Originariamente Scritto da Arturo Bandini
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Tribuna Politica-BW Edition PARTE II
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Quando si può violare il segreto professionale?
La stessa norma penale che sanziona la rivelazione del segreto professionale ne esclude la punibilità in presenza di una giusta causa. Questo significa che, in presenza di determinate condizioni, il segreto professionale può (a volte deve) essere violato. Quando? Facciamo alcuni esempi.
In Italia, in linea generale, non esiste un obbligo di denuncia; in altre parole, il passante che assiste casualmente ad un fatto criminoso (ad esempio, ad un furto) non è tenuto a darne avviso alle autorità. Non sempre, però, è così.
La legge obbliga alcune persone a denunciare i reati di cui abbia avuto conoscenza a causa della professione svolta. Secondo il codice penale, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che omette o ritarda di denunciare all’autorità giudiziaria, o ad un’altra autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, un reato di cui ha avuto notizia nell’esercizio o a causa delle sue funzioni, è punito con una multa.
Se, invece, l’omissione di denuncia è commessa da un ufficiale o un agente di polizia giudiziaria, che ha avuto comunque (cioè, anche al di fuori dell’orario di servizio) notizia di un reato del quale doveva fare rapporto, la pena è della reclusione fino ad un anno.
Le sanzioni non si applicano se si tratta di delitto punibile a querela della persona offesa, cioè perseguibile penalmente soltanto dietro espressa richiesta della vittima [5].
Stesso obbligo grava sui medici. Secondo la legge, chiunque, avendo nell’esercizio di una professione sanitaria prestato la propria assistenza in casi che possono presentare i caratteri di un delitto per cui si procede d’ufficio, omette o ritarda di riferirne all’autorità competente, è punito con il pagamento di una multa. La disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale [6].
Orbene, se un medico di pronto soccorso presta le sue cure ad una persona colpita da un proiettile, dovrà senz’altro riferire l’accaduto ai carabinieri o alla polizia. Questo obbligo viene meno soltanto se la sua denuncia esporrebbe l’assistito (cioè il malato) al rischio di incorrere in un procedimento penale. Ciò significa che l’obbligo di referto del medico termina laddove comincia il diritto del reo a difendersi.sigpic
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Originariamente Scritto da Mario12 Visualizza Messaggioanche se qualcuno sapeva figuriamoci se apriva bocca , dai ragazzi ragionate.
Stanno indagando appunto se ne erano a conoscenza o meno.
Li sta il puntoSpesso vado più d'accordo con persone che la pensano in maniera diametralmente opposta alla mia.
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Originariamente Scritto da Irrlicht Visualizza MessaggioCosa c'entra questo.
Stanno indagando appunto se ne erano a conoscenza o meno.
Li sta il punto
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Originariamente Scritto da Mario12 Visualizza Messaggioimpossibile saperlo , a meno di clamorosi ritrovamenti
Parliamo della stessa cosa?
Li parla al condizionale di avviare una procedura senza che sia stata ancora allertato l'Ordine dei Medici dalle Procure per qualche reato imputabile.
Mi chiedo che senso abbia mettere le mani avanti quando ancora questi medici sono sotto indagine e non colpevoli, attualmente, di nulla.
Si parano il culo, ma così si rischia anche di buttare gratuitamente del fango difficile da lavare via se poi quelle persone risultassero estranee alle accuse.
Tutto quaLast edited by Irrlicht; 18-01-2023, 18:35:47.Spesso vado più d'accordo con persone che la pensano in maniera diametralmente opposta alla mia.
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Originariamente Scritto da SeanTu non capisci niente, Lukino, proietti le tue fissi su altri. Sei di una ignoranza abissale. Prima te la devi scrostare di dosso, poi potremmo forse avere un dialogo civile.
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Mafia: il Maxiprocesso di Palermo a Cosa nostra
https://www.youtube.com/watch?v=opWn3Aw5Nxc&ab_channel=GianfrancescoCoppo-ScenaCriminisOriginariamente Scritto da SeanTu non capisci niente, Lukino, proietti le tue fissi su altri. Sei di una ignoranza abissale. Prima te la devi scrostare di dosso, poi potremmo forse avere un dialogo civile.
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Il bunker di Messina Denaro e il sospetto che la camera blindata dietro un armadio sia stata «ripulita»
La perquisizione nella palazzina nel centro di Campobello di Mazara di un ex imputato per mafia
Saranno le impronte digitali a dare la conferma se la camera blindata trovata ieri in un appartamento del centro di Campobello di Mazara, ad appena un chilometro dalla «residenza ufficiale» del capomafia, sia stato il nascondiglio segreto di Matteo Messina Denaro. Finalmente, dopo l’arresto, è possibile fare queste comparazioni: da lì verrebbe la certezza, e i carabinieri del Ris sono al lavoro.
Se invece non ci fossero tracce dell’ex latitante, nemmeno di altro genere, resterebbero gli altri indizi che hanno portato gli investigatori nel piccolo bunker di via Maggiore Toselli, nascosto dietro il fondo scorrevole di un armadio attaccato alla parete di una stanza. Nel quale però non sarebbe stato trovato il vagheggiato «tesoro del boss»: né soldi, né i tradizionali pizzini della corrispondenza mafiosa, o addirittura l’archivio di Totò Riina che secondo alcuni pentiti sarebbe stato ereditato da Messina Denaro. Pare ci fossero appunti e qualche carta ancora da interpretare, alcuni monili e pietre apparentemente preziose, pezzi di argenteria, custodie di gioielli e scatole altrettanto vuote.
Il blitz con la Finanza
Lo spunto investigativo su questo nascondiglio è arrivato ieri mattina dalla Guardia di Finanza, e riguardava possibili e ripetute visite — nei mesi scorsi — dell’ex latitante in quella casa da poco ristrutturata, con annessa camera segreta. Da lunedì il volto dell’ultimo padrino corleonese rimbalza continuamente fra teleschermi, computer e pagine di giornale, e da allora sono arrivate molte segnalazioni su suoi ipotetici movimenti. Il legame con la casa nel centro di Campobello, però, è apparso agli uomini delle Fiamme gialle diretto e preciso, e così la Procura di Palermo ha immediatamente incaricato la Finanza e i carabinieri di fare un perquisizione, alla presenza del procuratore aggiunto Paolo Guido.
Poco prima dell’ora di pranzo gli investigatori del Gico e del Ros sono arrivati a colpo sicuro nell’anonima palazzina a due piani tra i vicoli del paese, di proprietà di Errico Risalvato, 71 anni, nato a Castelvetrano come Messina Denaro, già arrestato nel 1998, coimputato del boss insieme ad altri presunti complici, processato e assolto nel 2001. Diciotto anni dopo, nel 2019, è stato perquisito in una maxi-operazione della polizia contro una rete di ipotetici favoreggiatori dell’ex latitante, proprio nella casa di via Maggiore Toselli dove ora abita anche la figlia.
Ipotesi ripulitura
Ieri, all’arrivo di finanzieri e carabinieri, Risalvato ha subito consegnato la chiave della porta blindata protetta dall’armadio a muro. Ed è saltata fuori una camera abbastanza grande da contenere una persona che si vuole nascondere, forse sfuggita (se già c’era) alla perquisizione di tre anni fa.
Di fronte a quei pochi valori (almeno rispetto alle attese) e alle scatole per lo più vuote, Risalvato ha sostenuto che si tratta di una sorta di ripostiglio-magazzino sicuro, utilizzato da lui e dalla sua famiglia. Nessun accenno a Matteo Messina Denaro. E il fatto che gli inquirenti non abbiano trovato quello che speravano di trovare — come sembra dalle poche indiscrezioni che filtrano sull’indagine segreta — non significa che quel nascondiglio non sia stato utilizzato dal boss. Perché dal suo arresto alla perquisizione, ordinata appena è arrivata l’informazione sull’esistenza del bunker, sono comunque trascorse 48 ore; un tempo sufficiente a chiunque per «alleggerire» la camera blindata dall’eventuale contenuto che si voleva proteggere e portarlo altrove.
Le intercettazioni
Se Errico Risalvato è stato solo in odore di mafia, suo fratello Giovanni — di tre anni più giovane, ex consigliere comunale — è stato invece condannato a 14 anni di prigione per favoreggiamento dell’ultimo stragista, e scarcerato pochi mesi fa per fine pena. In un’intercettazione era stato ascoltato dagli investigatori mentre diceva, ricordando il tempo trascorso in compagnia del boss: «Chissà cosa pagherei per fumarmi un pacchetto di sigarette con lui. Minchia, una volta ce ne siamo fumati una stecca!».
E in un’altra conversazione registrata dalle microspie si entusiasmava all’idea di affiancare il latitante: «Gliel’ho detto un mare di volte, me ne vado con lui! Tanto a mio figlio non manca niente, mia moglie lo stipendio ce l’ha... meglio un giorno da leone che cent’anni da pecora».
L’indagine sulle complicità più recenti dell’ex imprendibile, insomma, si allarga inevitabilmente alla famiglia Risalvato, ma prosegue anche su Andrea Bonafede, l’uomo che gli ha prestato l’identità, nipote del capomafia di Campobello.
La carta d’identità
Nelle dichiarazioni rese agli investigatori ha raccontato che Messina Denaro gli ha chiesto la carta d’identità e la tessera sanitaria a maggio dello scorso anno, quando doveva operarsi nella clinica palermitana La Maddalena e gli consegnò i soldi per fargli acquistare l’appartamento divenuto poi la sua abitazione. Poco dopo gli ha restituito solo il primo documento, che nel frattempo aveva fatto clonare , non il secondo. Da allora il ricercato numero 1 è diventato Andrea Bonafede, ma c’è il sospetto che quello vero menta almeno rispetto al periodo in cui ha prestato nome e cognome al capomafia. Perché a novembre 2020 Messina Denaro è stato operato all’ospedale di Mazara del Vallo con l’identità di Bonafede.
Inoltre negli archivi delle forze dell’ordine risulterebbero nel recente passato un paio di controlli di routine su una persona che ha esibito quella carta d’identità. Chi era? Il vero Bonafede o il latitante? Difficile rispondere oggi a questa domanda, come alle tante altre che si stanno materializzando nell’inchiesta guidata dal procuratore Maurizio De Lucia sulle protezioni di cui ha goduto il capomafia, almeno nell’ultimo tratto della sua latitanza. Ad esempio quelle relative alla consapevolezza di chi gli ha garantito le cure mediche di cui ha avuto bisogno.
Primario indagato
Dopo l’ex medico di base di Campobello Alfonso Tumbarello, è stato iscritto nel registro degli indagati pure il nome di Filippo Zerilli, primario di Oncologia all’ospedale di Trapani, al quale i carabinieri hanno perquisito l’ufficio. È stato lui a ordinare l’esame del Dna per il sedicente Bonafede, necessario per prescrivergli la chemioterapia. Gli inquirenti devono verificare, anche attraverso la documentazione acquisita, se quando lo ha visitato il primario fosse consapevole che quel paziente fosse il famoso ricercato oppure no; a differenza di altre situazioni, infatti, non c’è prova certa che abbia conosciuto anche il vero Bonafede. Ma il capitolo dell’indagine sui professionisti che potrebbero aver contribuito alla latitanza dell’ormai ex primula rossa di Cosa nostra è appena all’inizio.
CorSera...ma di noi
sopra una sola teca di cristallo
popoli studiosi scriveranno
forse, tra mille inverni
«nessun vincolo univa questi morti
nella necropoli deserta»
C. Campo - Moriremo Lontani
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Ci si augura che gli inquirenti sappiano cosa stanno facendo e si stiano muovendo a ragion veduta...perchè se forse, nel caso del medico di famiglia, il sospetto che sapesse che ci aveva davanti non era il vero Andrea Bonafede, diversa cosa è per il primario di oncologia che ha fatto l'esame de dna per la chemioterapia: se si presenta un signore che si chiama Andrea Bonafede, registrato all'accettazione con documenti e tessera sanitaria in regola, io perchè, tra decine di pazienti, devo essere a conoscenza che quel tizio in verità non è chi dice di essere?
Siccome qua si parla di professionisti della medicina, persone innocenti "fino al terzo grado di giudizio", e siccome questi signori vengono però nel frattempo sbattuti su tutti i giornali (e con la professione che svolgono non è certo una gran cosa) additati con sospetto alla pubblica opinione, ripeto, auguriamoci che chi indaga sappia cosa sta facendo.
Per quanto riguarda il covo, quella casa era stata già perquisita nel 2019: https://www.lastampa.it/cronaca/2023...-I0-PM10-S7-T1
le carte e gli archivi Messina Denaro non se li sarebbe certo portati appresso di covo in covo, in specie in questi ultimi tempi di una latitanza da malato. E' tutto sistemato da tempo e chissà dove e come, avendone avuto di tempo con 30 anni di latitanza.
Se c'era una casa da perquisire era quella di Totò Riina nei minuti successivi al suo arresto. Covo caldo, caldissimo. Non fu fatto per ancora oggi misteriosi motivi, per ordini o decisioni arrivati direttamente dall'ambito di chi a vario titolo aveva potere decisorio al riguardo.
Va bene dunque indagare sugli appoggi e le coperture ricevute da Matteo Messina Denaro in questi tempi ultimi della sua latitanza (facendo bene attenzione però a non esporre innocenti alla gogna mediatica e pubblica), ma la pulizia va fatta prima di tutti in casa propria, e per ricostruire chi in casa propria con atti ed omissioni ha aiutato la mafia non servono le carte di Messina Denaro: chi ha detto no alla perquisizione della casa del capo della cupola appena arrestato? Per scoprirlo hai bisogno della collaborazione di Messina Denaro?...ma di noi
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C. Campo - Moriremo Lontani
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Beppe Grillo torna a fare il comico ma il M5S gli rinnova il contratto da 300mila euro. E scoppia la polemica
Una decisione che suscita un certo malumore tra i parlamentari che hanno dovuto fare i conti con il taglio del budget a disposizione per i collaboratori
Originariamente Scritto da SeanTu non capisci niente, Lukino, proietti le tue fissi su altri. Sei di una ignoranza abissale. Prima te la devi scrostare di dosso, poi potremmo forse avere un dialogo civile.
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comunque io mi chiedo perchè si sia fatto curare in un ospedale comune, sottostando ai lunghi tempi di attesa, le liste, il trattamento uguale a tutti gli altri pazienti, con il primario che l'ha ricevuto in tutto due volte, anzichè ricorrere a un "medico della mafia", magari all'estero, con un trattamento privilegiato degno di un uomo ricchissimo e potente, che in teoria non dovrebbe farsi scrupoli di passare avanti agli altri.
Ma anche il fatto che sia andato 3 volte a vaccinarsi. Se proprio aveva paura del covid poteva farlo a casa sua. O davvero gli serviva il green pass per andare al ristorante e in treno?
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Originariamente Scritto da Arturo Bandini Visualizza Messaggiocomunque io mi chiedo perchè si sia fatto curare in un ospedale comune, sottostando ai lunghi tempi di attesa, le liste, il trattamento uguale a tutti gli altri pazienti, con il primario che l'ha ricevuto in tutto due volte, anzichè ricorrere a un "medico della mafia", magari all'estero, con un trattamento privilegiato degno di un uomo ricchissimo e potente, che in teoria non dovrebbe farsi scrupoli di passare avanti agli altri.
Ma anche il fatto che sia andato 3 volte a vaccinarsi. Se proprio aveva paura del covid poteva farlo a casa sua. O davvero gli serviva il green pass per andare al ristorante e in treno?
Questione diversa se magari devi fare una operazione e allora puoi anche farti un mese all'estero...ma nel caso della chemioterapia sono cure cicliche per le quali non occorre andare chissà dove...con tutto che quella specifica clinica è attrezzatissima alla bisogna....ma di noi
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