Berlusconi ha quasi raddoppiato il suo patrimonio

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  • Magnetuss
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    • Gotham City
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    Originariamente Scritto da Amicos
    Berlusconi ridicolizza gli IMBECILLI,ha una buona cultura e tanta Intelligenza...cio' che manca a tanti italiani.
    Effettivamente hai ragione, a tanti italiani mancano cultura ed intelligenza, basta leggere il tuo post.

    Berlusconi colto comunque è la più bella battuta del forum, ultimamente. Penso potrei metterla in signature.
    L'ultima del berlusca, alla Domenica Sportiva: "Verba manent". Ecco, bravo.

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    • Ayurvedi77
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      • Apr 2002
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      • Pisa
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      Allora vediamo di rispondere a stì pischelli da "movimento studentesco" e da "aò regà annamo in piazzza che famo baldoria e ce fumamo due canne. in c...o a stì discotecari figli di papà"...


      Se invece di sparare cavolate sul questo forum vi faceste un giro per internet, vi accorgereste di quanto simpatico movimento c'è nei confronti della Riforma Moratti della Scuola...
      E' bello vedere tanti giovani in subbuglio simil-68ino, chissà forse davvero c'è chi ancora crede negli Alti Valori della Società...
      Ma... Un momento !!

      Perchè tutti criticano ed urlano "Odddioooo la Scuola è rovinata oddioooo!", ma nessuno cita una dico una riga del Decreto a supporto delle proprie accuse?

      Perchè si parla di tagli ai finanziamenti, di diminuizione (alcuni hanno parlato addirittura di ABOLIZIONE ) del tempio pieno e prolungato (e sua trasformazione in "parcheggio per bambini"), di gerarchie (fasciste?) dei professori e molto molto molto molto altro, tanto che Tolkien in confronto ha la fantasia di Pecoraro Scanio?

      Analizziamo insieme a Cesare Campa di Forza Italia alcune obiezioni mosse contro la Riforma:


      "Obiezioni fasulle e risposte concrete. In questa pagina sfatiamo alcuni miti della sinistra e rispondiamo concretamente sulla vera portata della riforma Moratti.


      TEMPO PIENO

      OBIEZIONE: Non ha copertura finanziaria e ci sono tagli al personale; torna il doposcuola degli Anni '60; viene azzerato il progetto didattico perché ridotto a servizio orario; le ore pomeridiane diventano parcheggio

      RISPOSTA: La copertura finanziaria è già iscritta nella legge di riforma, mentre l'art. 15 del decreto sul primo ciclo appena approvato "conferma in via di prima applicazione, per l'anno scolastico 2004/2005, il numero di posti attivati complessivamente a livello nazionale per l'anno scolastico 2003/2004 per le attività di tempo pieno e di tempo prolungato"; per gli anni successivi "ulteriori incrementi di posti, per le stesse finalità, possono essere attivati … con decreto" del MIUR di concerto col Ministero dell'Economia.

      Non si può in alcun modo parlare di doposcuola in quanto le diverse discipline hanno tutte uguale dignità e la norma prevede che, nell'organizzare l'orario settimanale, "i criteri della programmazione delle attività educative devono rispettare una equilibrata ripartizione dell'orario quotidiano tra le attività obbligatorie e quelle opzionali facoltative". Tutt'altro, quindi che un parcheggio per gli allievi.

      Il progetto didat tico rientra nel Piano d ell'Offerta Formativa (POF), compito e prerogativa delle istituzioni scolastiche autonome: il Collegio dei Docenti, nell'esercizio responsabile della propria autonomia progettuale, definisce i progetti didattici che ritiene più confacenti; tra questi, restano anche il tempo pieno come autonoma offerta formativa della scuola (non è a caso che per la definizione dell'organico d'istituto siano incluse le ore da dedicare "alla mensa e al dopo mensa", per le quali è prevista "l'assistenza educativa da parte del personale docente".

      L'innovazione sostanziale introdotta dalla riforma Moratti è, da un lato, la libertà per le famiglie di scegliere tra i diversi progetti offerti dalla scuola (e non, come ora avviene, doversi sottomettere in termini di progetto educativo alla volontà della maggioranza). Dall'altro, l'attuazione dell'autonomia didattica e organizzativa delle scuole. La Sinistra mente sapendo di mentire, rinnega l'autonomia organizzativa e didattica che proprio i loro governi, nella scorsa legislatur a, hanno introdotto con la legge Bassanini (1997) ed il Regolamento del 1999.

      Circa l'attuale fruizione del tempo prolugato, dati statistici del MIUR mostrano come il tempo prolungato alle medie costituisca ben altro che un progetto educativo e didattico: in alcune aree del Paese esiste una discrepanza decisamente "sospetta" tra il numero degli allievi che risulta iscritto alle classi a tempo prolungato e la corrispondente frequenza alla mensa, tanto da indurre dubbi sulla reale frequenza delle ore pomeridiane. Alcuni esempi:
      - Bari: su 10.226 alunni iscritti al tempo prolungato solamente 347 fruiscono della mensa (il 3,4%).
      - Palermo: su 12 mila alunni a tempo prolungato (il 23% del totale, un dato vicino alla media nazionale del 27%), meno di 3 mila fruiscono della mensa.
      - Napoli: sono circa 3.700 gli alunni che pranzano a scuola, mentre sono 10.700 quelli che ritornano a casa.


      ANTICIPO DELLA SCOLARIZZAZIONE

      OBIEZIONE: Stando ai dati del Ministero solo 30mila dei quasi 100mila bambini aventi diritto hanno fatto richiesta di anticipare l'iscrizione alla prima elementare (oggi chiamata primaria)

      RISPOSTA: Il dato si riferisce all'anno scolastico in corso (2003/04) ed è, più esattamente, pari a circa 28mila bambini anticipatari, su un totale di 86mila aventi diritto (ma va ricordato che le iscrizioni furono riaperte – dopo l'approvazione della 53/2003 - per soli 10 giorni). Per un paragone corretto, il dato va confrontato con la media, consolidata negli ultimi dieci anni, degli anticipatari nelle cosiddette "primine": circa 50mila ogni anno, che frequentano scuole non statali (a pagamento!). La novità introdotta dalla legge Moratti è la risposta gratuita ad una esigenza diffusa nel Paese.



      DIRITTO-DOVERE ALL'ISTRUZIONE FINO A 18 ANNI

      OBIEZIONE: Il Ministro è stato costretto a chiedere alle regioni di continuare per altri 3 anni quello che già facevano prima visto che il Governo non era stato in grado di risolvere il problema dei rapporti tra Stato e Regioni, né tanto meno di mettere a disposizione le risorse per l'istruzione generalizzata del secondo canale, quello dell'istruzione e formazione. Le intese con le regioni stanno a testimoniarlo

      RISPOSTA: Il diritto-dovere all'istruzione e alla formazione per almeno dodici anni, introdotto dalla legge n. 53/03, sostituisce ed amplia i vecchi obblighi scolastico o formativo, superandone il dualismo; non ne modifica i termini temporali (fino al diciottesimo anno di età), salvo che il percorso di formazione non si concluda prima con il conseguimento di una qualifica professionale.

      La legge costituzionale n. 3/2001 (di modifica del Titolo V della Costituzione) ha introdotto una diversa suddivisione di competenze legislative tra Stato e Regioni, ripartendole in potestà esclusive e potestà concorrenti: allo Stato, le potestà esclusive in materia di "norme generali sull'istruzione" e di garanzia dei diritti civili e sociali su tutto il territorio nazionale; alle Regioni, la potestà esclusiva in materia di "istruzione e formazione professionale". Di qui la necessità per lo Stato, nell a persona del Ministro d ell'istruzione, di accedere a intese e accordi con le Regioni, al fine di garantire l'uniformità sul piano nazionale del diritto alla formazione. Ciò è avvenuto con la firma di un Protocollo d'intesa nazionale (Conferenza Unificata, 19 giugno 2003) e di Convezioni con le singole Regioni e da ultimo, con l'approvazione da parte della Conferenza Unificata Stato-Regioni degli standard formativi minimi nazionali (Conferenza Stato-Regioni, 15 gennaio 2004), che hanno lo scopo di garantire la spendibilità su tutto il territorio nazionale (e, quindi, anche nell'Unione Europea) delle qualifiche professionali conseguite al termine dei percorsi di istruzione e formazione gestiti dalle Regioni. In precedenza, le qualifiche regionali avevano percorsi estremamente diversificati, esclusiva validità territoriale e nessun riconoscimento a livello europeo.



      MANCA LA COPERTURA FINANZIARIA

      OBIEZIONE: Dei circa 8000 milioni di euro promessi nella legge finanziaria figurano solo 90 milioni di euro cioè lo stretto necessario per permettere alle Università di andare avanti; 90 milioni che sono stati oltretutto rimediati in extremis con tasse sul fumo e/o sugli alcolici

      RISPOSTA: Il 12 settembre 2003 il Governo ha varato un piano pluriennale di investimenti, pari a 8.320 milioni di euro, per il periodo 2004/2008. La copertura finanziaria per la prima attuazione della riforma (anticipi, inglese e informatica) è già disposta nella legge 53/03, che prevede 12.731.000 euro per l'anno 2003; 45.829.000 euro per il 2004 e 66.198.000 euro per il 2005. La legge finanziaria per il 2004 ha stanziato per la scuola (e non per l'università!) 90 milioni di euro per l'attuazione del piano programmatico previsto nella legge 53/2003, con specifiche destinazioni d'intervento. Dal 2001 al 2004 le risorse finanziarie destinate alla scuola sono cresciute complessivamente di 3456 milioni di euro. Va considerata, infine, la valorizzazione del personale della scuola: nell'ultimo rinnovo contrattuale, infatti, il Governo ha previsto risorse aggiuntive rispetto a tutti gli altri co mparti del pubblico impi ego, portando ad un aumento medio di 150 euro mensili, il più alto dal 1988.



      INTRODUZIONE DELL'INGLESE E DELL'INFORMATICA

      OBIEZIONE: Il Governo non è stato in grado di varare il relativo decreto attuativo previsto dalla legge. In sostanza non essendo previsti né docenti né risorse finanziarie a questo fino, l'obiettivo della riforma è affidato al buon cuore delle scuole stesse

      RISPOSTA: L'insegnamento di inglese ed informatica sin dalla prima classe della scuola primaria è stato disposto già dall'anno scolastico in corso con il Decreto Ministeriale n. 61 del 22 luglio 2003; col medesimo decreto sono stati disposti specifici corsi di formazione, con i quali oltre 170mila docenti si sono specializzati nell'utilizzo delle nuove tecnologie (attraverso l'Indire di Firenze, è stato realizzato un progetto di formazione a distanza che è già stato preso ad esempio e modello da altri Paesi europei), mentre per l'inglese è stata assicurata la copertura di circa il 94% delle situazioni. Inoltre, in collaborazione con la RAI, sono stati creati due canali tematici: il Divertinglese e il DivertiPC, come supporto ai corrispondenti insegnamenti nelle scuole elementari.



      SITUAZIONE DEI PRECARI

      OBIEZIONE: Continuano nel 2004 i tagli agli organici già decisi nelle finanziarie 2002/2003. Altri 12.500 posti scompariranno dopo i 21.000 dei due anni precedenti, E l'esiguo numero di immissioni in ruolo previste per il prossimo anno non modifica questo quadro in modo decisivo

      RISPOSTA: Nella scuola dell'infanzia il numero dei posti d'insegnamento è stato incrementato di oltre 700 unità rispetto all'a.s. 2001/02; l'anticipo delle iscrizioni porterà ad un graduale ulteriore aumento delle dotazioni organiche.

      Nella scuola primaria, nell'anno scolastico 2003/2004, si è realizzato un aumento di 1.500 posti dovuto all'anticipo delle iscrizioni; inoltre, sono stati attivati circa ulteriori 1.500 posti per garantire l'insegnamento della lingua straniera nelle prime e seconde classi della scuola primaria; sempre nello stesso anno scolastico, in organico di fatto sono stati istituiti ulteriori 500 posti. In quest'ordine di scuola, a conclusione degli interventi di contenimento del numero dei posti (tagli) si registra una diminuzione di circa 1.000 posti (circa lo 0,43% dell'organico totale), una riduzione ben inferiore a quella del numero degli alunni.

      Nella scuola secondaria di I grado, le riduzioni di posti sono state determ inate quasi esclusivamen te dalla diminuzione del numero degli alunni e dalla soppressione delle cattedre sperimentali. Sono state comunque soddisfatte tutte le richieste di tempo prolungato e incrementati gli insegnamenti non obbligatori, quali la seconda lingua straniera e lo strumento musicale.

      Nella scuola secondaria di II grado, si è verificata una diminuzione significativa degli studenti: oltre 81mila unità in due anni scolatici, con conseguente riduzione delle necessità di docenti. Inoltre, sono stati realizzati interventi di tipo strutturale quali la riconduzione a 18 ore delle cattedre costituite con un numero di ore di insegnamento inferiore, secondo la prescrizione contenuta nella Finanziaria 2003, e la riduzione del numero dei progetti didattici. Non sono stati effettuati interventi sulla composizione delle classi né sui profili ordinamentali.

      Il numero dei posti di insegnanti di sostegno all'handicap, che risultavano essere circa 74.000 nell'anno 2001/2002, ha superato abbondantemente le 7 8mila unità nell'anno 20 03/2004, con un incremento di quasi 4500 posti.

      Le immissioni in ruolo effettuate nell'a.s. 2001/2002 sono state ben 63mila, cui si aggiungono le 15mila già disposte per il prossimo anno scolastico. In totale, in quattro anni scolastici le assunzioni a tempo indeterminato saranno 78mila.




      DALLA COMMISSIONE EUROPEA

      A Bruxelles, mercoledì 21 gennaio 2004, la Commissione Europea ha presentato una comunicazione sull'implementazione delle linee guida concernenti lo sviluppo della politica economica 2003-2005 (2003-2005 BEPGs). A pagina 74, la Commissione giudica specificatamente i risultati italiani in materia di riforme politico-economiche e, relativamente alla cosiddetta "economia della conoscenza", afferma che " questa è stata trattata in modo completo e che le opportunità e le raccomandazioni sono state pienamente accolte e seguite. In particolare, la scuola primaria e secondaria è stata oggetto di riforma e diversi provvedimenti sono stati adottati per stimolare ricerca e innovazione", nell'ottica del raggiungimento degli obiettivi posti dal processo di Lisbona. "



      Citando il buon Campa: "Obiezioni fasulle e risposte concrete" , cioè come smontare alcune delle "infiammanti" accuse della Sinistra "disinformante" (è un dato di fatto degli ultimi 10 anni) con fatti e citazioni dirette del Decreto appena approvato...

      Appena ho tempo continuo, per adesso a voi la parola Pischelli
      Last edited by Ayurvedi77; 01-03-2004, 11:07:05.
      ___________________


      Codice:
      apt-get remove brain
      apt-get install windows-Vista
      ___________________

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      • Amicos
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        Originariamente Scritto da Magnetuss
        Effettivamente hai ragione, a tanti italiani mancano cultura ed intelligenza, basta leggere il tuo post.

        Berlusconi colto comunque è la più bella battuta del forum, ultimamente. Penso potrei metterla in signature.
        L'ultima del berlusca, alla Domenica Sportiva: "Verba manent". Ecco, bravo.
        MICA HA INVIDIA DEI SUOI C/C???

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        • Magnetuss
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          • Gotham City
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          Originariamente Scritto da Amicos
          MICA HA INVIDIA DEI SUOI C/C???
          Io invidio sinceramente il suo fisico e la sua capigliatura, e soprattutto il suo carattere schivo e modesto

          Vedo che hai argomenti di un certo spessore a sostegno delle tue tesi

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          • akillez
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            • Apr 2002
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            • nei tuoi sogni
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            Ciao Viktor come sta andando la lettura del libro?c'è un passo molto interessante che non capisco molto bene, cosa ne pensi?

            Il bipensiero implica la capacità di accogliere simultaneamente nella
            propria mente due opinioni tra loro contrastanti,accettandole entrambe:
            Raccontare deliberatamente menzogne e nello stesso tempo crederci
            davvero,dimenticare ogni atto che nel frattempo sia divenuto
            sconveniente e poi,una volta che ciò si renda nuovo
            necessario,richiamarlo in vita dall'oblio per tutto il tempo che
            serva,negare l'esistenza di una realtà oggettiva e al tempo stesso
            prendere atto di quella stessa realtà che si nega,tutto ciò è
            assolutamente indispensabile.Perfino quando si usa la parola bipensiero
            è necessario ricorrere al bipensiero.Nel farne uso infatti si ammette di
            manipolare la realtà,ma con un novello colpo di bipensiero si cancella
            questa consapevolezza,e così via all'infinito con la menzogna in
            costante posizione di vantaggio rispetto alla verità.

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            • Magnetuss
              Bodyweb Member
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              Originariamente Scritto da Ayurvedi77
              Allora vediamo di rispondere a stì pischelli da "movimento studentesco" e da "aò regà annamo in piazzza che famo baldoria e ce fumamo due canne. in c...o a stì discotecari figli di papà"...


              Se invece di sparare cavolate sul questo forum vi faceste un giro per internet, vi accorgereste di quanto simpatico movimento c'è nei confronti della Riforma Moratti della Scuola...
              E' bello vedere tanti giovani in subbuglio simil-68ino, chissà forse davvero c'è chi ancora crede negli Alti Valori della Società...
              Ma... Un momento !!

              Perchè tutti criticano ed urlano "Odddioooo la Scuola è rovinata oddioooo!", ma nessuno cita una dico una riga del Decreto a supporto delle proprie accuse?

              Perchè si parla di tagli ai finanziamenti, di diminuizione (alcuni hanno parlato addirittura di ABOLIZIONE ) del tempio pieno e prolungato (e sua trasformazione in "parcheggio per bambini"), di gerarchie (fasciste?) dei professori e molto molto molto molto altro, tanto che Tolkien in confronto ha la fantasia di Pecoraro Scanio?

              Analizziamo insieme a Cesare Campa di Forza Italia alcune obiezioni mosse contro la Riforma:


              "Obiezioni fasulle e risposte concrete. In questa pagina sfatiamo alcuni miti della sinistra e rispondiamo concretamente sulla vera portata della riforma Moratti.


              TEMPO PIENO

              OBIEZIONE: Non ha copertura finanziaria e ci sono tagli al personale; torna il doposcuola degli Anni '60; viene azzerato il progetto didattico perché ridotto a servizio orario; le ore pomeridiane diventano parcheggio

              RISPOSTA: La copertura finanziaria è già iscritta nella legge di riforma, mentre l'art. 15 del decreto sul primo ciclo appena approvato "conferma in via di prima applicazione, per l'anno scolastico 2004/2005, il numero di posti attivati complessivamente a livello nazionale per l'anno scolastico 2003/2004 per le attività di tempo pieno e di tempo prolungato"; per gli anni successivi "ulteriori incrementi di posti, per le stesse finalità, possono essere attivati … con decreto" del MIUR di concerto col Ministero dell'Economia.

              Non si può in alcun modo parlare di doposcuola in quanto le diverse discipline hanno tutte uguale dignità e la norma prevede che, nell'organizzare l'orario settimanale, "i criteri della programmazione delle attività educative devono rispettare una equilibrata ripartizione dell'orario quotidiano tra le attività obbligatorie e quelle opzionali facoltative". Tutt'altro, quindi che un parcheggio per gli allievi.

              Il progetto didat tico rientra nel Piano d ell'Offerta Formativa (POF), compito e prerogativa delle istituzioni scolastiche autonome: il Collegio dei Docenti, nell'esercizio responsabile della propria autonomia progettuale, definisce i progetti didattici che ritiene più confacenti; tra questi, restano anche il tempo pieno come autonoma offerta formativa della scuola (non è a caso che per la definizione dell'organico d'istituto siano incluse le ore da dedicare "alla mensa e al dopo mensa", per le quali è prevista "l'assistenza educativa da parte del personale docente".

              L'innovazione sostanziale introdotta dalla riforma Moratti è, da un lato, la libertà per le famiglie di scegliere tra i diversi progetti offerti dalla scuola (e non, come ora avviene, doversi sottomettere in termini di progetto educativo alla volontà della maggioranza). Dall'altro, l'attuazione dell'autonomia didattica e organizzativa delle scuole. La Sinistra mente sapendo di mentire, rinnega l'autonomia organizzativa e didattica che proprio i loro governi, nella scorsa legislatur a, hanno introdotto con la legge Bassanini (1997) ed il Regolamento del 1999.

              Circa l'attuale fruizione del tempo prolugato, dati statistici del MIUR mostrano come il tempo prolungato alle medie costituisca ben altro che un progetto educativo e didattico: in alcune aree del Paese esiste una discrepanza decisamente "sospetta" tra il numero degli allievi che risulta iscritto alle classi a tempo prolungato e la corrispondente frequenza alla mensa, tanto da indurre dubbi sulla reale frequenza delle ore pomeridiane. Alcuni esempi:
              - Bari: su 10.226 alunni iscritti al tempo prolungato solamente 347 fruiscono della mensa (il 3,4%).
              - Palermo: su 12 mila alunni a tempo prolungato (il 23% del totale, un dato vicino alla media nazionale del 27%), meno di 3 mila fruiscono della mensa.
              - Napoli: sono circa 3.700 gli alunni che pranzano a scuola, mentre sono 10.700 quelli che ritornano a casa.


              ANTICIPO DELLA SCOLARIZZAZIONE

              OBIEZIONE: Stando ai dati del Ministero solo 30mila dei quasi 100mila bambini aventi diritto hanno fatto richiesta di anticipare l'iscrizione alla prima elementare (oggi chiamata primaria)

              RISPOSTA: Il dato si riferisce all'anno scolastico in corso (2003/04) ed è, più esattamente, pari a circa 28mila bambini anticipatari, su un totale di 86mila aventi diritto (ma va ricordato che le iscrizioni furono riaperte – dopo l'approvazione della 53/2003 - per soli 10 giorni). Per un paragone corretto, il dato va confrontato con la media, consolidata negli ultimi dieci anni, degli anticipatari nelle cosiddette "primine": circa 50mila ogni anno, che frequentano scuole non statali (a pagamento!). La novità introdotta dalla legge Moratti è la risposta gratuita ad una esigenza diffusa nel Paese.



              DIRITTO-DOVERE ALL'ISTRUZIONE FINO A 18 ANNI

              OBIEZIONE: Il Ministro è stato costretto a chiedere alle regioni di continuare per altri 3 anni quello che già facevano prima visto che il Governo non era stato in grado di risolvere il problema dei rapporti tra Stato e Regioni, né tanto meno di mettere a disposizione le risorse per l'istruzione generalizzata del secondo canale, quello dell'istruzione e formazione. Le intese con le regioni stanno a testimoniarlo

              RISPOSTA: Il diritto-dovere all'istruzione e alla formazione per almeno dodici anni, introdotto dalla legge n. 53/03, sostituisce ed amplia i vecchi obblighi scolastico o formativo, superandone il dualismo; non ne modifica i termini temporali (fino al diciottesimo anno di età), salvo che il percorso di formazione non si concluda prima con il conseguimento di una qualifica professionale.

              La legge costituzionale n. 3/2001 (di modifica del Titolo V della Costituzione) ha introdotto una diversa suddivisione di competenze legislative tra Stato e Regioni, ripartendole in potestà esclusive e potestà concorrenti: allo Stato, le potestà esclusive in materia di "norme generali sull'istruzione" e di garanzia dei diritti civili e sociali su tutto il territorio nazionale; alle Regioni, la potestà esclusiva in materia di "istruzione e formazione professionale". Di qui la necessità per lo Stato, nell a persona del Ministro d ell'istruzione, di accedere a intese e accordi con le Regioni, al fine di garantire l'uniformità sul piano nazionale del diritto alla formazione. Ciò è avvenuto con la firma di un Protocollo d'intesa nazionale (Conferenza Unificata, 19 giugno 2003) e di Convezioni con le singole Regioni e da ultimo, con l'approvazione da parte della Conferenza Unificata Stato-Regioni degli standard formativi minimi nazionali (Conferenza Stato-Regioni, 15 gennaio 2004), che hanno lo scopo di garantire la spendibilità su tutto il territorio nazionale (e, quindi, anche nell'Unione Europea) delle qualifiche professionali conseguite al termine dei percorsi di istruzione e formazione gestiti dalle Regioni. In precedenza, le qualifiche regionali avevano percorsi estremamente diversificati, esclusiva validità territoriale e nessun riconoscimento a livello europeo.



              MANCA LA COPERTURA FINANZIARIA

              OBIEZIONE: Dei circa 8000 milioni di euro promessi nella legge finanziaria figurano solo 90 milioni di euro cioè lo stretto necessario per permettere alle Università di andare avanti; 90 milioni che sono stati oltretutto rimediati in extremis con tasse sul fumo e/o sugli alcolici

              RISPOSTA: Il 12 settembre 2003 il Governo ha varato un piano pluriennale di investimenti, pari a 8.320 milioni di euro, per il periodo 2004/2008. La copertura finanziaria per la prima attuazione della riforma (anticipi, inglese e informatica) è già disposta nella legge 53/03, che prevede 12.731.000 euro per l'anno 2003; 45.829.000 euro per il 2004 e 66.198.000 euro per il 2005. La legge finanziaria per il 2004 ha stanziato per la scuola (e non per l'università!) 90 milioni di euro per l'attuazione del piano programmatico previsto nella legge 53/2003, con specifiche destinazioni d'intervento. Dal 2001 al 2004 le risorse finanziarie destinate alla scuola sono cresciute complessivamente di 3456 milioni di euro. Va considerata, infine, la valorizzazione del personale della scuola: nell'ultimo rinnovo contrattuale, infatti, il Governo ha previsto risorse aggiuntive rispetto a tutti gli altri co mparti del pubblico impi ego, portando ad un aumento medio di 150 euro mensili, il più alto dal 1988.



              INTRODUZIONE DELL'INGLESE E DELL'INFORMATICA

              OBIEZIONE: Il Governo non è stato in grado di varare il relativo decreto attuativo previsto dalla legge. In sostanza non essendo previsti né docenti né risorse finanziarie a questo fino, l'obiettivo della riforma è affidato al buon cuore delle scuole stesse

              RISPOSTA: L'insegnamento di inglese ed informatica sin dalla prima classe della scuola primaria è stato disposto già dall'anno scolastico in corso con il Decreto Ministeriale n. 61 del 22 luglio 2003; col medesimo decreto sono stati disposti specifici corsi di formazione, con i quali oltre 170mila docenti si sono specializzati nell'utilizzo delle nuove tecnologie (attraverso l'Indire di Firenze, è stato realizzato un progetto di formazione a distanza che è già stato preso ad esempio e modello da altri Paesi europei), mentre per l'inglese è stata assicurata la copertura di circa il 94% delle situazioni. Inoltre, in collaborazione con la RAI, sono stati creati due canali tematici: il Divertinglese e il DivertiPC, come supporto ai corrispondenti insegnamenti nelle scuole elementari.



              SITUAZIONE DEI PRECARI

              OBIEZIONE: Continuano nel 2004 i tagli agli organici già decisi nelle finanziarie 2002/2003. Altri 12.500 posti scompariranno dopo i 21.000 dei due anni precedenti, E l'esiguo numero di immissioni in ruolo previste per il prossimo anno non modifica questo quadro in modo decisivo

              RISPOSTA: Nella scuola dell'infanzia il numero dei posti d'insegnamento è stato incrementato di oltre 700 unità rispetto all'a.s. 2001/02; l'anticipo delle iscrizioni porterà ad un graduale ulteriore aumento delle dotazioni organiche.

              Nella scuola primaria, nell'anno scolastico 2003/2004, si è realizzato un aumento di 1.500 posti dovuto all'anticipo delle iscrizioni; inoltre, sono stati attivati circa ulteriori 1.500 posti per garantire l'insegnamento della lingua straniera nelle prime e seconde classi della scuola primaria; sempre nello stesso anno scolastico, in organico di fatto sono stati istituiti ulteriori 500 posti. In quest'ordine di scuola, a conclusione degli interventi di contenimento del numero dei posti (tagli) si registra una diminuzione di circa 1.000 posti (circa lo 0,43% dell'organico totale), una riduzione ben inferiore a quella del numero degli alunni.

              Nella scuola secondaria di I grado, le riduzioni di posti sono state determ inate quasi esclusivamen te dalla diminuzione del numero degli alunni e dalla soppressione delle cattedre sperimentali. Sono state comunque soddisfatte tutte le richieste di tempo prolungato e incrementati gli insegnamenti non obbligatori, quali la seconda lingua straniera e lo strumento musicale.

              Nella scuola secondaria di II grado, si è verificata una diminuzione significativa degli studenti: oltre 81mila unità in due anni scolatici, con conseguente riduzione delle necessità di docenti. Inoltre, sono stati realizzati interventi di tipo strutturale quali la riconduzione a 18 ore delle cattedre costituite con un numero di ore di insegnamento inferiore, secondo la prescrizione contenuta nella Finanziaria 2003, e la riduzione del numero dei progetti didattici. Non sono stati effettuati interventi sulla composizione delle classi né sui profili ordinamentali.

              Il numero dei posti di insegnanti di sostegno all'handicap, che risultavano essere circa 74.000 nell'anno 2001/2002, ha superato abbondantemente le 7 8mila unità nell'anno 20 03/2004, con un incremento di quasi 4500 posti.

              Le immissioni in ruolo effettuate nell'a.s. 2001/2002 sono state ben 63mila, cui si aggiungono le 15mila già disposte per il prossimo anno scolastico. In totale, in quattro anni scolastici le assunzioni a tempo indeterminato saranno 78mila.




              DALLA COMMISSIONE EUROPEA

              A Bruxelles, mercoledì 21 gennaio 2004, la Commissione Europea ha presentato una comunicazione sull'implementazione delle linee guida concernenti lo sviluppo della politica economica 2003-2005 (2003-2005 BEPGs). A pagina 74, la Commissione giudica specificatamente i risultati italiani in materia di riforme politico-economiche e, relativamente alla cosiddetta "economia della conoscenza", afferma che " questa è stata trattata in modo completo e che le opportunità e le raccomandazioni sono state pienamente accolte e seguite. In particolare, la scuola primaria e secondaria è stata oggetto di riforma e diversi provvedimenti sono stati adottati per stimolare ricerca e innovazione", nell'ottica del raggiungimento degli obiettivi posti dal processo di Lisbona. "



              Citando il buon Campa: "Obiezioni fasulle e risposte concrete" , cioè come smontare alcune delle "infiammanti" accuse della Sinistra "disinformante" (è un dato di fatto degli ultimi 10 anni) con fatti e citazioni dirette del Decreto appena approvato...

              Appena ho tempo continuo, per adesso a voi la parola Pischelli
              Caro Quell'altro, spero tu non abbia passato la notte a documentarti solo per postare una raccolta dei pensierini del signor Campa di Forza Italia (una fonte "terza", come vedo ).
              Spero anche che cercherai di documentarti sulle vaccate che hai già detto a proposito di inflazioe e quant'altro.

              Comunque quando volessi postare qualcosa sulla riforma Moratti che esca da fonti un filino più autorevoli sarò lieto di discuterne. Fin che a sostegno delle tesi del governo citi fonti... del governo, capisci bene che la cosa ha un valore molto vicino allo zero spaccato.
              Capisco che sia un pochino difficile trovare estimatori del lavoro della Moratti al di fuori della cerchia governativa, ma uno sforzino in più lo potevi fare. Le tre righette della Commissione Europea sono grasso che cola, peccato che negli stessi documenti si possa leggere molto di più e diverso, specialmente sul primo degli argomenti su cui ti sei cimentato, ahimè con scarso successo...

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              • medea
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                • May 2003
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                • roma
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                caro "metallaro" (che poi un metallaro reazionario dove si è mai visto?)

                tu ci hai copia-incollato una bella sfilza di numeri e dati solamente che
                1.venivano da un forzista, quindi tutti da verificare
                2.invece di spiegarci in cosa consistono questi miglioramenti ti sei limitato ad appiccicare un testo che sicuramente non hai minimamente capito. invece di parlarci dei fini pratici della riforma hai snocciolato cifre senza senso. come tutti i forzisti che si rispettino hai deciso di intorbidire le acque, buttarla in caciara e sperare di sfancularla.

                ora ti copioincollo un CHIARO resoconto (spiegato terra terra, cosi' capiami tutti) delle conseguenze di questa riforma (che sicuramente noi studenti cannaroli conosciamo meglio di te in quanto ci siamo dentro fino al collo).
                ----------------------------------------------------------------
                Ricordate quella forza da leone che una vecchia canzone attribuiva alla televisione? Forse è questo il segreto per cui, di fronte a un provvedimento epocale, di involuzione tolemaica, la scuola è oggi sprofondata nel più cupo silenzio.

                La riforma Moratti piace, si dirà; ma così non si spiega perché non si oda il plauso.

                Di fronte a tanto muto silenzio gli attuali riformatori dovrebbero essere preoccupati, e forse lo sono. Il silenzio è peggio di un urlo, poiché non si è mai data innovazione nella scuola che non abbia comportato – per lungo o breve tempo – un mugugno e un malcontento tendenzialmente sempre sopra le righe.

                L’attuale freddo silenzio potrebbe essere il sintomo di una profonda indifferenza o di una noncurante rassegnazione: facciano pure, tanto la scuola resta quella che è, c’è sempre una porta da chiudere quando si entra in un’aula. Che cosa allora accadrà quando, dentro le aule, diminuiranno le ore, spariranno alcune materie e i rispettivi insegnanti, ci sarà da scegliere a 13 anni tra il liceo e la scuola "professionale"? Permarrà quel silenzio impenetrabile che ha già segnato la scuola, nel 1962, quando la riforma della scuola media è rimasta lettera morta per più di dieci anni?

                Il silenzio potrebbe anche derivare dalla disinformazione. Quanti italiani (insegnanti e studenti compresi) sanno della riforma? Tutti, o quasi. Ma che cosa sanno? Quasi niente. Quando parte la riforma, secondo la pubblica opinione? Subito, anzi non è già partita? Se così fosse, appena ci si addentrerà nel vivo delle questioni, ci sarà ancora silenzio?

                Viene da pensare che le domande siano vecchie come le categorie di interpretazione che andiamo utilizzando. Perché la riforma Moratti poggia su una forza che induce al silenzio: il virtuale - come si sa - non spaventa nessuno, permette a tutti di immedesimarsi, di raccontarla a modo proprio. Nel virtuale funzionano anche le bugie, che non sono nemmeno tali, tanta è l’abitudine al messaggio pubblicitario e all’incredibile di certa fiction. Cosicché, se si è buoni comunicatori come questo Ministro, tutti calzano le pantofole e si addormentano davanti a un video che chiude una giornata e ne apre un’altra uguale.

                E’ questo che ci apprestiamo a dimostrare: la forza virtuale della riforma Moratti.

                A colpi di spot

                Sabato 5 aprile 2003 è andato in onda su tutte le televisioni italiane lo spot sulla riforma della scuola. Il 28 marzo era stata votata dal Parlamento la legge delega n. 53 e il Ministero ha creduto opportuno diffondere la notizia attraverso il mondo virtuale della televisione, provvedendo a inserire lo spot anche nel proprio web (dove ancora lo si può vedere).

                Un rassicurante filmato fa scorrere, con la complicità di un’accattivante musica di sottofondo, le immagini di studenti felici; c’è anche un gioviale insegnante, genitori dall’aspetto americano e, nel finale, il dolce volto di una ragazza. Una voce fuori campo dà l’informazione.

                Abbiamo ascoltato i ragazzi, abbiamo ascoltato gli insegnanti, abbiamo ascoltato i genitori e attraverso quello che abbiamo ascoltato abbiamo costruito la nuova scuola. La scuola cresce proprio come te.

                Potremmo attardarci in luoghi comuni, chiedendoci ad esempio se è così che vanno spesi i soldi dei cittadini e se si addice a una istituzione dello Stato una campagna che – almeno nello spot – ha tutte le caratteristiche di una pubblicità. Potremmo domandarci dove e come il Ministero abbia ascoltato ragazzi, insegnanti e genitori; giacché non ci risulta, vorremmo sapere perché non si sia data trasparente informazione di tale consultazione, né vorremmo pensare che il riferimento è a quegli Stati generali di cui nessuno ha più memoria e nei quali fu presentato un progetto di riforma del Grl[1] che poco ha a che vedere con l’attuale testo di legge.

                Ci pare comunque più importante riflettere sulla "assenza di informazione" dello spot. A guardarlo, sappiamo forse qualcosa della nuova scuola? Sappiamo che esiste una legge? Che siamo in attesa dei decreti di attuazione? Che è stata abrogata la l. 9/99 e con essa l’obbligo scolastico? Che i bambini possono andare a scuola in anticipo anagrafico? Che esistono solo licei e un "secondo" canale?

                Si dirà che il messaggio è rivolto al grande pubblico. In questo caso non servono certo informazioni tecniche, ma informazioni sì, perché il grande pubblico può anche accontentarsi di slogan, quando sia da pubblicizzarsi un prodotto commerciale, ma ben altra cosa è la riforma della scuola.

                Questo spot – istituzionale, non dimentichiamolo – è, a nostro avviso, non solo inutile, ma anche pericoloso in quanto provoca una coscienza civica strutturalmente volatile, assai simile ai riflessi che la pubblicità commerciale deposita, noi inconsapevoli, negli atteggiamenti che assumiamo di fronte ai prodotti di un supermercato.

                Eppure è stato il ministro Moratti per primo ad affermare[2], lungo il cammino del suo operare, che "troppe sono le falsità sulla riforma".

                Troppe falsità sulla riforma. Il ministro Letizia Moratti, sventola davanti alle telecamere di "Domenica in" un pacchetto di volantini distribuiti in diverse scuole in giro per l’Italia. "Hanno scritto che con la riforma del centrodestra non ci sarebbe stata più l’educazione musicale e che avremmo abolito l’educazione fisica - dice il ministro -. Ci hanno accusati di voler abolire il tempo pieno e la mensa e voler istituire 300 ore a pagamento nelle scuole pubbliche. Una massa di falsità".

                Abbia pazienza, Ministro, ma alla fine di novembre 2001 il Grl, da Lei istituito, ha pubblicato un fiume di pagine: il curricolo obbligatorio era di venticinque ore settimanali, esisteva un curricolo facoltativo gratuito fino a trecento ore, poi a pagamento. Le cosiddette "educazioni" (musicale, artistica, tecnica, fisica) sembravano destinate al curricolo facoltativo. Oggi, dopo l’approvazione della legge delega, le ore curricolari sono venticinque, esiste un curricolo facoltativo (dalle novanta alle duecento ore), non si parla più di ore a pagamento. Le "educazioni" sono profondamente trasformate rispetto agli insegnamenti attuali, benché siano previste le materie "musica", "arte e immagine", "attività fisica e sportiva", mentre l’educazione tecnica è volata via per coniugarsi in "informatica", con l’aggiunta di nozioni di tecnologia a stretta interfaccia con "scienze", tanto che viene da pensare che si sciolga la cattedra di "matematica e scienze".

                Non le pare, Ministro, che anche limitandoci alle sole questioni da Lei sollevate urgano informazioni anziché spot?

                E non sono certo sufficienti i due "libretti" inviati alle scuole e alle famiglie – peraltro divulgati prima dell’approvazione della legge n. 53 – dove si è ancora a livelli di grandi principi e di altrettanto grandi bugie, come quella di attribuire alla riforma costituzionale del Titolo V la necessità di una riforma e di scelte come quelle attuate.

                Il doppio scoop del via alla riforma

                Sulla partenza della riforma l’informazione ministeriale prende le sembianze dello scoop. A quando il via alla riforma? Subito. Ad affermare ciò è il Ministro quando ancora – figuratevi un po’ - non era stata approvata la legge[3].

                Presto compreso che l’iter parlamentare del disegno di legge doveva rispettare i suoi tempi, il Ministro studia il modo di dare comunque un segnale di efficienza: ed ecco la carta dell’anticipo scolare per le iscrizioni alla scuola dell’infanzia ed elementare, cosicché si può dire che "la riforma parte" e la gente ci crede. In televisione, sui quotidiani, il ministro promette che questo avverrà nell’anno scolastico 2002/2003, "a costo di riaprire i termini delle iscrizioni".

                La doccia fredda viene subito dopo: slitta di un anno la riforma Moratti[4], è la notizia che diffondono i quotidiani alla fine di giugno.

                Il ministro per i Rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi ha affermato che la legge di riforma della scuola sarà operativa per l'anno didattico 2003-2004, poiché i tempi parlamentari porteranno alla sua approvazione non prima di ottobre. Niente riapertura delle iscrizioni come aveva ventilato il ministro Moratti e nessuna partenza ad horas, ovvero da settembre.

                «I tempi delle riforme sono dettati anche da esigenze di rapporti con il Parlamento — sottolinea Giovanardi — pur se la tabella di marcia del governo è in sintonia ed è chiaro che l'esecutivo potrà portarlo a compimento nei tempi prestabiliti, senza però possibilità di accelerazione o di forzature che il nostro sistema parlamentare non consente».

                Si tende a scaricare il ritardo della riforma sul Parlamento, ma in realtà i fatti sono assi più complessi e, nel luglio 2002, mentre il disegno di legge è in esame al Senato, l’articolo di legge dedicato alla questione dell’anticipo scolare, ad esempio, viene modificato: la possibilità resta, ma con riserva, limitatamente alle disponibilità dei Comuni. I conti – prima di tutto finanziari – vanno fatti anche con la Conferenza unificata[5] e in particolare con gli Enti locali.

                Solo gli addetti ai lavori e gli accaniti cacciatori di informazione vengono a conoscenza dei cambiamenti, come recita la legge n. 53[6].

                Per gli anni scolastici 2003-2004, 2004-2005 e 2005-2006 possono iscriversi, secondo criteri di gradualità e in forma di sperimentazione, compatibilmente con la disponibilità dei posti e delle risorse finanziarie dei comuni, secondo gli obblighi conferiti dall'ordinamento e nel rispetto dei limiti posti alla finanza comunale dal patto di stabilità, al primo anno della scuola dell'infanzia i bambini e le bambine che compiono i tre anni di età entro il 28 febbraio 2004, ovvero entro date ulteriormente anticipate, fino alla data del 30 aprile di cui all'articolo 2, comma 1, lettera e). Per l'anno scolastico 2003-2004 possono iscriversi al primo anno della scuola primaria, nei limiti delle risorse finanziarie di cui al comma 5, i bambini e le bambine che compiono i sei anni di età entro il 28 febbraio 2004.

                Il Ministro non si dà per vinta e, nel settembre 2002, promuove ugualmente una sperimentazione nella scuola elementare: sarà un fallimento, se non altro per la minima quantità di bambini e il coinvolgimento di poche scuole, prevalentemente paritarie.

                Passa un anno scolastico e la questione del via alla riforma si ripropone. A quando? Subito, ridice il Ministro. Lo scoop è notevole – anche se, al secondo tentativo, gli scettici aumentano – perché le cose da fare sono davvero tante, in pochi mesi. C’è da approvare il Piano programmatico di interventi finanziari[7] e c’è da varare il decreto legislativo, il cui schema è in Consiglio dei Ministri, e occorre poi attendere cinquanta/sessanta giorni rispettivamente per il parere del Consiglio nazionale dell’istruzione e delle Commissioni della Camera e del Senato. Ad andare di fretta, si arriva alla fine di agosto e la scuola inizierebbe con una sorpresa davvero straordinaria. E’ in questo modo che si allestisce una buona partenza di riforma?

                Sembrerebbero mancare i tempi tecnici e il buon senso suggerirebbe una maggiore gradualità, ma intanto si virtualizza l’avvio della riforma, se ne parla, senza ben specificare se prende forma il nuovo ordinamento o la sperimentazione dell’anticipo scolare. Nel qual ultimo caso lo scoop non c’è: tutto è già scritto, come si è visto, nell’articolo 7, comma 4, della legge n. 53.

                Anzi, una notizia c’è, tenuta in sordina: nella circolare ministeriale n. 37 dell’11 aprile 2003, con oggetto "iscrizione anticipata alla scuola primaria e alla scuola dell’infanzia", per la scuola dell’infanzia i problemi legati alle risorse paiono pregiudicare la sperimentazione dell’anticipo.

                A tal fine, sono in corso contatti e interlocuzioni con l'ANCI (Associazione Nazionale Comuni d'Italia) per una ricognizione congiunta dello stato delle cose e per una prima messa a punto degli interventi e delle azioni da porre in essere.

                Una volta acquisito, sulla base dei dati e degli elementi occorrenti, il quadro completo delle diverse situazioni legate alle varie realtà territoriali e valutate con l'ANCI e gli Enti locali competenti l'esistenza delle reali condizioni di praticabilità della sperimentazione degli anticipi, verrà fissato dallo scrivente il termine entro cui sarà possibile, da parte delle famiglie delle bambine e dei bambini che compiono tre anni entro il 28 febbraio 2004, produrre domanda di iscrizione alla scuola dell'infanzia nelle istituzioni all'uopo individuate.

                Le cose vanno meglio per la scuola elementare, ma pur con tutti gli artifici possibili che la circolare elenca per contenere le spese – compreso un alto numero di alunni per classe – il Ministero sa bene che potrà essere accolta una quantità limitata di richieste e stabilisce la dotazione aggiuntiva di soli 1.472 insegnanti elementari, in una ripartizione regionale dei posti. In relazione ai dati di fonte ministeriale[8], si può valutare che l’organico aggiuntivo potrà consentire l’aumento di circa 800 classi per un totale massimo di 20.000 alunni, pari al 4% degli iscritti in prima elementare.

                Intendiamoci: se non ci trovassimo continuamente di fronte a questo scoop ministeriale della repentina partenza, non ci sarebbe granché da dire, perché sta nei fatti naturali che una riforma della scuola – della portata di questa – abbia necessità di gradualità, ci siano tante cose da sistemare e prevedere, siano complessi gli atti procedurali. E’ invece irritante questa partenza virtuale della riforma, sapendo poi – in notizie tenute in sordina – che notevoli sono le complicazioni in relazione alle risorse finanziarie, tanto che trapela perfino qualche "battibecco" tra i ministri Tremonti e Moratti, cosicché Berlusconi è costretto a intervenire rassicurando il popolo italiano: sì, qualche problema c’è, ma si troverà la soluzione. Caro Presidente, questo potrebbe dirlo chiunque: noi vorremmo trasparenza e ci è dovuta una chiara informazione.

                Invece continua la danza virtuale e lo schema del primo decreto legislativo di attuazione della legge n. 53 è presentato al Consiglio dei Ministri: subito la notizia si diffonde nel web e nei mezzi di stampa, rimettendo in scena lo scoop della fulminea partenza. Il 9 maggio 2003 gli interessanti sono in continuo collegamento con il web del Governo, dove le sedute si possono seguire pressoché in diretta. Il decreto per la scuola è all’ordine del giorno, ma in quella seduta non se ne parla e così di settimana in settimana – ci sono di mezzo anche le elezioni amministrative, un referendum, il lodo e l’avvicinarsi del semestre europeo – la notizia rimbalza, si affievolisce l’attesa e tutti riprendono a credere in una riforma che partirà l’anno prossimo.

                Se il decreto legislativo dovesse essere approvato, nella forma in cui è, in effetti la partenza è prevista per l’anno scolastico 2003/04.

                Per l’attuazione delle disposizioni del presente decreto sono avviate, dall’anno scolastico 2003-2004, la prima e la seconda classe della scuola primaria e, a decorrere dall’anno scolastico 2004-2005, la terza, la quarta e la quinta classe.[9]

                A decorrere dall’anno scolastico 2004-2005 è avviata la prima classe del biennio della scuola secondaria di primo grado; saranno successivamente avviate, dall’anno scolastico 2005-2006 la seconda classe del predetto biennio e, dall’anno scolastico 2006-2007 la terza classe di completamento del ciclo.[10]

                Ci auguriamo che questa volta le notizie non si fermino allo spot e allo scoop, perché qualcuno deve rispondere ad alcuni interrogativi. Ne citiamo alcuni.

                <DIR><DIR><DIR><DIR>Nell’anno scolastico 2003-2004 sono avviate la prima e la seconda classe della scuola primaria (ex elementare) come previsto dal nuovo ordinamento, con un tutor/maestro unico prevalente, i nuovi programmi, i nuovi orari? Quando la scuola è informata e si prepara a tutto ciò?

                Come verrà scelto il maestro unico prevalente?

                Saranno pronti i libri per studiare come la riforma chiede?

                Ci sarà ancora un tempo "pieno" e la mensa?

                Qual è il significato della partenza di due classi nello stesso anno? Vuol dire che i bambini della prima "tradizionale" potranno (dovranno?) accedere alla seconda "riformata"?

                Nell’anno scolastico successivo (2004-2005) sono avviate in contemporanea ben quattro classi, le tre che restano della scuola primaria e la prima della scuola secondaria di secondo grado (ex media). Ci auguriamo che il regolamento attuativo fornisca indicazioni chiare e ragionevoli, giacché ai profani tutte queste classi nuove avviate insieme sono incomprensibili. Da ogni classe "tradizionale" si potrà accedere a una classe "riformata"?

                Eppure i programmi sono ben diversi! Valga l’esempio della storia: nella nuova scuola "media" si parte dalla fine dell’impero romano. I neo riformati dell’annata 2004-2005 si perderanno un pezzo di storia?

                Oppure si tratta di un avvio "sulla carta" – che tutt’al più potrà consentire qualche sperimentazione – cosicché ci vorranno sei anni perché le nuove leve percorrano il loro cammino scolare riformato, arrivando alla prima classe della nuova scuola media nel 2008/09?

                </DIR></DIR></DIR></DIR>

                L’anno scolastico 2003-2004 è ormai alle porte, non resta che aspettare per verificare questo scoop dell’avvio della riforma.

                E non vorremmo avere speso le nostre preoccupazioni per una "falsa partenza", dove tutto si risolve in una "maxisperimentazione" (per dirla con la parola del Ministro) in cui si fa un po’ di inglese in più (perché la lingua straniera c’è già nella scuola elementare), s’impara ad accendere e spegnere un calcolatore, c’è qualche bambino più giovane degli altri e l’efficienza del Governo si risolve in un grande pasticcio, che ricade sui bambini, sugli insegnanti, sulle scuole, sulle famiglie, sugli Enti locali, sull’editoria scolastica … ma mette in salvo la "forza virtuale" della repentina partenza della riforma.

                Tranquilli, tutto come prima? Non è così

                C’è chi sostiene che i problemi fin qui sollevati non abbiano grande significato, tanto la scuola primaria e secondaria di primo grado della riforma sono del tutto simili all’attuale scuola elementare e media.

                Se così fosse, la riforma sarebbe davvero cattiva: perché mai mettere in piedi una grande macchina di trasformazione ordinamentale per avere tutto come prima?

                E infatti così non è.

                Chi ha creduto in una riforma "che non cambia nulla" è caduto nei lacci di uno slogan propagandistico. La prima regola della comunicazione mediale è quella di soddisfare l’utente (da qui la guerra degli indici di ascolto) cosicché la forza della riforma Moratti è stata quella di raccogliere il malcontento della precedente riforma Berlinguer – in particolare la presunta sottrazione di un anno alla scuola media – promettendo di non cambiare nulla (o nulla di importante). Quando gli insegnanti hanno saputo che gli anni restavano cinque per la scuola primaria, tre per la scuola secondaria di primo grado, hanno tirato un sospiro di sollievo e hanno abbassato la guardia, in ciò rafforzati da parole d’ordine come "salvaguardia della tradizione scolastica".

                Che la riforma cambi profondamente la scuola – in modi che sta a ciascuno giudicare - lo sanno coloro che hanno letto il testo di legge e le Indicazioni nazionali. Tutti gli altri sono in condizioni di sapere mediatico, convinti forse ancora che tutto resti come prima.

                Viene da chiedersi che cosa possa renderci contenti del fatto che una riforma non cambi nulla. Una riforma – lo dice la parola – cambia. Se tutto deve restare come prima, allora non si faccia nulla, se non altro in considerazione del fatto che una riforma costa. Quel che temiamo è che il pensiero virtuale e volatile si sia insediato nelle nostre teste, permettendoci di credere alla telenovela di una riforma che conserva ciò che vogliamo conservato e riforma tante altre cose, che saranno senz’altro importanti, ma che non ci toccano negli interessi personali.

                A dire il vero avremmo potuto cogliere, strada facendo, alcuni segnali davvero curiosi, che avrebbero potuto metterci in sospetto circa il presunto "tutto resta come prima". Della scuola media ed elementare il Ministro più volte ha intessuto le lodi, "le migliori del mondo" ha detto spesso. Che siano le migliori del mondo forse è un’esagerazione, ma che in questi cicli gli insegnanti sappiano fare cose straordinarie, questo è vero. Per anni i docenti elementari e medi hanno combattuto la loro lotta di professionalità, facendosi carico degli enormi problemi che incombevano fuori e dentro la scuola, nonostante mancasse una riforma e quindi si dovessero fare i conti quotidiani con i vincoli di un sistema scolastico rigido e inadeguato. E ora, improvvisamente, la scuola va bene così com’è? Forse, ministro Moratti, le resistenze dei docenti andrebbero interpretate.

                E’ d’altra parte il Ministro per primo a navigare nelle più sconcertanti contraddizioni. Proprio nel mediatico dice due cose: quanto è bella la scuola elementare e media, quanto sono "ignoranti" e in difficoltà i nostri ragazzi (formati da quella scuola elementare e media), tanto che bisogna pensare – per molti – a un canale formativo parallelo. Il ragionamento non torna.

                Anche nei confronti della proposta Berlinguer è andata in onda una controproposta Moratti davvero singolare. Spieghiamo: la precedente riforma aveva suscitato le ire degli insegnanti della scuola media inferiore. Per molti mesi era circolata la convinzione che il riordino dei cicli avesse spazzato via la scuola media, che i bambini della scuola elementare fossero destinati a convivere con i ragazzi più grandi in una commistione disdicevole per il processo educativo e che i docenti della scuola media fossero costretti ad andare a insegnare nelle classi elementari senza alcuna preparazione per farlo. L’allora opposizione – oggi governo – fece di tutto per indurci a credere tanti misfatti.

                E’ certamente vero che la riforma Berlinguer parlava di una "scuola di base" della durata di sette anni. Qualcosa era sicuramente cambiato rispetto alle attuali scuole elementari e medie. Innanzi tutto entrambe avevano perso il "nome" e mancava un anno rispetto alla somma – otto anni – dei due cicli. Perché questo dovesse penalizzare necessariamente la scuola media è un mistero che resterà tale se non nella generica considerazione della potenza della manipolazione delle informazioni. Altrettanto curioso è che qualcuno abbia potuto pensare che, per costrizione, i professori della media dovessero improvvisarsi maestri. Più ragionevole era paventare che sette anni al posto di otto potessero comportare una perdita di posti di lavoro.

                Fa infine torto all’umana intelligenza il tanto cianciare sulla pericolosa convivenza dei bambini più piccoli con i ragazzi preadolescenti, suscitando l’allarme per i dannosi modelli cui poteva essere esposta l’infanzia italiana. Se avessimo potuto ragionare con la nostra testa – e non con quella televisiva – ci saremmo resi conto della risibilità delle preoccupazioni. La convivenza della scuola elementare e media è un fatto "normale" nei numerosi istituti comprensivi e nella quasi totalità delle scuole non statali, comprese quelle religiose. Pensando a queste realtà, avremmo subito compreso che tale "convivenza" è tutt’al più quella di un innocuo "condominio". Spesso è una realtà che riguarda il corpo docente, mentre bambini e ragazzi frequentano le proprie classi in edifici diversi.

                La pace è tornata quando il ministro Moratti ci ha tutti tranquillizzati sul fatto che la nuova riforma porgeva i suoi omaggi alla scuola elementare e media, lasciandole inalterate. Le trombe dei mass-media hanno suonato di nuovo, intonando la marcia trionfale di una giustizia ripristinata.

                Legge n. 53 alla mano, si può uscire dalle opinioni virtuali e verificare che la riforma Moratti propone un’innovazione profonda, assai simile a quella Berlinguer.

                <DIR><DIR>La scuola elementare e la scuola media perdono la loro identità, per essere comprese in un unico "primo ciclo" la cui continuità è segnata profondamente dalla soppressione dell’esame di quinta elementare.

                Entrambe le scuole perdono il "nome": la prima si chiama "primaria", la seconda si chiama "secondaria di primo grado".

                Gli anni sono otto e non sette, ma le ore curricolari sono decisamente minori delle attuali in tutti gli anni, cosicché forse la perdita è anche superiore. E con ciò la possibilità della perdita dei posti di insegnamento.

                Alla fine del primo ciclo gli alunni risultano più giovani, non di un anno, ma di mezzo anno, dato il marchingegno dell’anticipo scolare: questo è il compromesso studiato per tentare di condurre i nostri giovani a un diploma al diciottesimo anno di età, come i loro colleghi europei, in modo da garantire pari opportunità di inserimento nel mondo del lavoro.

                Restano gli istituti comprensivi, i "condomini" dove studiano i bambini e i preadolescenti, data la riaffermata continuità di un primo ciclo unitario.

                Restano forse le materie e i programmi attuali? Assolutamente no.

                </DIR></DIR>Si è ristretto il curricolo e il suo orario

                Per chi ancora fosse scettico sulle novità della riforma Moratti, andiamo a dimostrare i fatti partendo da un dato di immediata visibilità, l’orario del curricolo, ad esempio nella nuova scuola media.

                Recita lo schema del decreto legislativo, all’articolo 10:

                1. Al fine di garantire l’esercizio del diritto- dovere di cui all’articolo 4, comma 1, l’orario annuale delle lezioni nella scuola secondaria di primo grado, comprensivo della quota riservata alle regioni, alle istituzioni scolastiche autonome e all’insegnamento della religione cattolica in conformità alle norme concordatarie, di cui all’articolo 3, comma 1, ed alle conseguenti intese, è di 891 ore.

                2. Le istituzione scolastiche, al fine di realizzare la personalizzazione del piano di studi, organizzano, nell’ambito del piano dell’offerta formativa, tenendo conto delle prevalenti richieste delle famiglie, attività e insegnanti, coerenti con il profilo educativo, e con la prosecuzione degli studi del secondo ciclo, per ulteriori 198 ore annue, la cui scelta è facoltativa e opzionale per gli allievi. Al fine di ampliare e razionalizzare la scelta delle famiglie, le istituzioni scolastiche possono, nella loro autonomia, organizzarsi anche in rete.

                3. L’orario di cui ai commi 1 e 2 non comprende il tempo eventualmente dedicato alle mensa.

                Sono dunque 891 le ore annuali a fronte delle attuali 990 per il tempo normale (e le 1320 per il tempo pieno). Cento ore in meno, non poco.

                Un eventuale incremento di attività è previsto dalla riforma, per un massimo di 198 ore; attenzione però, sono attività che le istituzioni scolastiche debbono organizzare, ma sono facoltative e opzionali per gli allievi (niente dunque di curricolare).

                Per una comparazione con l’attuale orario scolastico e la distribuzione delle ore per materia – benché già oggi la maggior parte delle scuole preveda una gestione annuale del monte ore – è più efficace rifarsi a un orario settimanale.

                Ricordiamo che i giorni di scuola sono 200, in tutto 33 settimane: le 891 ore annuali restituirebbero 27 ore a settimana, sennonché c’è da considerare la quota riservata alle Regioni, quindi c’è da ragionare su 25 ore curricolari settimanali.

                E sono dolori quando si va ad attribuire un "valore orario" alle materie, pur senza entrare nel merito delle differenze dei programmi.

                Che cosa sarà disposto nei regolamenti di attuazione della riforma è difficile da immaginare, ma certo i conti debbono tornare, considerando che si aggiunge anche l’insegnamento di una seconda lingua straniera.

                Possiamo divertirci a "dare qualche numero", arrivando come si vedrà a un’unica ragionevole conclusione: in generale il curricolo "si restringe" e alcune materie – qualche voce corre già nei corridoi ministeriali – si coniugano insieme, rivisitando la composizione delle "cattedre" di docenza.

                <TABLE cellSpacing=1 cellPadding=9 width=821 border=1><TBODY><TR><TD vAlign=center width="59%" bgColor=#c0c0c0 colSpan=7 height=34>
                Scuola media oggi

                </TD><TD vAlign=center width="3%" height=34>

                </TD></TR><TR><TD vAlign=center width="20%" bgColor=#c0c0c0 colSpan=3>t. normale

                </TD><TD vAlign=center width="20%" bgColor=#c0c0c0 colSpan=3>t. pieno

                </TD><TD vAlign=center width="3%">

                </TD></TR><TR><TD width="7%" bgColor=#c0c0c0>I

                </TD><TD width="7%" bgColor=#c0c0c0>II

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                </TD><TD width="7%" bgColor=#c0c0c0>I

                </TD><TD width="7%" bgColor=#c0c0c0>II

                </TD><TD width="7%" bgColor=#c0c0c0>III

                </TD><TD vAlign=center width="3%">

                </TD></TR><TR><TD vAlign=center width="20%" height=33>Religione

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                </TD><TD vAlign=center width="28%" height=33>Religione cattolica

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                </TD></TR><TR><TD vAlign=center width="20%" height=33>Italiano

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                5? 4? 6?
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                </TD></TR><TR><TD vAlign=center width="20%" height=33>Storia, ed. civica,

                geografia

                </TD><TD vAlign=center width="7%" height=33>
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                </TD><TD vAlign=center width="28%" height=33>Storia

                e Geografia

                </TD><TD vAlign=center width="10%" height=33>
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                </TD></TR><TR><TD vAlign=center width="20%" height=33>Lingua straniera

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                </TD><TD vAlign=center width="28%" height=33>Inglese

                e seconda lingua comunitaria

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                </TD></TR><TR><TD vAlign=center width="28%" height=33>Matematica

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                3? 4? 4?
                </TD><TD vAlign=center width="3%" height=33>

                </TD></TR><TR><TD vAlign=center width="3%" height=33>

                </TD></TR><TR><TD vAlign=center width="20%" height=33>Educazione tecnica

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                </TD></TR><TR><TD vAlign=center width="20%" height=33>Ed. artistica

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                </TD><TD vAlign=center width="28%" height=33>Arte e immagine

                </TD><TD vAlign=center width="10%" height=33>
                2? 1?
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                </TD></TR><TR><TD vAlign=center width="20%" height=33>Ed. musicale

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                </TD><TD vAlign=center width="28%" height=33>Musica

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                2? 1?
                </TD><TD vAlign=center width="3%" height=33>

                </TD></TR><TR><TD vAlign=center width="20%" height=33>Educazione fisica

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                </TD><TD vAlign=center width="28%" height=33>Attività fisica e sportiva

                </TD><TD vAlign=center width="10%" height=33>
                2
                </TD><TD vAlign=center width="3%" height=33>

                </TD></TR><TR><TD vAlign=center width="20%" height=41>totale

                </TD><TD vAlign=center width="7%" height=41>30

                </TD><TD vAlign=center width="7%" height=41>30

                </TD><TD vAlign=center width="7%" height=41>30

                </TD><TD vAlign=center width="7%" height=41>40

                </TD><TD vAlign=center width="7%" height=41>40

                </TD><TD vAlign=center width="7%" height=41>40

                </TD><TD vAlign=center width="28%" height=41>totale

                </TD><TD vAlign=center width="10%" height=41>25

                </TD><TD vAlign=center width="3%" height=41>

                </TD></TR></TBODY></TABLE>
                Dando per assodate l’ora di "religione cattolica" (e l’aggettivo crea qualche fastidio) e le due ore di "Attività fisica e sportiva", sembra plausibile che:

                <DIR><DIR>si formi una cattedra di "Storia e Geografia" in cui sparisce l’educazione civica[11], cui assegnare non più di 3 ore settimanali, penalizzando crediamo soprattutto la geografia;

                sia istituita una cattedra di "Lingue" chiedendo allo stesso docente di insegnare l’inglese e una seconda lingua comunitaria in non più di 4 ore settimanali; e se è vero che i docenti di lingue conoscono una seconda lingua, è altrettanto vero che essa varia da laurea a laurea, cosicché la seconda lingua comunitaria sarà determinata da tale condizione, piuttosto che da una libera scelta delle famiglie;

                si formi una cattedra di "Scienze, Informatica e Tecnologia" cui assegnare non più di 3 ore settimanali; le voci in tal senso sono insistenti, ma ancor di più convince la lettura incrociata dei programmi contenuti nelle Indicazioni nazionali, dove è palese una riorganizzazione dei contenuti delle scienze e delle tecniche; è peraltro significativa la scomparsa dell’informatica dall’insegnamento di matematica; gli estensori delle Indicazioni nazionali hanno evidentemente previsto l’utilizzo "unitario" degli attuali insegnanti di "Matematica e Scienze" e di "Educazione tecnica";

                resta aperta l’incognita della preminenza dell’insegnamento di italiano o di matematica, nella doppia combinazione di 5+3 oppure 4+4 ore settimanali; l’impronta "classica e legata alla tradizione" della riforma indurrebbe a credere più veritiera la prima ipotesi;

                c’è poi un’ulteriore variabile da considerare, legata alle "ex educazioni"; arte e musica potrebbero conservare il rango di materie, ma trovarsi con 1 sola ora settimanale, per ridare fiato all’italiano e alla matematica.

                </DIR></DIR>A queste condizioni, tutto resta come prima?

                segue.....
                Non commettere atti che non siano puri, cioe' non disperdere il seme...
                Feconda una donna ogni volta che l'ami cosi' sarai uomo di fede.
                Poi la voglia svanisce ed il figlio rimane e tanti ne uccide la fame.
                Io forse ho confuso il piacere e l'amore ma non ho creato dolore.

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                • Amicos
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                  Originariamente Scritto da Magnetuss
                  Io invidio sinceramente il suo fisico e la sua capigliatura, e soprattutto il suo carattere schivo e modesto

                  Vedo che hai argomenti di un certo spessore a sostegno delle tue tesi
                  Caro "Invidia" hai mai visto una persona(in Italia)che ha comprato una societa' assicurativa a 70 miliardi di vecchie lire e adesso vale 50 volte in piu'?e di quste operazioni ne ha fatte decine...secondo te questa capacita'cos'e'?
                  FINE.

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                  • Ayurvedi77
                    Bodyweb Senior
                    • Apr 2002
                    • 1632
                    • 19
                    • 6
                    • Pisa
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                    Originariamente Scritto da Magnetuss
                    Caro Quell'altro, spero tu non abbia passato la notte a documentarti solo per postare una raccolta dei pensierini del signor Campa di Forza Italia (una fonte "terza", come vedo ).
                    Spero anche che cercherai di documentarti sulle vaccate che hai già detto a proposito di inflazioe e quant'altro.

                    Comunque quando volessi postare qualcosa sulla riforma Moratti che esca da fonti un filino più autorevoli sarò lieto di discuterne. Fin che a sostegno delle tesi del governo citi fonti... del governo, capisci bene che la cosa ha un valore molto vicino allo zero spaccato.
                    Capisco che sia un pochino difficile trovare estimatori del lavoro della Moratti al di fuori della cerchia governativa, ma uno sforzino in più lo potevi fare. Le tre righette della Commissione Europea sono grasso che cola, peccato che negli stessi documenti si possa leggere molto di più e diverso, specialmente sul primo degli argomenti su cui ti sei cimentato, ahimè con scarso successo...
                    Carissimo Magne "movim. Student." tuss,
                    come volevasi dimostrare non riesci a portare neanche un fatto a conferma delle tue generiche e disinformate tesi.
                    Interessante il motivo che, secondo la tua mente malata, dimostrerebbe l'assurdità delle parole (supporatte dal testo del Decreto consultabile online da TUTTI) del signor Campa, semplicemente perchè "facente parte del governo"...
                    Potrei risponderti con : "allora la Sinistra va contro comunque solo perchè è all'opposizione", ma mi vien da ridere al pensiero di doverti rispondere a codesto modo...

                    Continuerò a dimostrare quanto siete superificali "voialtri" nelle prossime ore, per ora beccati una delle tante motivazioni insensate e generiche (citazione dal sito http://italy.indymedia.org/news/2004/01/459556.php):

                    "La scuola della Moratti non solo cancella il tempo pieno ma impone insegnante unico, introduzione di insegnamenti facoltativi tenuti da insegnanti di "serie B", eliminazione della copresenza tra docenti, gruppi classe sempre piu' numerosi e con alunni di eta' anche molto diverse, gruppi di lavoro "flessibili" in cui i bambini cambiano come trottole compagni, insegnanti e persino edifici scolastici, appalti a precari esterni di pezzi di offerta formativa, creazione di una schedatura permanente dell'allievo tramite il cosidetto "portfolio" che lo accompagnera' dalla materna al mondo del lavoro, invenzione di "piani personalizzati" che irrigidiscono le differenze (culturali, economiche, geografiche, sociali) tra i bambini invece di tendere al loro superamento."



                    E la rete è piena di cose dette da esponenti ben più "seri" ed "importanti"...

                    Certo certo Magnetuss hai ragione le cose dette da chi è al governo sono sempre sbagliate perchè al Governo, e le cose dette dall'opposizione sono sempre giuste perchè all'opposizione...
                    Ma che è un nuovo cartone Disney?!?!
                    ___________________


                    Codice:
                    apt-get remove brain
                    apt-get install windows-Vista
                    ___________________

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                    • medea
                      Bodyweb Member
                      • May 2003
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                      Il problema qual è.La riforma della scuola, approvata dal Parlamento nel marzo 2003, suscita non pochi dubbi. Tra i tanti, quello sulla sorte degli istituti tecnici. La domanda non è retorica, giacché dopo la secondaria di primo grado (l’attuale scuola media) il sistema scolastico si articola solo in otto licei: un imbuto alquanto stretto per un’istruzione che, nell’attuale poliedrica società, meriterebbe una maggiore differenziazione.Si potrebbe pensare, mettendo il cuore in pace, che scritta una riforma sulla carta, poi la scuola reale replica se stessa e trova un accomodamento. Questa profonda verità non vale per il nostro quesito, dato che viene a mancare il "contenitore" in cui assestare gradatamente il rinnovamento: da un lato c’è un sistema professionale, dall’altro c’è un sistema liceale, l’attuale tripartizione della scuola (i tre comparti) si stringe nei fatti e per gli istituti tecnici il posto non c’è. Viene a mancare, per i giovani, un’opportunità di istruzione che non sia un impegno di lungo percorso e che, a diciotto anni, garantisca una formazione che apra le porte del mercato del lavoro. Le qualifiche, a tragitti formativi brevi - tre o quattro anni – stanno in tutt’altro canale, quello professionale a legislazione regionale e si configurano, tra fatti possibili e immaginario collettivo, come "non scuola".

                      Poiché la cosa ha dell’incredibile, il pensiero corre a una corrispondenza tra gli attuali istituti tecnici e il nuovo sistema dei licei. Giocheremo anche noi intorno a questa ipotesi, per scoprire che non c’è niente da fare, vengono a mancare i "contenitori": cinque licei a un solo indirizzo, tre licei a più indirizzi non sono in grado di accogliere le corrispondenze con i curricoli che, nel comparto tecnico, sono caratterizzati da crediti indirizzati a specifici settori professionali, di ben altro spirito rispetto ai licei.

                      Il punto è che l’attuale riforma è ideologica. Sovrasta un intendimento del Ministro e del Governo: il sistema disegnato dalla riforma è "liceale" di fatto, non per vezzo di nomenclatura; è propedeutico all’università; non prevede diplomi spendibili nel mercato del lavoro; è per una élite di giovani; educa e forma la futura classe dirigente. Niente a che vedere con gli attuali istituti tecnici.Nasce allora l’allarme per il mercato del lavoro, l’organizzazione delle imprese, la qualità dello sviluppo. Tutto sta, certamente, nel verificare la qualità e il significato del sistema di istruzione e formazione professionale, nel riuscire a sottrarlo alla sorte di un "secondo canale" di nome e di fatto. La scommessa non è di poco conto, ma può essere vinta.L’orientamento – la scelta dei propri studi e del futuro professionale - è troppo precoce, ambientato nella difficile età psicologica della primissima adolescenza, quando un miraggio di indipendenza può condurre alle scelte meno responsabili e, per correggere il tiro, restano impossibili passerelle tra sistemi profondamente diversi.

                      La formazione ai saperi, la cultura di base, è abbandonata troppo presto e ciò è certamente inopportuno in una società in cui le nuove generazioni, già oggi, manifestano sintomi di analfabetismo culturale. Il "secondo canale" potrà non perdere di vista gli obiettivi culturali, ma certamente non sarà in grado di competere, se non altro per i "tempi" curricolari disponibili, con la formazione liceale, cosicché la prima divisione sociale – fondata sulla detenzione del sapere – avverrà a tredici anni, in un incerto destino per i singoli e per lo sviluppo della società.

                      Qualcuno respinge lo scenario apocalittico ricordando che i giovani, ancor prima che l’obbligo fosse prolungato dalla l. 9/99 abrogata oggi dalla riforma, manifestavano massicciamente una propensione alla lunga scolarità. Niente paura, dunque, la maggioranza dei ragazzi si iscriverà ai licei.

                      Se questo dovesse accadere, si perderà la sfida di un sistema professionale non residuale. Ma non accadrà, perché la scelta tra tre comparti e un sistema liceale "secco" è ben diversa. E’ vero che oggi l’orientamento, in particolare delle famiglie, gioca al rialzo dei "talenti" dei ragazzi e in numero crescente ci si iscrive ai licei. Ma oggi è oggi, la passerella al ribasso (dal liceo all’istituto tecnico e così via) è un passaggio tra comparti di una scuola, non c’è granché da perdere se non un tempo di ritardo scolare. Oggi, soprattutto, c’è un mercato del lavoro che accoglie favorevolmente i diplomi; anzi, in uno scenario di disoccupazione giovanile e di sovrabbondante domanda di lavoro, tende a prediligere quelli più "alti", pensando di mettere a buon frutto quella maggiore flessibilità mentale che viene proprio da una solida cultura di base. Domani, la passerella al ribasso sarà decisamente più traumatica, da un sistema all’altro; domani, i crediti liceali non avranno alcun contatto con i fabbisogni aziendali e le "qualifiche" avranno origine nel sistema professionale.

                      Tra oggi e domani il sistema dell’istruzione si irrigidirà a tal punto da non permettere alle famiglie una facile "scommessa" sui figli. E se non vorranno capirla i genitori, ci penseranno giocoforza gli insegnanti dei licei, dove i programmi saranno tali da non includere attenzioni per gli studenti in difficoltà.Dove dunque vanno a finire gli istituti tecnici? A questo secco quesito non c’è altra risposta che l’evidenza di un comparto che non esiste più. Hanno almeno un futuro quei curricoli "liceali-tecnici" diversi dai più tradizionali scientifici e classici? Anche questo è in forse: tutto dipende dalla natura dei nuovi licei.Chiaramente incerto è la sorte dei curricoli di meccanica, elettronica, informatica, ragioneria, turismo e così via. Se nel sistema professionale si svilupperanno curricoli lunghi, attenti ai crediti culturali e "professionali" – senza per questo escludere, dopo il compimento del quindicesimo/sedicesimo anno di età formazioni più brevi e flessibili – allora le vie italiane dell’istruzione e della formazione potranno avere davvero pari dignità e, per molti versi, quel che negli intendimenti ministeriali è un "secondo" canale potrebbe rappresentare una risorsa indispensabile per lo sviluppo del Paese e della sua economia. C’è da lavorare in tal senso, per rimediare ai danni di una riforma malfatta. Restano però alcuni problemi cruciali.

                      Il primo sta nel pericolo di una divisione sociale che matura già nella scuola, a tredici anni: da un lato la futura classe dirigente, dall’altro le risorse umane per l’occupazione. Che questo non accada dipende in parte dalla qualità dell’Istruzione e formazione tecnica superiore (Ifts).Il secondo sta nella capacità del mondo dalla formazione professionale a rinnovarsi completamente; sta nella volontà delle Regioni a costruire un sistema qualitativo e competitivo con quello liceale, senza soffrire della sindrome di "abbandono" ministeriale, giacché la riforma è quella che è, per volontà del Governo e del Ministero, non certo delle Regioni.Il terzo problema sta nella tenacia del progetto ministeriale e nella misura di una strategia che esclude e separa.


                      segue...
                      Non commettere atti che non siano puri, cioe' non disperdere il seme...
                      Feconda una donna ogni volta che l'ami cosi' sarai uomo di fede.
                      Poi la voglia svanisce ed il figlio rimane e tanti ne uccide la fame.
                      Io forse ho confuso il piacere e l'amore ma non ho creato dolore.

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                      • medea
                        Bodyweb Member
                        • May 2003
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                        Riforma o contro riforma?
                        Note in margine alla "riforma" Moratti
                        di
                        Giorgio Franchi

                        Partiamo dai dati e dai fatti

                        L’indice di scolarità delle giovani e dei giovani tra i 14 ed i 18 anni è oggi collocabile oltre l’86-87%. In alcune Regioni l’indice supera già il 90%. I dati italiani, pur cresciuti in modo progressivo e costante in questi anni, sono ancora al di sotto di quelli europei, dove "tutti a scuola o in formazione" è contemporaneamente una realtà e un obiettivo pervicacemente perseguito (ormai dai primi anni Novanta, quando non addirittura dalla fine degli anni Ottanta).

                        Dunque, "tutti a scuola" è la situazione da cui deve partire qualunque politica scolastica e formativa, dando a essa risposte coerenti. Si tratta di una realtà determinata, da un lato, dalla domanda sociale di istruzione e formazione (ovvero da specifici e radicati orientamenti sociali), dall’altro, dalla conclamata importanza annessa nella società contemporanea al possesso di livelli sempre più alti di istruzione e formazione (è questo, ormai da più di quindici anni, lo slogan dell’Unesco, dell’Ocse, della Ue, di pressoché tutti i Paesi), dall’altro ancora, da conseguenti politiche scolastiche e formative a carattere espansivo.

                        Prendiamo l’Italia, andando un poco indietro nel tempo. Nel 1963 c’è la concretizzazione dell’obbligo scolastico a 14 anni (previsto dalla Costituzione fin dal 1948) con la costruzione della scuola media unica. Del 1969 sono due provvedimenti che di fatto hanno costituito il terreno per la progressiva scolarizzazione a livello secondario: la "quinquennalizzazione" di tutti i percorsi della secondaria superiore; la "liberalizzazione" degli accessi universitari. Insomma, pur restando le differenze "gerarchiche" tra i vari indirizzi di studio, li si è in sostanza "omogeneizzati", offrendo a tutti i percorsi identiche possibilità di sviluppo in verticale.

                        Come si ricorderà, sempre in quegli anni (dai "10 punti di Frascati" del 1970 in poi), si parlò di indispensabile riforma della secondaria superiore, con la produzione di innumerevoli progetti di legge, nei quali uno degli aspetti centrali era l’obbligo scolastico da portare ai 16 anni di età.

                        Se arriviamo agli anni più recenti, ci sono stati l’ampliamento della durata dell’obbligo scolastico e l’obbligo formativo a 18 anni. Il primo provvedimento (che peraltro fotografava una realtà largamente consolidata: i quattordicenni e i quindicenni erano già pressoché tutti a scuola anche se all’interno di un "ciclo" - i primi due anni della secondaria – non attrezzato per dare risposte efficaci a questa realtà: questo il vero problema) aveva l’obiettivo di consolidare per tutti una base culturale/scientifica e una capacità di scelta successiva più solide e consapevoli di quelle offerte dalla sola scuola media; il secondo coniugava l’obiettivo (quantitativo) di diffondere livelli medio alti di istruzione/formazione e quello (qualitativo) di garantire a tutti entro i 18 anni l’acquisizione quantomeno di una solida qualificazione professionale.

                        Dunque, scelte politiche a carattere espansivo, il più spesso – è bene ricordarlo – in risposta alla pressione della domanda sociale.

                        Una politica di contenimento della domanda e di rinnovata selezione sociale

                        Veniamo alla "riforma Moratti". Se si prende l’obiettivo degli "almeno dodici anni di istruzione e formazione" parrebbe di poter dire che ancora ci si trovi di fronte a una politica che tende all’espansione della "scolarità".

                        Come è noto, sono previsti due sistemi: da un lato i licei, di durata quinquennale che rilasciano il diploma e consentono l’accesso all’Università; dall’altro l’istruzione e formazione professionale, di durata quadriennale, più un eventuale quinto anno da concordare con l’Università ai fini degli accessi universitari, che rilascia qualifiche e/o titoli, comunque non diplomi. E’ opportuno aggiungere che il quinto anno da concordare con l’università significa implicitamente condizionare gli accessi, in quanto esso andrà concordato con le singole e specifiche facoltà.

                        Il disegno diventa ancor più chiaro se si considerano gli orientamenti che il Ministero sta esprimendo: nell’istruzione/formazione professionale dovrebbero confluire l’istruzione professionale (gli istituti professionali) e gran parte di quella tecnica (se non addirittura tutta), oltre alla formazione professionale; il tutto dovrà passare in capo alle Regioni. Analizzeremo successivamente attraverso quale lettura "meccanica" e soprattutto (a nostro parere) piuttosto "interessata" del nuovo Titolo V della Costituzione il Ministero legittimi queste opzioni.

                        Dunque, c’è un duplice disegno: da un lato, si comprime la "piena scolarità" incanalandola in percorsi differenti che conducono a esiti differenti, dall’altro, attraverso queste diversità, si dà vita a una rinnovata selezione sociale.

                        Una esplicita scelta di conservazione

                        Tutto l’impianto della "riforma" si muove in una logica di oggettiva continuità con l’impostazione gentiliana: una continuità dal punto di vista "culturale" e dal punto di vista delle conseguenti scelte di politica scolastica e formativa. Non è davvero necessaria un’analisi approfondita per dimostrarlo.

                        Sul piano "culturale" è ribadito il primato della cultura "umanistico/liceale", della theoria sulla technè (sic nel documento ministeriale relativo ai "licei"), così come è ribadita la separazione tra "cultura" e "professione". I licei, da un lato, e l’istruzione/formazione professionale, dall’altro, con la loro diversità - materializzata nella differenza di durata dei percorsi e del loro esito - corrispondono in pieno a quel primato e a quella separazione. Né devono trarre in inganno le dizioni proposte per alcuni "licei" che a tutta prima potrebbero far pensare agli attuali indirizzi dell’istruzione tecnica. Non a caso proprio su questo nodo il confronto con Confindustria – che teme un generale abbassamento delle formazioni tecniche e professionali – è piuttosto aspro. E in effetti nel XXI secolo non tiene la separazione proposta. Non tiene una versione della "cultura tecnica e professionale" allocata in un percorso più breve del quinquennio. Non tiene una "professionalità" appiattita su livelli medio/medio bassi di qualificazione, con un percorso di durata quadriennale, a partire da tredici/quattordici anni d’età.

                        Ci si può obiettare che dopo il quadriennio è prevista l’istruzione tecnica superiore; che saranno le Regioni a considerare eventualmente percorsi più lunghi del quadriennio; che con un quinto anno concordato con l’università anche dal secondo sistema si potrà proseguire nell’università. Non può sfuggire che sono, questi, precari "aggiustamenti" di una separazione dei percorsi funzionale alla differenziazione sociale - è esplicitamente il Ministro a parlare dei "licei" come strumento di formazione della "nuova classe dirigente" – quando il vero problema oggi da risolvere è quello di una robusta risposta alla "formazione/cultura tecnico professionale". Il "buco" è molto grande e rappresenta la carenza "culturale" più vistosa della "riforma".

                        Riprendiamo il ragionamento sulla continuità. Sul piano della politica scolastica e formativa essa è davvero straordinaria. Basta un esempio per averne esplicita conferma. Negli anni Venti e Trenta, per contrastare una domanda verso il liceo classico che si considerava eccessiva e foriera di un abbassamento dei livelli qualitativi (e soprattutto contraddittoria rispetto ai dichiarati obiettivi di utilizzare livelli differenti di istruzione e formazione come strumento di selezione sociale), furono istituiti i licei scientifici; successivamente, sempre per dare risposta alla crescente domanda di istruzione, venne dato impulso alle scuole professionali, sottolineando, ben inteso, che ciò non doveva rappresentare uno strumento per "uscire dalla propria cerchia familiare e sociale" (Bottai).

                        Che cosa si propone adesso? Di suddividere l’utenza, di preservare l’offerta liceale indirizzando altrove il "resto" della domanda.

                        Nel caso di Gentile e Bottai si trattava di dare risposta a una domanda sociale di istruzione in crescita, ma ancora parecchio contenuta (tra il 30% ed il 35% delle corrispondenti fasce di età); nel caso della "riforma" Moratti l’intervento avviene sulla base di una situazione di "piena scolarità" che si vuole contraddire e disarticolare rispetto ai modi in cui essa si è espressa e si esprime. Inoltre, allora si aveva il coraggio di esplicitare gli obiettivi; oggi, ci si nasconde dietro l’improbabile affermazione della "pari dignità" di tutti i percorsi e di tutte le offerte (diversi in realtà per durata, collocazione, esito).

                        Il "conservatorismo" - a ben guardare - conferma stereotipi presenti a livello sociale e nella stessa scuola. Salvo che proprio questi stereotipi hanno portato a incrementare le iscrizioni ai licei (classico e soprattutto scientifico) che oggi rappresentano il 29% circa dell’intera scolarità, quando solo 10 anni fa il valore era intorno al 18/19% e a produrre nella scuola la "liceizzazione" di tutti gli altri indirizzi, a partire da quelli tecnici. La spinta, cioè, è stata quella di omogeneizzare tutto al livello considerato più "alto": effetto di una società che cresce e i cui disorientamenti dipendono sostanzialmente da un offerta di istruzione e formazione che sul piano strutturale e dell’immagine complessiva è restata quella di sempre.

                        Se non si scava dentro la "riforma"

                        La corrispondenza con stereotipi diffusi (che tiene dentro anche la continuità con l’impostazione gentiliana) è forse il dato di maggiore forza della "riforma", quantomeno a livello di "grande messaggio mediatico".

                        Se non si scava dentro la "riforma" - cercando di capire che cosa essa propone e che cosa essa comporta sul piano concreto - i suoi pilastri di fondo risultano apparentemente più comprensibili di quelli ad esempio che contraddistinguevano la "riforma Berlinguer". Nonostante molti compromessi che l’hanno caratterizzata, quella riforma, infatti, si poneva in discontinuità con le politiche scolastiche e formative precedenti. C’era l’ampliamento della durata dell’obbligo scolastico con la riorganizzazione dell’intero ciclo obbligatorio e l’apertura, solo dopo di esso, a una pluralità di offerte (cercando di correlarle tra loro); c’erano l’insistenza sul rapporto cultura/professione, teoria/pratica, scuola/lavoro e l’integrazione (non il parallelismo) tra scuola e formazione professionale proposta come modo per arricchire i piani di studio e collegarli alle realtà territoriali; c’era la valorizzazione dell’autonomia scolastica (che adesso si tende a limitare) come terreno per "liberare" le professionalità interne alla scuola, potenziare l’offerta formativa, fare delle scuole una risorsa nel e per il territorio; c’era l’obbligo formativo a diciotto anni. Troppe novità in una sola proposta che, oltretutto, richiedevano protagonismo a molti soggetti, capacità di capire il nuovo e di inverarlo.

                        Non è una difesa ex post della "riforma Berlinguer" quella che qui interessa, quanto servirci dell’esempio per segnalare il diverso impatto dal punto di vista mediatico della "riforma Moratti". In essa, infatti, c’è molto di meno e soprattutto ci sono apparenti numerose "conferme": il mantenimento dell’attuale ordinamento scolastico (tre anni di scuola materna; cinque di scuola elementare; tre di scuola media; cinque di scuola superiore); il primato dei "licei"; lo stereotipo che la scuola di massa porti automaticamente e in modo ineluttabile a un abbassamento dei livelli qualitativi dell’istruzione per cui è opportuno e necessario prevedere offerte differenziate verso le quali dirigere quella parte dell’utenza che "non è portata per lo studio"; e così via.

                        Certo, se si scava dentro la "riforma" è facile constatare che le proposte sono solo apparentemente corrispondenti a quelli che abbiamo definito stereotipi presenti nella scuola e a livello sociale. Ma l’abitudine allo scavo non è diffusa, neppure nella scuola.

                        Così, qui c’è un pericoloso dato di "forza" della "riforma" (quantomeno a livello mediatico: fattore oggi di non poco peso) che è meglio non sottovalutare, anzi.

                        Una lettura "interessata" del nuovo Titolo V della Costituzione

                        Come è noto, l’originario disegno della "riforma" Moratti era stato predisposto prima dell’entrata in vigore del nuovo Titolo V della Costituzione. Esso fu dunque rivisto, non tanto dal punto di vista del ragionamento complessivo (la scelta di Licei con la elle maiuscola e di un secondo canale "professionale" c’era già tutta e tale è rimasta), quanto da quello del diverso carattere della legislazione statale (la determinazione delle "norme generali" e dei "livelli essenziali delle prestazioni….") e delle nuove prerogative legislative delle Regioni.

                        Ciò che qui interessa è considerare in quale modo è stata letta la competenza legislativa esclusiva delle Regioni in materia di "istruzione e formazione professionale" e che cosa si è voluto intendere per "istruzione e formazione professionale".

                        Riassumiamo brevemente il quadro costituzionale. Il nuovo Titolo V della Costituzione (art. 117) ripartisce le competenze legislative di Stato e Regioni sull’istruzione nel modo seguente.

                        Allo Stato competono le "norme generali sull’istruzione", ivi compresa l’autonomia scolastica. Contemporaneamente, appartiene allo Stato la determinazione dei "principi fondamentali" e dei "livelli essenziali delle prestazioni…… " (lettera m).

                        Tutta la più recente legislazione (dalla l. 59/97 in avanti) ha progressivamente chiarito che cosa debba intendersi per "norme generali" nel momento in cui ha elencato quali erano le prerogative statali (notevolmente ridotte per quantità e ridefinite in quanto alla qualità rispetto a quanto avvenuto solo fino a pochi anni fa).

                        Poteva sorgere il quesito rispetto ai "principi fondamentali" (e anche ai "livelli essenziali"), ovvero se essi dovessero essere, diciamo così, "definiti" o "ridefiniti" prima che potesse esercitarsi la potestà legislativa concorrente delle Regioni. La Corte Costituzionale ha sentenziato che i "principi fondamentali" sono quelli che si rinvengono nella legislazione vigente, con che, tenendo conto delle leggi vigenti, le Regioni hanno la facoltà di legiferare.

                        Alle Regioni compete potestà legislativa concorrente in generale sull’istruzione e potestà legislativa esclusiva in particolare su "istruzione e formazione professionale", oltre che su quanto non riservato allo Stato.

                        L’interpretazione più accreditata su che cosa debba intendersi per "istruzione e formazione professionale" è che sia potestà delle Regioni legiferare in merito sia alla formazione professionale sia all’istruzione professionale, ovvero che la definizione contenga un’endiadi: "istruzione (professionale) e formazione professionale". Detto in altri termini, il Titolo V risulterebbe aver sciolto il contenzioso presente fin dall’avvio delle Regioni su a chi spettasse l’istruzione professionale.

                        La potestà legislativa, per altro, non implica necessariamente un dovere di "gestione", ossia il passaggio di gestione dallo Stato alle Regioni dell’ istruzione professionale. L’esempio più calzante viene proprio dalla formazione professionale: la Regione "governa" il settore, ma lo gestisce (in modo diretto) solo in minima parte, quando addirittura non lo gestisce affatto.

                        L’interpretazione, peraltro, deve essere approfondita considerando la legislazione che ha preceduto la riforma costituzionale che, per molti versi, ha portato a compimento e dato sostanza alle "forzature" costituzionali presenti in tutta la produzione normativa successiva alla l. 59/97. Detto in altri termini, una lettura attenta di quanto contenuto nella produzione normativa tra il 1997 ed il 2002 è essenziale per comprendere senso e significato delle prerogative regionali nelle materie qui considerate.

                        Il riferimento, tra gli altri, è all’articolo 138 del Dlgs 112/98, in particolare alla competenza regionale sulla programmazione territoriale dell’offerta di istruzione e formazione in relazione con le altre politiche di sviluppo e sulla programmazione dell’integrazione tra istruzione (tutta) e formazione professionale; all’articolo 141 del medesimo Decreto legislativo che ha offerto una versione nuova di formazione professionale come strumento, anche in relazione ai percorsi scolastici, per giungere (a tutti i livelli: medi, alti, altissimi) a una qualificazione/specializzazione professionale; alla l. 469/99 relativa alle politiche attive del lavoro; e così via.

                        Dall’esame della normativa si può desumere che il nuovo Titolo V abbia inteso valorizzare appieno il ruolo di programmazione e governo delle Regioni e che, nello specifico, se oltre alla "formazione" si considerano anche le altre materie attribuite alle Regioni – nel campo del lavoro, delle politiche attive del lavoro, dello sviluppo economico, delle professioni, della programmazione dello sviluppo del proprio territorio e dei propri territori, etc. - si può comprendere il significato completo del contenuto della specifica potestà legislativa regionale: il rapporto nel suo insieme tra istruzione/formazione/professionalità/sviluppo economico ed occupazionale (ciò che non esclude anche la costruzione di una specifica offerta formativa: cosa che era già prerogativa regionale).

                        Il modo in cui il Ministero interpreta (sta interpretando) il Titolo V è quello di limitare il ragionamento al passaggio di gestione dallo Stato alle Regioni certamente degli istituti professionali, ma anche dell’istruzione tecnica. Ciò deriva dalla lettura che viene data di "istruzione e formazione professionale", ovvero che tutto ciò che conduce a una "professionalizzazione" vada compreso in quella dizione e in conseguenza che l’istruzione tecnica e quella professionale appartengano di fatto alla competenza regionale.

                        L’interpretazione è oggettivamente "meccanica" e legata a logiche nominalistiche. Vorremmo dire anche di più: c’è forse un indirizzo di studio che di per sé possa essere considerato a-professionale? C’è, oggi, una "cultura" senza "professione"?

                        Allora, delle due l’una: o siamo di fronte a una lettura "dilettantesca", oppure l’interpretazione è funzionale a quella separazione tra sistemi (o canali) che caratterizza la "riforma".

                        Detto in altro modo: la Costituzione non postula una separazione tra "istruzione" e "istruzione e formazione professionale", tra "licei" e un canale professionale. Nulla del contenuto del Titolo V legittima questa scelta. Così come la Costituzione non prevede che esistano – come ha sostenuto il Ministro Moratti alla Camera – "tre sistemi pubblici: quello nazionale, quello statale e quello regionale", per cui, declinando l’affermazione, ci sarebbero l’istruzione nazionale che è quella che deriva dalle "norme generali", quella statale rappresentata dai "licei", quella regionale consistente nella "istruzione e formazione professionale".

                        Tutte queste scelte sono proprie e solo della "riforma", ma senza il coraggio delle proprie decisioni. Così, per non fare che un unico esempio, ci si è costruiti un alibi: se gli istituti tecnici e professionali non sono d’accordo, se la prendano con le Regioni e con una modifica costituzionale voluta dal Centro sinistra. E non si è avuto neppure il buongusto di essere coerenti con il proprio alibi, giacché si è indicata la durata dei percorsi del sistema "professionale", la cui potestà legislativa non è dello Stato, in nome di forzature che non trovano fondamento nella Costituzione, ma in esplicite scelte politiche d’altro tipo.

                        Il disegno costituzionale ha ben altro respiro. Partendo dal riconoscimento della pari dignità dei vari soggetti costituenti la Repubblica (dai Comuni risalendo allo Stato e non viceversa) e attraverso la ripartizione delle potestà legislative esclusive (dello Stato e delle Regioni) e di quelle concorrenti (delle Regioni), l’attribuzione di potestà regolamentare a Province e Comuni e il riconoscimento costituzionale dell’autonomia scolastica, il Titolo V ha inteso ribadire, da un lato, che l’istruzione è innanzitutto un bene nazionale da garantire prioritariamente a questo livello e, dall’altro lato e contemporaneamente, la necessità di un concorso tra diversi soggetti (dando a essi capacità e potestà legislative o regolamentari e spazi operativi) al fine di realizzare una efficace rapporto tra istruzione, formazione, politiche di sviluppo culturale/sociale/economico/professionale, comunità locali. E’ in questo contesto che si colloca il rapporto "istruzione, formazione, professione", giustamente a livello regionale (salvaguardato, comunque, dalla determinazione da parte dello Stato dei "livelli essenziali delle prestazioni" e dagli altri vincoli presenti nel testo costituzionale).

                        A tutt’oggi nessuno ha espresso con chiarezza queste contestazioni. E ciò vale in particolare per le stesse Regioni, alcune delle quali stanno al gioco della lettura ministeriale (anche se ovviamente rivendicano le risorse prima di inverare alcunché), mentre altre rifiutano l’impostazione ministeriale, però accettando - se sarà legge nazionale - gli eventuali "trasferimenti".

                        La questione è oggettivamente preoccupante, perché se le cose andassero come pare stiano andando, alle Regioni a ben guardare viene riservato un ruolo "settoriale" e "riduttivo" rispetto alle loro reali potenzialità e competenze.

                        Una simulazione degli effetti della "riforma"

                        Proviamo a simulare gli effetti della "riforma", quantomeno quelli sul breve e medio periodo (due/tre anni): che cosa potrà succedere dopo è difficile dire, perché alla lunga la "riforma" potrebbe indurre modificazioni negli orientamenti sociali.

                        Mettiamo in fila alcuni "dati".

                        a) A partire dai primi anni Ottanta, anche come effetto della fortissima propensione femminile alla scolarità, si assiste a un costante e progressivo aumento della scolarità, giunta ormai, come già si diceva, a una realtà di "piena scolarità". Insomma,"tutti a scuola".

                        b) La differenza di genere ha molto influenzato la composizione per sesso dei vari indirizzi di studio: a frequenza "paritaria" sono restati pochi indirizzi (in sostanza, il liceo classico), mentre tutti gli altri vedono una presenza soprattutto femminile (licei scientifici, istituti commerciali, il comparto ex magistrale, quello artistico) o soprattutto maschile (istituti tecnici e professionali industriali, quelli agrari e per geometri).

                        c) Più la scolarità è aumentata, più le scelte di indirizzo si sono spostate verso l’alto e contemporaneamente da parte della scuola si è assistito a un processo di "rinnovamento" (progetti assistiti, sperimentazioni nell’ambito di singoli indirizzi o di intero comparto, etc.) il cui esito è stata una progressiva liceizzazione di tutti i percorsi. I licei, si è già detto, raccolgono oggi circa il 29% della scolarità secondaria superiore. Per converso, si sono ridotte le iscrizioni all’istruzione tecnica (quelle al 1° anno sono scese al 36% del totale, quando quindici anni fa si attestavano sul 45%). L’istruzione professionale (grazie alle sue mille sperimentazioni) ha mantenuto in sostanza la propria quota di studenti, rappresentando solo il 21/22% del totale della scolarità secondaria. Il comparto (ex) magistrale – licealizzatosi al massimo – si attesta al 9% e quello artistico al 4% circa.

                        d) Il possesso del diploma - proprio perché da bene un tempo "raro" è diventato progressivamente diffuso - è considerato a livello sociale un requisito pressoché indispensabile: si sa che il suo possesso di per sé non premia particolarmente, ma si sa anche che il suo non possesso è fattore penalizzante.

                        e) In modo un po’ paradossale rispetto agli andamenti appena riferiti, c’è stata una diminuzione del tasso di passaggio all’università. Qualcosa si è mosso nel campo degli ex "diplomi universitari", della formazione professionale post diploma e, per ultimo, dei corsi Ifts, ma questi dati non compensano la riduzione del tasso di passaggio all’università. Interpretare il fenomeno non è semplice, perché in esso influiscono fattori diversi, tra cui una domanda di lavoro che privilegia il diploma, il "rifiuto" di una formazione solo o soprattutto "accademica", un certo disorientamento complessivo. Ancora una volta, tra l’altro, i comportamenti maschili e femminili non sono gli stessi: a esprimere "disaffezione" per l’università sono soprattutto i maschi, mentre, su dieci nuovi iscritti all’università, più di sette sono femmine. Sia come sia, il problema vero che si cela dietro questi (solo apparentemente contraddittori) comportamenti è quello della necessità di un ripensamento complessivo sull’offerta di istruzione e formazione, sul rapporto "cultura-professione", sull’interazione tra istruzione/formazione/politiche di sviluppo dei territori che certamente non si risolve proponendo la "rinascita" dei licei gentiliani e scaricando altrove il resto della domanda sociale di istruzione.

                        f) La formazione professionale regionale, per converso, ha continuato a ricoprire un ruolo del tutto marginale: dai 150.000 iscritti ai corsi di primo livello degli anni Settanta si è scesi a meno di 90.000. Semmai si sono sviluppati i corsi post diploma (formazione di secondo livello) che oggi sopravanzano in termini di allievi quelli di primo livello. Resta comunque la grande sproporzione: circa 2.500.000 gli studenti della secondaria, meno di 90.000 quelli in corrispondente età della formazione professionale; 1.600.000 gli iscritti all’università, poco più di 100.000 quelli ai corsi di formazione professionale di secondo livello.

                        g) Per ultimo, la dispersione. Pur restando a livelli oggettivamente preoccupanti, nel corso degli anni ci sono state modificazioni importanti. Da un lato, si è assistito a una diminuzione dei valori assoluti e percentuali (da più del 30% si è scesi al 20% circa). Il problema ovviamente resta, ma è opportuno aggiungere che nella riduzione del fenomeno hanno influito le nuove pratiche di accoglienza, orientamento e riorientamento, rafforzamento di motivazione attuate dalle scuole, le esperienze di integrazione tra scuola e formazione professionale previste dalla l. 9/99 oltre alla stessa l. 9/99 in generale che risulta aver trattenuto a scuola un numero considerevole di giovani. Dall’altro lato, è cambiato il peso dei due aspetti che concorrono nella dispersione: sono aumentate le ripetenze e sono diminuiti gli abbandoni. Detto in altri termini, si è rafforzata la tendenza a restare comunque a scuola anche se ciò comporta l’allungamento dei percorsi per giungere al diploma. Inoltre, l’abbandono consiste molto spesso nel passaggio alla formazione professionale, con il risultato che nella formazione di primo livello la quota dei drop out è altissima e che, comunque, si resta in formazione.

                        La dispersione, peraltro, è problema complesso, non riducibile a interpretazioni univoche: essa, ad esempio, è fenomeno più maschile che femminile; l’abbandono può conoscere motivazioni diverse, collegate anche all’esistenza di una forte domanda del mercato del lavoro (non a caso più esplicita verso i maschi); infine, essa è più sensibile in alcuni comparti scolastici (l’istruzione professionale e quella tecnica), collegata anche in questo caso a una pluralità di fattori (non solo alle "caratteristiche" dell’utenza).

                        Ora, sia chiaro: aver ricordato le cose appena dette non significa esprimere consenso con scelte ed orientamenti (a livello sociale e da parte della scuola) che palesemente contengono in se aspetti contraddittori e non pochi stereotipi. Il punto è che comunque si tratta di fare i conti con la realtà, parametrando su di essa le proposte di politica scolastica e formativa.

                        Vediamo di mettere alla prova della realtà dei "dati" le proposte contenute nella "riforma" Moratti.

                        Partiamo dal canale dell’istruzione e formazione professionale, quello che secondo la "riforma" dovrebbe passare in capo alle Regioni e che oggi rappresenta poco meno del 60% di tutte le iscrizioni al primo anno.

                        Intanto. C’è un fronte regionale omogeneo, deciso nel suo insieme a farsi carico di riorganizzare e predisporre un’agguerrita offerta di "istruzione e formazione professionale"? Il quesito non è di poco conto, perché le Regioni potrebbero mettersi in "concorrenza" con i "licei" morattiani/gentiliani, decidendo di affrontare con grande serietà il problema irrisolto di una moderna e appetibile offerta "tecnico e professionale" (nel qual caso, fuori dai vincoli stretti disegnati dalla "riforma": perché quattro anni? perché disparità nei titoli rilasciati? perché "subordinati" e "limitati" gli accessi all’università?).

                        Per quanto riguarda il breve/medio periodo, è certo che novità salienti non ci saranno, tanto è vero che il prossimo anno è considerato dallo stesso Ministero di transizione, da "tamponare" con Protocolli di intesa con le Regioni per cercare di dare risposte all’emergenza.

                        Passiamo, dunque, a simulare le reazioni e i comportamenti della domanda sociale di istruzione. La previsione è di due tipi: da un lato, è probabile che continueranno sia il calo di iscrizioni all’istruzione tecnica con spostamenti verso i licei, sia la stentata "tenuta" delle iscrizioni all’istruzione professionale; dall’altro, è probabile che la prospettiva della "regionalizzazione" del comparto tecnico/professionale (con la riduzione a soli quattro anni del percorso, il non conseguimento del diploma, e così via) porti a incrementare più che vistosamente tale calo.

                        Questa previsione, a parere di chi scrive, diventerà tanto più vera quanto più risulteranno chiari a livello sociale i contorni dell’istruzione e formazione professionale prevista dalla "riforma" (oggi ancora troppo poco noti). Dove starà, infatti, rispetto all’attuale istruzione tecnica e all’attuale istruzione professionale l’appetibilità della "nuova" offerta? Nell’affermazione della "pari dignità" dei percorsi?

                        Ciò che deve preoccupare è il risultato: un ulteriore ed estremamente preoccupante contrazione della formazione tecnico/professionale già oggi in esplicita (è questo oggettivamente il caso dell’istruzione tecnica) crisi di identità e, come si è detto, di iscrizioni. (Confindustria – ma non solo lei, speriamo – ha ragione a essere preoccupata).

                        C’è poi un ulteriore aspetto che occorre segnalare. Se consideriamo le scelte e gli orientamenti femminili e maschili, è del tutto probabile che nell’istruzione e formazione professionale si dirigeranno soprattutto i maschi, accentuando così una divaricazione già oggi preoccupante.

                        I "licei". E’ su questi che prevedibilmente tenderà a dirigersi e a spostarsi la domanda sociale di istruzione (è quello che sta già facendo) ed è verso di loro che si dirigerà in particolare la componente femminile.

                        L’obiettivo della "riforma" non è questo: l’obiettivo è la costruzione di "licei" selettivi, possibilmente per pochi (il 30/35% dell’attuale scolarità e forse, nelle intenzioni, ancor meno), non necessariamente "sessuati". Se non fosse così, che bisogno c’era di dar vita a due sistemi/canali di diverso spessore e significato formativo e "sociale"?

                        Quindi, l’unica risposta possibile sarà l’inasprimento della selettività con conseguente aumento della dispersione scolastica (ripetenze, passaggi all’altro sistema, abbandoni). Un obiettivo dichiarato della "riforma" non era invece la riduzione della dispersione?

                        Veniamo, allora, alla dispersione. L’interpretazione della dispersione che implicitamente è presente nella "riforma" è quella delle diversità: chi è portato allo studio e chi no; chi è più incline al "saper fare" (quando addirittura tout court al "fare") e chi al "sapere"; chi è più motivato e chi no. Che le responsabilità stiano anche altrove, non risulta dal ragionamento. L’unica risposta che si trova è quella di far corrispondere alle diversità percorsi diversi. Con un difetto di analisi: la dispersione oggi è sensibile proprio negli indirizzi e comparti che si vogliono spostare nel sistema "professionale". Quindi, in sostanza, ci si limita ad esportare la dispersione (sarà questione delle Regioni); mentre, aumentando la selezione, la si incrementerà nei fatti negli indirizzi e comparti dove essa è oggi più contenuta.

                        E la formazione professionale? Essa, oggi, oltre che proporre una propria offerta autonoma, è impegnata non poco sul versante dell’integrazione con la scuola. Recenti indagini dimostrano che queste attività - quantomeno in termini di numero di studenti coinvolti - sono superiori sia a quelle di formazione di base, sia a quelle di formazione di secondo livello. Ma della integrazione non c’è traccia nella "riforma". Così come non c’è traccia di un possibile ruolo autonomo della formazione professionale in quanto tale, che addirittura - secondo accreditate opinioni di chi è intento a riempire di contenuti la "riforma" - dovrebbe sparire per fondersi con l’istruzione professionale (ex di Stato) o per diventarne il sosia. Dove finirà tutta l’esperienza accumulata, spesso originale e piuttosto importante ai fini dell’orientamento e del ri-orientamento, del ruolo del "saper fare" e della "cultura professionale" all’interno della stessa istruzione (come hanno dimostrato proprio le esperienze di integrazione)?

                        Ci sono poi effetti "correlati" destinati a manifestarsi e che è giusto segnalare. In particolare, gli spazi che si aprono per l’iniziativa "privata" sia nel campo dell’istruzione di élite (chi può essere più "liceo" di un bel, costoso e selettivo "liceo" privato?) sia in quello dell’istruzione/formazione professionale, dove qualche ente di formazione potrà finalmente smettere di aspirare a diventare "scuola" per diventarlo davvero e dove tanti altri enti, che pure avevano imboccato strade nuove e più moderne, saranno tentati di seguire l’esempio.

                        Viene da pensare che, all’interno dell’impostazione iper-liberista dell’attuale Governo, questo non sia affatto un obiettivo secondario.

                        Riassumiamo. Siamo di fronte a una "riforma" connotata da espliciti obiettivi di rinnovata selezione sociale, il cui caposaldo sta nella riaffermazione del primato dei "licei" e in una drastica suddivisione tra offerte e percorsi.

                        E’ modificabile questa impostazione?

                        A parere di alcuni, nella "delega" esisterebbero molti spazi. Onestamente non si vede dove stiano e quali siano.

                        Facciamo un esempio. Confindustria, contrastando il disegno morattiano là dove esso prevede la regionalizzazione dell’istruzione tecnica e professionale, nonché una versione iper-liceale dei licei tecnologici ed economici, propone in sostanza un terzo canale: i licei di "terzo genere" che dovrebbero nascere dalla preservazione, ampiamente rivisitata sul piano professionale (attraverso un "de-liceizzazione"), degli istituti tecnici (che resterebbero "statali", nel senso di governo esclusivo da parte dello Stato).

                        A parte la considerazione che, così facendo, i canali diverrebbero tre (i licei morattiani, i licei di terzo genere, l’istruzione e formazione professionale), chiaramente classificabili come di serie A, B, C (con ulteriore mortificazione dell’istruzione professionale e della formazione professionale), c’è spazio per una soluzione di questo tipo dentro la legge delega che è stata approvata dal Parlamento?

                        Ovviamente, tutto può avvenire, ma dal punto di vista del ministro Moratti questo significherebbe mettere nel cassetto la "propria riforma", ridurne notevolmente gli obiettivi attesi, rimettere in discussione tutta la lettura data al nuovo Titolo V, ritrovarsi tra i piedi l’ingombrante presenza delle Regioni con la loro potestà legislativa concorrente su tutta l’istruzione (compresi i "licei") e con quella esclusiva sul rapporto istruzione/professione.

                        No, onestamente a noi pare che gli spazi di manovra siano davvero pochi e soprattutto che qualunque "aggiustamento" abbia come effetto la conferma dei dati di fondo della "riforma".

                        Che fare, allora?

                        La "riforma", si è detto, ha un esplicito carattere discriminante. Si tratta di un dato chiaro a livello sociale? Hanno capito le famiglie che non ci saranno più le opportunità attuali? Che la gran parte di loro sarà costretta a riconvertire verso il basso le proprie aspettative?

                        La "riforma" prevede grandi sconvolgimenti nella scuola. Molti (moltissimi) dovranno transitare da un sistema all’altro. L’esperienza accumulata sarà in gran parte dispersa se non addirittura azzerata (con implicita perdita di "sapere professionale").

                        La scuola ha chiara coscienza di tutto ciò? Pensa ancora la scuola che "tanto tutto passa", che se ne sono sentite e viste tante, ma che poi tutto è continuato allo stesso modo? Vale anche questa volta il ragionamento? Noi pensiamo di no e la nostra sensazione è che lo scenario della "riforma" sia ancor troppo poco noto, compresi soprattutto i suoi effetti.

                        Dunque, informare più che si può, chiarendo bene i caratteri, i significati e i contenuti della "riforma" (che stanno tra l’altro precisandosi progressivamente, attraverso bozze di "decreti" e documenti vari che anticipano scelte che, prima di darne notizia e "pubblicità", dovrebbero seguire i tempi e le modalità previste dalla stessa legge).

                        Informare, spiegare e svelare è indispensabile, anche perché la "disinformazione" attuata dal ministero è grande (compresi gli spot televisivi).

                        C’è poi una seconda risposta. La "riforma" ha un grande "buco": l’assoluta sottovalutazione della tematica "cultura tecnico/professionale", proponendo addirittura la netta separazione tra "cultura" e "professione". Il guasto "culturale" è grande e peserà sul Paese che già soffre notevolmente a tutti i livelli di questo deficit.

                        E’ da qui che può partire il rilancio di un’idea di riforma vera e moderna ed è da qui che possono essere costruite alleanze piuttosto vaste.

                        segue...

                        Non commettere atti che non siano puri, cioe' non disperdere il seme...
                        Feconda una donna ogni volta che l'ami cosi' sarai uomo di fede.
                        Poi la voglia svanisce ed il figlio rimane e tanti ne uccide la fame.
                        Io forse ho confuso il piacere e l'amore ma non ho creato dolore.

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                        • Ayurvedi77
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                          Originariamente Scritto da medea
                          caro "metallaro" (che poi un metallaro reazionario dove si è mai visto?)
                          Questa si commenta da sola
                          Reazionario? BUHAHAHAHAHAHAHAHA
                          Evvai colla fiera dei preconcetti!!!!



                          tu ci hai copia-incollato una bella sfilza di numeri e dati solamente che
                          1.venivano da un forzista, quindi tutti da verificare
                          2.invece di spiegarci in cosa consistono questi miglioramenti ti sei limitato ad appiccicare un testo che sicuramente non hai minimamente capito. invece di parlarci dei fini pratici della riforma hai snocciolato cifre senza senso. come tutti i forzisti che si rispettino hai deciso di intorbidire le acque, buttarla in caciara e sperare di sfancularla.

                          BUAHAHAHHAAH
                          Ommammamia casco dalla sedia!
                          Parli tu di copia-incolla?
                          Chissà dove hai preso questo documento tutto bello formattato!
                          Ma sei sicuro di averlo capito,tu?!?
                          Almeno io mi sono degnato di citare la fonte senza nascondermi...

                          ora ti copioincollo un CHIARO resoconto (spiegato terra terra, cosi' capiami tutti) delle conseguenze di questa riforma (che sicuramente noi studenti cannaroli conosciamo meglio di te in quanto ci siamo dentro fino al collo).

                          Appunto: copiaincolla copiaincolla copiaincolla!

                          ----------------------------------------------------------------
                          Ricordate quella forza da leone che una vecchia canzone attribuiva alla televisione? Forse è questo il segreto per cui, di fronte a un provvedimento epocale, di involuzione tolemaica, la scuola è oggi sprofondata nel più cupo silenzio.

                          La riforma Moratti piace, si dirà; ma così non si spiega perché non si oda il plauso.

                          Di fronte a tanto muto silenzio gli attuali riformatori dovrebbero essere preoccupati, e forse lo sono. Il silenzio è peggio di un urlo, poiché non si è mai data innovazione nella scuola che non abbia comportato – per lungo o breve tempo – un mugugno e un malcontento tendenzialmente sempre sopra le righe.

                          L’attuale freddo silenzio potrebbe essere il sintomo di una profonda indifferenza o di una noncurante rassegnazione: facciano pure, tanto la scuola resta quella che è, c’è sempre una porta da chiudere quando si entra in un’aula. Che cosa allora accadrà quando, dentro le aule, diminuiranno le ore, spariranno alcune materie e i rispettivi insegnanti, ci sarà da scegliere a 13 anni tra il liceo e la scuola "professionale"? Permarrà quel silenzio impenetrabile che ha già segnato la scuola, nel 1962, quando la riforma della scuola media è rimasta lettera morta per più di dieci anni?

                          Il silenzio potrebbe anche derivare dalla disinformazione. Quanti italiani (insegnanti e studenti compresi) sanno della riforma? Tutti, o quasi. Ma che cosa sanno? Quasi niente. Quando parte la riforma, secondo la pubblica opinione? Subito, anzi non è già partita? Se così fosse, appena ci si addentrerà nel vivo delle questioni, ci sarà ancora silenzio?

                          Viene da pensare che le domande siano vecchie come le categorie di interpretazione che andiamo utilizzando. Perché la riforma Moratti poggia su una forza che induce al silenzio: il virtuale - come si sa - non spaventa nessuno, permette a tutti di immedesimarsi, di raccontarla a modo proprio. Nel virtuale funzionano anche le bugie, che non sono nemmeno tali, tanta è l’abitudine al messaggio pubblicitario e all’incredibile di certa fiction. Cosicché, se si è buoni comunicatori come questo Ministro, tutti calzano le pantofole e si addormentano davanti a un video che chiude una giornata e ne apre un’altra uguale.

                          E’ questo che ci apprestiamo a dimostrare: la forza virtuale della riforma Moratti.

                          A colpi di spot

                          Sabato 5 aprile 2003 è andato in onda su tutte le televisioni italiane lo spot sulla riforma della scuola. Il 28 marzo era stata votata dal Parlamento la legge delega n. 53 e il Ministero ha creduto opportuno diffondere la notizia attraverso il mondo virtuale della televisione, provvedendo a inserire lo spot anche nel proprio web (dove ancora lo si può vedere).

                          Un rassicurante filmato fa scorrere, con la complicità di un’accattivante musica di sottofondo, le immagini di studenti felici; c’è anche un gioviale insegnante, genitori dall’aspetto americano e, nel finale, il dolce volto di una ragazza. Una voce fuori campo dà l’informazione.

                          Abbiamo ascoltato i ragazzi, abbiamo ascoltato gli insegnanti, abbiamo ascoltato i genitori e attraverso quello che abbiamo ascoltato abbiamo costruito la nuova scuola. La scuola cresce proprio come te.

                          Potremmo attardarci in luoghi comuni, chiedendoci ad esempio se è così che vanno spesi i soldi dei cittadini e se si addice a una istituzione dello Stato una campagna che – almeno nello spot – ha tutte le caratteristiche di una pubblicità. Potremmo domandarci dove e come il Ministero abbia ascoltato ragazzi, insegnanti e genitori; giacché non ci risulta, vorremmo sapere perché non si sia data trasparente informazione di tale consultazione, né vorremmo pensare che il riferimento è a quegli Stati generali di cui nessuno ha più memoria e nei quali fu presentato un progetto di riforma del Grl[1] che poco ha a che vedere con l’attuale testo di legge.

                          Ci pare comunque più importante riflettere sulla "assenza di informazione" dello spot. A guardarlo, sappiamo forse qualcosa della nuova scuola? Sappiamo che esiste una legge? Che siamo in attesa dei decreti di attuazione? Che è stata abrogata la l. 9/99 e con essa l’obbligo scolastico? Che i bambini possono andare a scuola in anticipo anagrafico? Che esistono solo licei e un "secondo" canale?

                          Si dirà che il messaggio è rivolto al grande pubblico. In questo caso non servono certo informazioni tecniche, ma informazioni sì, perché il grande pubblico può anche accontentarsi di slogan, quando sia da pubblicizzarsi un prodotto commerciale, ma ben altra cosa è la riforma della scuola.

                          Questo spot – istituzionale, non dimentichiamolo – è, a nostro avviso, non solo inutile, ma anche pericoloso in quanto provoca una coscienza civica strutturalmente volatile, assai simile ai riflessi che la pubblicità commerciale deposita, noi inconsapevoli, negli atteggiamenti che assumiamo di fronte ai prodotti di un supermercato.

                          Eppure è stato il ministro Moratti per primo ad affermare[2], lungo il cammino del suo operare, che "troppe sono le falsità sulla riforma".

                          Troppe falsità sulla riforma. Il ministro Letizia Moratti, sventola davanti alle telecamere di "Domenica in" un pacchetto di volantini distribuiti in diverse scuole in giro per l’Italia. "Hanno scritto che con la riforma del centrodestra non ci sarebbe stata più l’educazione musicale e che avremmo abolito l’educazione fisica - dice il ministro -. Ci hanno accusati di voler abolire il tempo pieno e la mensa e voler istituire 300 ore a pagamento nelle scuole pubbliche. Una massa di falsità".

                          Abbia pazienza, Ministro, ma alla fine di novembre 2001 il Grl, da Lei istituito, ha pubblicato un fiume di pagine: il curricolo obbligatorio era di venticinque ore settimanali, esisteva un curricolo facoltativo gratuito fino a trecento ore, poi a pagamento. Le cosiddette "educazioni" (musicale, artistica, tecnica, fisica) sembravano destinate al curricolo facoltativo. Oggi, dopo l’approvazione della legge delega, le ore curricolari sono venticinque, esiste un curricolo facoltativo (dalle novanta alle duecento ore), non si parla più di ore a pagamento. Le "educazioni" sono profondamente trasformate rispetto agli insegnamenti attuali, benché siano previste le materie "musica", "arte e immagine", "attività fisica e sportiva", mentre l’educazione tecnica è volata via per coniugarsi in "informatica", con l’aggiunta di nozioni di tecnologia a stretta interfaccia con "scienze", tanto che viene da pensare che si sciolga la cattedra di "matematica e scienze".

                          Non le pare, Ministro, che anche limitandoci alle sole questioni da Lei sollevate urgano informazioni anziché spot?

                          E non sono certo sufficienti i due "libretti" inviati alle scuole e alle famiglie – peraltro divulgati prima dell’approvazione della legge n. 53 – dove si è ancora a livelli di grandi principi e di altrettanto grandi bugie, come quella di attribuire alla riforma costituzionale del Titolo V la necessità di una riforma e di scelte come quelle attuate.

                          Il doppio scoop del via alla riforma

                          Sulla partenza della riforma l’informazione ministeriale prende le sembianze dello scoop. A quando il via alla riforma? Subito. Ad affermare ciò è il Ministro quando ancora – figuratevi un po’ - non era stata approvata la legge[3].

                          Presto compreso che l’iter parlamentare del disegno di legge doveva rispettare i suoi tempi, il Ministro studia il modo di dare comunque un segnale di efficienza: ed ecco la carta dell’anticipo scolare per le iscrizioni alla scuola dell’infanzia ed elementare, cosicché si può dire che "la riforma parte" e la gente ci crede. In televisione, sui quotidiani, il ministro promette che questo avverrà nell’anno scolastico 2002/2003, "a costo di riaprire i termini delle iscrizioni".

                          La doccia fredda viene subito dopo: slitta di un anno la riforma Moratti[4], è la notizia che diffondono i quotidiani alla fine di giugno.

                          Il ministro per i Rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi ha affermato che la legge di riforma della scuola sarà operativa per l'anno didattico 2003-2004, poiché i tempi parlamentari porteranno alla sua approvazione non prima di ottobre. Niente riapertura delle iscrizioni come aveva ventilato il ministro Moratti e nessuna partenza ad horas, ovvero da settembre.

                          «I tempi delle riforme sono dettati anche da esigenze di rapporti con il Parlamento — sottolinea Giovanardi — pur se la tabella di marcia del governo è in sintonia ed è chiaro che l'esecutivo potrà portarlo a compimento nei tempi prestabiliti, senza però possibilità di accelerazione o di forzature che il nostro sistema parlamentare non consente».

                          Si tende a scaricare il ritardo della riforma sul Parlamento, ma in realtà i fatti sono assi più complessi e, nel luglio 2002, mentre il disegno di legge è in esame al Senato, l’articolo di legge dedicato alla questione dell’anticipo scolare, ad esempio, viene modificato: la possibilità resta, ma con riserva, limitatamente alle disponibilità dei Comuni. I conti – prima di tutto finanziari – vanno fatti anche con la Conferenza unificata[5] e in particolare con gli Enti locali.

                          Solo gli addetti ai lavori e gli accaniti cacciatori di informazione vengono a conoscenza dei cambiamenti, come recita la legge n. 53[6].

                          Per gli anni scolastici 2003-2004, 2004-2005 e 2005-2006 possono iscriversi, secondo criteri di gradualità e in forma di sperimentazione, compatibilmente con la disponibilità dei posti e delle risorse finanziarie dei comuni, secondo gli obblighi conferiti dall'ordinamento e nel rispetto dei limiti posti alla finanza comunale dal patto di stabilità, al primo anno della scuola dell'infanzia i bambini e le bambine che compiono i tre anni di età entro il 28 febbraio 2004, ovvero entro date ulteriormente anticipate, fino alla data del 30 aprile di cui all'articolo 2, comma 1, lettera e). Per l'anno scolastico 2003-2004 possono iscriversi al primo anno della scuola primaria, nei limiti delle risorse finanziarie di cui al comma 5, i bambini e le bambine che compiono i sei anni di età entro il 28 febbraio 2004.

                          Il Ministro non si dà per vinta e, nel settembre 2002, promuove ugualmente una sperimentazione nella scuola elementare: sarà un fallimento, se non altro per la minima quantità di bambini e il coinvolgimento di poche scuole, prevalentemente paritarie.

                          Passa un anno scolastico e la questione del via alla riforma si ripropone. A quando? Subito, ridice il Ministro. Lo scoop è notevole – anche se, al secondo tentativo, gli scettici aumentano – perché le cose da fare sono davvero tante, in pochi mesi. C’è da approvare il Piano programmatico di interventi finanziari[7] e c’è da varare il decreto legislativo, il cui schema è in Consiglio dei Ministri, e occorre poi attendere cinquanta/sessanta giorni rispettivamente per il parere del Consiglio nazionale dell’istruzione e delle Commissioni della Camera e del Senato. Ad andare di fretta, si arriva alla fine di agosto e la scuola inizierebbe con una sorpresa davvero straordinaria. E’ in questo modo che si allestisce una buona partenza di riforma?

                          Sembrerebbero mancare i tempi tecnici e il buon senso suggerirebbe una maggiore gradualità, ma intanto si virtualizza l’avvio della riforma, se ne parla, senza ben specificare se prende forma il nuovo ordinamento o la sperimentazione dell’anticipo scolare. Nel qual ultimo caso lo scoop non c’è: tutto è già scritto, come si è visto, nell’articolo 7, comma 4, della legge n. 53.

                          Anzi, una notizia c’è, tenuta in sordina: nella circolare ministeriale n. 37 dell’11 aprile 2003, con oggetto "iscrizione anticipata alla scuola primaria e alla scuola dell’infanzia", per la scuola dell’infanzia i problemi legati alle risorse paiono pregiudicare la sperimentazione dell’anticipo.

                          A tal fine, sono in corso contatti e interlocuzioni con l'ANCI (Associazione Nazionale Comuni d'Italia) per una ricognizione congiunta dello stato delle cose e per una prima messa a punto degli interventi e delle azioni da porre in essere.

                          Una volta acquisito, sulla base dei dati e degli elementi occorrenti, il quadro completo delle diverse situazioni legate alle varie realtà territoriali e valutate con l'ANCI e gli Enti locali competenti l'esistenza delle reali condizioni di praticabilità della sperimentazione degli anticipi, verrà fissato dallo scrivente il termine entro cui sarà possibile, da parte delle famiglie delle bambine e dei bambini che compiono tre anni entro il 28 febbraio 2004, produrre domanda di iscrizione alla scuola dell'infanzia nelle istituzioni all'uopo individuate.

                          Le cose vanno meglio per la scuola elementare, ma pur con tutti gli artifici possibili che la circolare elenca per contenere le spese – compreso un alto numero di alunni per classe – il Ministero sa bene che potrà essere accolta una quantità limitata di richieste e stabilisce la dotazione aggiuntiva di soli 1.472 insegnanti elementari, in una ripartizione regionale dei posti. In relazione ai dati di fonte ministeriale[8], si può valutare che l’organico aggiuntivo potrà consentire l’aumento di circa 800 classi per un totale massimo di 20.000 alunni, pari al 4% degli iscritti in prima elementare.

                          Intendiamoci: se non ci trovassimo continuamente di fronte a questo scoop ministeriale della repentina partenza, non ci sarebbe granché da dire, perché sta nei fatti naturali che una riforma della scuola – della portata di questa – abbia necessità di gradualità, ci siano tante cose da sistemare e prevedere, siano complessi gli atti procedurali. E’ invece irritante questa partenza virtuale della riforma, sapendo poi – in notizie tenute in sordina – che notevoli sono le complicazioni in relazione alle risorse finanziarie, tanto che trapela perfino qualche "battibecco" tra i ministri Tremonti e Moratti, cosicché Berlusconi è costretto a intervenire rassicurando il popolo italiano: sì, qualche problema c’è, ma si troverà la soluzione. Caro Presidente, questo potrebbe dirlo chiunque: noi vorremmo trasparenza e ci è dovuta una chiara informazione.

                          Invece continua la danza virtuale e lo schema del primo decreto legislativo di attuazione della legge n. 53 è presentato al Consiglio dei Ministri: subito la notizia si diffonde nel web e nei mezzi di stampa, rimettendo in scena lo scoop della fulminea partenza. Il 9 maggio 2003 gli interessanti sono in continuo collegamento con il web del Governo, dove le sedute si possono seguire pressoché in diretta. Il decreto per la scuola è all’ordine del giorno, ma in quella seduta non se ne parla e così di settimana in settimana – ci sono di mezzo anche le elezioni amministrative, un referendum, il lodo e l’avvicinarsi del semestre europeo – la notizia rimbalza, si affievolisce l’attesa e tutti riprendono a credere in una riforma che partirà l’anno prossimo.

                          Se il decreto legislativo dovesse essere approvato, nella forma in cui è, in effetti la partenza è prevista per l’anno scolastico 2003/04.

                          Per l’attuazione delle disposizioni del presente decreto sono avviate, dall’anno scolastico 2003-2004, la prima e la seconda classe della scuola primaria e, a decorrere dall’anno scolastico 2004-2005, la terza, la quarta e la quinta classe.[9]

                          A decorrere dall’anno scolastico 2004-2005 è avviata la prima classe del biennio della scuola secondaria di primo grado; saranno successivamente avviate, dall’anno scolastico 2005-2006 la seconda classe del predetto biennio e, dall’anno scolastico 2006-2007 la terza classe di completamento del ciclo.[10]

                          Ci auguriamo che questa volta le notizie non si fermino allo spot e allo scoop, perché qualcuno deve rispondere ad alcuni interrogativi. Ne citiamo alcuni.

                          <dir><dir><dir><dir>Nell’anno scolastico 2003-2004 sono avviate la prima e la seconda classe della scuola primaria (ex elementare) come previsto dal nuovo ordinamento, con un tutor/maestro unico prevalente, i nuovi programmi, i nuovi orari? Quando la scuola è informata e si prepara a tutto ciò?

                          Come verrà scelto il maestro unico prevalente?

                          Saranno pronti i libri per studiare come la riforma chiede?

                          Ci sarà ancora un tempo "pieno" e la mensa?

                          Qual è il significato della partenza di due classi nello stesso anno? Vuol dire che i bambini della prima "tradizionale" potranno (dovranno?) accedere alla seconda "riformata"?

                          Nell’anno scolastico successivo (2004-2005) sono avviate in contemporanea ben quattro classi, le tre che restano della scuola primaria e la prima della scuola secondaria di secondo grado (ex media). Ci auguriamo che il regolamento attuativo fornisca indicazioni chiare e ragionevoli, giacché ai profani tutte queste classi nuove avviate insieme sono incomprensibili. Da ogni classe "tradizionale" si potrà accedere a una classe "riformata"?

                          Eppure i programmi sono ben diversi! Valga l’esempio della storia: nella nuova scuola "media" si parte dalla fine dell’impero romano. I neo riformati dell’annata 2004-2005 si perderanno un pezzo di storia?

                          Oppure si tratta di un avvio "sulla carta" – che tutt’al più potrà consentire qualche sperimentazione – cosicché ci vorranno sei anni perché le nuove leve percorrano il loro cammino scolare riformato, arrivando alla prima classe della nuova scuola media nel 2008/09?

                          </dir></dir></dir></dir>

                          L’anno scolastico 2003-2004 è ormai alle porte, non resta che aspettare per verificare questo scoop dell’avvio della riforma.

                          E non vorremmo avere speso le nostre preoccupazioni per una "falsa partenza", dove tutto si risolve in una "maxisperimentazione" (per dirla con la parola del Ministro) in cui si fa un po’ di inglese in più (perché la lingua straniera c’è già nella scuola elementare), s’impara ad accendere e spegnere un calcolatore, c’è qualche bambino più giovane degli altri e l’efficienza del Governo si risolve in un grande pasticcio, che ricade sui bambini, sugli insegnanti, sulle scuole, sulle famiglie, sugli Enti locali, sull’editoria scolastica … ma mette in salvo la "forza virtuale" della repentina partenza della riforma.

                          Tranquilli, tutto come prima? Non è così

                          C’è chi sostiene che i problemi fin qui sollevati non abbiano grande significato, tanto la scuola primaria e secondaria di primo grado della riforma sono del tutto simili all’attuale scuola elementare e media.

                          Se così fosse, la riforma sarebbe davvero cattiva: perché mai mettere in piedi una grande macchina di trasformazione ordinamentale per avere tutto come prima?

                          E infatti così non è.

                          Chi ha creduto in una riforma "che non cambia nulla" è caduto nei lacci di uno slogan propagandistico. La prima regola della comunicazione mediale è quella di soddisfare l’utente (da qui la guerra degli indici di ascolto) cosicché la forza della riforma Moratti è stata quella di raccogliere il malcontento della precedente riforma Berlinguer – in particolare la presunta sottrazione di un anno alla scuola media – promettendo di non cambiare nulla (o nulla di importante). Quando gli insegnanti hanno saputo che gli anni restavano cinque per la scuola primaria, tre per la scuola secondaria di primo grado, hanno tirato un sospiro di sollievo e hanno abbassato la guardia, in ciò rafforzati da parole d’ordine come "salvaguardia della tradizione scolastica".

                          Che la riforma cambi profondamente la scuola – in modi che sta a ciascuno giudicare - lo sanno coloro che hanno letto il testo di legge e le Indicazioni nazionali. Tutti gli altri sono in condizioni di sapere mediatico, convinti forse ancora che tutto resti come prima.

                          Viene da chiedersi che cosa possa renderci contenti del fatto che una riforma non cambi nulla. Una riforma – lo dice la parola – cambia. Se tutto deve restare come prima, allora non si faccia nulla, se non altro in considerazione del fatto che una riforma costa. Quel che temiamo è che il pensiero virtuale e volatile si sia insediato nelle nostre teste, permettendoci di credere alla telenovela di una riforma che conserva ciò che vogliamo conservato e riforma tante altre cose, che saranno senz’altro importanti, ma che non ci toccano negli interessi personali.

                          A dire il vero avremmo potuto cogliere, strada facendo, alcuni segnali davvero curiosi, che avrebbero potuto metterci in sospetto circa il presunto "tutto resta come prima". Della scuola media ed elementare il Ministro più volte ha intessuto le lodi, "le migliori del mondo" ha detto spesso. Che siano le migliori del mondo forse è un’esagerazione, ma che in questi cicli gli insegnanti sappiano fare cose straordinarie, questo è vero. Per anni i docenti elementari e medi hanno combattuto la loro lotta di professionalità, facendosi carico degli enormi problemi che incombevano fuori e dentro la scuola, nonostante mancasse una riforma e quindi si dovessero fare i conti quotidiani con i vincoli di un sistema scolastico rigido e inadeguato. E ora, improvvisamente, la scuola va bene così com’è? Forse, ministro Moratti, le resistenze dei docenti andrebbero interpretate.

                          E’ d’altra parte il Ministro per primo a navigare nelle più sconcertanti contraddizioni. Proprio nel mediatico dice due cose: quanto è bella la scuola elementare e media, quanto sono "ignoranti" e in difficoltà i nostri ragazzi (formati da quella scuola elementare e media), tanto che bisogna pensare – per molti – a un canale formativo parallelo. Il ragionamento non torna.

                          Anche nei confronti della proposta Berlinguer è andata in onda una controproposta Moratti davvero singolare. Spieghiamo: la precedente riforma aveva suscitato le ire degli insegnanti della scuola media inferiore. Per molti mesi era circolata la convinzione che il riordino dei cicli avesse spazzato via la scuola media, che i bambini della scuola elementare fossero destinati a convivere con i ragazzi più grandi in una commistione disdicevole per il processo educativo e che i docenti della scuola media fossero costretti ad andare a insegnare nelle classi elementari senza alcuna preparazione per farlo. L’allora opposizione – oggi governo – fece di tutto per indurci a credere tanti misfatti.

                          E’ certamente vero che la riforma Berlinguer parlava di una "scuola di base" della durata di sette anni. Qualcosa era sicuramente cambiato rispetto alle attuali scuole elementari e medie. Innanzi tutto entrambe avevano perso il "nome" e mancava un anno rispetto alla somma – otto anni – dei due cicli. Perché questo dovesse penalizzare necessariamente la scuola media è un mistero che resterà tale se non nella generica considerazione della potenza della manipolazione delle informazioni. Altrettanto curioso è che qualcuno abbia potuto pensare che, per costrizione, i professori della media dovessero improvvisarsi maestri. Più ragionevole era paventare che sette anni al posto di otto potessero comportare una perdita di posti di lavoro.

                          Fa infine torto all’umana intelligenza il tanto cianciare sulla pericolosa convivenza dei bambini più piccoli con i ragazzi preadolescenti, suscitando l’allarme per i dannosi modelli cui poteva essere esposta l’infanzia italiana. Se avessimo potuto ragionare con la nostra testa – e non con quella televisiva – ci saremmo resi conto della risibilità delle preoccupazioni. La convivenza della scuola elementare e media è un fatto "normale" nei numerosi istituti comprensivi e nella quasi totalità delle scuole non statali, comprese quelle religiose. Pensando a queste realtà, avremmo subito compreso che tale "convivenza" è tutt’al più quella di un innocuo "condominio". Spesso è una realtà che riguarda il corpo docente, mentre bambini e ragazzi frequentano le proprie classi in edifici diversi.

                          La pace è tornata quando il ministro Moratti ci ha tutti tranquillizzati sul fatto che la nuova riforma porgeva i suoi omaggi alla scuola elementare e media, lasciandole inalterate. Le trombe dei mass-media hanno suonato di nuovo, intonando la marcia trionfale di una giustizia ripristinata.

                          Legge n. 53 alla mano, si può uscire dalle opinioni virtuali e verificare che la riforma Moratti propone un’innovazione profonda, assai simile a quella Berlinguer.

                          <dir><dir>La scuola elementare e la scuola media perdono la loro identità, per essere comprese in un unico "primo ciclo" la cui continuità è segnata profondamente dalla soppressione dell’esame di quinta elementare.

                          Entrambe le scuole perdono il "nome": la prima si chiama "primaria", la seconda si chiama "secondaria di primo grado".

                          Gli anni sono otto e non sette, ma le ore curricolari sono decisamente minori delle attuali in tutti gli anni, cosicché forse la perdita è anche superiore. E con ciò la possibilità della perdita dei posti di insegnamento.

                          Alla fine del primo ciclo gli alunni risultano più giovani, non di un anno, ma di mezzo anno, dato il marchingegno dell’anticipo scolare: questo è il compromesso studiato per tentare di condurre i nostri giovani a un diploma al diciottesimo anno di età, come i loro colleghi europei, in modo da garantire pari opportunità di inserimento nel mondo del lavoro.

                          Restano gli istituti comprensivi, i "condomini" dove studiano i bambini e i preadolescenti, data la riaffermata continuità di un primo ciclo unitario.

                          Restano forse le materie e i programmi attuali? Assolutamente no.

                          </dir></dir>Si è ristretto il curricolo e il suo orario

                          Per chi ancora fosse scettico sulle novità della riforma Moratti, andiamo a dimostrare i fatti partendo da un dato di immediata visibilità, l’orario del curricolo, ad esempio nella nuova scuola media.

                          Recita lo schema del decreto legislativo, all’articolo 10:

                          1. Al fine di garantire l’esercizio del diritto- dovere di cui all’articolo 4, comma 1, l’orario annuale delle lezioni nella scuola secondaria di primo grado, comprensivo della quota riservata alle regioni, alle istituzioni scolastiche autonome e all’insegnamento della religione cattolica in conformità alle norme concordatarie, di cui all’articolo 3, comma 1, ed alle conseguenti intese, è di 891 ore.

                          2. Le istituzione scolastiche, al fine di realizzare la personalizzazione del piano di studi, organizzano, nell’ambito del piano dell’offerta formativa, tenendo conto delle prevalenti richieste delle famiglie, attività e insegnanti, coerenti con il profilo educativo, e con la prosecuzione degli studi del secondo ciclo, per ulteriori 198 ore annue, la cui scelta è facoltativa e opzionale per gli allievi. Al fine di ampliare e razionalizzare la scelta delle famiglie, le istituzioni scolastiche possono, nella loro autonomia, organizzarsi anche in rete.

                          3. L’orario di cui ai commi 1 e 2 non comprende il tempo eventualmente dedicato alle mensa.

                          Sono dunque 891 le ore annuali a fronte delle attuali 990 per il tempo normale (e le 1320 per il tempo pieno). Cento ore in meno, non poco.

                          Un eventuale incremento di attività è previsto dalla riforma, per un massimo di 198 ore; attenzione però, sono attività che le istituzioni scolastiche debbono organizzare, ma sono facoltative e opzionali per gli allievi (niente dunque di curricolare).

                          Per una comparazione con l’attuale orario scolastico e la distribuzione delle ore per materia – benché già oggi la maggior parte delle scuole preveda una gestione annuale del monte ore – è più efficace rifarsi a un orario settimanale.

                          Ricordiamo che i giorni di scuola sono 200, in tutto 33 settimane: le 891 ore annuali restituirebbero 27 ore a settimana, sennonché c’è da considerare la quota riservata alle Regioni, quindi c’è da ragionare su 25 ore curricolari settimanali.

                          E sono dolori quando si va ad attribuire un "valore orario" alle materie, pur senza entrare nel merito delle differenze dei programmi.

                          Che cosa sarà disposto nei regolamenti di attuazione della riforma è difficile da immaginare, ma certo i conti debbono tornare, considerando che si aggiunge anche l’insegnamento di una seconda lingua straniera.

                          Possiamo divertirci a "dare qualche numero", arrivando come si vedrà a un’unica ragionevole conclusione: in generale il curricolo "si restringe" e alcune materie – qualche voce corre già nei corridoi ministeriali – si coniugano insieme, rivisitando la composizione delle "cattedre" di docenza.

                          <table cellspacing="1" cellpadding="9" width="821" border="1"><tbody><tr><td valign="center" width="59%" bgcolor="#c0c0c0" colspan="7" height="34">
                          Scuola media oggi
                          </td><td valign="center" width="3%" height="34">

                          </td></tr><tr><td valign="center" width="20%" bgcolor="#c0c0c0" colspan="3">t. normale

                          </td><td valign="center" width="20%" bgcolor="#c0c0c0" colspan="3">t. pieno

                          </td><td valign="center" width="3%">

                          </td></tr><tr><td width="7%" bgcolor="#c0c0c0">I

                          </td><td width="7%" bgcolor="#c0c0c0">II

                          </td><td width="7%" bgcolor="#c0c0c0">III

                          </td><td width="7%" bgcolor="#c0c0c0">I

                          </td><td width="7%" bgcolor="#c0c0c0">II

                          </td><td width="7%" bgcolor="#c0c0c0">III

                          </td><td valign="center" width="3%">

                          </td></tr><tr><td valign="center" width="20%" height="33">Religione

                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          1
                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          1
                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          1
                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          1
                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          1
                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          1
                          </td><td valign="center" width="28%" height="33">Religione cattolica

                          </td><td valign="center" width="10%" height="33">
                          1
                          </td><td valign="center" width="3%" height="33">

                          </td></tr><tr><td valign="center" width="20%" height="33">Italiano

                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          7
                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          7
                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          6
                          </td><td valign="center" width="28%" height="33">Italiano

                          </td><td valign="center" width="10%" height="33">
                          5? 4? 6?
                          </td><td valign="center" width="3%" height="33">

                          </td></tr><tr><td valign="center" width="20%" height="33">Storia, ed. civica,

                          geografia

                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          4
                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          4
                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          5
                          </td><td valign="center" width="28%" height="33">Storia

                          e Geografia

                          </td><td valign="center" width="10%" height="33">
                          3
                          </td><td valign="center" width="3%" height="33">

                          </td></tr><tr><td valign="center" width="20%" height="33">Lingua straniera

                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          3
                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          3
                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          3
                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          5
                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          5
                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          5
                          </td><td valign="center" width="28%" height="33">Inglese

                          e seconda lingua comunitaria

                          </td><td valign="center" width="10%" height="33">
                          4
                          </td><td valign="center" width="3%" height="33">

                          </td></tr><tr><td valign="center" width="28%" height="33">Matematica

                          </td><td valign="center" width="10%" height="33">
                          3? 4? 4?
                          </td><td valign="center" width="3%" height="33">

                          </td></tr><tr><td valign="center" width="3%" height="33">

                          </td></tr><tr><td valign="center" width="20%" height="33">Educazione tecnica

                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          3
                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          3
                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          3
                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          3
                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          3
                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          3
                          </td><td valign="center" width="3%" height="33">

                          </td></tr><tr><td valign="center" width="20%" height="33">Ed. artistica

                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          2
                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          2
                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          2
                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          2
                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          3
                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          3
                          </td><td valign="center" width="28%" height="33">Arte e immagine

                          </td><td valign="center" width="10%" height="33">
                          2? 1?
                          </td><td valign="center" width="3%" height="33">

                          </td></tr><tr><td valign="center" width="20%" height="33">Ed. musicale

                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          2
                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          2
                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          2
                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          3
                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          2
                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          3
                          </td><td valign="center" width="28%" height="33">Musica

                          </td><td valign="center" width="10%" height="33">
                          2? 1?
                          </td><td valign="center" width="3%" height="33">

                          </td></tr><tr><td valign="center" width="20%" height="33">Educazione fisica

                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          2
                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          2
                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          2
                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          3
                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          3
                          </td><td valign="center" width="7%" height="33">
                          2
                          </td><td valign="center" width="28%" height="33">Attività fisica e sportiva

                          </td><td valign="center" width="10%" height="33">
                          2
                          </td><td valign="center" width="3%" height="33">

                          </td></tr><tr><td valign="center" width="20%" height="41">totale

                          </td><td valign="center" width="7%" height="41">30

                          </td><td valign="center" width="7%" height="41">30

                          </td><td valign="center" width="7%" height="41">30

                          </td><td valign="center" width="7%" height="41">40

                          </td><td valign="center" width="7%" height="41">40

                          </td><td valign="center" width="7%" height="41">40

                          </td><td valign="center" width="28%" height="41">totale

                          </td><td valign="center" width="10%" height="41">25

                          </td><td valign="center" width="3%" height="41">

                          </td></tr></tbody></table>
                          Dando per assodate l’ora di "religione cattolica" (e l’aggettivo crea qualche fastidio) e le due ore di "Attività fisica e sportiva", sembra plausibile che:

                          <dir><dir>si formi una cattedra di "Storia e Geografia" in cui sparisce l’educazione civica[11], cui assegnare non più di 3 ore settimanali, penalizzando crediamo soprattutto la geografia;

                          sia istituita una cattedra di "Lingue" chiedendo allo stesso docente di insegnare l’inglese e una seconda lingua comunitaria in non più di 4 ore settimanali; e se è vero che i docenti di lingue conoscono una seconda lingua, è altrettanto vero che essa varia da laurea a laurea, cosicché la seconda lingua comunitaria sarà determinata da tale condizione, piuttosto che da una libera scelta delle famiglie;

                          si formi una cattedra di "Scienze, Informatica e Tecnologia" cui assegnare non più di 3 ore settimanali; le voci in tal senso sono insistenti, ma ancor di più convince la lettura incrociata dei programmi contenuti nelle Indicazioni nazionali, dove è palese una riorganizzazione dei contenuti delle scienze e delle tecniche; è peraltro significativa la scomparsa dell’informatica dall’insegnamento di matematica; gli estensori delle Indicazioni nazionali hanno evidentemente previsto l’utilizzo "unitario" degli attuali insegnanti di "Matematica e Scienze" e di "Educazione tecnica";

                          resta aperta l’incognita della preminenza dell’insegnamento di italiano o di matematica, nella doppia combinazione di 5+3 oppure 4+4 ore settimanali; l’impronta "classica e legata alla tradizione" della riforma indurrebbe a credere più veritiera la prima ipotesi;

                          c’è poi un’ulteriore variabile da considerare, legata alle "ex educazioni"; arte e musica potrebbero conservare il rango di materie, ma trovarsi con 1 sola ora settimanale, per ridare fiato all’italiano e alla matematica.

                          </dir></dir>A queste condizioni, tutto resta come prima?

                          segue.....

                          Che la Riforma non sia perfetta nè possa accontentare tutti (ma quando mai una riforma accontenta tutti?), siamo d'accordissimo...
                          Riprendendo ciò che ho detto 22 reply fa: questo Stato aveva bisogno di una scossa, di un terremoto, la scuola è ferma a 30 anni fa se non di più, qualcuno finalmente si muove per cercare di ammodernare la baracca...

                          Studentello vogliamo parlare delle facoltà di Informatica o quelle più "nuove" come l'indirizzo di sceneggiatura della facoltà di Lettere?
                          Programmi quasi completamente teorici...
                          Schiere di dementi che escono con una Laurea senza sapere fare pressochè un *****...

                          Mai sentito parlare di chi scappa all'estero inseguendo sistemi di formazione ben più moderni?

                          SVEGLIAAAAAAAAAAA

                          Last edited by Ayurvedi77; 01-03-2004, 12:36:08.
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                            Ormai è chiaro: la formula ministeriale per disgregare è quella di ridefinire e ampliare. E’ così per l’obbligo scolastico e, a quanto pare, non ha scampo neppure l’autonomia.

                            Vediamo l’obbligo. Esso è ridefinito nei termini di un "diritto-dovere" che evidentemente non è un "obbligo". E, per ironia della sorte, lo si "amplia" restringendolo: il trucco è facile, basta partire per l’appunto da una ridefinizione. L’obbligo scolastico era di nove anni e, ad approvazione di riforma, avrebbe dovuto essere di dieci. Ora gli anni sono dodici, peccato che l’obbligo scolastico è tornato al dettato costituzionale di otto anni e gli altri quattro sono di diritto formativo, nel canale dell’istruzione-formazione professionale, in alternanza scuola-lavoro o nell’apprendistato. Un bel "gioco di numeri" che in sostanza fa tornare l’Italia tra i pochi Paesi del mondo dove la cultura diffusa (quindi un obbligo scolastico che garantisca a tutti una solida base culturale) non è un valore, neppure a confronto con i fabbisogni evidenti di una società (e anche un’economia, come fa notare Confindustria) che si appoggia sulla "conoscenza".

                            Un po’ in sordina si va a ridefinire anche l’autonomia – quella delle istituzioni scolastiche e quella delle Regioni e degli Enti locali – e con uno straordinario giro di parole si tenta di convincere tutti che si è ampliato e modernizzato il concetto di "prescrizione" ministeriale. Invece si torna indietro – pesantemente – e soprattutto si mina il rispetto delle leggi che esistono. Il punto è che, facendo saltare le regole e puntando sulla forza del convincimento mediatico, si possono ottenere effetti che stupiscono quando poi ci si accorge di ciò che è avvenuto. Meglio capire in tempo come stanno le cose.

                            Che cosa sta capitando

                            Dire, prima dei decreti legislativi e dei regolamenti attuativi, come saranno i programmi di insegnamento della scuola riformata dovrebbe essere un compito impossibile. Non è dello stesso avviso il Ministero dell’istruzione che, nel proprio web, propone "programmi" e ne sancisce il valore prescrittivo.

                            Ciò non si concilia con l’iter procedurale previsto dalla stessa l. 53/03. Che si voglia andare in fretta (mai buona consigliera) nell’attuazione della riforma è un conto (forse di legislatura), che si saltino i passaggi e l’esercizio delle legittime competenze è tutt’altro fatto, preoccupante.

                            Quel che sembra non avere la dovuta considerazione presso il Ministero – guardiamo i fatti, non le parole - è l’autonomia scolastica e la ripartizione delle competenze ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione.

                            Sentiti gli insegnanti, gli studenti, le famiglie (chi, dove, quando, come?) il Ministero parrebbe ritenersi depositario di una volontà popolare e di conseguenza avocare a sé le decisioni anche oltre le proprie competenze.

                            A noi pare che proprio il rispetto delle regole possa essere l’unica vera garanzia per le istituzioni scolastiche, i docenti, i cittadini e l’esercizio di quelle funzioni che sono cresciute nell’autonomia scolastica e territoriale.

                            C’è il problema – chi non lo vede – di garantire unitarietà nazionale al sistema di istruzione e formazione, affinché le opportunità formative siano pari e i nuovi livelli culturali siano sinergici allo sviluppo dell’intera società, del Paese. Le competenze riservate allo Stato servono proprio a questo e si declinano come norme generali, definizione dei livelli delle prestazioni (gli standard) e principi fondamentali. Non c’è alcuna legittimità nell’andare oltre. A meno che si voglia dubitare della capacità progettuale delle istituzioni scolastiche, della professionalità degli insegnanti, della volontà delle Regioni e degli Enti locali di coniugare le norme nazionali nella migliore rispondenza alle reali esigenze del territorio e dei cittadini.

                            L’allarme è forte: rischia di essere intaccato il valore dell’autonomia e del decentramento del governo e della gestione del sistema scolastico-formativo, finalmente conquistati a contrastare un centralismo burocratico e autoreferente. Né si comprende perché proprio una riforma – un passo in avanti di miglioramento – sia colta come occasione per ripristinare una impropria centralità ministeriale.

                            Si tratta di una situazione allarmante nei contenuti e nei modi, poiché qualcosa di simile a un abuso di funzione, anziché palesarsi in trasparenza e nelle dovute sedi, si insinua nella comunicazione mediale e potrebbe essere recepito negli aspetti rassicuranti di sapere qualcosa di concreto sulla riforma, cavalcando la cattiva abitudine di molti, anche di alcuni operatori della scuola, di valutare una riforma della scuola andando subito al "sodo", cioè ai programmi, mentre è palese che una riforma di questa sconvolgente portata non può essere valutata solo in base alla lettura dei programmi curricolari. Ciò che oggi circola è peraltro in forma di "bozza" cosicché corriamo il rischio di abbassare la guardia. E intanto le parole – che sono pietre - circolano.

                            Occorre dunque svegliarsi, vigilare, esercitare ciascuno le legittime funzioni e impedire che accadano effetti mediali, che ben conosciamo nella nostra meravigliosa società della comunicazione, dove talvolta diventa vero e "legittimo" ciò che dicono la televisione, la stampa e il web.

                            Una legge "delega" deve attendere di essere precisata

                            La legge 28 marzo 2003, n. 53[1] è una "legge delega" che attribuisce al Governo il compito della "definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale".

                            Due punti sono chiari:

                            · la definizione è delegata, attende di essere formulata attraverso decreti legislativi e successivi regolamenti attuativi;

                            · sono oggetto della definizione le norme generali e i livelli essenziali delle prestazioni, esattamente nei termini delle competenze conservate allo Stato dalla riforma costituzionale[2].

                            L’articolo 1 precisa i termini della delega.

                            Il Governo è delegato ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, nel rispetto delle competenze costituzionali delle regioni e di comuni e province, in relazione alle competenze conferite ai diversi soggetti istituzionali, e dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, uno o più decreti legislativi per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e di istruzione e formazione professionale.

                            Non v’è ombra di dubbio sul da farsi: le norme generali e i livelli essenziali dovranno essere definiti attraverso uno o più decreti legislativi entro il 17 aprile 2005, nel rispetto delle competenze costituzionali delle Regioni, delle Province, dei Comuni e nel rispetto delle funzioni delle istituzioni scolastiche autonome.

                            Qual è il percorso per giungere ai decreti legislativi? La legge assegna a numerosi soggetti ruoli di proposta, di parere e di intesa. A proporre sono i Ministri[3], il parere – da esprimersi entro sessanta giorni – è delle Commissioni della Camera e del Senato e della Conferenza unificata[4], cui spetta, in alcune materie, il ruolo determinante di un’intesa.

                            Prima di promulgare i decreti legislativi c’è un ulteriore passo da compiere. Entro il 16 luglio 2003 il Ministro dell’istruzione è tenuto a predisporre un Piano programmatico di interventi finanziari, che deve essere approvato dal Consiglio dei Ministri, previa intesa con la Conferenza unificata.

                            I criteri e le procedure dell’attuazione della legge sono indicati nell’articolo 7.

                            Uno o più regolamenti sono "da adottare a norma dell’articolo 117, sesto comma[5], della Costituzione" e "sentite le Commissioni parlamentari competenti, nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche".

                            Si faccia dunque attenzione che, per concretizzare la riforma, occorre attendere i decreti legislativi e successivamente i loro regolamenti, attraverso i quali si provvederà alla:

                            individuazione del nucleo essenziale dei piani di studio scolastici per la quota nazionale relativamente agli obiettivi specifici di apprendimento, alle discipline e alle attività costituenti la quota nazionale dei piani di studio, agli orari, ai limiti di flessibilità interni nell’organizzazione delle discipline;

                            determinazione delle modalità di valutazione dei crediti scolastici;

                            definizione[6] degli standard minimi formativi, richiesti per la spendibilità nazionale dei titoli professionali conseguiti all’esito dei percorsi formativi, nonché per i passaggi dai percorsi formativi ai percorsi scolastici.

                            Il solo "anticipo" di riforma già attuativo ai sensi della l. 53/03 riguarda l’età anagrafica necessaria per iscriversi alla scuola dell’infanzia (per gli anni 2003-2006) e alla scuola primaria (per l’anno scolastico 2003/04). La novità è introdotta con criteri di gradualità e in forma di sperimentazione, ferma restando la disponibilità di posti e di risorse finanziarie dei Comuni.

                            Per gli anni scolastici 2003-2004, 2004-2005 e 2005-2006 possono iscriversi, secondo criteri di gradualità e in forma di sperimentazione, compatibilmente con la disponibilità dei posti e delle risorse finanziarie dei comuni, secondo gli obblighi conferiti dall’ordinamento e nel rispetto dei limiti posti alla finanza comunale dal patto di stabilità, al primo anno della scuola dell’infanzia i bambini e le bambine che compiono i tre anni di età entro il 28 febbraio 2004, ovvero entro date ulteriormente anticipate, fino alla data del 30 aprile di cui all’articolo 2, comma 1, lettera e).

                            Per l’anno scolastico 2003-2004 possono iscriversi al primo anno della scuola primaria, nei limiti delle risorse finanziarie di cui al comma 5, i bambini e le bambine che compiono i sei anni di età entro il 28 febbraio 2004.

                            All’attuazione del piano programmatico della riforma è previsto che si provveda con finanziamenti iscritti annualmente nella legge finanziaria. Si tratta di un procedimento anomalo nella legislazione, giacché di solito una legge – a maggior ragione una legge di organica riforma - ha una propria copertura finanziaria, riferita a un arco temporale anche lungo (triennale, quinquennale).

                            La l. 53/03 – come precisa l’articolo 7 – richiede viceversa che ogni decreto attuativo riferisca il necessario specifico finanziamento alla legge finanziaria annuale dello Stato, segnalando - palesemente - che il problema delle risorse è notevole e non può esserci, al momento, copertura programmata. Così, ogni "anticipazione" di riforma corre il rischio di essere "a costo zero" o meglio sulle spalle di scuole, insegnanti ed Enti locali, qual è il caso dell’anticipo nella scuola dell’infanzia e primaria, soggetto alla disponibilità di fondi dei Comuni, senza garanzia alcuna che i docenti possano accedere a un fondo per l’aggiornamento, indispensabile a gestire i problemi delle nuove classi "anagraficamente miste".

                            Riforma e autonomia scolastica

                            Dal 1999 ogni atto legislativo che riguardi la scuola (così è anche per la legge delega di riforma) è tenuto alla formula "salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche". Queste ultime infatti, dal settembre 2000, sono diventate soggetti giuridici a piena autonomia funzionale, così come dispone il D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275[7].

                            Godere di autonomia funzionale significa determinare il "funzionamento" e provvedere "alla definizione e alla realizzazione dell'offerta formativa", ovviamente nel rispetto delle competenze delle Regioni, degli Enti locali e dello Stato.

                            L'autonomia delle istituzioni scolastiche, come precisa il Regolamento, "si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione".

                            Progettazione e realizzazione: questi sono i termini che meglio permettono di comprendere nel concreto che cosa sia l’autonomia scolastica. Determinate le norme generali, elencati i livelli essenziali delle prestazioni (gli obiettivi finali, gli standard), indicati i principi fondamentali, spetta alle istituzioni scolastiche progettare i modi e i tempi per conseguire i risultati e spetta ancora a esse realizzare i percorsi.

                            Lo Stato precisi dunque – a tempo debito - i sistemi (che sostituiscono i comparti), gli indirizzi di studio, le materie di insegnamento, i crediti da realizzare e certificare. Quel che però non può esistere più è il vecchio "programma" che prescrive i contenuti dettagliati e la loro successione, nonché le metodologie.

                            Se così non è, non si comprende che cosa sia l’autonomia delle scuole e il Piano dell'offerta formativa (POF) che "è il documento fondamentale costitutivo dell'identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche ed esplicita la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa ed organizzativa che le singole scuole adottano nell'ambito della loro autonomia".

                            Come si vede, il D.P.R. 275/99 è esplicito nel riferire alle istituzioni scolastiche anche la "progettazione curricolare", precisando che nell'esercizio dell'autonomia didattica e organizzativa le scuole "regolano i tempi dell'insegnamento e dello svolgimento delle singole discipline e attività potendo adottare tutte le forme di flessibilità che ritengono opportune".

                            Il punto nodale – per quanto concerne la definizione dei piani di studio - sta all’articolo 8 del D.P.R. 275/99 (Definizione dei curricoli). Vi si dice che spetta al Ministro dell’istruzione definire, per i diversi tipi e indirizzi di studio, gli obiettivi generali e specifici (ma pur sempre obiettivi), le discipline del curricolo nazionale e il corrispettivo monte ore annuale, i criteri della flessibilità, gli standard della qualità del servizio, gli indirizzi generali per la valutazione. Spetta alle istituzioni scolastiche la determinazione del curricolo, sulla base delle diverse esigenze formative.

                            Le "bozze" ministeriali mettono in pericolo l’autonomia

                            Il Ministero divulga da tempo alcuni documenti, tra cui le Indicazioni nazionali fornendone una chiave interpretativa[8].

                            E’ innanzi tutto disegnato il nuovo quadro costituzionale di riferimento: da una impostazione gerarchica a un’impostazione poliarchica.

                            Nell’ultimo decennio, e con un punto di non ritorno sanzionato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, il nostro Paese ha scelto di trasformare la natura e la struttura del sistema educativo nazionale di istruzione e di formazione. Da un modello fondato sulle esclusive prerogative dello Stato si è passati ad un modello che fa interagire in maniera integrata tre diverse competenze: quella dello Stato, quella delle Regioni e degli enti territoriali e, infine, quella delle istituzioni scolastiche autonome.

                            Il passaggio da un impostazione unitariamente gerarchica ad un’impostazione poliarchica, che valorizza le autonomie degli enti territoriali (Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni) e delle istituzioni scolastiche, non è una tendenza soltanto italiana, ma internazionale.

                            Dimenticando tutti i malanni di un’impostazione unitariamente gerarchica – che ha posto lacci e laccioli alla progettazione didattica, che ha allenato a individuare i modi di superare i vincoli per far funzionare una scuola che altrimenti sarebbe davvero alla deriva – il Ministero sottolinea due possibili rischi per l’impostazione che definisce poliarchica.

                            Il primo è quello della frammentazione del sistema educativo nazionale di istruzione e di formazione. Frammentazione significa accettare come naturali forti dislivelli sia di quantità sia di qualità dell’offerta formativa, a seconda delle persone e dei territori di riferimento.

                            Il secondo è quello della polarizzazione, ovvero della propensione a costituire all’interno di ogni diverso territorio nazionale l’esistenza di scuole di serie A e di serie B, con rinnovate forme di esclusione e di emarginazione che non sembrano accettabili prima sul piano educativo che sociale e democratico.

                            Per contrastare questi rischi, il Ministero propone – attraverso le Indicazioni nazionali - un nuovo equilibrio tra i compiti e i poteri dello Stato, degli Enti locali e delle istituzioni scolastiche. C’è da domandarsi – con una qualche indignazione - se questa sia la giusta sede e questo il corretto mezzo per mettere in discussione un contesto costituzionale e legislativo. Entriamo comunque nel merito.

                            Nella impostazione poliarchica, lo Stato, tramite la responsabilità politica e tecnica del Ministero dell’Istruzione, è chiamato a svolgere tre funzioni:

                            a) governare unitariamente il sistema educativo nazionale di istruzione e di formazione della Repubblica;

                            b) controllare la qualità complessiva del sistema, badando a che sia omogeneamente distribuita sull’intero nazionale;

                            c) intervenire con provvedimenti perequativi (finanziari e/o tecnici) per sostenere l’azione delle scuole e dei docenti che ne avessero necessità e che, per quanto riguarda gli interventi tecnicoprofessionali, ne facessero richiesta per migliorare le proprie prestazioni.

                            Le tre funzioni riservate allo Stato sono ampiamente condivisibili e possono essere pienamente esercitate al livello delle norme generali, della definizione dei livelli essenziali e dei principi fondamentali. Qual è dunque il problema?

                            Non solo: perché il problema è visto "fuori dall’impostazione della riforma della scuola"? Perché – in base a chissà quale automatismo – una competenza statale e una competenza regionale dovrebbero sviluppare scuole di serie A e B, qualora siano "pari" la qualità e la quantità dell’offerta, in relazione a "direttive nazionali" che, nel rispetto dell’attuale legislazione, siano finalizzate a concretizzare "pari dignità" di percorsi?

                            Non confidando – evidentemente - nei dirigenti scolastici, negli insegnanti, nelle Regioni e negli Enti locali, interpretando la "ratio" dell’articolo 117 della Costituzione, il Ministero sente il bisogno di tracciare un quadro di collaborazione nel rispetto delle reciproche competenze – come non essere d’accordo – finalizzata a una politica formativa radicata sul territorio, senza per questo perdere unitarietà e coordinamento con le politiche formative nazionali.

                            Per combattere i rischi della frammentazione e della polarizzazione del sistema educativo nazionale di istruzione e di formazione, all’interno del quadro formativo unitario tracciato nel Profilo e nelle Indicazioni nazionali, si presuppone e si valorizza il ruolo programmatorio e di coordinamento gestionale degli enti territoriali. In questo senso, non solo si considerano i disposti degli articoli 138 e 139 del Dlgs. n. 112 del 31 marzo 1998, emanato in attuazione della legge n. 59/97, ma si tiene conto anche del nuovo art. 117 della Costituzione.

                            La ratio di questo articolo è, del resto, nota. Il Costituente desidera che, a regime, Stato e Regioni, da una parte, e Regioni ed enti territoriali, insieme alle 11.000 istituzioni scolastiche, dall’altra, collaborino tra loro e, pur nel rispetto delle reciproche competenze specifiche, elaborino una politica formativa al servizio degli allievi e delle famiglie che sia sì radicata nel territorio, empirica e non astrattamente ideologica, ma non per questo perda unitarietà e, soprattutto, coordinamento con le politiche formative nazionali.

                            A voler essere empirici e non astrattamente ideologici – come il Ministero ci richiama a essere – si ha l’impressione che la questione sia posta fuori persino dai termini della realtà. Non è legittimo, ma neppure credibile, che le Regioni siano mosse dall’intenzione di forgiare "propri" sistemi di istruzione (diverso sarà l’intendimento per il sistema di istruzione e formazione professionale) discostandosi dalle politiche formative nazionali fino a causare la perdita dell’unitarietà.

                            Ciò che è empiricamente in pericolo, minacciato dalla natura delle Indicazioni nazionali e dalla loro prescrittività, è semmai l’autonomia e la progettualità delle istituzioni scolastiche.

                            Veniamo così a un punto più critico, in cui il Ministero spiega che, per assicurare il governo unitario del sistema educativo nazionale, dà attuazione all’articolo 8 del D.P.R. 275/99 predisponendo due tipologie di documenti nazionali[9] "che hanno un valore prescrittivo per l’autonoma progettualità delle scuole e dei docenti".

                            Un curioso concetto di prescrittività

                            Dobbiamo qui soffermarci sul concetto quantomeno insolito di "prescrittività" che il Ministero esplicita entrando nel merito del ruolo delle istituzioni scolastiche autonome.

                            Si parte da una ridefinizione della prescrittività, tanto è vero che le scuole sono allertate a non leggere le Indicazioni nazionali come i tradizionali "programmi" (che dovevano essere "applicati" e chiamavano i docenti alla "esecutività").

                            La nuova prescrittività si esprime da un lato sul piano epistemologico astratto e generale (determinazione dei livelli essenziali di prestazione), dall’altro come "materia prima" cui gli insegnanti devono dare "forma", insomma un blocco di pietra da scolpire, per cui sono richieste "progettazione, creatività, autonomia".

                            Questa "materia prima" è molto di più dell’indicazione degli obiettivi (generali e specifici), ma il Ministero rassicura che tutto è da intendersi "in maniera pedagogica" (tocca questa volta al termine "pedagogia" essere ridefinito in maniera davvero stravagante): si leggono così vere e proprie liste di "contenuti" mescolati confusamente a obiettivi, il tutto suddiviso in due colonne non ben conformi nella loro tipologia – il Ministero per primo invita a leggerle congiuntamente - che non risultano nemmeno organiche come i vecchi programmi ante-autonomia.

                            Tali obiettivi sono "obbligatori – dice il Ministero – se, quando e in quanto corrispondono alle esigenze di apprendimento dei singoli allievi, nella realtà scolastica e ambientale che vivono; e quindi, se e nella misura in cui sono trasformabili dai docenti in obiettivi formativi significativi e motivanti per gli allievi".

                            In regime di autonomia, nel rispetto della libertà di insegnamento, alla luce di ogni didattica (e di ogni pedagogia) la precedente affermazione ministeriale risulterebbe più che scontata, quasi inutile se non fosse che in realtà si è andati oltre l’indicazione degli obiettivi e si sono volute disegnare come prescrittive vere e proprie "unità di apprendimento", con possibilità di "trasgressione".

                            E che si tratti – nella visione ministeriale – di una trasgressione alla prescrittività, pur con tutte le ridefinizioni terminologiche, è chiaro laddove si afferma che "ogni scuola autonoma e ogni docente deve assumersi la responsabilità di «rendere conto» delle scelte fatte e di porre gli allievi, le famiglie e il territorio nella condizione di conoscerle e di condividerle anche negli scostamenti intenzionali rispetto agli obiettivi specifici di apprendimento delle Indicazioni nazionali".

                            Non può sfuggire l’evidente complessità di un ragionamento che vuole coniugare due concetti in antitesi: prescrittività e autonomia. Ci si domanda perché non si sia seguita la via più semplice, da attivare a tempo debito, di una definizione degli obiettivi generali/specifici e degli standard formativi. E ci si domanda anche perché si sia ritenuta necessaria l’indicazione di una "materia prima" rivolta a professionisti dell’insegnamento. Se qualche esemplificazione poteva ritenersi necessaria per gli insegnanti alle prime armi, essa poteva essere divulgata, ma non certo in forma di Indicazioni nazionali a valore prescrittivo.

                            L’invasione riguarda anche l’organizzazione del lavoro scolastico

                            Dal Ministero vengono anche precise indicazioni sull’organizzazione del lavoro scolastico, che il lettore giudicherà se pertinenti ai criteri fondamentali o invasivi dell’autonomia delle istituzioni scolastiche.

                            Criticando l’unità amministrativa "classe", anche come criterio per l’assegnazione dei docenti, si suggerisce un’organizzazione del lavoro basata sul "singolo allievo". La prospettiva è affascinante e tutte le didattiche finalizzate al successo formativo e alla prevenzione della dispersione sono andate in tal senso, scontrandosi con vincoli di realtà legati alle risorse e alla condizioni complessive dell’organizzazione del lavoro scolastico. La riforma offre nuove garanzie? Aumenta – condizione indispensabile per un insegnamento individualizzato - il numero dei docenti? Vediamo.

                            Si chiede alle scuola di progettare in maniera molto innovativa la propria organizzazione. Finora, tale organizzazione ha perlopiù visto il suo elemento costitutivo e fondante nella «classe», intesa come unità amministrativa primaria verso cui far confluire tutte le attenzioni e i provvedimenti (dall’assegnazione dei docenti all’orario settimanale e annuale delle lezioni).

                            Si suggerisce, invece, di verificare l’efficacia di un’altra impostazione. Si propone, infatti, di considerare elemento primario e costitutivo della nuova organizzazione della scuola le «persone», e, nel caso specifico, i singoli allievi.

                            Due sono le modalità organizzative indicate dal Ministero.

                            La prima è quella che impiega il Gruppo classe, cioè un Gruppo numeroso di allievi chiamato a svolgere insieme attività prevalentemente omogenee ed unitarie.

                            La seconda è quella centrata sui Laboratori, nella quale i ragazzi lavorano, invece, in Gruppi di livello, di compito ed elettivi.

                            Ora, l’alternanza di questi diversi momenti di lavoro non può, da un lato, prescindere dall’età degli allievi, con il rischio di disorientarli, e, dall’altro lato, non può nemmeno essere improvvisata od obbedire più ad astratte esigenze di organizzazione scolastica che ai bisogni dello studente.

                            Le Indicazioni ministeriali entrano per davvero nel merito dell’autonomia organizzativa delle istituzioni scolastiche, anche con il poco tatto di presupporre "improvvisazione" e "astratte esigenze" cui si pone riparo con Indicazioni prescrittive. Viene da domandarsi se il Ministero si renda conto della gravità delle proprie affermazioni dato che o si tratta di un processo alle intenzioni, un pour parler che non si addice a una Istituzione statale, oppure si hanno dati che debbono essere resi pubblici e trasparenti.

                            Ciò che il Ministero propone si può riassumere in poche parole: un grande gruppo classe, con il massimo numero possibile di allievi, e gruppi di livello. Si tratta di un sistema organizzativo già sperimentato in Europa e in Italia, che ha le sue ragioni di essere e che permette la differenziazione degli insegnamenti (non certo la personalizzazione degli apprendimenti come parevano auspicare le premesse ministeriali).

                            Nell’esperienza degli insegnanti altri sistemi organizzativi possono essere stati convalidati e dovrebbero potersi riproporre in esercizio di autonomia, considerando però che gli intendimenti ministeriali vanno nel senso di ridurre drasticamente le risorse umane non tanto in quantità (forse anche) quanto in flessibilità di funzione, tant’è che ad esempio nella scuola primaria torna il "maestro unico". Non tragga in inganno la nuova nomenclatura: si tratta di un "tutor" – caricato anche di tutti i compiti del tutor – che però è tenuto a insegnare nel "gruppo classe" coprendo il 70% delle ore.

                            Infausta è la semplificazione della programmazione

                            Organizzato il lavoro, si passa alla programmazione didattica chiedendo ai docenti la predisposizione di due documenti che sostituiscono quelli attuali.

                            I Piani Personalizzati non presentano – a parere di chi scrive – nessuna novità rispetto alla prassi da lungo tempo consolidata nelle scuole. Essi "sono il risultato delle Unità di Apprendimento a volta a volta predisposte dai docenti per gli allievi nel corso dell’anno. Ogni Unità di Apprendimento si compone degli obiettivi formativi, delle attività, dei metodi e delle soluzioni organizzative necessarie per trasformare gli obiettivi in competenze individuali; contiene, infine, le modalità con cui si sono verificate e valutate tali competenze".

                            Del Portfolio delle competenze individuali se ne parla da tempo e numerose scuole lo hanno già sperimentato.

                            Non è un mero contenitore, ma costituisce una collezione strutturata, selezionata e commentata/valutata di materiali particolarmente paradigmatici prodotti dallo studente, che consentono di conoscere l’ampiezza e la profondità delle sue competenze e, allo stesso tempo, della maggiore o minore pertinenza degli interventi didattici adottati. Seguirà poi lo studente per tutta la durata del suo percorso scolastico. Con gli opportuni adattamenti, potrà, inoltre, rimanere un documento che accompagna i cittadini anche dopo i 12 anni di istruzione e formazione obbligatoria, come strumento da utilizzare per la ricerca del lavoro, la riconversione professionale e la formazione continua. Esso comprende una sezione dedicata alla valutazione e una dedicata all’orientamento di ogni singolo allievo. È compilato dal docente Tutor, in collaborazione con i colleghi dei Laboratori, ma è aperto anche alla collaborazione dei genitori e degli stessi fanciulli. La riflessione critica sul Portfolio e sulla sua compilazione costituisce un’occasione per migliorare e comparare le pratiche di insegnamento e per attivare processi di autonomia di ricerca e di sviluppo professionale.

                            I due strumenti di programmazione didattica paiono validi. Sorge un unico dubbio, se non altro perché negli ambienti vicini al Ministero circola la voce che finalmente si buttino via tante inutile scartoffie, moduli, schede e si venga al sodo; soprattutto niente più programmazione preventiva, che poi costringe a documenti consuntivi e correttivi.

                            A ben leggere le indicazioni ministeriali, in effetti i Piani Personalizzati sembrerebbero il "risultato", la raccolta delle unità di apprendimento. Così resta l’incertezza di come si effettui una "programmazione" (il termine è sufficientemente esplicito a indicare un programma, non un fare o un fatto), dove e come tale programmazione sia pubblica e trasparente, chi e come possa controllare e coordinare.

                            L’autonomia (sic) si restringe al 15%?

                            E per chiudere, la chicca di un refuso – così ci auguriamo che sia – che si ripete nelle Indicazioni nazionali della scuola primaria e secondaria di primo grado.

                            L'autonomia [sic] delle istituzioni scolastiche di cui al Dpr. 275/99 si esercita fino al limite del 15% di tutti i vincoli dettati nelle Indicazioni Nazionali; per quanto riguarda l’autonomia didattica [sic], può intensificare per espansione o concentrazione, fino allo stesso limite, con apposite Unità di Apprendimento, l’approfondimento e il radicamento territoriale degli obiettivi specifici di apprendimento; implica, inoltre, l’opportunità di organizzare le attività educative e didattiche obbligatorie sia per attività frontali, sia per Laboratori, e di alternare, a seconda delle esigenze di apprendimento individuali, gruppi classe e gruppi di classe e/o interclasse di livello, di compito o elettivi; restando ferme le disposizioni vigenti in proposito, dispone, infine, sugli eventuali ampliamenti dell’offerta formativa.

                            Vorremmo pensare che il 15% ministeriale si riferisca alla "flessibilità" e non alla "autonomia".

                            Ciò che mette in allarme è l’insistenza del concetto, giacché il Ministero pone limiti – e modalità – anche all’autonomia didattica.

                            Sorge allora il dubbio che lo Stato voglia esercitare la propria competenza sui principi fondamentali – l’autonomia è un principio fondamentale – disciplinando una tale restrizione da vanificare l’autonomia stessa.

                            La scuola si è spesso lamentata, in questi anni, di un’autonomia difficile da esercitare, in particolare in assenza di nuove condizioni di riforma. L’ironia della sorte potrebbe frantumare l’autonomia proprio nel momento dell’attuazione della riforma.

                            Spesso gli insegnanti, segnati da una tradizione di circolari tanto fastidiose quanto rassicuranti, hanno dimostrato fastidio per un’autonomia difficile da gestire e fors’anche da credere vera.

                            La riforma Moratti potrebbe illudersi di giocare su queste incertezze, senza valutare che – pur nelle mille difficoltà – l’autonomia è una realtà e le scuole difficilmente potranno accettare di subire nuovamente i lacci e i laccioli della burocrazia.



                            vi basta?
                            Non commettere atti che non siano puri, cioe' non disperdere il seme...
                            Feconda una donna ogni volta che l'ami cosi' sarai uomo di fede.
                            Poi la voglia svanisce ed il figlio rimane e tanti ne uccide la fame.
                            Io forse ho confuso il piacere e l'amore ma non ho creato dolore.

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                            • Magnetuss
                              Bodyweb Member
                              • Nov 2002
                              • 2668
                              • 54
                              • 30
                              • Gotham City
                              • Send PM

                              Originariamente Scritto da Amicos
                              Caro "Invidia" hai mai visto una persona(in Italia)che ha comprato una societa' assicurativa a 70 miliardi di vecchie lire e adesso vale 50 volte in piu'?e di quste operazioni ne ha fatte decine...secondo te questa capacita'cos'e'?
                              FINE.
                              Forse non ti stai rendendo conto che l'unico a invidiare qualcuno qua sei tu: mica sono io a dire "minchia quanto èbbravooo..."
                              Ma ci sei o ci fai?

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                              • Ayurvedi77
                                Bodyweb Senior
                                • Apr 2002
                                • 1632
                                • 19
                                • 6
                                • Pisa
                                • Send PM

                                Originariamente Scritto da medea
                                Ormai è chiaro: la formula ministeriale per disgregare è quella di ridefinire e ampliare. E’ così per l’obbligo scolastico e, a quanto pare, non ha scampo neppure l’autonomia.

                                Vediamo l’obbligo. Esso è ridefinito nei termini di un "diritto-dovere" che evidentemente non è un "obbligo". E, per ironia della sorte, lo si "amplia" restringendolo: il trucco è facile, basta partire per l’appunto da una ridefinizione. L’obbligo scolastico era di nove anni e, ad approvazione di riforma, avrebbe dovuto essere di dieci. Ora gli anni sono dodici, peccato che l’obbligo scolastico è tornato al dettato costituzionale di otto anni e gli altri quattro sono di diritto formativo, nel canale dell’istruzione-formazione professionale, in alternanza scuola-lavoro o nell’apprendistato. Un bel "gioco di numeri" che in sostanza fa tornare l’Italia tra i pochi Paesi del mondo dove la cultura diffusa (quindi un obbligo scolastico che garantisca a tutti una solida base culturale) non è un valore, neppure a confronto con i fabbisogni evidenti di una società (e anche un’economia, come fa notare Confindustria) che si appoggia sulla "conoscenza".

                                Un po’ in sordina si va a ridefinire anche l’autonomia – quella delle istituzioni scolastiche e quella delle Regioni e degli Enti locali – e con uno straordinario giro di parole si tenta di convincere tutti che si è ampliato e modernizzato il concetto di "prescrizione" ministeriale. Invece si torna indietro – pesantemente – e soprattutto si mina il rispetto delle leggi che esistono. Il punto è che, facendo saltare le regole e puntando sulla forza del convincimento mediatico, si possono ottenere effetti che stupiscono quando poi ci si accorge di ciò che è avvenuto. Meglio capire in tempo come stanno le cose.

                                Che cosa sta capitando

                                Dire, prima dei decreti legislativi e dei regolamenti attuativi, come saranno i programmi di insegnamento della scuola riformata dovrebbe essere un compito impossibile. Non è dello stesso avviso il Ministero dell’istruzione che, nel proprio web, propone "programmi" e ne sancisce il valore prescrittivo.

                                Ciò non si concilia con l’iter procedurale previsto dalla stessa l. 53/03. Che si voglia andare in fretta (mai buona consigliera) nell’attuazione della riforma è un conto (forse di legislatura), che si saltino i passaggi e l’esercizio delle legittime competenze è tutt’altro fatto, preoccupante.

                                Quel che sembra non avere la dovuta considerazione presso il Ministero – guardiamo i fatti, non le parole - è l’autonomia scolastica e la ripartizione delle competenze ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione.

                                Sentiti gli insegnanti, gli studenti, le famiglie (chi, dove, quando, come?) il Ministero parrebbe ritenersi depositario di una volontà popolare e di conseguenza avocare a sé le decisioni anche oltre le proprie competenze.

                                A noi pare che proprio il rispetto delle regole possa essere l’unica vera garanzia per le istituzioni scolastiche, i docenti, i cittadini e l’esercizio di quelle funzioni che sono cresciute nell’autonomia scolastica e territoriale.

                                C’è il problema – chi non lo vede – di garantire unitarietà nazionale al sistema di istruzione e formazione, affinché le opportunità formative siano pari e i nuovi livelli culturali siano sinergici allo sviluppo dell’intera società, del Paese. Le competenze riservate allo Stato servono proprio a questo e si declinano come norme generali, definizione dei livelli delle prestazioni (gli standard) e principi fondamentali. Non c’è alcuna legittimità nell’andare oltre. A meno che si voglia dubitare della capacità progettuale delle istituzioni scolastiche, della professionalità degli insegnanti, della volontà delle Regioni e degli Enti locali di coniugare le norme nazionali nella migliore rispondenza alle reali esigenze del territorio e dei cittadini.

                                L’allarme è forte: rischia di essere intaccato il valore dell’autonomia e del decentramento del governo e della gestione del sistema scolastico-formativo, finalmente conquistati a contrastare un centralismo burocratico e autoreferente. Né si comprende perché proprio una riforma – un passo in avanti di miglioramento – sia colta come occasione per ripristinare una impropria centralità ministeriale.

                                Si tratta di una situazione allarmante nei contenuti e nei modi, poiché qualcosa di simile a un abuso di funzione, anziché palesarsi in trasparenza e nelle dovute sedi, si insinua nella comunicazione mediale e potrebbe essere recepito negli aspetti rassicuranti di sapere qualcosa di concreto sulla riforma, cavalcando la cattiva abitudine di molti, anche di alcuni operatori della scuola, di valutare una riforma della scuola andando subito al "sodo", cioè ai programmi, mentre è palese che una riforma di questa sconvolgente portata non può essere valutata solo in base alla lettura dei programmi curricolari. Ciò che oggi circola è peraltro in forma di "bozza" cosicché corriamo il rischio di abbassare la guardia. E intanto le parole – che sono pietre - circolano.

                                Occorre dunque svegliarsi, vigilare, esercitare ciascuno le legittime funzioni e impedire che accadano effetti mediali, che ben conosciamo nella nostra meravigliosa società della comunicazione, dove talvolta diventa vero e "legittimo" ciò che dicono la televisione, la stampa e il web.

                                Una legge "delega" deve attendere di essere precisata

                                La legge 28 marzo 2003, n. 53[1] è una "legge delega" che attribuisce al Governo il compito della "definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale".

                                Due punti sono chiari:

                                · la definizione è delegata, attende di essere formulata attraverso decreti legislativi e successivi regolamenti attuativi;

                                · sono oggetto della definizione le norme generali e i livelli essenziali delle prestazioni, esattamente nei termini delle competenze conservate allo Stato dalla riforma costituzionale[2].

                                L’articolo 1 precisa i termini della delega.

                                Il Governo è delegato ad adottare, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, nel rispetto delle competenze costituzionali delle regioni e di comuni e province, in relazione alle competenze conferite ai diversi soggetti istituzionali, e dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, uno o più decreti legislativi per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e di istruzione e formazione professionale.

                                Non v’è ombra di dubbio sul da farsi: le norme generali e i livelli essenziali dovranno essere definiti attraverso uno o più decreti legislativi entro il 17 aprile 2005, nel rispetto delle competenze costituzionali delle Regioni, delle Province, dei Comuni e nel rispetto delle funzioni delle istituzioni scolastiche autonome.

                                Qual è il percorso per giungere ai decreti legislativi? La legge assegna a numerosi soggetti ruoli di proposta, di parere e di intesa. A proporre sono i Ministri[3], il parere – da esprimersi entro sessanta giorni – è delle Commissioni della Camera e del Senato e della Conferenza unificata[4], cui spetta, in alcune materie, il ruolo determinante di un’intesa.

                                Prima di promulgare i decreti legislativi c’è un ulteriore passo da compiere. Entro il 16 luglio 2003 il Ministro dell’istruzione è tenuto a predisporre un Piano programmatico di interventi finanziari, che deve essere approvato dal Consiglio dei Ministri, previa intesa con la Conferenza unificata.

                                I criteri e le procedure dell’attuazione della legge sono indicati nell’articolo 7.

                                Uno o più regolamenti sono "da adottare a norma dell’articolo 117, sesto comma[5], della Costituzione" e "sentite le Commissioni parlamentari competenti, nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche".

                                Si faccia dunque attenzione che, per concretizzare la riforma, occorre attendere i decreti legislativi e successivamente i loro regolamenti, attraverso i quali si provvederà alla:

                                individuazione del nucleo essenziale dei piani di studio scolastici per la quota nazionale relativamente agli obiettivi specifici di apprendimento, alle discipline e alle attività costituenti la quota nazionale dei piani di studio, agli orari, ai limiti di flessibilità interni nell’organizzazione delle discipline;

                                determinazione delle modalità di valutazione dei crediti scolastici;

                                definizione[6] degli standard minimi formativi, richiesti per la spendibilità nazionale dei titoli professionali conseguiti all’esito dei percorsi formativi, nonché per i passaggi dai percorsi formativi ai percorsi scolastici.

                                Il solo "anticipo" di riforma già attuativo ai sensi della l. 53/03 riguarda l’età anagrafica necessaria per iscriversi alla scuola dell’infanzia (per gli anni 2003-2006) e alla scuola primaria (per l’anno scolastico 2003/04). La novità è introdotta con criteri di gradualità e in forma di sperimentazione, ferma restando la disponibilità di posti e di risorse finanziarie dei Comuni.

                                Per gli anni scolastici 2003-2004, 2004-2005 e 2005-2006 possono iscriversi, secondo criteri di gradualità e in forma di sperimentazione, compatibilmente con la disponibilità dei posti e delle risorse finanziarie dei comuni, secondo gli obblighi conferiti dall’ordinamento e nel rispetto dei limiti posti alla finanza comunale dal patto di stabilità, al primo anno della scuola dell’infanzia i bambini e le bambine che compiono i tre anni di età entro il 28 febbraio 2004, ovvero entro date ulteriormente anticipate, fino alla data del 30 aprile di cui all’articolo 2, comma 1, lettera e).

                                Per l’anno scolastico 2003-2004 possono iscriversi al primo anno della scuola primaria, nei limiti delle risorse finanziarie di cui al comma 5, i bambini e le bambine che compiono i sei anni di età entro il 28 febbraio 2004.

                                All’attuazione del piano programmatico della riforma è previsto che si provveda con finanziamenti iscritti annualmente nella legge finanziaria. Si tratta di un procedimento anomalo nella legislazione, giacché di solito una legge – a maggior ragione una legge di organica riforma - ha una propria copertura finanziaria, riferita a un arco temporale anche lungo (triennale, quinquennale).

                                La l. 53/03 – come precisa l’articolo 7 – richiede viceversa che ogni decreto attuativo riferisca il necessario specifico finanziamento alla legge finanziaria annuale dello Stato, segnalando - palesemente - che il problema delle risorse è notevole e non può esserci, al momento, copertura programmata. Così, ogni "anticipazione" di riforma corre il rischio di essere "a costo zero" o meglio sulle spalle di scuole, insegnanti ed Enti locali, qual è il caso dell’anticipo nella scuola dell’infanzia e primaria, soggetto alla disponibilità di fondi dei Comuni, senza garanzia alcuna che i docenti possano accedere a un fondo per l’aggiornamento, indispensabile a gestire i problemi delle nuove classi "anagraficamente miste".

                                Riforma e autonomia scolastica

                                Dal 1999 ogni atto legislativo che riguardi la scuola (così è anche per la legge delega di riforma) è tenuto alla formula "salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche". Queste ultime infatti, dal settembre 2000, sono diventate soggetti giuridici a piena autonomia funzionale, così come dispone il D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275[7].

                                Godere di autonomia funzionale significa determinare il "funzionamento" e provvedere "alla definizione e alla realizzazione dell'offerta formativa", ovviamente nel rispetto delle competenze delle Regioni, degli Enti locali e dello Stato.

                                L'autonomia delle istituzioni scolastiche, come precisa il Regolamento, "si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione".

                                Progettazione e realizzazione: questi sono i termini che meglio permettono di comprendere nel concreto che cosa sia l’autonomia scolastica. Determinate le norme generali, elencati i livelli essenziali delle prestazioni (gli obiettivi finali, gli standard), indicati i principi fondamentali, spetta alle istituzioni scolastiche progettare i modi e i tempi per conseguire i risultati e spetta ancora a esse realizzare i percorsi.

                                Lo Stato precisi dunque – a tempo debito - i sistemi (che sostituiscono i comparti), gli indirizzi di studio, le materie di insegnamento, i crediti da realizzare e certificare. Quel che però non può esistere più è il vecchio "programma" che prescrive i contenuti dettagliati e la loro successione, nonché le metodologie.

                                Se così non è, non si comprende che cosa sia l’autonomia delle scuole e il Piano dell'offerta formativa (POF) che "è il documento fondamentale costitutivo dell'identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche ed esplicita la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa ed organizzativa che le singole scuole adottano nell'ambito della loro autonomia".

                                Come si vede, il D.P.R. 275/99 è esplicito nel riferire alle istituzioni scolastiche anche la "progettazione curricolare", precisando che nell'esercizio dell'autonomia didattica e organizzativa le scuole "regolano i tempi dell'insegnamento e dello svolgimento delle singole discipline e attività potendo adottare tutte le forme di flessibilità che ritengono opportune".

                                Il punto nodale – per quanto concerne la definizione dei piani di studio - sta all’articolo 8 del D.P.R. 275/99 (Definizione dei curricoli). Vi si dice che spetta al Ministro dell’istruzione definire, per i diversi tipi e indirizzi di studio, gli obiettivi generali e specifici (ma pur sempre obiettivi), le discipline del curricolo nazionale e il corrispettivo monte ore annuale, i criteri della flessibilità, gli standard della qualità del servizio, gli indirizzi generali per la valutazione. Spetta alle istituzioni scolastiche la determinazione del curricolo, sulla base delle diverse esigenze formative.

                                Le "bozze" ministeriali mettono in pericolo l’autonomia

                                Il Ministero divulga da tempo alcuni documenti, tra cui le Indicazioni nazionali fornendone una chiave interpretativa[8].

                                E’ innanzi tutto disegnato il nuovo quadro costituzionale di riferimento: da una impostazione gerarchica a un’impostazione poliarchica.

                                Nell’ultimo decennio, e con un punto di non ritorno sanzionato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, il nostro Paese ha scelto di trasformare la natura e la struttura del sistema educativo nazionale di istruzione e di formazione. Da un modello fondato sulle esclusive prerogative dello Stato si è passati ad un modello che fa interagire in maniera integrata tre diverse competenze: quella dello Stato, quella delle Regioni e degli enti territoriali e, infine, quella delle istituzioni scolastiche autonome.

                                Il passaggio da un impostazione unitariamente gerarchica ad un’impostazione poliarchica, che valorizza le autonomie degli enti territoriali (Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni) e delle istituzioni scolastiche, non è una tendenza soltanto italiana, ma internazionale.

                                Dimenticando tutti i malanni di un’impostazione unitariamente gerarchica – che ha posto lacci e laccioli alla progettazione didattica, che ha allenato a individuare i modi di superare i vincoli per far funzionare una scuola che altrimenti sarebbe davvero alla deriva – il Ministero sottolinea due possibili rischi per l’impostazione che definisce poliarchica.

                                Il primo è quello della frammentazione del sistema educativo nazionale di istruzione e di formazione. Frammentazione significa accettare come naturali forti dislivelli sia di quantità sia di qualità dell’offerta formativa, a seconda delle persone e dei territori di riferimento.

                                Il secondo è quello della polarizzazione, ovvero della propensione a costituire all’interno di ogni diverso territorio nazionale l’esistenza di scuole di serie A e di serie B, con rinnovate forme di esclusione e di emarginazione che non sembrano accettabili prima sul piano educativo che sociale e democratico.

                                Per contrastare questi rischi, il Ministero propone – attraverso le Indicazioni nazionali - un nuovo equilibrio tra i compiti e i poteri dello Stato, degli Enti locali e delle istituzioni scolastiche. C’è da domandarsi – con una qualche indignazione - se questa sia la giusta sede e questo il corretto mezzo per mettere in discussione un contesto costituzionale e legislativo. Entriamo comunque nel merito.

                                Nella impostazione poliarchica, lo Stato, tramite la responsabilità politica e tecnica del Ministero dell’Istruzione, è chiamato a svolgere tre funzioni:

                                a) governare unitariamente il sistema educativo nazionale di istruzione e di formazione della Repubblica;

                                b) controllare la qualità complessiva del sistema, badando a che sia omogeneamente distribuita sull’intero nazionale;

                                c) intervenire con provvedimenti perequativi (finanziari e/o tecnici) per sostenere l’azione delle scuole e dei docenti che ne avessero necessità e che, per quanto riguarda gli interventi tecnicoprofessionali, ne facessero richiesta per migliorare le proprie prestazioni.

                                Le tre funzioni riservate allo Stato sono ampiamente condivisibili e possono essere pienamente esercitate al livello delle norme generali, della definizione dei livelli essenziali e dei principi fondamentali. Qual è dunque il problema?

                                Non solo: perché il problema è visto "fuori dall’impostazione della riforma della scuola"? Perché – in base a chissà quale automatismo – una competenza statale e una competenza regionale dovrebbero sviluppare scuole di serie A e B, qualora siano "pari" la qualità e la quantità dell’offerta, in relazione a "direttive nazionali" che, nel rispetto dell’attuale legislazione, siano finalizzate a concretizzare "pari dignità" di percorsi?

                                Non confidando – evidentemente - nei dirigenti scolastici, negli insegnanti, nelle Regioni e negli Enti locali, interpretando la "ratio" dell’articolo 117 della Costituzione, il Ministero sente il bisogno di tracciare un quadro di collaborazione nel rispetto delle reciproche competenze – come non essere d’accordo – finalizzata a una politica formativa radicata sul territorio, senza per questo perdere unitarietà e coordinamento con le politiche formative nazionali.

                                Per combattere i rischi della frammentazione e della polarizzazione del sistema educativo nazionale di istruzione e di formazione, all’interno del quadro formativo unitario tracciato nel Profilo e nelle Indicazioni nazionali, si presuppone e si valorizza il ruolo programmatorio e di coordinamento gestionale degli enti territoriali. In questo senso, non solo si considerano i disposti degli articoli 138 e 139 del Dlgs. n. 112 del 31 marzo 1998, emanato in attuazione della legge n. 59/97, ma si tiene conto anche del nuovo art. 117 della Costituzione.

                                La ratio di questo articolo è, del resto, nota. Il Costituente desidera che, a regime, Stato e Regioni, da una parte, e Regioni ed enti territoriali, insieme alle 11.000 istituzioni scolastiche, dall’altra, collaborino tra loro e, pur nel rispetto delle reciproche competenze specifiche, elaborino una politica formativa al servizio degli allievi e delle famiglie che sia sì radicata nel territorio, empirica e non astrattamente ideologica, ma non per questo perda unitarietà e, soprattutto, coordinamento con le politiche formative nazionali.

                                A voler essere empirici e non astrattamente ideologici – come il Ministero ci richiama a essere – si ha l’impressione che la questione sia posta fuori persino dai termini della realtà. Non è legittimo, ma neppure credibile, che le Regioni siano mosse dall’intenzione di forgiare "propri" sistemi di istruzione (diverso sarà l’intendimento per il sistema di istruzione e formazione professionale) discostandosi dalle politiche formative nazionali fino a causare la perdita dell’unitarietà.

                                Ciò che è empiricamente in pericolo, minacciato dalla natura delle Indicazioni nazionali e dalla loro prescrittività, è semmai l’autonomia e la progettualità delle istituzioni scolastiche.

                                Veniamo così a un punto più critico, in cui il Ministero spiega che, per assicurare il governo unitario del sistema educativo nazionale, dà attuazione all’articolo 8 del D.P.R. 275/99 predisponendo due tipologie di documenti nazionali[9] "che hanno un valore prescrittivo per l’autonoma progettualità delle scuole e dei docenti".

                                Un curioso concetto di prescrittività

                                Dobbiamo qui soffermarci sul concetto quantomeno insolito di "prescrittività" che il Ministero esplicita entrando nel merito del ruolo delle istituzioni scolastiche autonome.

                                Si parte da una ridefinizione della prescrittività, tanto è vero che le scuole sono allertate a non leggere le Indicazioni nazionali come i tradizionali "programmi" (che dovevano essere "applicati" e chiamavano i docenti alla "esecutività").

                                La nuova prescrittività si esprime da un lato sul piano epistemologico astratto e generale (determinazione dei livelli essenziali di prestazione), dall’altro come "materia prima" cui gli insegnanti devono dare "forma", insomma un blocco di pietra da scolpire, per cui sono richieste "progettazione, creatività, autonomia".

                                Questa "materia prima" è molto di più dell’indicazione degli obiettivi (generali e specifici), ma il Ministero rassicura che tutto è da intendersi "in maniera pedagogica" (tocca questa volta al termine "pedagogia" essere ridefinito in maniera davvero stravagante): si leggono così vere e proprie liste di "contenuti" mescolati confusamente a obiettivi, il tutto suddiviso in due colonne non ben conformi nella loro tipologia – il Ministero per primo invita a leggerle congiuntamente - che non risultano nemmeno organiche come i vecchi programmi ante-autonomia.

                                Tali obiettivi sono "obbligatori – dice il Ministero – se, quando e in quanto corrispondono alle esigenze di apprendimento dei singoli allievi, nella realtà scolastica e ambientale che vivono; e quindi, se e nella misura in cui sono trasformabili dai docenti in obiettivi formativi significativi e motivanti per gli allievi".

                                In regime di autonomia, nel rispetto della libertà di insegnamento, alla luce di ogni didattica (e di ogni pedagogia) la precedente affermazione ministeriale risulterebbe più che scontata, quasi inutile se non fosse che in realtà si è andati oltre l’indicazione degli obiettivi e si sono volute disegnare come prescrittive vere e proprie "unità di apprendimento", con possibilità di "trasgressione".

                                E che si tratti – nella visione ministeriale – di una trasgressione alla prescrittività, pur con tutte le ridefinizioni terminologiche, è chiaro laddove si afferma che "ogni scuola autonoma e ogni docente deve assumersi la responsabilità di «rendere conto» delle scelte fatte e di porre gli allievi, le famiglie e il territorio nella condizione di conoscerle e di condividerle anche negli scostamenti intenzionali rispetto agli obiettivi specifici di apprendimento delle Indicazioni nazionali".

                                Non può sfuggire l’evidente complessità di un ragionamento che vuole coniugare due concetti in antitesi: prescrittività e autonomia. Ci si domanda perché non si sia seguita la via più semplice, da attivare a tempo debito, di una definizione degli obiettivi generali/specifici e degli standard formativi. E ci si domanda anche perché si sia ritenuta necessaria l’indicazione di una "materia prima" rivolta a professionisti dell’insegnamento. Se qualche esemplificazione poteva ritenersi necessaria per gli insegnanti alle prime armi, essa poteva essere divulgata, ma non certo in forma di Indicazioni nazionali a valore prescrittivo.

                                L’invasione riguarda anche l’organizzazione del lavoro scolastico

                                Dal Ministero vengono anche precise indicazioni sull’organizzazione del lavoro scolastico, che il lettore giudicherà se pertinenti ai criteri fondamentali o invasivi dell’autonomia delle istituzioni scolastiche.

                                Criticando l’unità amministrativa "classe", anche come criterio per l’assegnazione dei docenti, si suggerisce un’organizzazione del lavoro basata sul "singolo allievo". La prospettiva è affascinante e tutte le didattiche finalizzate al successo formativo e alla prevenzione della dispersione sono andate in tal senso, scontrandosi con vincoli di realtà legati alle risorse e alla condizioni complessive dell’organizzazione del lavoro scolastico. La riforma offre nuove garanzie? Aumenta – condizione indispensabile per un insegnamento individualizzato - il numero dei docenti? Vediamo.

                                Si chiede alle scuola di progettare in maniera molto innovativa la propria organizzazione. Finora, tale organizzazione ha perlopiù visto il suo elemento costitutivo e fondante nella «classe», intesa come unità amministrativa primaria verso cui far confluire tutte le attenzioni e i provvedimenti (dall’assegnazione dei docenti all’orario settimanale e annuale delle lezioni).

                                Si suggerisce, invece, di verificare l’efficacia di un’altra impostazione. Si propone, infatti, di considerare elemento primario e costitutivo della nuova organizzazione della scuola le «persone», e, nel caso specifico, i singoli allievi.

                                Due sono le modalità organizzative indicate dal Ministero.

                                La prima è quella che impiega il Gruppo classe, cioè un Gruppo numeroso di allievi chiamato a svolgere insieme attività prevalentemente omogenee ed unitarie.

                                La seconda è quella centrata sui Laboratori, nella quale i ragazzi lavorano, invece, in Gruppi di livello, di compito ed elettivi.

                                Ora, l’alternanza di questi diversi momenti di lavoro non può, da un lato, prescindere dall’età degli allievi, con il rischio di disorientarli, e, dall’altro lato, non può nemmeno essere improvvisata od obbedire più ad astratte esigenze di organizzazione scolastica che ai bisogni dello studente.

                                Le Indicazioni ministeriali entrano per davvero nel merito dell’autonomia organizzativa delle istituzioni scolastiche, anche con il poco tatto di presupporre "improvvisazione" e "astratte esigenze" cui si pone riparo con Indicazioni prescrittive. Viene da domandarsi se il Ministero si renda conto della gravità delle proprie affermazioni dato che o si tratta di un processo alle intenzioni, un pour parler che non si addice a una Istituzione statale, oppure si hanno dati che debbono essere resi pubblici e trasparenti.

                                Ciò che il Ministero propone si può riassumere in poche parole: un grande gruppo classe, con il massimo numero possibile di allievi, e gruppi di livello. Si tratta di un sistema organizzativo già sperimentato in Europa e in Italia, che ha le sue ragioni di essere e che permette la differenziazione degli insegnamenti (non certo la personalizzazione degli apprendimenti come parevano auspicare le premesse ministeriali).

                                Nell’esperienza degli insegnanti altri sistemi organizzativi possono essere stati convalidati e dovrebbero potersi riproporre in esercizio di autonomia, considerando però che gli intendimenti ministeriali vanno nel senso di ridurre drasticamente le risorse umane non tanto in quantità (forse anche) quanto in flessibilità di funzione, tant’è che ad esempio nella scuola primaria torna il "maestro unico". Non tragga in inganno la nuova nomenclatura: si tratta di un "tutor" – caricato anche di tutti i compiti del tutor – che però è tenuto a insegnare nel "gruppo classe" coprendo il 70% delle ore.

                                Infausta è la semplificazione della programmazione

                                Organizzato il lavoro, si passa alla programmazione didattica chiedendo ai docenti la predisposizione di due documenti che sostituiscono quelli attuali.

                                I Piani Personalizzati non presentano – a parere di chi scrive – nessuna novità rispetto alla prassi da lungo tempo consolidata nelle scuole. Essi "sono il risultato delle Unità di Apprendimento a volta a volta predisposte dai docenti per gli allievi nel corso dell’anno. Ogni Unità di Apprendimento si compone degli obiettivi formativi, delle attività, dei metodi e delle soluzioni organizzative necessarie per trasformare gli obiettivi in competenze individuali; contiene, infine, le modalità con cui si sono verificate e valutate tali competenze".

                                Del Portfolio delle competenze individuali se ne parla da tempo e numerose scuole lo hanno già sperimentato.

                                Non è un mero contenitore, ma costituisce una collezione strutturata, selezionata e commentata/valutata di materiali particolarmente paradigmatici prodotti dallo studente, che consentono di conoscere l’ampiezza e la profondità delle sue competenze e, allo stesso tempo, della maggiore o minore pertinenza degli interventi didattici adottati. Seguirà poi lo studente per tutta la durata del suo percorso scolastico. Con gli opportuni adattamenti, potrà, inoltre, rimanere un documento che accompagna i cittadini anche dopo i 12 anni di istruzione e formazione obbligatoria, come strumento da utilizzare per la ricerca del lavoro, la riconversione professionale e la formazione continua. Esso comprende una sezione dedicata alla valutazione e una dedicata all’orientamento di ogni singolo allievo. È compilato dal docente Tutor, in collaborazione con i colleghi dei Laboratori, ma è aperto anche alla collaborazione dei genitori e degli stessi fanciulli. La riflessione critica sul Portfolio e sulla sua compilazione costituisce un’occasione per migliorare e comparare le pratiche di insegnamento e per attivare processi di autonomia di ricerca e di sviluppo professionale.

                                I due strumenti di programmazione didattica paiono validi. Sorge un unico dubbio, se non altro perché negli ambienti vicini al Ministero circola la voce che finalmente si buttino via tante inutile scartoffie, moduli, schede e si venga al sodo; soprattutto niente più programmazione preventiva, che poi costringe a documenti consuntivi e correttivi.

                                A ben leggere le indicazioni ministeriali, in effetti i Piani Personalizzati sembrerebbero il "risultato", la raccolta delle unità di apprendimento. Così resta l’incertezza di come si effettui una "programmazione" (il termine è sufficientemente esplicito a indicare un programma, non un fare o un fatto), dove e come tale programmazione sia pubblica e trasparente, chi e come possa controllare e coordinare.

                                L’autonomia (sic) si restringe al 15%?

                                E per chiudere, la chicca di un refuso – così ci auguriamo che sia – che si ripete nelle Indicazioni nazionali della scuola primaria e secondaria di primo grado.

                                L'autonomia [sic] delle istituzioni scolastiche di cui al Dpr. 275/99 si esercita fino al limite del 15% di tutti i vincoli dettati nelle Indicazioni Nazionali; per quanto riguarda l’autonomia didattica [sic], può intensificare per espansione o concentrazione, fino allo stesso limite, con apposite Unità di Apprendimento, l’approfondimento e il radicamento territoriale degli obiettivi specifici di apprendimento; implica, inoltre, l’opportunità di organizzare le attività educative e didattiche obbligatorie sia per attività frontali, sia per Laboratori, e di alternare, a seconda delle esigenze di apprendimento individuali, gruppi classe e gruppi di classe e/o interclasse di livello, di compito o elettivi; restando ferme le disposizioni vigenti in proposito, dispone, infine, sugli eventuali ampliamenti dell’offerta formativa.

                                Vorremmo pensare che il 15% ministeriale si riferisca alla "flessibilità" e non alla "autonomia".

                                Ciò che mette in allarme è l’insistenza del concetto, giacché il Ministero pone limiti – e modalità – anche all’autonomia didattica.

                                Sorge allora il dubbio che lo Stato voglia esercitare la propria competenza sui principi fondamentali – l’autonomia è un principio fondamentale – disciplinando una tale restrizione da vanificare l’autonomia stessa.

                                La scuola si è spesso lamentata, in questi anni, di un’autonomia difficile da esercitare, in particolare in assenza di nuove condizioni di riforma. L’ironia della sorte potrebbe frantumare l’autonomia proprio nel momento dell’attuazione della riforma.

                                Spesso gli insegnanti, segnati da una tradizione di circolari tanto fastidiose quanto rassicuranti, hanno dimostrato fastidio per un’autonomia difficile da gestire e fors’anche da credere vera.

                                La riforma Moratti potrebbe illudersi di giocare su queste incertezze, senza valutare che – pur nelle mille difficoltà – l’autonomia è una realtà e le scuole difficilmente potranno accettare di subire nuovamente i lacci e i laccioli della burocrazia.



                                vi basta?
                                Ma per favore....
                                A tutti i tuoi copia-incolla potrei rispondere con altrettanti che dicono tutto il contrario.
                                Ciò dimostra che questi sono argomenti dove la verità assoluta non esiste, dove i politici ci fanno bere tutto ed il contrario di tutto, perchè è cos' che va il sistema: c'è chi scende in piazza e chi se ne sta a casa perchè non d'accordo, e chi dei due ha ragione?
                                Entrambi e nessuno, perchè questa è la Democrazia...
                                ___________________


                                Codice:
                                apt-get remove brain
                                apt-get install windows-Vista
                                ___________________

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