L'angolo dell'arte

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    Originariamente Scritto da M K K Visualizza Messaggio
    Mi hanno colpito molto le sue opere " urbane" , riesce a dare un senso di profondità e prospettiva nel grigiume del cemento molto intenso, è un po' come avvicinarsi a grande stazione in treno
    per quel che ne capisco , ovvero quasi nulla, ovviamente
    Si, anche a me piacciono quelle prospettive urbane, il gesto, l'uso del colore.

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      Lo sborone.
      • Oct 2012
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      • Paradiso Scampia
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      Battuto un Magritte per 121 milioni di dollari.
      Peccato che si chiamava Rene, quelli dell' Ansa han scritto Hanry, che cazz0 si fumano questi?
      Originariamente Scritto da BLOOD black
      per 1.80 mi mancano 4/5 cm ....

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      • M K K
        finte ferie user
        • Dec 2005
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        • Macao [MO]
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        Shadow è arrivato il panettone Nino da orler , korriii!!!
        Ogni mio intervento e' da considerarsi di stampo satirico e ironico ,cosi come ogni riferimento alla mia e altrui persone e' da intendersi come mai realmente accaduto e di pura fantasia. In nessun caso , il contenuto dei miei interventi su questo forum e' atto all' offesa , denigrazione o all odio verso persone o idee.
        Originariamente Scritto da Bob Terwilliger
        Di solito i buoni propositi di contenersi si sfasciano contro la dura realtà dell'alcolismo.

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        • Arturo Bandini
          million dollar boy
          • Aug 2003
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          C’era una volta una giovane marchesa di nome Ilaria. Suo padre, Carlo I del Carretto marchese di Zuccarello, la diede in sposa a Paolo Guinigi, signore di Lucca. Era l’anno 1403. Ilaria aveva 24 anni.
          Il 24 settembre 1404 nacque da questa unione Ladislao Guinigi.
          A fine novembre del 1405 è la volta di Ilaria Minor. Ma lei, Ilaria del Carretto, non superò le complicanze del parto e morì pochi giorni dopo, l’8 dicembre.



          Il cronista di Paolo Guinigi, tale Sercambi, disse che “il predicto signore suo marito fu sommamente doglioso“. Per questo, racconta Vasari, “fece per la moglie che poco inanzi era morta, nella chiesa di San Martino una sepoltura; nel basamento della quale condusse alcuni putti di marmo che reggono un festone tanto pulitamente, che parevano di carne, e nella cassa posta sopra il detto basamento fece con infinita diligenza l’immagine della moglie d’esso Paulo Guinigi che dentro vi fu sepolta; e a’ piedi d’essa fece nel medesimo sasso un cane di tondo rilievo, per la fede da lei portata al marito.”

          Vasari parlava di uno dei monumenti funebri più conosciuti, realizzato tra il 1406 e il 1408 dallo scultore senese Jacopo della Quercia e conservato ancora nella Cattedrale di San Martino, a Lucca. Ma della bella Ilaria in quel sarcofago c’è solo l’immagine perché le sue spoglie sarebbero sepolte nella chiesa di Santa Lucia.



          L’opera di Jacopo è straordinaria per il senso di armonia che emana quella giovane donna dormiente, per l’idealizzazione unita a tratti teneramente umani.
          È eccezionale anche perché lo scultore scelse una tipologia di monumento che prima di allora si usava solo per i regnanti. A tutti gli altri era concessa una lastra pavimentale o un sarcofago da parete.



          Nonostante fossero i primi anni del Quattrocento, il sarcofago ha già un respiro rinascimentale per quel fregio a puttini e festoni che gira attorno al voluminoso basamento. Ilaria, per contrasto, appare ancora più fragile e delicata.



          Il suo volto sereno, sollevato su due cuscini, è incorniciato dalle ciocche di capelli ondulati e dalla voluminosa ciambella che la incorona. L’alto colletto cilindrico completa il ritratto con un tocco di regalità.



          L’abito, stretto sotto il seno da una fascia, scende lungo il corpo con un morbido panneggio. Le mani non sono giunte in preghiera né tengono un vangelo ma sono poggiate, sovrapposte, sopra il grembo. Quasi a proteggere quel ventre che dando la vita le aveva dato la morte.



          Ma l’elemento più commovente è ai piedi di Ilaria, dove un cagnolino – simbolo di fedeltà coniugale – la veglia accucciato sulle sue vesti.





          Non è una novità. Il cane come simbolo di fedeltà compare nelle sepolture fin dal Medioevo, ma ancora prima, nel Mediterraneo antico, era già collegato all’oltretomba. Aveva la testa di cane selvatico l’egizio Anubi, dio dell’imbalsamazione, e di teste di cane ne aveva tre il mitico Cerbero, guardiano della porta degli inferi. E poi c’è quel cane di terracotta , guardiano del sonno eterno del romanzo di Camilleri, che rimanda invece a un passo del Corano.

          Eppure il cane di Ilaria non ha nulla di allegorico. Sta là a guardarla, musetto in su, e possiamo essere certi che tra qualche secondo le si butterà addosso scodinzolando.



          Ma torniamo indietro al titolo di questo post. Che c’entra Salvatore Quasimodo con tutto questo? C’entra, c’entra. Perché ad Ilaria del Carretto ha dedicato versi struggenti, che raccontano quanto di terribile e definitivo ci sia in quella figura.

          Ma il poeta siciliano non è stato il primo né l’ultimo. Già Gabriele D’Annunzio, nel 1903, l’aveva descritta in una poesia dedicata alla città di Lucca con queste parole:
          «[…] Ora dorme la bianca fiordaligi/ chiusa ne’ panni, stesa in sul coperchio / del bel sepolcro; e tu l’avesti a specchio / forse, ebbe la tua riva i suoi vestigi. / Ma oggi non Ilaria del Carretto / signoreggia la terra che tu bagni, / o Serchio […]»



          Nel 1951, nella poesia “Appennino”, sarà Pier Paolo Pasolini a cantare le bella Ilaria come simbolo universale di una patria sconfitta:
          … e Ilaria, solo Ilaria…

          Dentro nel claustrale transetto
          come dentro un acquario, son di marmo
          rassegnato le palpebre, il petto

          dove giunge le mani in una calma
          lontananza. Lì c’è l’aurora
          e la sera italiana, la sua grama

          nascita, la sua morte incolore.
          Sonno, i secoli vuoti: nessuno
          scalpello potrà scalzare la mole

          tenue di queste palpebre.

          Jacopo con Ilaria scolpì l’Italia
          perduta nella morte, quando
          la sua età fu più pura e necessaria.





          Per Quasimodo, invece, Ilaria è simbolo di solitudine, di quella perdita di speranza che il poeta condivide con la fanciulla di marmo. La sua poesia, pubblicata nella raccolta “Ed è subito sera” del 1942, ha per titolo “Davanti al simulacro d’Ilaria del Carretto“. Non aggiungo altro.
          Sotto la terra luna già i tuoi colli,
          lungo il Serchio fanciulle in vesti rosse
          e turchine si muovono leggere.
          Così al tuo dolce tempo, cara; e Sirio
          perde colore, e ogni ora s’allontana,
          e il gabbiano s’infuria sulle spiagge
          derelitte. Gli amanti vanno lieti
          nell’aria di settembre, i loro gesti
          accompagnano ombre di parole
          che conosci. Non hanno pietà; e tu
          tenuta dalla terra, che lamenti?
          Sei qui rimasta sola. Il mio sussulto
          forse è il tuo, uguale d’ira e di spavento.
          Remoti i morti e più ancora i vivi,
          i miei compagni vili e taciturni.

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          • M K K
            finte ferie user
            • Dec 2005
            • 66873
            • 2,931
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            • Macao [MO]
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            Ottimo
            Ogni mio intervento e' da considerarsi di stampo satirico e ironico ,cosi come ogni riferimento alla mia e altrui persone e' da intendersi come mai realmente accaduto e di pura fantasia. In nessun caso , il contenuto dei miei interventi su questo forum e' atto all' offesa , denigrazione o all odio verso persone o idee.
            Originariamente Scritto da Bob Terwilliger
            Di solito i buoni propositi di contenersi si sfasciano contro la dura realtà dell'alcolismo.

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