§ 1. La divulgazione delle notizie
Quale sia la relazione delle autorità decisionali con i popoli che ne sono i destinatari delle è il dilemma di un’epoca in cui il governo può – anzi, dovrebbe – essere del popolo e per il popolo, ma che in nessun senso operativo può essere esercitato da quest’ultimo. Mentre la crisi dei regimi democratici si fa sempre più acuta, non è possibile eludere il giudizio dell’opinione pubblica, i cui orientamenti sono indagati con i sondaggi e vengono amplificati dai mass-media. La capacità dei mass-media di svelare e rendere pubblico ciò che l’autorità desidera tenere celato e di dare voce a sentimenti collettivi, li ha resi protagonisti della scena pubblica. Comunque, mentre i mass-media sono contrappesi molto potenti all’occultamento della verità da parte dei governi, essi non sempre sono uno onesto mezzo di democrazia. D’altro canto i governi, o qualunque altra forma di autorità decisionale pubblica, non possono più governare contro il popolo e nemmeno senza di esso, non più di quanto il popolo possa vivere senza o contro i governi. Bene o male che sia, nel ventesimo secolo la gente comune è entrata nella storia come protagonista a pieno diritto[i]. Ogni regime deriva oggi la sua autorità dalle masse popolari. L’intervento del popolo, attivo o passivo, negli affari pubblici è determinante, a prescindere dal fatto che esso abbia o non abbia il diritto di eleggere il governo.
Tuttavia, la decolonizzazione e la crescita del super-nazionalismo non significano, necessariamente, la fine dei rapporti di stampo imperialistico.
La guerra del Golfo è un illuminante esempio di come i nuovi media abbiano il potere di penetrare in una cultura ricevente più profondamente di qualsiasi precedente espressione della tecnologia occidentale. Ne può risultare un caos spaventoso, un’intensificazione delle contraddizioni sociali nelle società in via di sviluppo.
In una situazione così configurata gli Stati Uniti d’ America hanno giocato un ruolo fondamentale, sia perché erano alcune compagnie americane transnazionali a controllare la produzione, la distribuzione e soprattutto la scelta delle notizie, sia perché l’espansione delle varie forme di controllo culturale creò un meccanismo di incorporazione e dipendenza. I concetti di società a una dimensione e di industria della coscienza possono chiarire quella miscela di repressione e tolleranza che le società occidentali hanno utilizzato come strumento di pacificazione sociale. I media si sono dimostrati assai efficaci nel rappresentare agli occhi dell’opinione pubblica strane e minacciose culture straniere; un tentativo di generare una spinta di ostilità nei confronti di culture altre[ii].
Durante la guerra del Golfo, negli Stati Uniti d’America, come in tutti i paesi occidentali, veniva continuamente affermato il principio che noi – questo pronome fortifica il senso in qualche modo illusorio che tutti, in quanto co-proprietari dello spazio pubblico, partecipassero alla decisione di impegnare il paese nei suoi interventi a lungo raggio – dovevamo essere presenti nel Golfo. La sopravvivenza nazionale non era in discussione, ma si fece un gran parlare di principi, di moralità e di diritto; i protagonisti dei programmi televisivi in cui avevano luogo ampie discussioni ed analisi discutevano della forza militare come di una cosa più o meno a loro disposizione, qualcosa da dispiegare, ritirare nel modo più opportuno. Si aveva l’impressione che la crisi dovesse essere affrontata come una questione interna degli americani. Ancora una volta, tranne per i corpi che arrivarono nelle sacche e per le famiglie colpite dal lutto, gli americani sarebbero stati in gran parte risparmiati. L’astrattezza di tutto ciò rese la situazione fredda e crudele. Durante l’operazione Desert Storm il sentimento dominante era la sensazione della sua ineluttabilità; come se la necessità di intervento del presidente Bush dovesse inevitabilmente scontrarsi con la dura e brutale espressione da parte di Saddam Hussein della necessità per il mondo arabo post-coloniale di affrontare e sfidare a pie’ fermo gli Stati Uniti d’America. Una consolidata miscela di lunga familiarità, ostilità ed ignoranza appartiene ad entrambe le parti. Con la guerra del Golfo si assiste ad una grandiosa auto-investitura: la missione degli Stati Uniti era quella di una nazione incaricata da Dio di civilizzare il mondo. Saddam divenne Hitler, il macellaio di Baghdad, il pazzo (si potrebbe continuare con un’interminabile serie di variazioni sul tema) che doveva essere annientato.
Lealtà e patriottismo dovrebbero fondarsi su una percezione critica della realtà: è inammissibile che il sentimento dominante sia quello di una solidarietà acritica alla politica del momento. Parte dell’operazione Desert Storm è stata tenuta accuratamente nascosta al pubblico televisivo americano ed europeo per mantenere viva l’immagine della guerra come incruento videogame.
I media giocarono un ruolo fondamentale nella fabbrica del consenso, nel far sentire al cittadino medio che spetta a noi raddrizzare i mali del mondo e organizzare la pace.
Gli Stati Uniti d’America si collocarono al di sopra, e non all’interno, del sistema internazionale: si fecero i custodi della Legge. Il mondo occidentale si rese portatore delle libertà e dei valori ereditati da una tradizione che affonda le proprie radici nell’Illuminismo.
Era essenziale, per il sistema ideologico occidentale, che si creasse un abisso tra la brutalità barbara e l’Occidente civilizzato – con il suo tradizionale impegno a favore della dignità umana, della libertà, dell’autodeterminazione.
Tale spinta illuministica reca al suo interno profonde contraddizioni: la potenza del dominio, in quanto dominio della ragione, è nell’autonomia e nell’universalità logica di una sovrastruttura che si riproduce in ogni tempo e in ogni struttura produttiva e l’individuazione del singolo si dà solo nell’identificazione con la logica del potere.
I rapporti fra singoli soggetti all’interno del dominio possono essere solo uno scambio di equivalenti, all’insegna della cattiva uguaglianza, cioè dell’uguale fruibilità. La ratio diviene strumentale e conflittuale; essa, infatti, costringe il reale all’interno di rapporti di equivalenza e di interscambiabilità. Complessivamente, la ratio è strumento, lavoro, mediazione linguistica e la sua strumentalizzazione è l’ovvio esito dell’essere generata da una ricerca soggettiva di sicurezza. E questa ragione è anche conflittuale, cioè prevede il conflitto come propria dimensione naturale, un conflitto che diviene conflitto verso l’Altro nella società antagonistica. Inevitabile risulta, quindi, il formarsi dell’industria culturale: la degradazione della cultura, che non è affatto una democratizzazione della stessa.
Si è accantonata l’esigenza classica di pensare il pensiero, poiché essa distrae dall’imperativo di guidare la prassi: il pensiero si trasforma in cosa, in strumento. Nella reificazione del pensiero è implicita la consacrazione del mondo a misura di sé medesimo. Ciò che appare un trionfo della razionalità soggettiva è pagato con la docile sottomissione della ragione a ciò che è dato senz’altro: si dà ragione a ciò che è di fatto, la conoscenza si limita alla sua ripetizione[iii].
Arrivando a considerazioni di carattere tecnico, un ruolo fondamentale nella fabbrica della coscienza ha la propagazione dell’informazione tramite i canali mass-mediali.
In periodi di crisi, infatti, l’influenza dei mass-media può essere quasi assoluta, generando la cosiddetta spirale della maggioranza.
MASS-MEDIA
Fornisce una notizia x con un’interpretazione y
PUBBLICO
Pensa alla notizia x, assume l’interpretazione y per conformarsi alla maggioranza
Da non sottovalutare è, poi, il processo di creazione della notizia. Un evento, infatti, diventa notizia quando soddisfa una serie di criteri, i quali prendono il nome di valori-notizia. Il meccanismo con cui avvengono le scelte nel lavoro mediale, specialmente le decisioni se lasciar filtrare o meno una particolare notizia attraverso i cancelli di un mezzo di informazione, viene descritto con il termine gatekeeping[iv].
I valori-notizia considerano alcuni aspetti dell’evento, e, in base al soddisfacimento di determinati parametri, indicano se l’evento è adatto o meno ad essere diffuso. Per attraversare il gatekeeping un evento deve essere:
· clamoroso, cioè che susciti l’interesse del pubblico;
· chiaro e comprensibile, adatto quindi al grado di istruzione del publico e reso in forma semplice;
· geo-culturalmente vicino al pubblico ( e quando ciò non è possibile attraverso la creazione di un mito);
· ricorrente, quindi deve essere possibile creare paragoni con altre notizie passate o future;
· compatibile con le immagini e le aspettative del passato, sia del pubblico in generale, sia del mezzo di diffusione.
I valori-notizia possono fornire un criterio non solo per scegliere l’evento da trattare, ma anche per trattare un evento. Si tratta, in tal caso, di enfatizzare certi elementi della cronaca e minimizzarne altri, in modo che il prodotto finito sia una notizia che soddisfi il bisogno di informazione del pubblico.
L’Occidente seguiva la guerra in diretta, alla televisione, con la certezza, relativamente incontestata, di star osservando la realtà; quel che americani ed europei osservavano era, al contrario, una delle guerre più nascoste e meno descritte della storia. Come è emerso dalle indagini sociologiche, immagini e foto erano selezionate e i principali media americani si copiavano l’uno dall’altro, per venire a loro volta copiati o ritrasmessi (come la C.n.n.) in tutto il mondo[v].
Quale sia la relazione delle autorità decisionali con i popoli che ne sono i destinatari delle è il dilemma di un’epoca in cui il governo può – anzi, dovrebbe – essere del popolo e per il popolo, ma che in nessun senso operativo può essere esercitato da quest’ultimo. Mentre la crisi dei regimi democratici si fa sempre più acuta, non è possibile eludere il giudizio dell’opinione pubblica, i cui orientamenti sono indagati con i sondaggi e vengono amplificati dai mass-media. La capacità dei mass-media di svelare e rendere pubblico ciò che l’autorità desidera tenere celato e di dare voce a sentimenti collettivi, li ha resi protagonisti della scena pubblica. Comunque, mentre i mass-media sono contrappesi molto potenti all’occultamento della verità da parte dei governi, essi non sempre sono uno onesto mezzo di democrazia. D’altro canto i governi, o qualunque altra forma di autorità decisionale pubblica, non possono più governare contro il popolo e nemmeno senza di esso, non più di quanto il popolo possa vivere senza o contro i governi. Bene o male che sia, nel ventesimo secolo la gente comune è entrata nella storia come protagonista a pieno diritto[i]. Ogni regime deriva oggi la sua autorità dalle masse popolari. L’intervento del popolo, attivo o passivo, negli affari pubblici è determinante, a prescindere dal fatto che esso abbia o non abbia il diritto di eleggere il governo.
Tuttavia, la decolonizzazione e la crescita del super-nazionalismo non significano, necessariamente, la fine dei rapporti di stampo imperialistico.
La guerra del Golfo è un illuminante esempio di come i nuovi media abbiano il potere di penetrare in una cultura ricevente più profondamente di qualsiasi precedente espressione della tecnologia occidentale. Ne può risultare un caos spaventoso, un’intensificazione delle contraddizioni sociali nelle società in via di sviluppo.
In una situazione così configurata gli Stati Uniti d’ America hanno giocato un ruolo fondamentale, sia perché erano alcune compagnie americane transnazionali a controllare la produzione, la distribuzione e soprattutto la scelta delle notizie, sia perché l’espansione delle varie forme di controllo culturale creò un meccanismo di incorporazione e dipendenza. I concetti di società a una dimensione e di industria della coscienza possono chiarire quella miscela di repressione e tolleranza che le società occidentali hanno utilizzato come strumento di pacificazione sociale. I media si sono dimostrati assai efficaci nel rappresentare agli occhi dell’opinione pubblica strane e minacciose culture straniere; un tentativo di generare una spinta di ostilità nei confronti di culture altre[ii].
Durante la guerra del Golfo, negli Stati Uniti d’America, come in tutti i paesi occidentali, veniva continuamente affermato il principio che noi – questo pronome fortifica il senso in qualche modo illusorio che tutti, in quanto co-proprietari dello spazio pubblico, partecipassero alla decisione di impegnare il paese nei suoi interventi a lungo raggio – dovevamo essere presenti nel Golfo. La sopravvivenza nazionale non era in discussione, ma si fece un gran parlare di principi, di moralità e di diritto; i protagonisti dei programmi televisivi in cui avevano luogo ampie discussioni ed analisi discutevano della forza militare come di una cosa più o meno a loro disposizione, qualcosa da dispiegare, ritirare nel modo più opportuno. Si aveva l’impressione che la crisi dovesse essere affrontata come una questione interna degli americani. Ancora una volta, tranne per i corpi che arrivarono nelle sacche e per le famiglie colpite dal lutto, gli americani sarebbero stati in gran parte risparmiati. L’astrattezza di tutto ciò rese la situazione fredda e crudele. Durante l’operazione Desert Storm il sentimento dominante era la sensazione della sua ineluttabilità; come se la necessità di intervento del presidente Bush dovesse inevitabilmente scontrarsi con la dura e brutale espressione da parte di Saddam Hussein della necessità per il mondo arabo post-coloniale di affrontare e sfidare a pie’ fermo gli Stati Uniti d’America. Una consolidata miscela di lunga familiarità, ostilità ed ignoranza appartiene ad entrambe le parti. Con la guerra del Golfo si assiste ad una grandiosa auto-investitura: la missione degli Stati Uniti era quella di una nazione incaricata da Dio di civilizzare il mondo. Saddam divenne Hitler, il macellaio di Baghdad, il pazzo (si potrebbe continuare con un’interminabile serie di variazioni sul tema) che doveva essere annientato.
Lealtà e patriottismo dovrebbero fondarsi su una percezione critica della realtà: è inammissibile che il sentimento dominante sia quello di una solidarietà acritica alla politica del momento. Parte dell’operazione Desert Storm è stata tenuta accuratamente nascosta al pubblico televisivo americano ed europeo per mantenere viva l’immagine della guerra come incruento videogame.
I media giocarono un ruolo fondamentale nella fabbrica del consenso, nel far sentire al cittadino medio che spetta a noi raddrizzare i mali del mondo e organizzare la pace.
Gli Stati Uniti d’America si collocarono al di sopra, e non all’interno, del sistema internazionale: si fecero i custodi della Legge. Il mondo occidentale si rese portatore delle libertà e dei valori ereditati da una tradizione che affonda le proprie radici nell’Illuminismo.
Era essenziale, per il sistema ideologico occidentale, che si creasse un abisso tra la brutalità barbara e l’Occidente civilizzato – con il suo tradizionale impegno a favore della dignità umana, della libertà, dell’autodeterminazione.
Tale spinta illuministica reca al suo interno profonde contraddizioni: la potenza del dominio, in quanto dominio della ragione, è nell’autonomia e nell’universalità logica di una sovrastruttura che si riproduce in ogni tempo e in ogni struttura produttiva e l’individuazione del singolo si dà solo nell’identificazione con la logica del potere.
I rapporti fra singoli soggetti all’interno del dominio possono essere solo uno scambio di equivalenti, all’insegna della cattiva uguaglianza, cioè dell’uguale fruibilità. La ratio diviene strumentale e conflittuale; essa, infatti, costringe il reale all’interno di rapporti di equivalenza e di interscambiabilità. Complessivamente, la ratio è strumento, lavoro, mediazione linguistica e la sua strumentalizzazione è l’ovvio esito dell’essere generata da una ricerca soggettiva di sicurezza. E questa ragione è anche conflittuale, cioè prevede il conflitto come propria dimensione naturale, un conflitto che diviene conflitto verso l’Altro nella società antagonistica. Inevitabile risulta, quindi, il formarsi dell’industria culturale: la degradazione della cultura, che non è affatto una democratizzazione della stessa.
Si è accantonata l’esigenza classica di pensare il pensiero, poiché essa distrae dall’imperativo di guidare la prassi: il pensiero si trasforma in cosa, in strumento. Nella reificazione del pensiero è implicita la consacrazione del mondo a misura di sé medesimo. Ciò che appare un trionfo della razionalità soggettiva è pagato con la docile sottomissione della ragione a ciò che è dato senz’altro: si dà ragione a ciò che è di fatto, la conoscenza si limita alla sua ripetizione[iii].
Arrivando a considerazioni di carattere tecnico, un ruolo fondamentale nella fabbrica della coscienza ha la propagazione dell’informazione tramite i canali mass-mediali.
In periodi di crisi, infatti, l’influenza dei mass-media può essere quasi assoluta, generando la cosiddetta spirale della maggioranza.
MASS-MEDIA
Fornisce una notizia x con un’interpretazione y
PUBBLICO
Pensa alla notizia x, assume l’interpretazione y per conformarsi alla maggioranza
Da non sottovalutare è, poi, il processo di creazione della notizia. Un evento, infatti, diventa notizia quando soddisfa una serie di criteri, i quali prendono il nome di valori-notizia. Il meccanismo con cui avvengono le scelte nel lavoro mediale, specialmente le decisioni se lasciar filtrare o meno una particolare notizia attraverso i cancelli di un mezzo di informazione, viene descritto con il termine gatekeeping[iv].
I valori-notizia considerano alcuni aspetti dell’evento, e, in base al soddisfacimento di determinati parametri, indicano se l’evento è adatto o meno ad essere diffuso. Per attraversare il gatekeeping un evento deve essere:
· clamoroso, cioè che susciti l’interesse del pubblico;
· chiaro e comprensibile, adatto quindi al grado di istruzione del publico e reso in forma semplice;
· geo-culturalmente vicino al pubblico ( e quando ciò non è possibile attraverso la creazione di un mito);
· ricorrente, quindi deve essere possibile creare paragoni con altre notizie passate o future;
· compatibile con le immagini e le aspettative del passato, sia del pubblico in generale, sia del mezzo di diffusione.
I valori-notizia possono fornire un criterio non solo per scegliere l’evento da trattare, ma anche per trattare un evento. Si tratta, in tal caso, di enfatizzare certi elementi della cronaca e minimizzarne altri, in modo che il prodotto finito sia una notizia che soddisfi il bisogno di informazione del pubblico.
L’Occidente seguiva la guerra in diretta, alla televisione, con la certezza, relativamente incontestata, di star osservando la realtà; quel che americani ed europei osservavano era, al contrario, una delle guerre più nascoste e meno descritte della storia. Come è emerso dalle indagini sociologiche, immagini e foto erano selezionate e i principali media americani si copiavano l’uno dall’altro, per venire a loro volta copiati o ritrasmessi (come la C.n.n.) in tutto il mondo[v].
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