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Michael Wolff: «L’indifendibile Trump sfrutterà il processo, il verdetto non avrà effetti»
Wolff (autore di «Fuoco e Furia»): Biden? È senza strategia
«È un caso straordinariamente solido, mi aspetto una condanna per tutti o almeno per alcuni dei capi di imputazione», ci aveva detto Michael Wolff, alla vigilia del verdetto nel processo a Donald Trump a Manhattan per i pagamenti alla pornostar Stormy Daniels. Lo avevamo incontrato in fila, all’alba, in attesa di entrare in tribunale per assistere al processo, dove ha assistito anche alle arringhe finali.
Wolff è l’autore del bestseller del 2018 «Fuoco e Furia» (Rizzoli), forse il libro più esplosivo sulla presidenza Trump, del quale lo stesso ex presidente cercò di impedire la pubblicazione, realizzato dal giornalista americano installandosi prima al quartier generale della campagna elettorale nel 2016 e poi sui divani della Casa Bianca, osservando tutto «come una mosca sul muro» (poi ha scritto i seguiti: Assedio e Landslide, La frana).
Perché la difesa non è riuscita a minare la credibilità del testimone chiave, l’ex avvocato e complice di Trump, Michael Cohen, che in passato mentì in tribunale e al fisco?
«La difesa di Trump è stata la tradizionale difesa di Trump: negare, negare, negare. Negare anche l’innegabile. Il caso della Procura era molto chiaro, spiegato per filo e per segno. Non c’è alcun dubbio che abbiano falsificato i documenti aziendali: pretestuoso dire il contrario. E lo hanno fatto per influenzare l’elezione. È tutto».
Che impressione le ha fatto la deposizione di Cohen?
«Certamente interessante. Ha catturato la mia attenzione e penso quella di tutti. Avvincente. È Michael Cohen, tutti sanno che è Michael Cohen. Ma per me questo rafforzava il fatto che è il Michael Cohen di Donald Trump, l’uomo che Trump ha assunto e di cui si fidava. Non ha davvero tradito Trump quando lavorava per lui, ha fatto tutto quello che Trump voleva. Penso che questo messaggio sia passato».
E ora Trump come userà la condanna?
«In ogni caso, colpevole o non colpevole, era chiaro che questo verdetto sarebbe diventato un tema della campagna elettorale, quasi la questione primaria della campagna elettorale. Quindi, in un certo senso, gioca a suo vantaggio».
Come descriverebbe l’atteggiamento di Trump?
«In Aula per la maggior parte è stato impassibile per sei settimane. Fuori, parlando alla stampa al mattino e la sera, ha fatto la consueta imitazione di Trump: tutti gli altri mentono, tutti gli altri sono nemici, lui è la vittima... lo abbiamo visto in molti contesti, è una performance lineare. E spesso, per lui, una performance di successo».
Che effetto avrà sul voto? Sarà irrilevante tra 5 mesi o può dissuadere un numero di sostenitori piccolo ma cruciale in un testa a testa con Biden?
«Non so se Trump vincerà le elezioni. Ma la mia sensazione è che alla fine, se ci sarà un effetto del verdetto, sarà relativamente ridotto. Mi baso sui numeri che stiamo vedendo e sul fatto che nell’anno passato abbiamo visto Trump incriminato quattro volte senza che ciò abbia cambiato i numeri in modo significativo».
Può contribuire alla sfiducia nel sistema giudiziario da parte degli americani?
«Non necessariamente degli americani, ma suppongo dei sostenitori di Trump».
Quindi può danneggiare la fiducia nelle istituzioni?
«Ma non darei la colpa al sistema giudiziario o all’incriminazione, la darei a Trump».
Cosa pensa della strategia di Biden? Durante le arringhe finali, la campagna di Biden ha portato De Niro davanti al tribunale e c’è stato uno scontro con la campagna di Trump.
«Se questa è la strategia, è, come si dice, “in ritardo di un giorno e a corto di dollari”. Non riesco a immaginare quale sia la strategia di Biden: direi nessuna, totale passività, incapacità di concepire quello che si trova ad affrontare. Non dico che perderà necessariamente. Ma se vincerà sarà per via di Trump non di Biden».
Per via delle debolezze di Trump anziché della forza di Biden?
«Oppure semplicemente perché Trump è imprevedibile. Se Biden è fortunato, Trump si tirerà la zappa sui piedi al momento appropriato della campagna elettorale, il che di certo è credibile dato che si tira spesso la zappa sui piedi».
CorSera
Wolff (autore di «Fuoco e Furia»): Biden? È senza strategia
«È un caso straordinariamente solido, mi aspetto una condanna per tutti o almeno per alcuni dei capi di imputazione», ci aveva detto Michael Wolff, alla vigilia del verdetto nel processo a Donald Trump a Manhattan per i pagamenti alla pornostar Stormy Daniels. Lo avevamo incontrato in fila, all’alba, in attesa di entrare in tribunale per assistere al processo, dove ha assistito anche alle arringhe finali.
Wolff è l’autore del bestseller del 2018 «Fuoco e Furia» (Rizzoli), forse il libro più esplosivo sulla presidenza Trump, del quale lo stesso ex presidente cercò di impedire la pubblicazione, realizzato dal giornalista americano installandosi prima al quartier generale della campagna elettorale nel 2016 e poi sui divani della Casa Bianca, osservando tutto «come una mosca sul muro» (poi ha scritto i seguiti: Assedio e Landslide, La frana).
Perché la difesa non è riuscita a minare la credibilità del testimone chiave, l’ex avvocato e complice di Trump, Michael Cohen, che in passato mentì in tribunale e al fisco?
«La difesa di Trump è stata la tradizionale difesa di Trump: negare, negare, negare. Negare anche l’innegabile. Il caso della Procura era molto chiaro, spiegato per filo e per segno. Non c’è alcun dubbio che abbiano falsificato i documenti aziendali: pretestuoso dire il contrario. E lo hanno fatto per influenzare l’elezione. È tutto».
Che impressione le ha fatto la deposizione di Cohen?
«Certamente interessante. Ha catturato la mia attenzione e penso quella di tutti. Avvincente. È Michael Cohen, tutti sanno che è Michael Cohen. Ma per me questo rafforzava il fatto che è il Michael Cohen di Donald Trump, l’uomo che Trump ha assunto e di cui si fidava. Non ha davvero tradito Trump quando lavorava per lui, ha fatto tutto quello che Trump voleva. Penso che questo messaggio sia passato».
E ora Trump come userà la condanna?
«In ogni caso, colpevole o non colpevole, era chiaro che questo verdetto sarebbe diventato un tema della campagna elettorale, quasi la questione primaria della campagna elettorale. Quindi, in un certo senso, gioca a suo vantaggio».
Come descriverebbe l’atteggiamento di Trump?
«In Aula per la maggior parte è stato impassibile per sei settimane. Fuori, parlando alla stampa al mattino e la sera, ha fatto la consueta imitazione di Trump: tutti gli altri mentono, tutti gli altri sono nemici, lui è la vittima... lo abbiamo visto in molti contesti, è una performance lineare. E spesso, per lui, una performance di successo».
Che effetto avrà sul voto? Sarà irrilevante tra 5 mesi o può dissuadere un numero di sostenitori piccolo ma cruciale in un testa a testa con Biden?
«Non so se Trump vincerà le elezioni. Ma la mia sensazione è che alla fine, se ci sarà un effetto del verdetto, sarà relativamente ridotto. Mi baso sui numeri che stiamo vedendo e sul fatto che nell’anno passato abbiamo visto Trump incriminato quattro volte senza che ciò abbia cambiato i numeri in modo significativo».
Può contribuire alla sfiducia nel sistema giudiziario da parte degli americani?
«Non necessariamente degli americani, ma suppongo dei sostenitori di Trump».
Quindi può danneggiare la fiducia nelle istituzioni?
«Ma non darei la colpa al sistema giudiziario o all’incriminazione, la darei a Trump».
Cosa pensa della strategia di Biden? Durante le arringhe finali, la campagna di Biden ha portato De Niro davanti al tribunale e c’è stato uno scontro con la campagna di Trump.
«Se questa è la strategia, è, come si dice, “in ritardo di un giorno e a corto di dollari”. Non riesco a immaginare quale sia la strategia di Biden: direi nessuna, totale passività, incapacità di concepire quello che si trova ad affrontare. Non dico che perderà necessariamente. Ma se vincerà sarà per via di Trump non di Biden».
Per via delle debolezze di Trump anziché della forza di Biden?
«Oppure semplicemente perché Trump è imprevedibile. Se Biden è fortunato, Trump si tirerà la zappa sui piedi al momento appropriato della campagna elettorale, il che di certo è credibile dato che si tira spesso la zappa sui piedi».
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Un puttaniere pregiudicato e una mummia incartapecorita, con chiari segni di demenza
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