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Cronaca e politica estera [Guerra Ucraina-Russia] Thread unico.
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Zelensky: 'La Russia sarà sconfitta come lo fu il nazismo'
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Clinton: “Gli Usa sapevano già nel 2011 che Putin avrebbe attaccato l’Ucraina”
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Originariamente Scritto da The_Shadow Visualizza MessaggioDovessi pensare ad un meme che rappresenti l'occidente davanti a questa guerra?
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La Russia quest’anno crescerà più di Germania e Gran Bretagna: da Microsoft a Unicem, la falla nelle sanzioni
di Federico Fubini
Tra qualche giorno i leader del G7 si riuniscono a Hiroshima, in Giappone, dove parleranno e si divideranno su uno dei temi più controversi della nostra epoca: le sanzioni alla Russia. Si tratta di un esperimento senza precedenti, mai prima un Paese così vasto e integrato nell’economia mondiale era stato colpito da misure così a tappeto. Con Alexandra Prokopenko, una collega del Center for East European and International Studies di Berlino e del Carnegie Endowment for International Peace, ex consigliera della banca centrale della Russia fino all’inizio della guerra ma da allora esule, abbiamo cercato di trarre un bilancio in un saggio per Project Syndicate. Lo traduco qui sotto. Raccontiamo le sanzioni viste da Occidente e da Mosca. Facciamo i conti degli effetti, parliamo (per nome) delle grandi imprese occidentali che in qualche modo mantengono rapporti d’affari con la Russia, raccontiamo cosa veramente pensano e come si muovono gli oligarchi russi colpiti dal blocco dei patrimoni e dei visti. Spero vi prendiate il tempo di leggere tutto, magari non in una volta (sono otto cartelle e mezza).
Da Microsoft a Uncem, sanzioni e falle nella rete
Quest’anno la Russia crescerà più della Germania o della Gran Bretagna e come Francia e Italia, secondo le ultime previsioni del Fondo Monetario Internazionale. Dovrebbe quindi tenere testa, o superare, quattro dei Paesi del G7 che cercano di mantenere e rafforzare le sanzioni imposte sul regime di Vladimir Putin più di un anno fa (in foto, il presidente russo con l’omologo americano Joe Biden).
Il piano non era questo. La scorsa primavera, mentre Putin contava su una rapida vittoria militare in Ucraina, i leader occidentali pensavano che le armi economiche e finanziarie avrebbero potuto schiacciare la Russia. All’inizio dell’aprile 2022 Mario Draghi, da premier, espresse quest’idea quando difese l’embargo sulle fonti fossili russe dicendo che bisognava scegliere tra la pace e l’aria condizionata.
Per fortuna tutta questa fiducia nell’efficacia delle sanzioni non ha impedito agli Stati Uniti e ai governi europei di inviare armi e altri aiuti all’Ucraina. Ma l’idea iniziale era che il congelamento delle riserve valutarie russe detenute all’estero, le restrizioni sulle banche e sulle persone, la chiusura agli scambi di tecnologia e materie prime avrebbero portato l’economia russa al collasso. Di conseguenza, avrebbero potuto costringere Putin ad abbandonare la sua “operazione militare speciale” in Ucraina. Meno di due mesi dopo l’invasione, il Fmi prevedeva che l’economia russa sarebbe caduta dell’8,5% nel 2022 e del 2,3% quest’anno.
Da allora il Fondo ha rivisto le stime sul Pil russo per il 2022 e il 2023 di ben 9,4 punti percentuali al rialzo. Uno scarto di queste dimensioni non è frutto di un semplice errore di previsione, è il segno della sopravvalutazione da parte di noi occidentali della nostra capacità di controllare il commercio e altri aspetti strategici dell’economia globale. La realtà è che l’Occidente non domina più la globalizzazione. E i governi dei Paesi democratici hanno capito in ritardo che per i regimi revisionisti e autoritari la logica puramente economica non sempre viene prima. Putin ha portato avanti la sua guerra all’Ucraina incurante dei costi materiali e umani. E le élite economiche russe, benché inorridite, non hanno cercato di contenerlo.
Al contrario gli oligarchi hanno collaborato con Putin e la sua macchina da guerra, mentre in privato raccontavano agli stranieri che a loro le politiche del dittatore non piacciono. Non c’è niente di sorprendente in tutto questo: il rapporto fra il Cremlino e gli oligarchi si basa su una sorta di lealtà negativa, una caratteristica tipica della Russia di oggi e ormai anche dei rapporti a livello di (certe) imprese tra Russia e Occidente.
Le misure colabrodo
Del resto ormai sappiamo tutti perché le previsioni più ottimistiche sull’impatto delle sanzioni non si sono avverate. Cina, India, Malesia e Singapore hanno intensificato gli acquisti di petrolio russo e molte imprese occidentali hanno aumentato l’import di prodotti petroliferi che queste economie emergenti ricavano dal greggio degli Urali. La Cina, rafforzata nel suo nuovo ruolo di primo partner commerciale della Russia, fornisce ai russi semiconduttori, droni e altre tecnologie utilizzabili sia per scopi civili che militari. Paesi come la Turchia, gli Emirati Arabi Uniti, il Kazakistan, l’Armenia e altre ex repubbliche sovietiche stanno prosperando come intermediari tra gli esportatori occidentali e la Russia per qualsiasi cosa, dagli smartphone alle macchine utensili (dopo un crollo del 43% nei primi mesi della guerra, nel novembre 2022 le importazioni russe erano già tornate in gran parte ai livelli prebellici).
Allo stesso modo, gli interessi costituiti in alcuni Paesi hanno impedito all’Unione europea di vietare le importazioni di importanti prodotti russi come i diamanti e l’acciaio grezzo. L’anno scorso alcuni Paesi europei hanno raddoppiato gli acquisti di bramme d’acciaio semilavorato russo, sostituendo così le forniture degli stabilimenti ucraini ormai distrutti di Mariupol. L’Italia è diventata una grande importatrice di acciaio russo.
Inoltre, alcuni dei principali canali finanziari della Russia con l’Occidente sono rimasti aperti. Per esempio l’Unione europea non ha tagliato i rapporti con Gazprombank, nonostante le importazioni di gas dalla sua holding Gazprom siano quasi del tutto interrotte. A Cipro, Gazprombank è il terzo istituto di credito del Paese e continua a operare sotto la sorveglianza della Banca centrale europea.
Profitti senza onore
Inoltre, da quando la Russia è stata sottoposta a sanzioni nel 2014, dopo l’annessione illegale della Crimea e il sostegno ai separatisti del Donbas, alcune aziende occidentali mostrano a loro volta lealtà negativa verso i propri Paesi. In genere rispettano le sanzioni, ma alcune hanno trovato il modo di continuare a lavorare con profitto con le controparti russe: incluse le forniture a società che lavorano per il complesso militare-industriale di Mosca.
Il mese scorso, ad esempio, il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti e l’Office of Foreign Assets Control del Tesoro degli Stati Uniti hanno imposto una multa di 3,3 milioni di dollari a Microsoft. Nel 2016 e nel 2017 una filiale di Microsoft aveva concluso accordi con due società russe sanzionate: una coinvolta nella costruzione del ponte di Kerch che collega la Russia alla Crimea e l’altra nella produzione di navi da guerra russe.
Un esempio più recente riguarda poi l’azienda italiana Danieli, grande fornitore di macchine utensili di precisione per la produzione di acciaio. Danieli ha annunciato il ritiro totale dalle operazioni in Russia e con la Russia solo una decina di giorni fa, dopo che il “Corriere” aveva rivelato che una delle sue filiali aveva fornito tecnologia per la produzione di acciaio al conglomerato russo Severstal lo scorso agosto (Danieli nega qualsiasi illecito e non è oggetto di alcuna azione legale). Severstal è un enorme conglomerato siderurgico, considerato un fornitore importante per i produttori di sottomarini, navi da guerra e veicoli blindati russi. Il capo e azionista di controllo della società, Alexey Mordashov, uno degli uomini più ricchi della Russia, è nell’elenco delle sanzioni dei Paesi occidentali da subito dopo l’invasione del febbraio 2022.
Altre due società quotate in borsa, la statunitense SLB (primo fornitore al mondo di servizi petroliferi), e l’italiana Buzzi Unicem (grande produttore di cemento), stanno utilizzando una scappatoia che consente alle loro filiali russe di continuare a operare. Nessuna società stabilita in Russia è tenuta a rispettare la legislazione occidentale, quindi ciò che SLB e Buzzi Unicem stanno facendo è perfettamente legale. E anche molto redditizio.
L’anno scorso le filiali russe di questi due gruppi hanno registrato un aumento del fatturato, probabilmente anche perché nel frattempo i loro concorrenti occidentali si erano volontariamente ritirati. SLB e Buzzi Unicem forniscono alla Russia prodotti fondamentali e, nel caso del petrolio, anche fonti strategiche di reddito. (Come Danieli, le due aziende negano qualsiasi illecito e non sono soggetta ad alcuna azione legale in patria).
Inoltre, l’ultimo rapporto del «Gruppo di lavoro internazionale sulle sanzioni contro la Russia», guidato da Andriy Yermak (capo dell’ufficio presidenziale del presidente ucraino Volodymyr Zelensky), e da Michael McFaul (Stanford University), affronta la questione dei microchip occidentali trovati nei missili e nei droni russi sparati sull’Ucraina. Si legge nel rapporto: «I missili e i droni russi sono dotati di microchip di fabbricazione straniera adatti a Glonass (il sistema di navigazione satellitare russo, ndr) che li guida su obiettivi selezionati». E ancora: «Aziende straniere tra cui Linx Technologies, Qualcomm e STMicroelectronics, secondo quanto riferito, continuano a produrre microchip abilitati per Glonass e li vendono alla Russia attraverso numerose società di comodo, intenzionalmente o meno». Tutti questi gruppi sono basati negli Stati Uniti, ad eccezione della STMicroelectronics, controllata dai governi di Francia e Italia.
Non ci sono prove che i semiconduttori occidentali siano stati forniti alla Russia dopo il febbraio 2022, né risultano accuse di violazione delle sanzioni nei confronti delle aziende coinvolte. Ma questi produttori potrebbero facilmente cambiare alcune caratteristiche dei loro chip per evitare che possano funzionare su armi russe. Questi sono solo alcuni casi fra tanti. Il rapporto Yermak-McFaul suggerisce che i governi democratici dovrebbero imporre una tassa del 100% sui profitti delle società occidentali derivanti dalle loro filiali in Russia e mandare quei ricavi all’Ucraina.
In generale le scappatoie legali, il comportamento opportunistico delle aziende, il tentennamento dei governi, le influenti lobby industriali dei Paesi occidentali e la mancanza di cooperazione da parte delle economie emergenti stanno contribuendo ad attenuare l’impatto delle sanzioni. Ma concludere che queste siano un fallimento sarebbe sbagliato: semmai è il caso di renderle più incisive e difficili da aggirare.
Stringere viti
Di certo le sanzioni sono meglio dell’alternativa: meglio cioè che lasciare che il Cremlino finanzi morte e distruzione in Ucraina con le risorse dai pagamenti che noi europei manderemmo a Mosca per comprare prodotti russi. Senza misure di guerra economica, staremmo ancora versando fino a un miliardo di dollari al giorno alle imprese legate direttamente o indirettamente a Putin. Comunque cercare di fare qualcosa è meglio che lasciare che tutto continui come prima. Ma soprattutto ci sono segni evidenti che le sanzioni, per quanto imperfette, stanno funzionando.
Il regime di Putin è già costretto a vendere materie prime a prezzi scontati e ad acquistare tecnologie a prezzi più alti, proprio a causa dei costi necessari ad aggirare gli ostacoli legali. Quest’anno il bilancio pubblico russo è sotto pressione per la spesa militare e di sicurezza nazionale - che rappresentano un terzo delle uscite, una cifra record - e perché è costretto a sostituire alcune importazioni dai Paesi occidentali con altre da fonti diverse. Per ora il Cremlino può permettersi di finanziare queste spese, ma qualsiasi nuovo shock potrebbe colpire gravemente le finanze pubbliche di Mosca.
Per ridurre questi rischi, le autorità russe stanno spremendo l’economia in cerca di maggiori entrate, tra cui i proventi di una tassa sugli extra-profitti delle imprese e l’obbligo per le aziende occidentali che lasciano il Paese di pagare un contributo (oltre a concedere agli acquirenti uno sconto del 50% sulla valutazione delle loro proprietà). Putin ne ha bisogno proprio perché le sanzioni pesano sul bilancio russo, in particolare nel settore del gas e del petrolio, che nel 2022 valeva quasi metà delle entrate pubbliche. Nei primi quattro mesi del 2023, il gettito da queste voci è giù del 45% rispetto a un anno fa. E il prossimo anno sarà ancora più difficile per il Cremlino, poiché Putin dovrà affrontare le elezioni presidenziali a marzo. Come al solito il processo non sarà affatto libero o corretto, ma Putin avrà comunque bisogno di denaro da spendere per rafforzare la propria popolarità. Le imprese, sia occidentali che russe, potrebbero subire nuove estorsioni.
Anche per questo, le relazioni tra il Cremlino e alcuni oligarchi russi diventeranno sempre più decisive. Nel febbraio 2022 nelle élite degli affari del Paese regnava una sorta di diffusa rimozione della realtà della guerra imminente. Anche dopo aver lavorato con Putin per decenni e aver beneficiato dei rapporti con cerchie di potere corrotte e aggressive, questi oligarchi non avevano capito i piani del leader. Poi il loro stato di choc iniziale ha lasciato presto il posto a una sorta di accettazione passiva, anche quando le sanzioni occidentali hanno iniziato a colpire un magnate dopo l’altro.
Uomini eleganti
Gli uomini dell’élite russa, sia gli alti funzionari che gli uomini d’affari, sono pragmatici e alieni all’ideologia. Molti miliardari hanno fatto fortuna negli anni ‘90 e ovviamente considerano ancora i loro legami con il Cremlino una risorsa cruciale. Le sanzioni hanno causato loro un’incertezza senza precedenti, ma continuano a dimostrare la loro lealtà negativa nei confronti di Putin: sono scontenti della situazione eppure continuano a lavorare in Russia, continuano a fornire risorse alla macchina da guerra di Mosca e a guadagnare tanto. Ad alcuni di loro sono bastati meno di otto mesi per tornare a fare affari a livello internazionale e persino a trovare nuovi clienti. I grandi flussi di denaro provenienti dall’Asia e dai Paesi del sud del mondo sono la loro attuale ricompensa. E il timore di rappresaglie dei servizi segreti, la prospettiva di rimanere per sempre sotto sanzioni occidentali, il fatto che il loro tenore di vita non sia peggiorato spingono tutti nella stessa direzione: gli oligarchi oggi non trovano motivo di prendere posizione contro il regime.
Mordashov è un caso emblematico. Dopo l’inizio della guerra e le sanzioni, questo multi-multimiliardario si è impegnato a fondo per ripulire la propria reputazione in Occidente. I principali media statunitensi hanno persino pubblicato articoli molto comprensivi verso di lui, ritraendolo come un oligarca favorevole alle riforme che cerca di mantenere le sue distanze da Putin. Eppure Mordashov ha prestato miliardi di dollari a Sergey Roldugin, un violoncellista che si ritiene detenga conti bancari per Putin, e ha partecipato a riunioni con Putin all’inizio della guerra. A marzo anche il fondatore di Alpha Bank Mikhail Fridman, altro oligarca sotto sanzioni che non ama essere bollato come filo-Putin, ha collezionato una dozzina di lettere di oppositori del Cremlino volte a rimarcare le proprie credenziali di uomo d’affari indipendente.
Queste strategie fanno capire che le sanzioni occidentali stanno facendo male i magnati russi. Allo stesso tempo, la “lealtà negativa” delle élite russe le lascia atomizzate, complici del disastro ma incapaci di unirsi in un’azione degna di nota per evitare conseguenze ancora peggiori. I governi democratici potrebbero cercare di sfruttare queste contraddizioni e debolezze. Il più recente rapporto Yermak-McFaul suggerisce di stabilire un percorso chiaro per la revoca delle sanzioni contro coloro che prendano attivamente le distanze dal Cremlino e si impegnino a ripristinare i confini legali dell’Ucraina. Ciò equivarrebbe a cercare di ispirare negli oligarchi russi una “slealtà positiva”. Per rafforzare l’incentivo, esso dovrebbe essere abbinato all’ampliamento delle sanzioni contro un numero maggiore di figure pubbliche e private in Russia.
L’esperimento
Da 14 mesi, l’economia mondiale è sottoposta a un esperimento senza precedenti: spezzare i legami commerciali, finanziari e personali con un Paese che si estende su undici fusi orari e si trova al cuore della globalizzazione. Prima del febbraio 2022, i regimi di sanzioni a tappeto prendevano di mira Paesi ai margini dell’economia globale. L’Iran, l’economia più importante colpita prima della Russia, non è nemmeno tra le prime quaranta al mondo, con un prodotto lordo annuo che raggiunge a stento i 365 miliardi di dollari. La Russia invece ha un’economia da duemila miliardi di dollari, undicesima al mondo. E se negli ultimi ottant’anni le sanzioni sono diventate uno strumento politico relativamente di routine, oggi quelle imposte su un solo Paese sono più di 13 mila - più di quelle contro Cuba, Iran e Corea del Nord messe insieme. L’unico precedente di una grande economia sottoposta a misure così vasta è stata l’Italia di Mussolini nel 1935, ma allora il commercio internazionale rappresentava una quota molto minore del Pil di un Paese.
La posta in gioco di questo esperimento non potrebbe essere più alta, e non solo per l’Ucraina. Capiremo presto se misure come gli embarghi commerciali, i divieti di viaggio e il congelamento dei beni privati e statali rappresenteranno un’eccezione o diventeranno strumenti politici ordinari in un mondo diviso in blocchi. Per esempio, secondo fonti ben informate, l’amministrazione americana sta suggerendo ai governi europei di sanzionare gli ultranazionalisti che stanno sabotando i tentativi della Serbia di entrare nell’Unione.
Funzionerà? Difficile immaginare che le democrazie possano imporre sanzioni secondarie ai Paesi che aiutano la Russia attraverso triangolazioni, come la Turchia fa per innumerevoli piccole e medie imprese italiane. Nel caso della Cina poi, è impensabile. Un approccio di questo tipo sarebbe impossibile da attuare e creerebbe un’immagine detestabile degli Stati Uniti e dell’Europa nei Paesi emergenti e in via di sviluppo. Al contrario, le potenze occidentali dovrebbero cercare di incoraggiare e non di reprimere: dovrebbero alimentare una lealtà positiva nei Paesi in via di sviluppo ed emergenti offrendo loro incentivi, come la fornitura di tecnologie avanzate e verdi, se questi aiutano a far rispettare le sanzioni.
Più in genere, servono coordinamento e trasparenza. Un organismo consultivo internazionale sulle sanzioni - incaricato di individuare le lacune e le altre carenze, di condividere e gestire le informazioni e di valutare l’impatto - sarebbe utile sia per i governi che per le imprese. È un’idea che i leader del G7 potrebbero prendere in considerazione quando si vedono a Hiroshima, in Giappone, tra qualche giorno.sigpic
Free at last, they took your life
They could not take your PRIDE
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Non mi trovo affatto d'accordo con Fubini sul parallelismo che fa sulle attuali sanzioni alla Russia con quelle che furono messe in atto contro l'Italia nel '35...per carità, sono proprio due pianeti diversi per misura, larghezza, ricadute.
Nel '35 furono sanzioni "pro forma", definiamole così...Non produssero nessuna effettiva ricaduta sull'economia italiana e pensiamo poi che paesi come Stati Uniti, Germania, Giappone non aderirono a quelle sanzioni...Le stesse promotrici delle sanzioni (Inghilterra e Francia) non misero l'embargo sul petrolio...per cui parliamo di niente - anzi furono quelle una mossa politicamente miope perchè spinsero (o aiutarono a spingere) l'Italia tra le braccia della Germania.
Tutto un altro paio di maniche queste sanzioni verso la Russia, che colpiscono in primis l'energia, il petrolio, il gas e tanti altri comparti dell'economia russa.
Il problema per l'occidente è che la Russia è un impero, il suo estesissimo territorio è pieno di tesori naturali e basta metterli sul mercato per trovare le risorse che permettano alla Russia di andare avanti, visto che forse l'occidente può essere un blocco unico ma non il mondo....ma di noi
sopra una sola teca di cristallo
popoli studiosi scriveranno
forse, tra mille inverni
«nessun vincolo univa questi morti
nella necropoli deserta»
C. Campo - Moriremo Lontani
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Il problema è che il mercato che si autoregola di machiniana memoria, è in realtà una bestia che non ha altro interesse che non se stesso e il suo accrescersi e quindi in nome del profitto se ne sbattono tutti delle sanzioni.
C'è chi è più povero, c'è chi crepa mentre le oligarchie economiche mondiali se ne sbattono e ingrassano. Accentrano denaro e potere, però ci sono specchietti per le allodole così i machine (che qui uso come archetipo, non come individuo) possono fare circlejerking su che grande unità occidentale e che forza nelle sanzioni.
Sent from my Pixel 7 Pro using TapatalkOriginariamente Scritto da claudio96
sigpic
più o meno il triplo
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Originariamente Scritto da Ponno Visualizza MessaggioIl problema è che il mercato che si autoregola di machiniana memoria, è in realtà una bestia che non ha altro interesse che non se stesso e il suo accrescersi e quindi in nome del profitto se ne sbattono tutti delle sanzioni.
C'è chi è più povero, c'è chi crepa mentre le oligarchie economiche mondiali se ne sbattono e ingrassano. Accentrano denaro e potere, però ci sono specchietti per le allodole così i machine (che qui uso come archetipo, non come individuo) possono fare circlejerking su che grande unità occidentale e che forza nelle sanzioni.
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Le sanzioni le giudico su altri parametri
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Originariamente Scritto da The_machine Visualizza MessaggioPerché dici questo? L'occidente mi è sembrato inaspettatamente coerente e coeso (per quanto possano esserlo una moltitudine di nazioni con interessi differenti) fin dall'inizio.
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Originariamente Scritto da Barone Bizzio Visualizza MessaggioPonno scusa ma a me sembra le sanzioni stiano funzionando. Io chiaramente la vulgata per cui la Russia va in default grazie alle sanzioni non la prendo in considerazione.
Le sanzioni le giudico su altri parametri
Numbers will tell you anything you want if you torture them long enough (semicit)
Sent from my Pixel 7 Pro using TapatalkOriginariamente Scritto da claudio96
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