L’ottimismo di Putin: perché questo è stato il suo mese migliore negli ultimi 2 anni (e qual è la sua speranza, ora)
Perché lo zar adesso appare più sicuro in attesa del voto negli Stati Uniti dove spera che vinca Trump. Intanto che cosa deve fare l’Occidente - e in particolare l’Europa?
È stato un mese molto positivo per Vladimir Putin, forse il migliore per lui da quando ha lanciato la sua guerra di aggressione contro l’Ucraina. Raccontano buone fonti moscovite che ancora sei settimane fa, egli fosse in preda a una forte depressione.
Ma ieri, intervenendo al G20 virtuale, il presidente russo è apparso disteso e sicuro di sé. Dopo esserne stato escluso due volte, Putin è tornato nel consesso su invito del premier indiano Modi, a conferma che India e Cina sono oggi i suoi volenterosi sostenitori sulla scena internazionale, retribuiti con centinaia di milioni di barili di greggio e metri cubi di gas a prezzo stracciato.
«N aturalmente dovremmo pensare a come porre fine a questa tragedia», ha detto Putin riferendosi alla guerra in Ucraina, quasi che non fosse stato lui a scatenarla. «E comunque — ha proseguito — la Russia non ha mai rifiutato di sedersi al tavolo con l’Ucraina», dimenticando di aggiungere «alle sue condizioni».
È un fatto, che a chi lo ha visto di recente, lo zar sia apparso euforico. E che, scendendo «per li rami», l’umore politico a Mosca volga al trionfalismo. Al punto che la presidente del Consiglio della Federazione, Valentina Matvienko, propone di creare in Russia «un ministero per la Felicità». Orwell non avrebbe immaginato di meglio. Ma ci sono altre ragioni oltre al ritorno nel G20, a rendere soddisfatti Putin e i suoi pretoriani.
L’attacco di Hamas contro Israele e la guerra di Gaza hanno fornito al capo del Cremlino la crisi di cui aveva bisogno, deviando l’attenzione politica e mediatica dell’Occidente dall’Ucraina. Giorgia Meloni parla inavvertitamente di «fatica». Il Congresso Usa litiga sulla prosecuzione degli aiuti a Kiev. E anche l’Europa rischia di veder messo in discussione lo scostamento di bilancio da 100 miliardi di euro, metà dei quali destinati all’Ucraina, a causa dei problemi interni di molti Paesi, a cominciare dalla Germania.
Al fronte, l’offensiva ucraina è di fatto cessata. Le perdite russe sono immense, così come quelle di Kiev, ma l’armata di Putin ha tenuto, mentre un aperto dissenso sulla condotta di guerra è emerso tra il presidente Zelensky e i vertici militari. Di più, se gli europei ammettono di non poter mantenere la promessa di fornire a Kiev un milione di proiettili d’artiglieria entro marzo, la Corea del Nord ne ha già consegnati altrettanti ai russi (sufficienti per un mese di bombardamenti intensi) e promette di continuare allo stesso ritmo.
Il capo del controspionaggio ucraino, Kyrylo Budanov, stima che l’economia russa sarà in grado di sostenere lo sforzo di guerra «senza difficoltà fino al 2025». Di fatto, mentre le previsioni di crescita dell’Eurozona per quest’anno sono appena dello 0,8%, con il Pil tedesco addirittura in calo dello 0,2%, il Fondo Monetario stima che la Russia alla fine del 2023 sarà cresciuta del 2,2%. Sta dando i suoi frutti il «keynesismo militare» del Cremlino, che prevede di aumentare del 70% il bilancio della difesa nel 2024 rispetto al 2023, già segnato da un forte incremento. Il sistema-Russia è di fatto al servizio della guerra, le spese per le armi sono un terzo di tutta la spesa pubblica e il 6% del Pil.
Putin se lo può permettere perché le sanzioni non hanno avuto l’impatto sperato: grazie soprattutto a Cina e India, ma anche ai Paesi vicini come Georgia, Kazakhstan e Kirghizistan, o alla Turchia, la Russia ha saputo adattare i suoi circuiti logistici e produttivi per resistere allo choc. La perdita dei mercati energetici europei è stata ampiamente compensata: nel primo anno di guerra la Russia ha incassato circa 600 miliardi di dollari dalle esportazioni, in massima parte materie prime, ben 160 miliardi sopra la media degli ultimi dieci anni. Nonostante il tetto a 60 dollari al barile imposto dal G7, Mosca vende ancora il suo petrolio a più di 80 dollari, grazie agli accordi di limitazione della produzione con l’Arabia Saudita.
Infine, a dispetto del drammatico costo di vite umane gettate nella fornace ucraina, Putin gode di una relativa stabilità sociale. Certo, nelle regioni più povere, quelle che forniscono più carne da cannone, le famiglie dei caduti ricevono 5 milioni di rubli per ogni militare ucciso, sono 50 mila euro, cifra che pochi russi guadagnano in una vita di lavoro. Il totale controllo dei media, la narrazione ufficiale di una Russia sola contro l’«Occidente collettivo» e la repressione brutale di ogni residuo dissenso fanno il resto.
Il calcolo di Putin è guadagnare tempo, esattamente un anno, quando si deciderà la partita della Casa Bianca, che lui spera sia Donald Trump a vincere. A quel punto potrebbe anche sedersi a un tavolo, convinto di poter strappare un compromesso nei suoi termini. Ma fin lì egli non avrà alcun interesse né voglia di trattare. La domanda è semplice: se è vero, come scrive ilWall Street Journal che «è tempo di mettere fine al pensiero magico della sconfitta russa», cosa deve fare l’Occidente e in particolare, gli europei?
«Saremo messi alla prova — dice un diplomatico tedesco ancora molto ascoltato — e dovremo dimostrarci ancora più fermi e risoluti». Andrew Weiss, che ha lavorato con Bush padre e Bill Clinton, evoca la celebre formula della Guerra Fredda e parla di «containment» delle ambizioni espansionistiche di Putin, dandole nuovo significato. La costante è guardare al lungo periodo con pazienza, come allora senza illudersi che a Mosca un cambio di regime sia imminente. Ma contenimento oggi significa proseguimento delle sanzioni; contrasto della Russia su ogni terreno, da quello politico, alla cybersecurity, alla disinformazione; rafforzamento della deterrenza e delle difese della Nato; nuovi investimenti nell’industria militare. Secondo il diplomatico, tocca però soprattutto all’Europa fare un passo in più, per «evitare di cadere nell’insignificanza». Un gruppo di Paesi — in primis Germania, Francia, Italia e la nuova Polonia — dovrebbe lanciare un’iniziativa politico-strategica, mobilitando nuove risorse per ripristinare gli arsenali oggi debilitati e poter continuare il sostegno militare a Kiev anche nell’ipotesi che quello americano possa ridursi o venir meno, e contemporaneamente assicurare aiuti economici anche per i prossimi anni. Vasto programma. Ma senza alternative, pena l’abbandono dell’Ucraina al suo destino e il crollo di ogni ambizione europea.
CorSera
Perché lo zar adesso appare più sicuro in attesa del voto negli Stati Uniti dove spera che vinca Trump. Intanto che cosa deve fare l’Occidente - e in particolare l’Europa?
È stato un mese molto positivo per Vladimir Putin, forse il migliore per lui da quando ha lanciato la sua guerra di aggressione contro l’Ucraina. Raccontano buone fonti moscovite che ancora sei settimane fa, egli fosse in preda a una forte depressione.
Ma ieri, intervenendo al G20 virtuale, il presidente russo è apparso disteso e sicuro di sé. Dopo esserne stato escluso due volte, Putin è tornato nel consesso su invito del premier indiano Modi, a conferma che India e Cina sono oggi i suoi volenterosi sostenitori sulla scena internazionale, retribuiti con centinaia di milioni di barili di greggio e metri cubi di gas a prezzo stracciato.
«N aturalmente dovremmo pensare a come porre fine a questa tragedia», ha detto Putin riferendosi alla guerra in Ucraina, quasi che non fosse stato lui a scatenarla. «E comunque — ha proseguito — la Russia non ha mai rifiutato di sedersi al tavolo con l’Ucraina», dimenticando di aggiungere «alle sue condizioni».
È un fatto, che a chi lo ha visto di recente, lo zar sia apparso euforico. E che, scendendo «per li rami», l’umore politico a Mosca volga al trionfalismo. Al punto che la presidente del Consiglio della Federazione, Valentina Matvienko, propone di creare in Russia «un ministero per la Felicità». Orwell non avrebbe immaginato di meglio. Ma ci sono altre ragioni oltre al ritorno nel G20, a rendere soddisfatti Putin e i suoi pretoriani.
L’attacco di Hamas contro Israele e la guerra di Gaza hanno fornito al capo del Cremlino la crisi di cui aveva bisogno, deviando l’attenzione politica e mediatica dell’Occidente dall’Ucraina. Giorgia Meloni parla inavvertitamente di «fatica». Il Congresso Usa litiga sulla prosecuzione degli aiuti a Kiev. E anche l’Europa rischia di veder messo in discussione lo scostamento di bilancio da 100 miliardi di euro, metà dei quali destinati all’Ucraina, a causa dei problemi interni di molti Paesi, a cominciare dalla Germania.
Al fronte, l’offensiva ucraina è di fatto cessata. Le perdite russe sono immense, così come quelle di Kiev, ma l’armata di Putin ha tenuto, mentre un aperto dissenso sulla condotta di guerra è emerso tra il presidente Zelensky e i vertici militari. Di più, se gli europei ammettono di non poter mantenere la promessa di fornire a Kiev un milione di proiettili d’artiglieria entro marzo, la Corea del Nord ne ha già consegnati altrettanti ai russi (sufficienti per un mese di bombardamenti intensi) e promette di continuare allo stesso ritmo.
Il capo del controspionaggio ucraino, Kyrylo Budanov, stima che l’economia russa sarà in grado di sostenere lo sforzo di guerra «senza difficoltà fino al 2025». Di fatto, mentre le previsioni di crescita dell’Eurozona per quest’anno sono appena dello 0,8%, con il Pil tedesco addirittura in calo dello 0,2%, il Fondo Monetario stima che la Russia alla fine del 2023 sarà cresciuta del 2,2%. Sta dando i suoi frutti il «keynesismo militare» del Cremlino, che prevede di aumentare del 70% il bilancio della difesa nel 2024 rispetto al 2023, già segnato da un forte incremento. Il sistema-Russia è di fatto al servizio della guerra, le spese per le armi sono un terzo di tutta la spesa pubblica e il 6% del Pil.
Putin se lo può permettere perché le sanzioni non hanno avuto l’impatto sperato: grazie soprattutto a Cina e India, ma anche ai Paesi vicini come Georgia, Kazakhstan e Kirghizistan, o alla Turchia, la Russia ha saputo adattare i suoi circuiti logistici e produttivi per resistere allo choc. La perdita dei mercati energetici europei è stata ampiamente compensata: nel primo anno di guerra la Russia ha incassato circa 600 miliardi di dollari dalle esportazioni, in massima parte materie prime, ben 160 miliardi sopra la media degli ultimi dieci anni. Nonostante il tetto a 60 dollari al barile imposto dal G7, Mosca vende ancora il suo petrolio a più di 80 dollari, grazie agli accordi di limitazione della produzione con l’Arabia Saudita.
Infine, a dispetto del drammatico costo di vite umane gettate nella fornace ucraina, Putin gode di una relativa stabilità sociale. Certo, nelle regioni più povere, quelle che forniscono più carne da cannone, le famiglie dei caduti ricevono 5 milioni di rubli per ogni militare ucciso, sono 50 mila euro, cifra che pochi russi guadagnano in una vita di lavoro. Il totale controllo dei media, la narrazione ufficiale di una Russia sola contro l’«Occidente collettivo» e la repressione brutale di ogni residuo dissenso fanno il resto.
Il calcolo di Putin è guadagnare tempo, esattamente un anno, quando si deciderà la partita della Casa Bianca, che lui spera sia Donald Trump a vincere. A quel punto potrebbe anche sedersi a un tavolo, convinto di poter strappare un compromesso nei suoi termini. Ma fin lì egli non avrà alcun interesse né voglia di trattare. La domanda è semplice: se è vero, come scrive ilWall Street Journal che «è tempo di mettere fine al pensiero magico della sconfitta russa», cosa deve fare l’Occidente e in particolare, gli europei?
«Saremo messi alla prova — dice un diplomatico tedesco ancora molto ascoltato — e dovremo dimostrarci ancora più fermi e risoluti». Andrew Weiss, che ha lavorato con Bush padre e Bill Clinton, evoca la celebre formula della Guerra Fredda e parla di «containment» delle ambizioni espansionistiche di Putin, dandole nuovo significato. La costante è guardare al lungo periodo con pazienza, come allora senza illudersi che a Mosca un cambio di regime sia imminente. Ma contenimento oggi significa proseguimento delle sanzioni; contrasto della Russia su ogni terreno, da quello politico, alla cybersecurity, alla disinformazione; rafforzamento della deterrenza e delle difese della Nato; nuovi investimenti nell’industria militare. Secondo il diplomatico, tocca però soprattutto all’Europa fare un passo in più, per «evitare di cadere nell’insignificanza». Un gruppo di Paesi — in primis Germania, Francia, Italia e la nuova Polonia — dovrebbe lanciare un’iniziativa politico-strategica, mobilitando nuove risorse per ripristinare gli arsenali oggi debilitati e poter continuare il sostegno militare a Kiev anche nell’ipotesi che quello americano possa ridursi o venir meno, e contemporaneamente assicurare aiuti economici anche per i prossimi anni. Vasto programma. Ma senza alternative, pena l’abbandono dell’Ucraina al suo destino e il crollo di ogni ambizione europea.
CorSera
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