Josh Paul, il funzionario che si è dimesso per protesta contro la politica di Biden in Israele: «Le armi Usa non dovrebbero essere usate per uccidere civili»
Josh Paul, direttore dell’ufficio per gli affari politico-militari al dipartimento di Stato, si è dimesso il 17 ottobre: «Parliamo di quasi 30mila morti a questo punto»
Josh Paul, direttore dell’ufficio per gli affari politico-militari al dipartimento di Stato, si è dimesso il 17 ottobre. Fu il primo funzionario a criticare la politica di Biden in Israele, seguito poi da altri con lettere aperte e «memo» interni. Ha scritto sul Washington Post: «Il 7 ottobre, quando Hamas massacrò i civili israeliani, mi sentii malissimo, sia per l’orrore vissuto da quegli innocenti, sia perché sapevo cosa sarebbe accaduto dopo.
Israele ha il diritto di difendersi, ma l’esperienza negli scontri dei passati 15 anni suggerisce che migliaia di civili palestinesi moriranno». Questa è la sua prima intervista italiana.
Perché si è dimesso?
«Sono stato il primo a prendere posizione probabilmente per via del mio lavoro: responsabile dell’assistenza americana per la sicurezza e del trasferimento di armi. Ero parte della catena di approvazione per l’invio di armi che consentono le azioni attuali di Israele a Gaza. Non credo che le armi americane dovrebbero essere usate per uccidere i civili. Subito dopo il 7 ottobre, c’è stata una spinta ad accelerarne l’invio. Mi sono dimesso dopo dieci giorni quando già duemila palestinesi erano stati uccisi. La ragione per cui forniamo queste armi è basata sul presupposto che daranno sicurezza a Israele, ma non è stato così. Hanno permesso di espandere gli insediamenti in Cisgiordania e l’assedio a Gaza, rendendo più difficile il raggiungimento di una pace duratura. Ma quando ho cercato di parlane, non c’era alcun interesse al dialogo».
Ma lei stesso ammette che chi lavora al dipartimento di Stato non crede di poter seguire il principio «per prima cosa non nuocere».
«Sì, per un decennio sono stato coinvolto in dibatti complessi, eticamente difficili, su quali armi inviare dove. Ma non era mai avvenuto in assenza di dibattito. E quando il dialogo manca nel governo, manca un processo che conduca a buone politiche».
Biden rischia di perdere le elezioni per la sua politica su Israele?
«Penso che sia a rischio. Ho parlato con molti leader di comunità arabe-americane ma anche progressisti che non riescono a immaginare di votare per lui. Non sceglieranno Trump, però potrebbero non votare. Penso anche che stia minando la nostra strategia globale. Biden è diventato presidente con la prospettiva che l’America è in un’era di competizione strategica e il modello che offriamo al mondo è di economia libera ma anche democrazia. Ma il supporto inflessibile per Israele negli ultimi mesi ha danneggiato le nostre relazioni in Medio Oriente, l’Onu e l’abilità di unire gli altri Paesi sull’Ucraina».
Quali sono i risultati della diplomazia di Blinken?
«Penso che Blinken prenda sul serio molte di queste preoccupazioni. Sento dire che è piuttosto avvilito di questi tempi. Temiamo l’escalation, ma nell’ultimo mese abbiamo inviato due volte in Israele munizioni per tank e artiglieria, non perché le sta esaurendo ma per le riserve nel caso di necessità in Libano. L’America ha avuto un ruolo nel circoscrivere alcuni dei piani militari israeliani. Ma parliamo di quasi 30mila morti a questo punto».
L’approccio di Obama con Israele era diverso?
«Biden sente profondamente la sua posizione. Essere pronti ad avere un confronto duro con Israele trascende la politica dei partiti. Reagan, quando Israele invase il Libano e bombardò Beirut per 14 ore, prese il telefono e disse: basta, danneggiate il vostro rapporto con noi. È inimmaginabile che Biden lo faccia. Quando Obama criticò gli insediamenti e Netanyahu gli gridò contro nello Studio Ovale, fu Biden che smussò le cose. Sono persone diverse, con approcci diversi».
CorSera
Josh Paul, direttore dell’ufficio per gli affari politico-militari al dipartimento di Stato, si è dimesso il 17 ottobre: «Parliamo di quasi 30mila morti a questo punto»
Josh Paul, direttore dell’ufficio per gli affari politico-militari al dipartimento di Stato, si è dimesso il 17 ottobre. Fu il primo funzionario a criticare la politica di Biden in Israele, seguito poi da altri con lettere aperte e «memo» interni. Ha scritto sul Washington Post: «Il 7 ottobre, quando Hamas massacrò i civili israeliani, mi sentii malissimo, sia per l’orrore vissuto da quegli innocenti, sia perché sapevo cosa sarebbe accaduto dopo.
Israele ha il diritto di difendersi, ma l’esperienza negli scontri dei passati 15 anni suggerisce che migliaia di civili palestinesi moriranno». Questa è la sua prima intervista italiana.
Perché si è dimesso?
«Sono stato il primo a prendere posizione probabilmente per via del mio lavoro: responsabile dell’assistenza americana per la sicurezza e del trasferimento di armi. Ero parte della catena di approvazione per l’invio di armi che consentono le azioni attuali di Israele a Gaza. Non credo che le armi americane dovrebbero essere usate per uccidere i civili. Subito dopo il 7 ottobre, c’è stata una spinta ad accelerarne l’invio. Mi sono dimesso dopo dieci giorni quando già duemila palestinesi erano stati uccisi. La ragione per cui forniamo queste armi è basata sul presupposto che daranno sicurezza a Israele, ma non è stato così. Hanno permesso di espandere gli insediamenti in Cisgiordania e l’assedio a Gaza, rendendo più difficile il raggiungimento di una pace duratura. Ma quando ho cercato di parlane, non c’era alcun interesse al dialogo».
Ma lei stesso ammette che chi lavora al dipartimento di Stato non crede di poter seguire il principio «per prima cosa non nuocere».
«Sì, per un decennio sono stato coinvolto in dibatti complessi, eticamente difficili, su quali armi inviare dove. Ma non era mai avvenuto in assenza di dibattito. E quando il dialogo manca nel governo, manca un processo che conduca a buone politiche».
Biden rischia di perdere le elezioni per la sua politica su Israele?
«Penso che sia a rischio. Ho parlato con molti leader di comunità arabe-americane ma anche progressisti che non riescono a immaginare di votare per lui. Non sceglieranno Trump, però potrebbero non votare. Penso anche che stia minando la nostra strategia globale. Biden è diventato presidente con la prospettiva che l’America è in un’era di competizione strategica e il modello che offriamo al mondo è di economia libera ma anche democrazia. Ma il supporto inflessibile per Israele negli ultimi mesi ha danneggiato le nostre relazioni in Medio Oriente, l’Onu e l’abilità di unire gli altri Paesi sull’Ucraina».
Quali sono i risultati della diplomazia di Blinken?
«Penso che Blinken prenda sul serio molte di queste preoccupazioni. Sento dire che è piuttosto avvilito di questi tempi. Temiamo l’escalation, ma nell’ultimo mese abbiamo inviato due volte in Israele munizioni per tank e artiglieria, non perché le sta esaurendo ma per le riserve nel caso di necessità in Libano. L’America ha avuto un ruolo nel circoscrivere alcuni dei piani militari israeliani. Ma parliamo di quasi 30mila morti a questo punto».
L’approccio di Obama con Israele era diverso?
«Biden sente profondamente la sua posizione. Essere pronti ad avere un confronto duro con Israele trascende la politica dei partiti. Reagan, quando Israele invase il Libano e bombardò Beirut per 14 ore, prese il telefono e disse: basta, danneggiate il vostro rapporto con noi. È inimmaginabile che Biden lo faccia. Quando Obama criticò gli insediamenti e Netanyahu gli gridò contro nello Studio Ovale, fu Biden che smussò le cose. Sono persone diverse, con approcci diversi».
CorSera
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