umana in un contesto significativo che preveda, oltre al "dopo", anche il "prima".
nessun vantaggio può venire all'essere umano dalla fede intesa come acquiescienza acritica ad un'informazione proveniente dall'esterno, fosse pure presentata come "di origine divina". Tutto questo non porta ad altro che al dogmatismo, al conformismo ed, in ultima analisi, alla pigrizia dell'intelligenza.
Gli spiriti sono scintille emanate direttamente da "Dio" (ovviamente uso questa parola umana per esigenze pratiche di comunicazione), e tra le qualità divine loro conferite vi è anche la libertà creativa relativa a quello che si definisce come "percorso (evolutivo) infinito dello spirito".
Lo spirito è libero, ma si muove nell'ambito di leggi divine che sperimenta e conosce: la conoscenza, allo stato potenziale, è presente nello spirito da sempre, ma entra nell'ambito della coscienza dello spirito mediante il catalizzatore rappresentato dall'esperienza. Le leggi divine, però, non vanno intese con gli stessi requisiti che noi attribuiamo alle leggi umane, ma piuttosto con quel carattere di assoluto e di inderogabilità che hanno le leggi fisiche (come la gravità). D'altra parte, è proprio il carattere infinito di Dio che si riflette nel numero infinito di leggi, e dunque nell'infinita libertà creativa dei sentieri che lo spirito può percorrere nell'ambito di queste leggi.
Abbandoniamo, tuttavia, il percorso affascinante ma insidioso delle speculazioni sull'infinito, che finiribbe inevitabilmente col confondere la nostra mente, per limitarci semplicemente all'indagine del processo che porta lo spirito a sintonizzarsi su una dimensione così diversa dalla sua, quale è quella in cui ci troviamo a vivere la nostra avventura terrena. Cercheremo inoltre di comprendere le motivazioni che inducono lo spirito a tuffarsi in quest'avventura, e quale tipo di relazione vi sia tra l'io (cioè la nostra identità cosciente in questa vita) ed il nostro spirito.
Noi esseri umani ci troviamo nella singolare condizione di essere uno spirito incarnato, ma di vivere con un'identità che è condizionata quasi al cento per cento dal corpo e dalla mente umana. La percentuale varia da individuo ad individuo, ma in generale, ed in parole povere, possiamo dire che il nostro io terreno non è certo lo spirito.
Lo spirito, in quanto tale, può vivere solo nella dimensione che gli è propria. Per incarnarsi, dato non dispone dei requisiti che gli permettano di entrare in contatto diretto con questa dimensione (l'universo fisico), in modo da poterne fare esperienza, ha bisogno di una struttura, che si definisce anima, che viene prodotta ed utilizzata dallo spirito, un po' come farebbe un'astronauta che ha bisogno di un apposito involucro per andare ad esplorare un mondo diverso dalla Terra.
Tuttavia quest'esempio è fuorviante, perché la consapevolezza dell'astronauta resta sempre all'interno della sua mente, nel suo corpo racchiuso dentro la tuta spaziale, mentre nel nostro caso di creature umane l'io diventa addirittura un centro di coscienza quasi esterno all'anima, anche se ad essa intimamente collegato attraverso la struttura psichica della mente.
L'io risponde soprattutto al corpo ed alle sue esigenze, ed alla psiche ed ai suoi stimoli. È straordinaria la descrizione dello spirito e delle sue qualità, talmente diverse da quelle della psiche umana, da farci sembrare lo spirito, il "nostro" spirito, quasi come un alieno.
Lo spirito infatti non soffre, né considera importanti la maggior parte degli obiettivi nei quali noi investiamo le nostre energie. Quasi tutti i desideri umani sono per lo spirito privi di significato. Egli non è coinvolto né dalle emozioni né dai sentimenti umani (per non parlare degli istinti e delle pulsioni), cioè da tutte quelle forze che costituiscono gli elementi propulsori fondamentali della nostra esistenza.
A chi obietta che uno spirito privato di questi caratteri, che per noi creature umane rappresentano l'essenza della vita, si ridurebbe ad un puro intelletto (cioè a qualcosa che a noi sembra meno interessante ed affascinante rispetto all'esperienza psichica, con tutta la sua ampia gamma di manifestazioni emotive), Andrea risponde che lo spirito ha altre qualità e forme di manifestazione che noi non possiamo neanche immaginare. E di nuovo restiamo meravigliati da questo singolare sdoppiamento della consapevolezza, di cui noi sperimentiamo solo la dimensione umana (salvo forse quelle rare circostanze in cui ci veniamo a trovare in un particolare stato di consapevolezza alterata), mentro lo spirito rappresenta ciò che per secoli e secoli è stato percepito dall'umanità come il "divino".
Questo non è un caso, perché l'origine divina del nostro spirito, da Andrea costantemente ribadita, fa sì che esso possieda quei caratteri, primi fra tutti la libertà e l'eternità, che lo rendono immune da qualsiasi forma di necessità coercitiva, e dunque rappresentano proprio l'opposto della dimensione umana. Pertanto, dal punto di vista dell'io umano, lo spirito è veramente divino, e tuttavia noi "siamo" anche il nostro spirito: Andrea conferma così la geniale intuizione delle Upanishad: "Tat twam asi" (Tu sei "quello") di 2.600 anni fa. Un'intuizione che ha fatto invece difetto al cristianesimo, il quale ha bensì riconosciuto la natura divina di Cristo "figlio di Dio" ma l'ha attribuita unicamente a Cristo stesso, elevandolo al livello di Dio (cosa che Andrea nega decisamente, riconoscendo a Cristo solo una natura spirituale particolarmente evoluta). D'altra parte, Cristo stesso si riconosceva come fratello e guida tra gli esseri umani (spiriti incarnati), non certo come loro Dio.
Ma proprio l'alienità della natura spirituale rispetto alla vita terrena ci spinge a chiederci cosa induce lo spirito ad incarnarsi per andare a sopportare un'esperienza che, come Andrea spiega senza mezzi termini, per lo spirito è quasi "nauseante", in quanto nulla è più alieno al carattere dello spirito che l'essere ingabbiato in un corpo fisico.
In effetti lo spirito acconsente a subire una volontaria limitazione per tutta la durata della propria incarnazione terrena, ed è in questo senso che Andrea parla di esperienza sgradevole per lo spirito, ma non nel senso di contaminazione da parte dei dolori e delle sofferenze cui può essere soggetto l'io. Abbiamo già osservato che per Andrea lo spirito non può compiere l'esperienza della vita umana se non dotandosi di uno strumento, l'anima, che gli consente di entrare in contatto con l'universo fisico, rappresentando il tramite di unione con una struttura come quella costituita dal corpo e dalla mente, con cui viviamo in questo modo.
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Sotto questo punto di vista l'anima rappresenta un elemento importante tanto dal nostro punto di vista umano, quanto per lo spirito. Infatti nel nostro caso, mediante la struttura animica, lo spirito può entrare in contatto con la fenomenologia della nostra psiche, che rappresenta la sorgente dei desideri, delle emozioni, dei sentimenti, e in ultima analisi di tutto quanto costituisce la parte più intima e significativa del nostro mondo interiore umano. L'anima ha anche un ruolo di primo piano nel trasmettere alla psiche quegli stimoli che possono consentire allo spirito di partecipare, anche se in misura ridotta, alla formazione del nostro carattere: esso prende forma attraverso l'interazione continua tra le nostre funzioni psichiche e la nostra storia personale, costituita dalle influenze ambientali e dai condizionamenti socioculturali nei quali siamo coinvolti, e tuttavia può essere influenzato, tramite l'inconscio, anche dall'anima.
Per lo spirito l'anima è importante, non solo perché gli permette di compiere l'esperienza della vita terrena, ma soprattutto perché ha un ruolo di primo piano nel determinare le modalità di quest'esperienza, tramite il legame con la psiche. L'io sperimenta e conosce il mondo, con le sue caratteristiche peculiari, e le leggi dell'universo fisico, attraverso quella particolare sintonia con cui l'anima e la psiche determinano le modalità dell'esperienza. Sullo svolgimento della nostra avventura umana incidono in gran parte le condizioni ambientali ed i fattori esterni che determinano la nostra storia personale, in buona parte le dinamiche della nostra psiche, e solo in minima parte il nostro spirito, che può entrare in contatto con la nostra mente, se ci riesce, solo attraverso le funzioni inconscie collegate all'anima.
Questo è, in sintesi, il quadro presentato da Andrea. Tuttavia Andrea non offre spiegazioni più dettagliate sulla natura dell'anima, limitandosi a dire che lo spirito se ne serve come struttura di collegamento di tipo energetico per entrare in contatto con la realtà esterna. In un certo senso è lo spirito che crea o produce l'anima, per usarla quando ne ha bisogno. Questo crea una differenza tra la relazione esistente tra lo spirito e l'anima, e quella tra lo spirito ed il corpo fisico: infatti lo spirito non crea il corpo, ma lo trova già in formazione, nella dimensione fisica di questo mondo, e se ne serve. Mentre il corpo fisico è un'entità legata alla dimensione terrrestre, l'anima può trasformarsi, modulandosi in relazione all'ambiente che incontra.
In alcune comunicazioni, Andrea afferma che l'anima continua a "vivere" anche dopo la morte del corpo, e lo spirito può servirsi della stessa struttura animica per un intero ciclo di incarnazioni in uno dei mondi dell'universo fisico, come la Terra. Tuttavia l'anima non è permanente, tanto è vero che dopo un periodo di "tempo" più o meno lungo lo spirito si libera anche dell'anima per tornare alla sua dimensione spirituale, oppore si dota di una nuova struttura animica per iniziare un diverso ciclo di esperienze.
La permanenza nell'anima di residui psichici per un periodo successivo alla morte del corpo mi sembra confermata dai resoconti delle NDE, che hanno tutti una natura prettamente psichica, non spirituale, nel senso in cui Andrea identifica lo spirito. Del resto, anche tutte le nostre rappresentazioni culturali, immaginarie, o tratte da esperienze in stato di consapevolezza alterata, dell'aldilà (che siano di tipo paradisiaco o infernale) sono di natura prettamente psichica, non certo spirituale. Andrea afferma senza mezzi termini che noi, come esseri umani, non possiamo neanche concepire la dimensione dello spirito. In effetti noi ci abituiamo a vivere un'esistenza di tipo esclusivamente psichico, nella quale lo stesso concetto di spirito viene interpretato in forma psichica.
La differenza sostanziale tra il corpo e la psiche da una parte, e lo spirito dall'altra, è che i primi due sono strutture complesse prodotte da un'emanazione della creatività divina nell'ambito delle leggi che regolano l'universo fisico, e dunque sono soggette ad un'esistenza limitata nel tempo, a nascita ed a morte, dunque ad un'esistenza relativa, mentre lo spirito è emanato direttamente dalla divinità, è eterno ed ha un'esistenza reale, assoluta. Questo è quanto afferma Andrea.
Mi piacerebbe sapere se lo spirito può scegliere una particolare forma di esperienza psichica, oppure se la psiche che gli tocca "in sorte" risponde solo in parte a certi requisiti di massima (individuati dallo spirito secondo il suo programma evolutivo), conservando una sua autonomia, in modo analogo a quanto avviene per il corpo fisico. Andrea sostiene che in genere lo spirito non è in grado di determinare con precisione le caratteristiche del corpo in cui si incarnerà, o quelle della famiglia dalla quale sarà allevato. Lo spirito ha un programma di massima, spesso ridotto all'essenziale, da attuare durante la sua esistenza terrena, e cerca di ottenere delle condizioni iniziali sufficientemente propizie all'attuazione del suo programma, ma non è detto che ci riesca. Anzi, generalizzando, la stragrande maggioranza degli spiriti che si incarnano devono accontentarsi di condizioni che non possono certamente essere definite ottimali (anche se in fondo ogni esistenza può essere considerata proficua per lo spirito).
Sicuramente lo sviluppo dell'anima (e dunque del carattere) viene influenzato dalle condizioni in cui si svolge la nostra storia individuale soprattutto durante la nostra infanzia, e secondo quanto ci insegna Andrea, l'anima conserva anche qualche impronta di quanto ha sperimentato nel corso delle precedenti incarnazioni.
Riguardo alle motivazioni per le quali lo spirito sarebbe indotto a dotarsi di un'anima ed a compiere l'esperienza della vita terrena, Andrea fa un'osservazione che a mio avviso è della massima importanza, cioè che nulla obbliga lo spirito a sottoporsi a questa esperienza. Lo spirito, essendo libero, non può essere assoggettato a nessuna esigenza o necessità, nemmeno a quella della propria evoluzione, a meno che questa non sgorghi dalla sua stessa natura interiore. Dunque, quando lo spirito compie una scelta, non lo fa, come spesso accade a noi esseri umani, per una necessità coercitiva di natura esterna, ma per quello che potremmo definire un libero impulso interiore che nasce dal suo stesso interesse. Per usare un'analogia con quella tra le esperienze umane che mi sembra più calzante, direi che lo spirito "gioca", non nel senso ludico del semplice passatempo, ma nel senso più intelligente del concetto di gioco anche come forma di apprendimento.
ognuno di noi arriva in questa vita con un corpo che non conosce, e che non ha messo a punto secondo le proprie intenzioni, o almeno questo è quanto noi percepiamo. Ma noi, in questo mondo, siamo come il personaggio, il "character", mentre può darsi che in un'altra dimensione esista un giocatore il quale, sulla base del proprio intento e dell'esperienza di cui dispone, assegna un valore all'una o all'altra caratteristica che può essere attribuita al personaggio: forza, intelligenza, volontà, bellezza, salute, carisma, ecc. Questi dati vengono assimilati dall'anima, e poi comincia il gioco attraverso una nascita qui sulla Terra: da quel momento in avanti il giocatore può interferire col suo personaggio solo nel modo indiretto consentito dalle regole del gioco.
Quali sono i motivi per i quali lo spirito decide di giocare? Curiosità? Bisogno di conoscenza? Desiderio di provare? Certo è che dal gioco stesso della vita viene una continua richiesta di nuovi personaggi, almeno fintanto che le regole fanno sì che i personaggi esistenti siano inclini a produrne altri. D'altra parte deve esistere anche una quantità enorme di spiriti pronti a mettersi a giocare, almeno per poter provare il gioco: così i giocatori non mancano mai.
l'aspetto che mi sembra più enigmatico nell'insegnamento di Andrea è costituito dalla scissione per cui, durante la vita umana, lo spirito diventa qualcosa di completamente "altro" rispetto all'io (il quale è immerso nelle dinamiche della psiche), mentre, una volta cessata la vita umana, una serie di trasformazioni dovrebbe portare la coscienza dell'io a ricongiungersi ed a fondersi con quella dello spirito.
Andrea sostiene infatti che durante la nostra vita terrena, finito il periodo di "assopimento" dello spirito che va dall'incarnazione (circa al terzo mese di gravidanza) a qualche mese dopo la nascita, lo spirito comincia ad agire, esercita la sua influenza sulla psiche, per quanto gli è possibile, e dunque continua ad essere dotato di una "sua" coscienza autonoma, che evidentemente è del tutto distinta da quella dell'io, tanto è vero che l'io è sempre piuttosto sordo ai richiami dello spirito, abbagliato com'è dagli eventi della vita. Si tratta di una condizione di dualismo vero e proprio.
Solo al termine della vita umana la coscienza, legata all'individualità umana, comincia a vagare libera dal corpo, anche se sembra ancora coinvolta nelle dimensioni psichiche, e dunque separata dallo spirito, che mantiene una sua distinta consapevolezza.
Si direbbe che, perché si abbia di nuovo la coincidenza della consapevolezza in un'unica entità (lo spirito), debbano aver luogo un certo numero di trasformazioni anche dopo la morte.
Il fenomeno sarebbe più facile da comprendere se, una volta terminato il travaglio della morte, l'unica forma di consapevolezza presente fosse quella dello spirito (il quale, per così dire, si risveglierebbe da un "sogno"), ed a volte si ha l'impressione che Andrea voglia avvalorare quest'ipotesi, che però sembra in contrasto con i resoconti delle NDE e con certe diffuse fantasie umane. Sempre secondo Andrea, l'ambiente dello spirito è molto diverso da come noi ce lo immaginiamo, tanto che arriva a dire che, forse, noi resteremo delusi dall'aldilà, perché chissà cosa ci aspettiamo!
Comunque vadano le cose dopo la morte, è singolare lo stato di dualismo che si verifica durante la vita: da una parte abbiamo la nostra consapevolezza, legata alla psiche, al funzionamento della nostra mente, agli eventi che ci coinvolgono, ed ai condizionamenti culturali; dall'altra parte c'è la consapevolezza dello spirito, che per l'io è praticamente del tutto inconscia (fuorché per gli impulsi che affiorano di quando in quando proprio dalla dimensione dell'inconscio), e che tuttavia non appartiene a qualcun altro, dato che "io sono il mio spirito". Probabilmente gli illuminati, i risvegliati in vita, sono quegli esseri umani per i quali la coscienza dello spirito viene a fondersi, almeno in parte, con quella dell'io, già durante l'esistenza terrena. Per tutti gli altri, cioè per la quasi totalità degli uomini, questa fusione non avviene durante la vita, ma è rimandata a qualche "periodo" post mortem. Ed allora lo spirito continua a giocare.
un'ipotesi sulla natura dell'esistenza umana che sia dotata di significato non può avere come punto di partenza la nostra nascita terrena (questo mi sembra un limite della dottrina cattolica), ma deve essere in grado di inserire tutta la nostra vita umana in un contesto significativo che preveda, oltre al "dopo", anche il "prima".
nessun vantaggio può venire all'essere umano dalla fede intesa come acquiescienza acritica ad un'informazione proveniente dall'esterno, fosse pure presentata come "di origine divina". Tutto questo non porta ad altro che al dogmatismo, al conformismo ed, in ultima analisi, alla pigrizia dell'intelligenza.
Gli spiriti sono scintille emanate direttamente da "Dio" (ovviamente uso questa parola umana per esigenze pratiche di comunicazione), e tra le qualità divine loro conferite vi è anche la libertà creativa relativa a quello che si definisce come "percorso (evolutivo) infinito dello spirito".
Lo spirito è libero, ma si muove nell'ambito di leggi divine che sperimenta e conosce: la conoscenza, allo stato potenziale, è presente nello spirito da sempre, ma entra nell'ambito della coscienza dello spirito mediante il catalizzatore rappresentato dall'esperienza. Le leggi divine, però, non vanno intese con gli stessi requisiti che noi attribuiamo alle leggi umane, ma piuttosto con quel carattere di assoluto e di inderogabilità che hanno le leggi fisiche (come la gravità). D'altra parte, è proprio il carattere infinito di Dio che si riflette nel numero infinito di leggi, e dunque nell'infinita libertà creativa dei sentieri che lo spirito può percorrere nell'ambito di queste leggi.
Abbandoniamo, tuttavia, il percorso affascinante ma insidioso delle speculazioni sull'infinito, che finiribbe inevitabilmente col confondere la nostra mente, per limitarci semplicemente all'indagine del processo che porta lo spirito a sintonizzarsi su una dimensione così diversa dalla sua, quale è quella in cui ci troviamo a vivere la nostra avventura terrena. Cercheremo inoltre di comprendere le motivazioni che inducono lo spirito a tuffarsi in quest'avventura, e quale tipo di relazione vi sia tra l'io (cioè la nostra identità cosciente in questa vita) ed il nostro spirito.
Noi esseri umani ci troviamo nella singolare condizione di essere uno spirito incarnato, ma di vivere con un'identità che è condizionata quasi al cento per cento dal corpo e dalla mente umana. La percentuale varia da individuo ad individuo, ma in generale, ed in parole povere, possiamo dire che il nostro io terreno non è certo lo spirito.
Lo spirito, in quanto tale, può vivere solo nella dimensione che gli è propria. Per incarnarsi, dato non dispone dei requisiti che gli permettano di entrare in contatto diretto con questa dimensione (l'universo fisico), in modo da poterne fare esperienza, ha bisogno di una struttura, che si definisce anima, che viene prodotta ed utilizzata dallo spirito, un po' come farebbe un'astronauta che ha bisogno di un apposito involucro per andare ad esplorare un mondo diverso dalla Terra.
Tuttavia quest'esempio è fuorviante, perché la consapevolezza dell'astronauta resta sempre all'interno della sua mente, nel suo corpo racchiuso dentro la tuta spaziale, mentre nel nostro caso di creature umane l'io diventa addirittura un centro di coscienza quasi esterno all'anima, anche se ad essa intimamente collegato attraverso la struttura psichica della mente.
L'io risponde soprattutto al corpo ed alle sue esigenze, ed alla psiche ed ai suoi stimoli. È straordinaria la descrizione dello spirito e delle sue qualità, talmente diverse da quelle della psiche umana, da farci sembrare lo spirito, il "nostro" spirito, quasi come un alieno.
Lo spirito infatti non soffre, né considera importanti la maggior parte degli obiettivi nei quali noi investiamo le nostre energie. Quasi tutti i desideri umani sono per lo spirito privi di significato. Egli non è coinvolto né dalle emozioni né dai sentimenti umani (per non parlare degli istinti e delle pulsioni), cioè da tutte quelle forze che costituiscono gli elementi propulsori fondamentali della nostra esistenza.
A chi obietta che uno spirito privato di questi caratteri, che per noi creature umane rappresentano l'essenza della vita, si ridurebbe ad un puro intelletto (cioè a qualcosa che a noi sembra meno interessante ed affascinante rispetto all'esperienza psichica, con tutta la sua ampia gamma di manifestazioni emotive), Andrea risponde che lo spirito ha altre qualità e forme di manifestazione che noi non possiamo neanche immaginare. E di nuovo restiamo meravigliati da questo singolare sdoppiamento della consapevolezza, di cui noi sperimentiamo solo la dimensione umana (salvo forse quelle rare circostanze in cui ci veniamo a trovare in un particolare stato di consapevolezza alterata), mentro lo spirito rappresenta ciò che per secoli e secoli è stato percepito dall'umanità come il "divino".
Questo non è un caso, perché l'origine divina del nostro spirito, da Andrea costantemente ribadita, fa sì che esso possieda quei caratteri, primi fra tutti la libertà e l'eternità, che lo rendono immune da qualsiasi forma di necessità coercitiva, e dunque rappresentano proprio l'opposto della dimensione umana. Pertanto, dal punto di vista dell'io umano, lo spirito è veramente divino, e tuttavia noi "siamo" anche il nostro spirito: Andrea conferma così la geniale intuizione delle Upanishad: "Tat twam asi" (Tu sei "quello") di 2.600 anni fa. Un'intuizione che ha fatto invece difetto al cristianesimo, il quale ha bensì riconosciuto la natura divina di Cristo "figlio di Dio" ma l'ha attribuita unicamente a Cristo stesso, elevandolo al livello di Dio (cosa che Andrea nega decisamente, riconoscendo a Cristo solo una natura spirituale particolarmente evoluta). D'altra parte, Cristo stesso si riconosceva come fratello e guida tra gli esseri umani (spiriti incarnati), non certo come loro Dio.
Ma proprio l'alienità della natura spirituale rispetto alla vita terrena ci spinge a chiederci cosa induce lo spirito ad incarnarsi per andare a sopportare un'esperienza che, come Andrea spiega senza mezzi termini, per lo spirito è quasi "nauseante", in quanto nulla è più alieno al carattere dello spirito che l'essere ingabbiato in un corpo fisico.
In effetti lo spirito acconsente a subire una volontaria limitazione per tutta la durata della propria incarnazione terrena, ed è in questo senso che Andrea parla di esperienza sgradevole per lo spirito, ma non nel senso di contaminazione da parte dei dolori e delle sofferenze cui può essere soggetto l'io. Abbiamo già osservato che per Andrea lo spirito non può compiere l'esperienza della vita umana se non dotandosi di uno strumento, l'anima, che gli consente di entrare in contatto con l'universo fisico, rappresentando il tramite di unione con una struttura come quella costituita dal corpo e dalla mente, con cui viviamo in questo modo.
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Sotto questo punto di vista l'anima rappresenta un elemento importante tanto dal nostro punto di vista umano, quanto per lo spirito. Infatti nel nostro caso, mediante la struttura animica, lo spirito può entrare in contatto con la fenomenologia della nostra psiche, che rappresenta la sorgente dei desideri, delle emozioni, dei sentimenti, e in ultima analisi di tutto quanto costituisce la parte più intima e significativa del nostro mondo interiore umano. L'anima ha anche un ruolo di primo piano nel trasmettere alla psiche quegli stimoli che possono consentire allo spirito di partecipare, anche se in misura ridotta, alla formazione del nostro carattere: esso prende forma attraverso l'interazione continua tra le nostre funzioni psichiche e la nostra storia personale, costituita dalle influenze ambientali e dai condizionamenti socioculturali nei quali siamo coinvolti, e tuttavia può essere influenzato, tramite l'inconscio, anche dall'anima.
Per lo spirito l'anima è importante, non solo perché gli permette di compiere l'esperienza della vita terrena, ma soprattutto perché ha un ruolo di primo piano nel determinare le modalità di quest'esperienza, tramite il legame con la psiche. L'io sperimenta e conosce il mondo, con le sue caratteristiche peculiari, e le leggi dell'universo fisico, attraverso quella particolare sintonia con cui l'anima e la psiche determinano le modalità dell'esperienza. Sullo svolgimento della nostra avventura umana incidono in gran parte le condizioni ambientali ed i fattori esterni che determinano la nostra storia personale, in buona parte le dinamiche della nostra psiche, e solo in minima parte il nostro spirito, che può entrare in contatto con la nostra mente, se ci riesce, solo attraverso le funzioni inconscie collegate all'anima.
Questo è, in sintesi, il quadro presentato da Andrea. Tuttavia Andrea non offre spiegazioni più dettagliate sulla natura dell'anima, limitandosi a dire che lo spirito se ne serve come struttura di collegamento di tipo energetico per entrare in contatto con la realtà esterna. In un certo senso è lo spirito che crea o produce l'anima, per usarla quando ne ha bisogno. Questo crea una differenza tra la relazione esistente tra lo spirito e l'anima, e quella tra lo spirito ed il corpo fisico: infatti lo spirito non crea il corpo, ma lo trova già in formazione, nella dimensione fisica di questo mondo, e se ne serve. Mentre il corpo fisico è un'entità legata alla dimensione terrrestre, l'anima può trasformarsi, modulandosi in relazione all'ambiente che incontra.
In alcune comunicazioni, Andrea afferma che l'anima continua a "vivere" anche dopo la morte del corpo, e lo spirito può servirsi della stessa struttura animica per un intero ciclo di incarnazioni in uno dei mondi dell'universo fisico, come la Terra. Tuttavia l'anima non è permanente, tanto è vero che dopo un periodo di "tempo" più o meno lungo lo spirito si libera anche dell'anima per tornare alla sua dimensione spirituale, oppore si dota di una nuova struttura animica per iniziare un diverso ciclo di esperienze.
La permanenza nell'anima di residui psichici per un periodo successivo alla morte del corpo mi sembra confermata dai resoconti delle NDE, che hanno tutti una natura prettamente psichica, non spirituale, nel senso in cui Andrea identifica lo spirito. Del resto, anche tutte le nostre rappresentazioni culturali, immaginarie, o tratte da esperienze in stato di consapevolezza alterata, dell'aldilà (che siano di tipo paradisiaco o infernale) sono di natura prettamente psichica, non certo spirituale. Andrea afferma senza mezzi termini che noi, come esseri umani, non possiamo neanche concepire la dimensione dello spirito. In effetti noi ci abituiamo a vivere un'esistenza di tipo esclusivamente psichico, nella quale lo stesso concetto di spirito viene interpretato in forma psichica.
La differenza sostanziale tra il corpo e la psiche da una parte, e lo spirito dall'altra, è che i primi due sono strutture complesse prodotte da un'emanazione della creatività divina nell'ambito delle leggi che regolano l'universo fisico, e dunque sono soggette ad un'esistenza limitata nel tempo, a nascita ed a morte, dunque ad un'esistenza relativa, mentre lo spirito è emanato direttamente dalla divinità, è eterno ed ha un'esistenza reale, assoluta. Questo è quanto afferma Andrea.
Mi piacerebbe sapere se lo spirito può scegliere una particolare forma di esperienza psichica, oppure se la psiche che gli tocca "in sorte" risponde solo in parte a certi requisiti di massima (individuati dallo spirito secondo il suo programma evolutivo), conservando una sua autonomia, in modo analogo a quanto avviene per il corpo fisico. Andrea sostiene che in genere lo spirito non è in grado di determinare con precisione le caratteristiche del corpo in cui si incarnerà, o quelle della famiglia dalla quale sarà allevato. Lo spirito ha un programma di massima, spesso ridotto all'essenziale, da attuare durante la sua esistenza terrena, e cerca di ottenere delle condizioni iniziali sufficientemente propizie all'attuazione del suo programma, ma non è detto che ci riesca. Anzi, generalizzando, la stragrande maggioranza degli spiriti che si incarnano devono accontentarsi di condizioni che non possono certamente essere definite ottimali (anche se in fondo ogni esistenza può essere considerata proficua per lo spirito).
Sicuramente lo sviluppo dell'anima (e dunque del carattere) viene influenzato dalle condizioni in cui si svolge la nostra storia individuale soprattutto durante la nostra infanzia, e secondo quanto ci insegna Andrea, l'anima conserva anche qualche impronta di quanto ha sperimentato nel corso delle precedenti incarnazioni.
Riguardo alle motivazioni per le quali lo spirito sarebbe indotto a dotarsi di un'anima ed a compiere l'esperienza della vita terrena, Andrea fa un'osservazione che a mio avviso è della massima importanza, cioè che nulla obbliga lo spirito a sottoporsi a questa esperienza. Lo spirito, essendo libero, non può essere assoggettato a nessuna esigenza o necessità, nemmeno a quella della propria evoluzione, a meno che questa non sgorghi dalla sua stessa natura interiore. Dunque, quando lo spirito compie una scelta, non lo fa, come spesso accade a noi esseri umani, per una necessità coercitiva di natura esterna, ma per quello che potremmo definire un libero impulso interiore che nasce dal suo stesso interesse. Per usare un'analogia con quella tra le esperienze umane che mi sembra più calzante, direi che lo spirito "gioca", non nel senso ludico del semplice passatempo, ma nel senso più intelligente del concetto di gioco anche come forma di apprendimento.
ognuno di noi arriva in questa vita con un corpo che non conosce, e che non ha messo a punto secondo le proprie intenzioni, o almeno questo è quanto noi percepiamo. Ma noi, in questo mondo, siamo come il personaggio, il "character", mentre può darsi che in un'altra dimensione esista un giocatore il quale, sulla base del proprio intento e dell'esperienza di cui dispone, assegna un valore all'una o all'altra caratteristica che può essere attribuita al personaggio: forza, intelligenza, volontà, bellezza, salute, carisma, ecc. Questi dati vengono assimilati dall'anima, e poi comincia il gioco attraverso una nascita qui sulla Terra: da quel momento in avanti il giocatore può interferire col suo personaggio solo nel modo indiretto consentito dalle regole del gioco.
Quali sono i motivi per i quali lo spirito decide di giocare? Curiosità? Bisogno di conoscenza? Desiderio di provare? Certo è che dal gioco stesso della vita viene una continua richiesta di nuovi personaggi, almeno fintanto che le regole fanno sì che i personaggi esistenti siano inclini a produrne altri. D'altra parte deve esistere anche una quantità enorme di spiriti pronti a mettersi a giocare, almeno per poter provare il gioco: così i giocatori non mancano mai.
l'aspetto che mi sembra più enigmatico nell'insegnamento di Andrea è costituito dalla scissione per cui, durante la vita umana, lo spirito diventa qualcosa di completamente "altro" rispetto all'io (il quale è immerso nelle dinamiche della psiche), mentre, una volta cessata la vita umana, una serie di trasformazioni dovrebbe portare la coscienza dell'io a ricongiungersi ed a fondersi con quella dello spirito.
Andrea sostiene infatti che durante la nostra vita terrena, finito il periodo di "assopimento" dello spirito che va dall'incarnazione (circa al terzo mese di gravidanza) a qualche mese dopo la nascita, lo spirito comincia ad agire, esercita la sua influenza sulla psiche, per quanto gli è possibile, e dunque continua ad essere dotato di una "sua" coscienza autonoma, che evidentemente è del tutto distinta da quella dell'io, tanto è vero che l'io è sempre piuttosto sordo ai richiami dello spirito, abbagliato com'è dagli eventi della vita. Si tratta di una condizione di dualismo vero e proprio.
Solo al termine della vita umana la coscienza, legata all'individualità umana, comincia a vagare libera dal corpo, anche se sembra ancora coinvolta nelle dimensioni psichiche, e dunque separata dallo spirito, che mantiene una sua distinta consapevolezza.
Si direbbe che, perché si abbia di nuovo la coincidenza della consapevolezza in un'unica entità (lo spirito), debbano aver luogo un certo numero di trasformazioni anche dopo la morte.
Il fenomeno sarebbe più facile da comprendere se, una volta terminato il travaglio della morte, l'unica forma di consapevolezza presente fosse quella dello spirito (il quale, per così dire, si risveglierebbe da un "sogno"), ed a volte si ha l'impressione che Andrea voglia avvalorare quest'ipotesi, che però sembra in contrasto con i resoconti delle NDE e con certe diffuse fantasie umane. Sempre secondo Andrea, l'ambiente dello spirito è molto diverso da come noi ce lo immaginiamo, tanto che arriva a dire che, forse, noi resteremo delusi dall'aldilà, perché chissà cosa ci aspettiamo!
Comunque vadano le cose dopo la morte, è singolare lo stato di dualismo che si verifica durante la vita: da una parte abbiamo la nostra consapevolezza, legata alla psiche, al funzionamento della nostra mente, agli eventi che ci coinvolgono, ed ai condizionamenti culturali; dall'altra parte c'è la consapevolezza dello spirito, che per l'io è praticamente del tutto inconscia (fuorché per gli impulsi che affiorano di quando in quando proprio dalla dimensione dell'inconscio), e che tuttavia non appartiene a qualcun altro, dato che "io sono il mio spirito". Probabilmente gli illuminati, i risvegliati in vita, sono quegli esseri umani per i quali la coscienza dello spirito viene a fondersi, almeno in parte, con quella dell'io, già durante l'esistenza terrena. Per tutti gli altri, cioè per la quasi totalità degli uomini, questa fusione non avviene durante la vita, ma è rimandata a qualche "periodo" post mortem. Ed allora lo spirito continua a giocare.
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