Chico Forti in carcere «aveva chiesto l’aiuto dei clan per mettere a tacere Marco Travaglio e Selvaggia Lucarelli»
Verona, aperta un’ inchiesta sull’ex velista ergastolano negli Usa trasferito in Italia. Un detenuto: Forti cercava amici di ’ndranghetisti fuori dal carcere per mettere a tacere «Travaglio, Lucarelli e una terza persona»
Ancora Chico Forti, ancora un fatto sorprendente. Succede che la Procura di Verona apra un fascicolo per indagare su una vicenda che lo coinvolge in questo modo: un detenuto del carcere di Montorio ha confidato che l’ex campione di surf, recluso lì da oltre un mese, gli avrebbe chiesto di contattare qualche ‘ndranghetista per mettere a tacere Marco Travaglio, Selvaggia Lucarelli e una terza persona. In cambio Forti gli avrebbe promesso un aiuto futuro, non appena riuscirà a ottenere la libertà. Fesseria o cosa seria? «Confermo l’indagine, abbiamo già avvertito le istituzioni e sentito tutti i possibili protagonisti. Per noi naturalmente non è una fesseria ma non aggiungo altro», taglia corto il capo della Procura Raffaele Tito.
A raccogliere la confidenza è stata una persona che lavora all’istituto penitenziario, con la quale i carcerati entrano spesso in contatto. Allarmato dalla rivelazione, lunedì scorso il «confessore» ha avvertito Travaglio. La Procura ha poi sentito tre testimoni, fra i quali anche un secondo detenuto che ha assistito all’incontro di Forti con colui che avrebbe dovuto prendere contatti con gli amici ‘ndranghetisti. Al momento il fascicolo è contro ignoti perché non è stato ancora individuato il reato. Potrebbe essere istigazione a delinquere, da escludere invece il tentato omicidio. Della vicenda sono stati informati il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, la Prefettura di Verona, il Tribunale di Sorveglianza e la Dda di Torino. Fin qui, i fatti.
Domanda: cosa lega Chico Forti al direttore del Fatto e all’opinionista Lucarelli? C’è un titolo che potrebbe essere il movente: «Benvenuto assassino». Questa era l’apertura del giornale diretto da Travaglio quando lo scorso 19 maggio l’ex velista, poi imprenditore in Florida, è tornato in Italia consegnato dagli Stati Uniti. Stava scontando in Florida l’ergastolo per il delitto del businessman australiano Dale Pike, commesso il 15 febbraio del 1998 in una spiaggia di Miami. Travaglio e la Lucarelli si erano indignati per l’accoglienza, in particolare di Giorgia Meloni che aveva ricevuto Forti al suo sbarco a Roma. «Ciascuno è libero di dubitare della colpevolezza ma per la giustizia americana Chico Forti è un assassino… _ aveva spiegato Travaglio, che ora preferisce non commentare, in una puntata di Accordi e Disaccordi sul Nove -. Per tornare in Italia Forti ha dovuto accettare la sentenza di condanna. E la Corte d’appello di Trento ha dovuto riconoscere la sentenza americana cosicché da quel momento è un assassino anche per la giustizia italiana. La Meloni fa due cose che non si sono mai viste: primo manda a prendere Forti con un Falcon dell’aeronautica militare, secondo lo accoglie all’aeroporto come un Papa, un capo di Stato, un eroe nazionale…». Sulla stessa linea Lucarelli che, dopo un articolo firmato sul Fatto, ha denunciato in rete i toni trionfalistici del ritorno del condannato.
Ricordiamo che secondo i giudici americani Forti avrebbe commesso un «felony murder», un omicidio consumato per commettere un altro crimine, che nel suo caso sarebbe stato una truffa ai danni del padre di Dale, Anthony. Il quale, affetto da demenza senile, stava vendendo l’albergo Pikes Hotel di Ibiza a Chico Forti. L’ipotesi d’accusa è che Dale avesse scoperto l’inganno e fosse volato a Miami per impedirlo. Gli indizi di colpevolezza sono diversi: la sabbia ritrovata nella sua macchina, uguale a quella della spiaggia dove è stato rinvenuto il corpo di Pike; i tabulati telefonici che lo collocano sulla scena del crimine; la pistola di Forti, una calibro 22, lo stesso dell’arma usata dall’assassino. E la «grande menzogna»: in un primo momento Forti aveva infatti dichiarato alla polizia di non aver mai incontrato Pike per poi ritrattare e riconoscere di essere andato a prenderlo all’aeroporto ma di averlo lasciato in un parcheggio.
La difesa ha contestato ogni punto: la sabbia è quella di tutte le spiagge di Miami; la pistola era in realtà in uso al vicino di casa un tedesco con precedenti per truffa che peraltro aveva messo in contatto Forti con Pike per la vendita dell’hotel; e la menzogna sarebbe stata la reazione istintiva allo spavento del delitto. Risultato: ergastolo «life without parole», cioè senza la possibilità di uscire, e 24 anni di fila scontati in Florida. Fino al recente trasferimento in Italia, alle polemiche sull’accoglienza e a queste sconcertanti rivelazioni.
CorSera
Verona, aperta un’ inchiesta sull’ex velista ergastolano negli Usa trasferito in Italia. Un detenuto: Forti cercava amici di ’ndranghetisti fuori dal carcere per mettere a tacere «Travaglio, Lucarelli e una terza persona»
Ancora Chico Forti, ancora un fatto sorprendente. Succede che la Procura di Verona apra un fascicolo per indagare su una vicenda che lo coinvolge in questo modo: un detenuto del carcere di Montorio ha confidato che l’ex campione di surf, recluso lì da oltre un mese, gli avrebbe chiesto di contattare qualche ‘ndranghetista per mettere a tacere Marco Travaglio, Selvaggia Lucarelli e una terza persona. In cambio Forti gli avrebbe promesso un aiuto futuro, non appena riuscirà a ottenere la libertà. Fesseria o cosa seria? «Confermo l’indagine, abbiamo già avvertito le istituzioni e sentito tutti i possibili protagonisti. Per noi naturalmente non è una fesseria ma non aggiungo altro», taglia corto il capo della Procura Raffaele Tito.
A raccogliere la confidenza è stata una persona che lavora all’istituto penitenziario, con la quale i carcerati entrano spesso in contatto. Allarmato dalla rivelazione, lunedì scorso il «confessore» ha avvertito Travaglio. La Procura ha poi sentito tre testimoni, fra i quali anche un secondo detenuto che ha assistito all’incontro di Forti con colui che avrebbe dovuto prendere contatti con gli amici ‘ndranghetisti. Al momento il fascicolo è contro ignoti perché non è stato ancora individuato il reato. Potrebbe essere istigazione a delinquere, da escludere invece il tentato omicidio. Della vicenda sono stati informati il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, la Prefettura di Verona, il Tribunale di Sorveglianza e la Dda di Torino. Fin qui, i fatti.
Domanda: cosa lega Chico Forti al direttore del Fatto e all’opinionista Lucarelli? C’è un titolo che potrebbe essere il movente: «Benvenuto assassino». Questa era l’apertura del giornale diretto da Travaglio quando lo scorso 19 maggio l’ex velista, poi imprenditore in Florida, è tornato in Italia consegnato dagli Stati Uniti. Stava scontando in Florida l’ergastolo per il delitto del businessman australiano Dale Pike, commesso il 15 febbraio del 1998 in una spiaggia di Miami. Travaglio e la Lucarelli si erano indignati per l’accoglienza, in particolare di Giorgia Meloni che aveva ricevuto Forti al suo sbarco a Roma. «Ciascuno è libero di dubitare della colpevolezza ma per la giustizia americana Chico Forti è un assassino… _ aveva spiegato Travaglio, che ora preferisce non commentare, in una puntata di Accordi e Disaccordi sul Nove -. Per tornare in Italia Forti ha dovuto accettare la sentenza di condanna. E la Corte d’appello di Trento ha dovuto riconoscere la sentenza americana cosicché da quel momento è un assassino anche per la giustizia italiana. La Meloni fa due cose che non si sono mai viste: primo manda a prendere Forti con un Falcon dell’aeronautica militare, secondo lo accoglie all’aeroporto come un Papa, un capo di Stato, un eroe nazionale…». Sulla stessa linea Lucarelli che, dopo un articolo firmato sul Fatto, ha denunciato in rete i toni trionfalistici del ritorno del condannato.
Ricordiamo che secondo i giudici americani Forti avrebbe commesso un «felony murder», un omicidio consumato per commettere un altro crimine, che nel suo caso sarebbe stato una truffa ai danni del padre di Dale, Anthony. Il quale, affetto da demenza senile, stava vendendo l’albergo Pikes Hotel di Ibiza a Chico Forti. L’ipotesi d’accusa è che Dale avesse scoperto l’inganno e fosse volato a Miami per impedirlo. Gli indizi di colpevolezza sono diversi: la sabbia ritrovata nella sua macchina, uguale a quella della spiaggia dove è stato rinvenuto il corpo di Pike; i tabulati telefonici che lo collocano sulla scena del crimine; la pistola di Forti, una calibro 22, lo stesso dell’arma usata dall’assassino. E la «grande menzogna»: in un primo momento Forti aveva infatti dichiarato alla polizia di non aver mai incontrato Pike per poi ritrattare e riconoscere di essere andato a prenderlo all’aeroporto ma di averlo lasciato in un parcheggio.
La difesa ha contestato ogni punto: la sabbia è quella di tutte le spiagge di Miami; la pistola era in realtà in uso al vicino di casa un tedesco con precedenti per truffa che peraltro aveva messo in contatto Forti con Pike per la vendita dell’hotel; e la menzogna sarebbe stata la reazione istintiva allo spavento del delitto. Risultato: ergastolo «life without parole», cioè senza la possibilità di uscire, e 24 anni di fila scontati in Florida. Fino al recente trasferimento in Italia, alle polemiche sull’accoglienza e a queste sconcertanti rivelazioni.
CorSera
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