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Dopo il pareggio loro ero convinto che saremmo stati spacciati...e pure prima dei rigori, nessuna illusione che ci avrebbero detto bene...Non riesco quindi a realizzare che invece siamo ancora in corsa e che domenica c'è l'ultima partita.
Per convincermi mi sono visto i rigori, ascoltato la radiocronaca di Repice e guardato le interviste ai bravissimi giocatori e allenatore.
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«nessun vincolo univa questi morti
nella necropoli deserta»
L’Italia in finale dell’Europeo a Wembley, battuta la Spagna ai rigori. Decisivi Donnarumma che ha parato il rigore di Morata e Jorginho che ha segnato il gol del trionfo. In anni di avare soddisfazioni del calcio italiano e soprattutto di amarezze per il calcio azzurro la Nazionale di Mancini è una meteora sorprendente. Ma con la finale davanti, contro Inghilterra o Danimarca, bisogna ragionare come se l’Europeo fosse ancora tutto da fare e da percorrere. Contro la Spagna è stata una partita sofferta, durissima, con la squadra di Luis Enrique che ha dominato nel gioco: l’Italia ha dovuto attaccarsi a tutto, stravolgersi più volte, trovare il gol col solito “tiro a giro” ma stavolta di Chiesa, e alla fine affidarsi anche a un disperato gioco difensivo. Ma è così che si percorrono avventure del genere, impossibile pensare che vada tutto liscio. L’Italia scende in piazza, strombazza e sventola i tricolori. E ora, come dice Bonucci, “Manca solo un centimetro ma è quello più importante”.
La gente strombazza e sbandiera il tricolore nelle piazze italiane. Nessuno si aspettava un’estate così. Non ci eravamo più abituati. Vincere ai rigori. Tra vincere e perdere c’è pochissimo, un dettaglio o due: la parata di Donnarumma su Morata, la freddezza con cui Jorginho ha messo dentro il rigore finale: portiere alla sua destra, pallone rasoterra, lento e mirato dall’altra parte. Quello che elimina la Spagna e manda l’ Italia al traguardo. Bisogna solo vedere se lo attraverseremo per primi.
All’ultima partita ci siamo arrivati. Ma è talmente alta la posta in gioco, che è come se l’ Europeo fosse tutto davanti e non alle spalle. E’ tutto un po’ difficile da credere, bisogna quasi prendersi a pizzicotti, ma è vero: l’ Italia nella finale dell’ Europeo a Wembley. Sono anni in cui il calcio italiano è avaro di soddisfazioni, per non dire della Nazionale che ci ha riservato le più feroci amarezze, adesso siamo di fronte a un’altra grande chance. La Nazionale di Mancini è una meteora sorprendente ma non è il momento di fare bilanci, di dire quanto siamo stati bravi, di sottolineare lo straordinario lavoro fatto dal ct. Lui stesso, del resto, ne è consapevole: “I meriti sono dei ragazzi, loro ci hanno sempre creduto quando abbiamo iniziato tre anni fa. Ma non è ancora finita”.
La semifinale con la Spagna è stata una partita vera, durissima, sofferta. Bella. Che vale e conta molto più delle altre. L’ Italia si è battuta contro un grande avversario, che ha dominato nel gioco, che ha stressato gli azzurri e li ha sorpresi non schierando Morata. Che è stato comunque un protagonista, nel bene e nel male: ha fatto il gol della rimonta, si è fatto parare il rigore da Donnarumma. Ancora una volta è stato decisivo Chiesa, che ha fatto gol in stile Insigne col solito “tiro a giro” dalla destra. In realta qualche differenza c’è, tiro più dritto e meno arrotato, ma nessuno vuole smontare la favola e il “tiraggir” alla napoletana è diventato ormai un marchio di questa avventura azzurra. Mancini ha puntato sulla solita squadra per poi stravolgerla gradatamente, scegliere addirittura di giocare senza centravanti (Berardi per Immobile), finire col fare una partita difensiva. Anche per oggettivo svuotamento del serbatoio della benzina, giocatori in sofferenza fisica e in debito di fiato, incapaci di andare a fare pressing sui palleggiatori spagnoli, crampi e acciacchi per tutti. Si è persino dovuto scegliere chi sostituire tra Bonucci e Chiesa perché ormai era rimasto un solo cambio.
Alla fine è andata, i rigori per chi gioca e per chi guarda significano sempre un anno di vita in meno. Con la Spagna poi c’è un conto eternamente aperto, i primi che vidi dal vivo furono quelli di Valladolid con la fantastica Under 21 di Vicini nel 1986. C’erano Vialli e Mancini in campo. Adesso questa fantastica notte londinese va archiviata e dimenticata, bisogna recuperare le forze, aspettare l’ Inghilterra o la Danimarca nello stadio più bello e iconico del mondo. Lì dove il football è praticamente nato.
Nel momento in cui non c’è più fiato per fare un passo, che la squadra è stata veramente strizzata come uno straccio bagnato, restano le parole dei giocatori che in questo Europeo hanno messo soprattutto il cuore. E adesso quasi piangono dalla gioia. Dice Donnarumma: “Manca l’ultimo passo per avverare il nostro sogno. Questa Italia ha un cuore grande, non molla mai”. Dice Bonucci: “Manca il centimetro più importante”. Appunto.
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Questa Italia sa vincere anche giocando all'italiana
di Massimo Mauro
Nelle prime cinque gare la squadra di Mancini ha imposto il proprio gioco. Contro la Spagna, che si è dimostrata superiore, ha invece passato il turno scoprendo di avere anche l'antico Dna
Se il centrale avversario gioca una grande partita (mi riferisco a Busquets) e i nostri tre di centrocampo, Jorginho, Barella e Verratti (che è stato il migliore dei tre) non riescono a incidere più di tanto, è indicativo di una gara di sofferenza dell'Italia. La Spagna ha giocato sempre uno contro uno, con il baricentro altissimo e ci è riuscita bene. Noi invece non ce la siamo sentita di avanzare Bonucci e Chiellini. Vero, la Spagna non ha fatto tantissimo sul piano delle occasioni, ma per tre quarti la partita l'ha fatta la squadra di Luis Enrique. Mi è piaciuto Immobile, con lui si è vista l'importanza di avere un giocatore che va in profondità: sull'azione del gol di Chiesa è stato decisivo, ed anche Insigne ha giocato una gara di grande intelligenza.
La mossa di Mancini di togliere Immobile per mettere Berardi non ci ha aiutato a tenere la Spagna lontano dalla nostre parti, tanto che poi con Belotti siamo tornati a respirare. Comunque una partita su sei la puoi fare diversamente, ed abbiamo capito di non sapere solamente imporre la nostra manovra, ma di poter giocare anche all'italiana. Onestamente la Spagna c è stata superiore, ma quando c'è stato da soffrire e difendere lo abbiamo fatto ritrovando un antico Dna. Passando ai singoli, una menzione per Emerson Palmieri: bravo in copertura, ma si è saputo proporre molto bene anche in attacco nel primo tempo. Insomma, il sostituto di Spinazzola ce l'abbiamo. Ora Inghilterra o Danimarca, ma prima ancora bisognerà recuperare le forze. Sarà interessantissimo vedere cosa deciderà Mancini circa la tattica da usare. Un bel rebus, ma chissà che giocare all'italiana non possa essere la chiave anche per la finale...
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Mancini su Spagna-Italia: «Ho sempre creduto in questi giocatori»
Il c.t. ha patito nel primo tempo, poi prima dei supplementari si è messo al centro, con i suoi giocatori a circondarlo: «Ho sempre creduto in loro, anche nei momenti più duri»
Il cerchio magico. Mancini si è messo al centro dei suoi giocatori quando i supplementari stavano per cominciare, ha dato le ultime indicazioni, tattiche e soprattutto mentali: qui non si molla, avanti a ogni costo, e chi non ha gambe — quasi tutti — abbia cervello e cuore.
Sono state le ultime raccomandazioni prima di tuffarsi all’inseguimento del sogno, in uno stadio che per il nostro c.t. ha sempre avuto un sapore speciale: terribile tanti anni fa quando ha lasciato qui la Coppa dei campioni con la sua Samp; meraviglioso pochi giorni fa quando gli azzurri hanno eliminato l’Austria e sono entrati tra le grandi d’Europa. Qui mi tocca sempre giocarmi un pezzo di cuore, avrà forse pensato. E in effetti pure questa sfida con la Spagna è stata incredibile. Per le emozioni e per le difficoltà, per i timori e per l’illusione di quel gol segnato a mezz’ora dalla fine e poi rimontato prima che il 90’ si avvicinasse. Fino all’apoteosi con quel tocco dolce di Jorginho.
Mancini grida, abbraccia, esulta. Poi si placa: «I meriti non sono miei, ma dei ragazzi: ho sempre creduto in loro. È stata una partita durissima, la Spagna è una grande squadra, gioca molto bene, sono maestri nel palleggio. Anche noi abbiamo disputato una buona gara, non come al solito però sapevamo che ci sarebbe stato da soffrire. Siamo andati in difficoltà soprattutto all’inizio dell’incontro, poi abbiamo trovato le coordinate giuste e non abbiamo rischiato troppo».
Il cerchio magico. Ne fanno parte anche coloro i quali gli stanno alle spalle, seduti in panchina, mentre lui, Mancini, ci mette il corpo e la faccia, a bordo campo. C’è molta della sua storia, là con lui:Vialli e Salsano, Lombardo e Evani. Quando arrivi così in alto, a pochi passi dal sogno, è bello avere con te i compagni di viaggio di una vita. Soprattutto se devi affrontare i supplementari per la seconda volta in tre partite e gli spagnoli sembrano più freschi nonostante abbiano fatto, loro sì, l’en plein: tre supplementari su tre. E poi arrivi ai rigori: allora servono energie anche mentali. «Quando giungi a quel punto, il confronto diventa tremendo». Anche se sai che puoi contare su un quinto rigorista quasi infallibile, Jorginho, l’uomo al quale il c.t. ha consegnato in mano la guida della squadra e che non tradisce nemmeno al termine di una gara complicatissima anche per lui, contro i grandi centrocampisti spagnoli. Un tocco e via, andiamo in finale.
L’Italia ha incontrato grandi difficoltà, ha dovuto concedere il possesso palla alla Spagna, spesso ha giocato in contropiede. La Nazionale padrona del campo, che abbiamo ammirato nella prima fase dell’Europeo, sembrava quasi tradisse la nostra storia di contropiedisti, se non di catenacciari.
Stavolta gli azzurri hanno recuperato un legame con il passato. Mancini però non vuole sentirne parlare: «Le squadre di calcio attaccano e difendono, noi non possiamo solo offendere. Abbiamo avuto occasioni da gol noi come loro. No, non abbiamo vinto all’italiana. È stato il confronto tra due grandi formazioni, una partita molto aperta
Ma il lavoro non è finito. Mancini lo ricorda quando gli azzurri sono ancora in campo a festeggiare, forse teme che qualcuno si senta appagato. No, non può essere così: domenica Wembley può permettere all’Italia di entrare definitivamente nella storia. «Non finisce qui, c’è la finale, dobbiamo completare l’opera. Dobbiamo solo preoccuparci di recuperare le energie quanto più in fretta è possibile».
Lo faranno al centro tecnico di Coverciano, dove sono rientrati nella notte. Hanno davanti tre giorni di lavoro a Firenze, poi sabato saranno di nuovo a Londra. Per chiudere il cerchio magico.
CorSera
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Italia-Spagna 5-3, Sconcerti: Mancini ha sedotto la fortuna, battuta una squadra che ha giocato meglio
Quando siamo andati ai rigori mi sono sentito sicuro. Abbiamo corso tanto per cercare di recuperare il pallone, siamo caduti in una trappola impossibile da evitare. Ma siamo sempre rimasti in partita. E ha deciso una piuma che sposta la storia
di Mario Sconcerti
È stata una partita grandiosa e sbagliata, ormai storica, ma quando siamo andati ai rigori mi sono sentito sicuro. Mancini piace alla fortuna, ha qualche cosa di sorpreso e femminile che lo rende universale. La fortuna non ci ha aiutato, siamo noi che l’abbiamo sedotta. La Spagna ha giocato meglio, è stata molto più squadra, se volete parliamo di tattica ma di vero non è successo niente. Ha deciso un rigore dopo due ore di gioco, una piuma nell’aria che sposta la storia. Quasi inaccettabile, è vero, ma stavolta è toccato agli altri. E a tratti, in quel lungo tempo supplementare triste come una sconfitta annunciata, ho visto la vecchia Italia, quella che avrebbe avuto una gran voglia di difendere il gol di Chiesa, di non essere più moderna, ma non l’ha fatto.
Ha solo sofferto un avversario che conosce il calcio meglio di noi, ma non ci è stato superiore. Ve l’avevo detto, il problema con la Spagna è riuscire a prendergli il pallone. Né Verratti, né Barella, e stavolta nemmeno troppo Jorginho, che ha giocato annullandosi con Pedri, ci sono mai riusciti. Abbiamo corso tanto per cercare da ogni parte un pallone che non trovavamo mai. È mancata tanto la profondità di Spinazzola, la sua facilità di saltare l’uomo e spingere Insigne oltre l’avversario. Così abbiamo perso anche Insigne.
Ma siamo sempre rimasti in partita, in difficoltà, mai travolti, perfino a lungo in vantaggio. Potevamo perdere, a un certo punto forse lo meritavamo anche, ma non sarebbe cambiato niente, avevamo dato tutto, avevamo comunque giocato il nostro calcio. Siamo solo un po’ caduti in una trappola impossibile da evitare. Ma c’è stato ovunque grande qualità. Olmo è un fantasista nuovo, Chiesa è un attaccante confermato, Bonucci e Chiellini giocatori eterni. Nessuno ha giocato male, qualcuno non ha solo potuto farlo perché portato contro avversari diversi. Ma è finita come doveva, la Spagna lo sentiva già, la faccia triste di Luis Enrique lo diceva, i dubbi sul suo portiere anche. Eppoi c’era la buona dea di Mancini, che come Venere alla grotta di Enea, ha accompagnato i rigoristi italiani. E lì era chiaro che avremmo violato Wembley e presa in mano la finale.
CorSera
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L'Inghilterra l'unico titolo che ha vinto lo ha conquistato a casa sua (pure sgraffignandolo perchè la storia del goal-non goal della Germania è nota).
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Tu non capisci niente, Lukino, proietti le tue fissi su altri. Sei di una ignoranza abissale. Prima te la devi scrostare di dosso, poi potremmo forse avere un dialogo civile.
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