Sommergibile Titan, registrati suoni anche oggi. L’esperto: «Potrebbero provenire da lì, ma c’è poco tempo»
L’ex capitano della Marina militare americana David Marquet,a proposito dei rumori di colpi captati dai sonar, nelle acque dove si cerca, lottando contro il tempo, il sommergibile Titan
«C’è la possibilità che questi suoni siano umani», dice al Corriere l’ex capitano della Marina militare americana David Marquet, a proposito dei rumori di colpi captati dai sonar nelle acque dove si cerca, lottando contro il tempo, il sommergibile Titan sparito durante una spedizione turistica verso il Titanic.
Rumori che — secondo quanto dichiarato dal capitano Frederick, alla guida delle complesse operazioni di ricerca del sommergibile — sono stati registrati anche mercoledì mattina: «Sono tutti da decifrare, ma stiamo setacciando quell’area. E la speranza di recuperare l’equipaggio c’è sempre».
Marquet, che è stato comandante del sottomarino nucleare USS Santa Fe e autore di un bestseller pubblicato anche in Italia con il titolo «The leader ship. La vera storia di un capitano capace di distribuire l’autorità al suo equipaggio», sottolinea che «nell’oceano ci sono molti suoni, di animali, balene, di navi di passaggio, di quelle usate per le ricerche e anche gli aerei producono suoni che finiscono nelle acque. È stato determinato che questi suoni meritano di essere verificati e dunque gli aerei hanno lasciato cadere nell’oceano delle sonoboe a un miglio di distanza l’una dall’altra. Se più di una sonoboa capta il rumore si può ottenere una localizzazione che di solito è grande quanto un campo da football. Questa localizzazione viene trasmessa al sistema di controllo di un ROV (remotely operated vehicle), un veicolo subacqueo che va in profondità, dove è completamente buio. L’ROV ha telecamere e luci ma comunque non può vedere molto intorno a sé. Va nella zona, manovra tra le correnti, striscia in avanti alla ricerca di quello che è un oggetto piuttosto piccolo, delle dimensioni di un piccolo autobus, sul fondale. E ci sono pezzi del Titanic lì intorno e formazioni rocciose intorno alle quali deve manovrare».
Lei pensa che se fosse finito in superficie sarebbe stato trovato. Quindi deve essere sul fondale o incastrato nel Titanic.
«Corretto».
E lei ha spiegato che per tirarlo fuori in passato si sarebbero potute usare insieme due navi con sistemi di recupero che non esistono più, ma oggi invece il metodo migliore è un sistema basato su un cavo con un uncino. C’è ancora tempo?
«Sì ci sono ancora 24 ore, c’è ancora tempo. Esiste un sistema espressamente ideato dalla Marina americana, si chiama FADOSS (Flyaway Deep Ocean Salvage System), che è in pratica un lungo cavo portatile su una spola e questo sistema è stato mandato in Canada, all’isola di Terranova. Tipicamente viene montato temporaneamente su navi usate per i pozzi petroliferi. Ma prima di tutto il problema è trovare il sommergibile».
Le persone a bordo in che stato saranno a questo punto?
«Se sono vive, sono in uno spazio piccolo, l’aria è cattiva, stanno finendo l’ossigeno, hanno mal di testa perché respirando emettono biossido di carbonio e quel sommergibile ha piccoli depuratori che assorbono il biossido di carbonio ma col tempo diventano meno efficaci. Dopo i mal di testa, viene la nausea... si muore di auto-avvelenamento».
C’erano dubbi su questo mezzo, il Titan: era stato criticato perché non certificato e non testato da tutti i punti di vista per le profondità in cui si è avventurato. Si aprirà un dibattito sui benefici e i rischi dell’innovazione rispetto alla regolamentazione in America?
«Forse. Io penso che se facessimo solo cose che vengono regolamentate e sono sicure al 100% non andremmo molto avanti come specie, quindi apprezzo le persone che spingono sui limiti. Ma la questione è: loro hanno scelto di non affrontare le normali regole di certificazione attraverso gli organismi predisposti per questi sommergibili. Puoi farlo, ma c’è chi potrebbe dire che a quel punto non devi aspettarti che ti vengano a salvare spendendo milioni di dollari per la ricerca. Vediamo la stessa cosa con gli scalatori: a volte un team non addestrato va in montagna, e i soccorritori rischiano la vita per salvarli, ma il punto è che quelle persone non dovrebbero essere sulla montagna».
Cosa pensa che sia successo al Titan?
«Se i colpi sono umani lo scafo non si è rotto. Se lo scafo si è rotto sono morti: senza aria, sott’acqua, la pressione è tale che i loro polmoni si sarebbero ridotti alle dimensioni di un uovo. Se stanno facendo rumore sono vivi, non hanno molto tempo a disposizione, ma stanno facendo la cosa giusta».
CorSera
L’ex capitano della Marina militare americana David Marquet,a proposito dei rumori di colpi captati dai sonar, nelle acque dove si cerca, lottando contro il tempo, il sommergibile Titan
«C’è la possibilità che questi suoni siano umani», dice al Corriere l’ex capitano della Marina militare americana David Marquet, a proposito dei rumori di colpi captati dai sonar nelle acque dove si cerca, lottando contro il tempo, il sommergibile Titan sparito durante una spedizione turistica verso il Titanic.
Rumori che — secondo quanto dichiarato dal capitano Frederick, alla guida delle complesse operazioni di ricerca del sommergibile — sono stati registrati anche mercoledì mattina: «Sono tutti da decifrare, ma stiamo setacciando quell’area. E la speranza di recuperare l’equipaggio c’è sempre».
Marquet, che è stato comandante del sottomarino nucleare USS Santa Fe e autore di un bestseller pubblicato anche in Italia con il titolo «The leader ship. La vera storia di un capitano capace di distribuire l’autorità al suo equipaggio», sottolinea che «nell’oceano ci sono molti suoni, di animali, balene, di navi di passaggio, di quelle usate per le ricerche e anche gli aerei producono suoni che finiscono nelle acque. È stato determinato che questi suoni meritano di essere verificati e dunque gli aerei hanno lasciato cadere nell’oceano delle sonoboe a un miglio di distanza l’una dall’altra. Se più di una sonoboa capta il rumore si può ottenere una localizzazione che di solito è grande quanto un campo da football. Questa localizzazione viene trasmessa al sistema di controllo di un ROV (remotely operated vehicle), un veicolo subacqueo che va in profondità, dove è completamente buio. L’ROV ha telecamere e luci ma comunque non può vedere molto intorno a sé. Va nella zona, manovra tra le correnti, striscia in avanti alla ricerca di quello che è un oggetto piuttosto piccolo, delle dimensioni di un piccolo autobus, sul fondale. E ci sono pezzi del Titanic lì intorno e formazioni rocciose intorno alle quali deve manovrare».
Lei pensa che se fosse finito in superficie sarebbe stato trovato. Quindi deve essere sul fondale o incastrato nel Titanic.
«Corretto».
E lei ha spiegato che per tirarlo fuori in passato si sarebbero potute usare insieme due navi con sistemi di recupero che non esistono più, ma oggi invece il metodo migliore è un sistema basato su un cavo con un uncino. C’è ancora tempo?
«Sì ci sono ancora 24 ore, c’è ancora tempo. Esiste un sistema espressamente ideato dalla Marina americana, si chiama FADOSS (Flyaway Deep Ocean Salvage System), che è in pratica un lungo cavo portatile su una spola e questo sistema è stato mandato in Canada, all’isola di Terranova. Tipicamente viene montato temporaneamente su navi usate per i pozzi petroliferi. Ma prima di tutto il problema è trovare il sommergibile».
Le persone a bordo in che stato saranno a questo punto?
«Se sono vive, sono in uno spazio piccolo, l’aria è cattiva, stanno finendo l’ossigeno, hanno mal di testa perché respirando emettono biossido di carbonio e quel sommergibile ha piccoli depuratori che assorbono il biossido di carbonio ma col tempo diventano meno efficaci. Dopo i mal di testa, viene la nausea... si muore di auto-avvelenamento».
C’erano dubbi su questo mezzo, il Titan: era stato criticato perché non certificato e non testato da tutti i punti di vista per le profondità in cui si è avventurato. Si aprirà un dibattito sui benefici e i rischi dell’innovazione rispetto alla regolamentazione in America?
«Forse. Io penso che se facessimo solo cose che vengono regolamentate e sono sicure al 100% non andremmo molto avanti come specie, quindi apprezzo le persone che spingono sui limiti. Ma la questione è: loro hanno scelto di non affrontare le normali regole di certificazione attraverso gli organismi predisposti per questi sommergibili. Puoi farlo, ma c’è chi potrebbe dire che a quel punto non devi aspettarti che ti vengano a salvare spendendo milioni di dollari per la ricerca. Vediamo la stessa cosa con gli scalatori: a volte un team non addestrato va in montagna, e i soccorritori rischiano la vita per salvarli, ma il punto è che quelle persone non dovrebbero essere sulla montagna».
Cosa pensa che sia successo al Titan?
«Se i colpi sono umani lo scafo non si è rotto. Se lo scafo si è rotto sono morti: senza aria, sott’acqua, la pressione è tale che i loro polmoni si sarebbero ridotti alle dimensioni di un uovo. Se stanno facendo rumore sono vivi, non hanno molto tempo a disposizione, ma stanno facendo la cosa giusta».
CorSera
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