Addio ad Ennio Morricone
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Originariamente Scritto da Barone Bizzio Visualizza Messaggio
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Immenso compositore .
RipOgni mio intervento e' da considerarsi di stampo satirico e ironico ,cosi come ogni riferimento alla mia e altrui persone e' da intendersi come mai realmente accaduto e di pura fantasia. In nessun caso , il contenuto dei miei interventi su questo forum e' atto all' offesa , denigrazione o all odio verso persone o idee.Originariamente Scritto da Bob TerwilligerDi solito i buoni propositi di contenersi si sfasciano contro la dura realtà dell'alcolismo.
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È morto Ennio Morricone, aveva 91 anni
Il grande musicista e compositore di colonne sonore immortali — da C’era una volta in America a Nuovo Cinema Paradiso — si è spento nella notte in una clinica romana: si era rotto il femore in una caduta
Ennio Morricone, premio Oscar e grande musicista e compositore, aveva 91 anni ed è morto nella notte fra il 5 e il 6 luglio in una clinica romana per le conseguenze di una caduta. La famiglia ha annunciato con una nota che i funerali si terranno in forma privata «nel rispetto del sentimento di umiltà che ha sempre ispirato gli atti della sua esistenza». La nota aggiunge che il maestro «ha conservato sino all’ultimo piena lucidità e grande dignità. ha salutato l’amata moglie Maria che lo ha accompagnato con dedizione in ogni istante della sua vita umana e professionale e gli è stato accanto fino all’estremo respiro ha ringraziato i figli e i nipoti per l’amore e la cura che gli hanno donato. Ha dedicato un commosso ricordo al suo pubblico dal cui affettuoso sostegno ha sempre tratto la forza della propria creatività».
«Non posso andare a Ravenna, ma salutami tutti», sono le ultime parole che giorni fa mi ha detto Ennio Morricone. È morto a 91 anni. Giorni fa sua moglie, l’amatissima Maria, mi aveva detto che era ricoverato in ospedale. Si era rotto il femore, forse è stato un modo per difenderlo. Aveva scritto la musica per la piéce Ci sono giorni che non accadono mai al debutto giovedì, me la canticchiava al telefono. Mi disse che prima del lockdown stava lavorando a tre commissioni, ma di avervi dovuto rinunciare: «Un pezzo avrebbe dovuto essere suonato al Duomo di Milano. Ma quello a cui tengo di più era destinato a una piccola associazione musicale».
Ha vinto due Oscar, che teneva nello studio sotto chiave. Perché li tieni così, se in casa “nascosti” se siete solo tu e Maria? «Una fissazione, lo so, risale a tanti anni fa, quando uno dei mie figli prestava i dischi agli amici e non li rivedevo più. Li prendeva dallo studio. Vedevo che si assottigliavano sempre di più. Saranno passati più di quarant’anni? Eh lo so, sono fatto così». Diceva che le musiche a cui era più legato «sono quelle che mi hanno fatto soffrire di più o quelle di film belli che sono andati malissimo, come Un tranquillo posto di campana o Un uomo a metà».
Il connubio e l’amicizia storica con Sergio Leone e gli spaghetti western cercava di sminuirla, ma con affetto. «Ho scritto più di cinquecento pezzi e mi chiedono solo degli spaghetti western». Era un uomo dolcissimo, un finto burbero capace di grande generosità. Mai una parola di troppo. Un romano atipico. Si divertiva a sorprendere l’interlocutore, diceva di non avere avuto una vocazione per la composizione, «è tato un processo graduale, prima volevo diventare medico, poi scacchista». Romano di Trastevere, il papà suonava la tromba all’Opera di Roma, Siccome lo stipendio non bastava, scelse la libera professione. Presto Ennio lo affiancò nei night-club come seconda tromba. C’era la guerra, la prima cosa che gli veniva in mente parlandone era un prete partigiano che gli disse, «tra poco ne sentirete Delle belle». Era la bomba di via Rasella. Si era trasferito da alcuni anni in una casa all’Eur, lasciando quella a due passi da piazza Venezia, nel cuore di Roma. «Vedi che vista?», diceva con lo sguardo rivolto a una distesa di verde con palazzi lontani come un puntino.
Un giorno gli domandai se ci fosse qualcosa di Sergio Leone che non aveva ancora detto. E lui: «Mi chiese se avessi qualche scarto di altri registi. Mi misi al piano e suonai C’era una volta in America. L’avevo scritto per Amore senza fine di Zeffirelli, ma ritirai la mia musica quando cercò di imporre nella mia colona sonora una canzone di Lionel Richie». C’era una volta Ennio, genio della musica per il cinema e per quella assoluta, come chiamava lui la classica, che riconobbe l’altra sua “metà”, quella accademica, in maniera tardiva, negli Anni 90.
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sopra una sola teca di cristallo
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forse, tra mille inverni
«nessun vincolo univa questi morti
nella necropoli deserta»
C. Campo - Moriremo Lontani
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Adesso trovo impossibile poter dire qualcosa di riassuntivo su Morricone, un nome che è universalmente noto e a più generazioni...perchè è un nome legato a quella sua musica che ha attraversato il tempo, trascendendo persino i film per i quali era stata scritta, entrando così (con altri pochi eletti) in un Parnaso dei classici.
Ciascuno ha la "sua" colonna sonora, ciascuno ha la sua canzone di questo straordinario, prolificissimo Maestro. Ha scritto per il cinema, per la tv, per la musica leggera ("Se telefonando" è sua).
Il suo legame con Leone, tanto che non puoi scindere immagini e musica, è a tutti noto.
Il mio nick ai tempi lo scelsi in omaggio a quella straordinaria canzone contenuta in "Giù la testa": Sean Sean...quella musica così elegiaca, così struggente, che evoca memorie, rimembranze, che ho amato fin da giovanissimo e che m'ha fatto amare il suo compositore.Last edited by Sean; 06-07-2020, 12:37:02....ma di noi
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C. Campo - Moriremo Lontani
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tra le colonne sonore adoro quella della piovra, che da bambino mi trasmetteva una forte angoscia e tristezza, come senso di minaccia. A parte ll tema principale, c'era quello di chiusura (mille echi) o "canzone per la sera" o "strana bambina": tutti capolavori, non ci sono tracce minori.
Sembrava un impiegato, aveva un aspetto modesto, ma queste musiche sono sublimazione di moti interiori inquietanti, sublimi e profondi
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Sì, per la Piovra scrisse musiche sublimi e perfettamente adatte allo spirito dello sceneggiato e dei personaggi (sfaccettati, tormentati, spesso tragici o segnati). Tra l'altro, pensando a quelle prime Piovra (gli attori, le musiche, i registi al lavoro su di uno sceneggiato tv), e alle attuali fiction, vediamo per l'ennesima volta il segno vivo del degrado.
Poi vorrei anche ricordare i temi che scrisse per i primi film di Argento (l'onirico accompagnamento finale di "Quattro mosche di velluto grigio", per dirne una).Last edited by Sean; 06-07-2020, 14:40:24....ma di noi
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C. Campo - Moriremo Lontani
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Genio, artista, compositore, chiamarlo solamente musicista è altamente riduttivo.
Una breve collezione delle sua più belle canzoni :
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Morricone: «Mission e papa Francesco, le due cose per cui ho pianto nella vita» La fotostoria
Il compositore: Sergio Leone? Mai contento. Il regista con cui lavoro meglio è Tornatore
Maestro Ennio Morricone, quest’anno lei compie novant’anni. Di soddisfazioni nella vita ne ha avute tante. Manca qualcosa all’appello?
«Professionalmente no. Ma un tarlo l’avrei…».
Quale?
«Scoprire perché papa Francesco non ama la musica. Che abbia fatto un fioretto?».
Perché dice questo?
«Un giorno il produttore Fernando Ghia mi trascinò a Londra per assistere, insieme al regista Roland Joffé, alla proiezione di un film senza musiche. Era una storia ambientata nel Seicento, nell’attuale Paraguay; raccontava di gesuiti che convertivano gli indios cercando di strapparli alla schiavitù. Alla fine venivano tutti massacrati».
È la trama di «Mission»…
«Esatto. All’ultima scena piangevo come un bambino. Lasciatelo così, dissi, la musica non serve. Alla fine accettai l’incarico. Un lavoro difficilissimo. Jeremy Irons, padre Gabriel, suonava l’oboe, quindi dovevo scrivere un brano per quello strumento. Che musica sacra si suonava in quel periodo? Studiai Claudio Monteverdi e Pierluigi da Palestrina. Infine, la domanda senza risposta: e il canto degli indios? Mi venne un’intuizione: tatta tatatatta tatatatta tatatatta, tatatta titti… Montammo la musica e riproiettammo il film. Ghia era entusiasta, Joffé e il produttore americano soddisfatti, il produttore inglese deluso».
Grande intuito, l’inglese…
«Venni a sapere che lui voleva un altro compositore. Ero solo il rincalzo perché l’altro era in giro per concerti. “Maria (chiede il maestro alla moglie che sta trafficando in cucina), ricordi chi doveva essere il compositore di Mission?”. “Bernstein”».
Non proprio l’ultimo arrivato.
«Sì, però se l’avessi saputo non avrei accettato. Ma mi lasci tornare al Papa. Anni dopo, una mattina, mentre andavo a prendere i giornali in Piazza del Gesù, mi avvicinò un gesuita e mi chiese di scrivere una Messa per i duecento anni dalla ricostituzione della Compagnia dopo la soppressione del 1773. Perché no? Poco prima dell’esecuzione, il Papa venne in visita alla chiesa e me lo fecero incontrare. Soli con lui, io e Maria scoppiammo a piangere; Francesco ci guardava in silenzio. Dopo qualche minuto riuscii a parlare, gli raccontai di “Mission”, della Messa e gli chiesi di venirla ad ascoltare. Lui ci regalò due rosari. Ma non venne. Dal Vaticano dissero che doveva ricevere Putin. E che problema c’era? Aspettavamo. Magari portava anche Putin. La verità è che Francesco non ha mai assistito a un concerto. Vada a verificare, vedrà se non è vero. Non pensi comunque che io sia un piagnone: ho pianto solo quelle due volte lì, per “Mission” e incontrando il Papa».
L’uomo che ha pattato una partita a scacchi con Boris Spasskij deve essere dotato di sangue freddo... Più facile riconoscere questa emotività a sua moglie. A proposito, posso chiederle di partecipare all’intervista?
«La partita con Spasskij fu il punto più alto della mia carriera scacchistica. Boris però mi confessò di non aver “spinto troppo”. Quanto a mia moglie, per me va benissimo, ma lei non ne vuole sapere».
Come vi siete conosciuti?
«Era amica di mia sorella. Un giorno ebbe un gravissimo incidente. La ingessarono dalla testa al torace. Andavo a trovarla tutti i giorni e mi innamorai di lei dentro a quello scafandro. Decisi che l’avrei sposata anche se avesse riportato gravi danni, come i medici temevano. Per fortuna è tornata come prima. Al conservatorio, prima di composizione, avevo studiato la tromba, come mio padre. Però me ne vergognavo e allora comprai una valigetta, perché se avessi usato la custodia si sarebbe capito qual era il mio strumento. Volevo mi vedesse come un grande compositore, non come un “trombista”. Quando mi diplomai in composizione, disse: “Ti regalo tanti etti di zuppa inglese quanti punti prendi”. Presi nove e mezzo e ci rimasi male. Lei però mi promosse con dieci: un chilo tondo tondo di zuppa inglese!»
Com’era la Roma in guerra?
«Suonavo nelle orchestrine, prima al Florida per i tedeschi, poi al Massimo d’Azeglio e al Mediterraneo per gli alleati. Gli americani non pagavano, ci davano cibo e sigarette. Vivevo per la musica e quasi non mi accorgevo di ciò che accadeva intorno. Poi ho sempre avuto paura di non riuscire a mantenermi e accettavo qualsiasi lavoretto. Per la mia insicurezza sfumò il posto da insegnante al Conservatorio».
Per la sua insicurezza?
«Il mio maestro, Goffredo Petrassi, riteneva fossi molto dotato. All’esame finale litigò con il direttore del Conservatorio perché si concentrò su un dettaglio e tolse mezzo punto al dieci con lode che riteneva mi spettasse. Dopo la prova accompagnai Petrassi a casa, in via Germanico 182. Eravamo commossi. Mi disse: non prenderti impegni per due anni, così ho il tempo di trovarti un incarico in Conservatorio. Non accadde. Seppe che arrangiavo canzonette per la radio e le riviste. Un contrabbassista amico di mio padre fece il mio nome ad alcuni direttori d’orchestra. Mi davano una melodia con le armonie messe male, io facevo pulizia».
È l’epoca di «Se telefonando» e di Mina?
«Quello avvenne dopo, quando mi chiamò la Rca. Mi affidarono diversi cantanti: Miranda Martino, Gino Paoli, Edoardo Vianello. Paoli canta meglio adesso che ha ottant’anni, l’orecchio se l’è fatto con il tempo. Vianello invece era bravissimo. “Se telefonando” mi venne chiesta da Diego De Chiara e Maurizio Costanzo come sigla di una trasmissione. Fu un successone. Mina me ne commissionò un’altra. Poi scomparve: aveva un fidanzato musicista e divenne impossibile avvicinarla».
Come approdò al cinema?
«Avevo lavorato con Salce per il teatro e nel 1961 mi chiese di comporre le musiche per “Il federale”. La mia carriera è sempre stata molto disordinata: facevo arrangiamenti, suonavo la tromba al Sistina, poi passavo alle orchestrazioni per il teatro, poi i dischi, la radio, la tv. Sa, per quel mio timore di morire di fame…».
Immagino sia stato l’incontro con Sergio Leone a sedare la sua paura di restare senza lavoro. Sbaglio?
«Con lui ho fatto “Per un pugno di dollari” e tutti i western. Era malfidente con tutti. Mai contento. Abitavamo vicini, veniva a trovarmi e io andavo da lui. Ma quando iniziavano le registrazioni era un tormento. “Non si sente bene il trombone”, e allora facevo suonare più forte il trombone. “Ora non si sente l’orchestra: fai tirare fuori i testicoli a quest’orchestra!”. Dopo un po’ perdevo la pazienza e lo davo in pasto ai musicisti. Voleva sempre i muscoli. La scena dei due treni che si scontrano l’ha fatta rifare per un mese. Il rumorista, sull’orlo di una crisi di nervi, sovrappose sei sottofondi e venne fuori un suono orribile. “Perfetto” disse Sergio soddisfatto: “Ci voleva tanto?”».
L’invenzione del fischio fece epoca, vinse il Nastro d’argento e quell’anno fu campione d’incassi. Fu allora che Hollywood si accorse di lei?
«Il fischio fu un regalo per Sergio. Quando lo sentì gli brillarono gli occhi. Solo che poi dovevo metterlo in tutti i film. Al terzo mi rifiutai: “Ebbasta fischià!”. Ma dovetti inventarne un’altra: aahaaha uauauo aahaaha uauauo, il coyote, realizzato con due voci strozzate messe insieme. Felice come una Pasqua, voleva però anche il fischio. Sa una cosa? Quella è la peggior musica che ho scritto. Un anno dopo, “Per un pugno di dollari” era ancora nelle sale e con Sergio andammo a vederlo al Cinema Quirinale. Uscendo, ci guardammo e, nello stesso istante, esclamammo: “Che brutto film!”».
Così vi dedicaste a qualcosa di più impegnato, come «C’era una volta in America».
«“C’era una volta in America” l’ho scritto a Los Angeles mentre aspettavo Zeffirelli, per il quale dovevo realizzare una colonna sonora che poi rifiutai di fare perché mi giocò un brutto scherzo. Con Franco tornai per l’“Amleto”. Dopo di che non accettai più lavori da lui. Non c’era intesa. Con Pasolini si creò invece un buon rapporto. Era un uomo discreto, gentile, delicato. Non ho mai colto un sorriso sul suo volto. S’illuminava solo se lo raggiungevano Ninetto Davoli e Sergio Citti. Quando lo uccisero, gli dedicai l’ultimo brano composto per “Salò o le 120 giornate di Sodoma”. Lo titolai: “Addio a Pier Paolo Pasolini”. Comunque ho quasi sempre lavorato con registi impegnati».
Qual è il migliore?
«Secondo i miei parametri Giuseppe Tornatore. Un altro grande è stato Elio Petri. Quando realizzai le musiche per “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”, non volle che andassi al mixaggio e mi mostrò il film già montato. Si spensero le luci, Elio era seduto alla mia sinistra. La musica era mia, ma di un altro lavoro. “Elio, sei matto, hai cambiato la musica”. “Sì, non senti com’è bella”. “Ma non c’entra nulla, è una stronzata!”. “Non senti che cori magnifici, Ennio, è la sua”. “Levala, ti prego levala”. Così per mezz’ora. Alla fine capitolai: “Sai che ti dico? Vai a sbattere”. A quel punto si rispensero le luci e ripartì il film con le musiche giuste. Era stato uno scherzo atroce».
I suoi genitori hanno fatto in tempo a godere dei suoi successi?
«Mio padre pensava che se lui era riuscito a mantenere la famiglia con la tromba avrei potuto farlo anch’io. Mia madre è morta dicendomi: “Mi raccomando, Ennio, scrivi delle belle canzoni orecchiabili”».
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C. Campo - Moriremo Lontani
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il più grande omaggio che il mondo possa rendergli è quello di ricordare la sua musica per sempre.
RIP.
"Pensare alla morte, pregare. C'è pure chi ha ancora questo bisogno, e se ne fanno voce le campane.
Io non l'ho più questo bisogno, perché muoio ogni attimo, io, e rinasco nuovo e senza ricordi:
vivo e intero, non più in me, ma in ogni cosa fuori".
(L. Pirandello)
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