Una intervista a Domenico Quirico, editorialista de La Stampa, già inviato di guerra, volto noto per alcune sue partecipazioni a trasmissioni di approfondimento. Una intervista che tocca vari temi e dalla quale estraggo i soli passaggi che riguardano la guerra in corso:
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A proposito di narrazione, la postura diplomatica tra USA e Russia, con l’avvento dell’inverno sembra essere cambiata. Viste le posizioni irremovibili di Zelensky e l’effetto dei suoi messaggi, che mobilitano il suo popolo e impressionano il pubblico occidentale, come pensa che si possa risolvere questo stallo militare e mediatico?
Bisogna anzitutto vedere quanto sia recitata la parte in commedia. Ad ogni modo il cambiamento di postura credo sia dovuto al fatto che nell’amministrazione americana vi siano due tendenze opposte: una che vuole fare la guerra a Putin senza se e senza ma – magari sino vederne la scomparsa dalla scena geopolitica mondiale – e un’altra più cauta, che pensa il vero rivale sia la Cina. Io non credo che questa evoluzione sia avvenuta a causa del “generale inverno” di cui molto si è scritto in queste settimane… al riguardo ho qualche piccolo dubbio. La principale vittoria di Federico il Grande, re di Prussia, quella di Leuthen (5 dicembre 1757), fu una battaglia combattuta sotto la neve in pieno inverno. Anche a Stalingrado si è combattuto in inverno. Che in questa stagione gli eserciti si rincappuccino con il termosifone e la stufa è un’idea che solo gli imbecilli sui giornali, quelli che non hanno mai visto una guerra in vita loro, possono raccontare. Anzi, addirittura d’inverno si combatte meglio, perché il terreno è duro e quindi si avanza più rapidamente che non nel fango della primavera e dell’autunno: ne sanno qualcosa i russi, quando hanno attaccato a fine febbraio.
Il cambiamento ad ogni modo è dovuto, secondo me, alla minaccia nucleare. Gli americani si sono accorti che la bomba atomica è passata da strumento di deterrenza ad arma “normale”, e questo credo li abbia fatti riflettere. Zelensky, invece, legittimamente vuole tutto dopo quanto l’Ucraina ha subito da febbraio a oggi (centomila morti tra i militari, ventimila civili, cinque milioni di sfollati). È un paese ridotto alla condizione della Siria. Ci vorranno più di trent’anni, oltre a capitali immensi, perché l’Ucraina torni ad essere un paese non da medioevo. Le infrastrutture sono state completamente distrutte, è tutto da ricostruire, oltre al terribile bilancio umano, incalcolabile e inesprimibile. Ma Zelensky vuole la Vittoria. Non conosco bene i meccanismi interni del potere ucraino – per altro ora sospesi dalla legge marziale – ma vi sono evidentemente all’interno di questo sistema, gruppi che non accetterebbero la trattativa con Putin. Il destino politico di Zelensky potrebbe diventare più ipotetico e problematico di quello che oggi appare dal suo simbolo, dalla sua voce, dal suo sguardo fermo, dalla eroica resistenza ucraina.
Cosa può venir fuori da tutto questo? Secondo me una guerra lunga trent’anni. Non esiste spazio di trattativa perché nessuno vuole trattare la pace. Ogni qualvolta vien fuori qualcosa che vi assomiglia questa viene impallinata come un cinghiale in una battuta di caccia. Credo che questa guerra, purtroppo, durerà ancora a lungo. La Russia non “collassa” mentre l’Ucraina è in grado persino di contrattaccare e i mediatori sono spariti. Erdo?an ha fatto il pieno di tutto ciò che poteva ottenere, il Papa si è (auto)messo fuori gioco – non capisco chi gli abbia sciaguratamente suggerito – nel momento in cui sembrava venire fuori un’ipotesi concreta di una sua “discesa in campo”.
I cinesi invece… lei si immagina gli americani accettare una pace in Ucraina mediata dai cinesi? Una catastrofe! Il sigillo del passaggio delle consegne del controllo del mondo dagli Stati Uniti alla Cina. Un’eventuale mediazione cinese non si è mai concretizzata in niente se non in abili chiacchiere con gli ospiti di Pechino, i quali amano sentirsi parlare di “suprema armonia”.
Come crisi internazionale pare molto una crisi “bismarckiana”, portata al limite del conflitto mondiale con obiettivi indiretti, qual’è la sua opinione al riguardo?
Diciamo che qualcuno ha scoperto che sono tornati gli imperi, ma gli imperi non hanno mai smesso di esistere. Le esigenze di reciproco equilibrio sono sempre lì. Nell’epoca a cui lei si riferisce c’era Bismarck, che riunì a Berlino una grande Conferenza ove si disegnarono equilibri, come sempre temporanei, e che ressero fino al 1914, quando la Germania prese strade molto più pericolose, come ad esempio il confronto con il Regno Unito. Oggi francamente un nuovo equilibrio, andato in frantumi il 24 febbraio, dovrebbe essere ricostruito dagli americani. Un grande Congresso di Vienna delle tre superpotenze, nel quale appunto ridisegnare un equilibrio capace di reggere per un po’ di tempo, ma gli americani non lo faranno mai. Dovrebbero riconoscere alla Russia un ruolo di potenza – ed è quello che Putin chiede da vent’anni – che loro non potranno mai concedere perché significherebbe automaticamente un riconoscimento della propria debolezza. Un posto in più a tavola significa che la torta va divisa in fette più piccole e lo stesso vale nei confronti della Cina. Non è possibile una pace tra Zelensky e Putin, perché sarebbe una pace priva di senso. Alla pace devono partecipare Biden, Putin e Xi Jin Ping. Non tanto per ridurre Zelensky ad un mero oggetto di contesa, ma perché senza di loro non può esserci la pace.
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A proposito di narrazione, la postura diplomatica tra USA e Russia, con l’avvento dell’inverno sembra essere cambiata. Viste le posizioni irremovibili di Zelensky e l’effetto dei suoi messaggi, che mobilitano il suo popolo e impressionano il pubblico occidentale, come pensa che si possa risolvere questo stallo militare e mediatico?
Bisogna anzitutto vedere quanto sia recitata la parte in commedia. Ad ogni modo il cambiamento di postura credo sia dovuto al fatto che nell’amministrazione americana vi siano due tendenze opposte: una che vuole fare la guerra a Putin senza se e senza ma – magari sino vederne la scomparsa dalla scena geopolitica mondiale – e un’altra più cauta, che pensa il vero rivale sia la Cina. Io non credo che questa evoluzione sia avvenuta a causa del “generale inverno” di cui molto si è scritto in queste settimane… al riguardo ho qualche piccolo dubbio. La principale vittoria di Federico il Grande, re di Prussia, quella di Leuthen (5 dicembre 1757), fu una battaglia combattuta sotto la neve in pieno inverno. Anche a Stalingrado si è combattuto in inverno. Che in questa stagione gli eserciti si rincappuccino con il termosifone e la stufa è un’idea che solo gli imbecilli sui giornali, quelli che non hanno mai visto una guerra in vita loro, possono raccontare. Anzi, addirittura d’inverno si combatte meglio, perché il terreno è duro e quindi si avanza più rapidamente che non nel fango della primavera e dell’autunno: ne sanno qualcosa i russi, quando hanno attaccato a fine febbraio.
Il cambiamento ad ogni modo è dovuto, secondo me, alla minaccia nucleare. Gli americani si sono accorti che la bomba atomica è passata da strumento di deterrenza ad arma “normale”, e questo credo li abbia fatti riflettere. Zelensky, invece, legittimamente vuole tutto dopo quanto l’Ucraina ha subito da febbraio a oggi (centomila morti tra i militari, ventimila civili, cinque milioni di sfollati). È un paese ridotto alla condizione della Siria. Ci vorranno più di trent’anni, oltre a capitali immensi, perché l’Ucraina torni ad essere un paese non da medioevo. Le infrastrutture sono state completamente distrutte, è tutto da ricostruire, oltre al terribile bilancio umano, incalcolabile e inesprimibile. Ma Zelensky vuole la Vittoria. Non conosco bene i meccanismi interni del potere ucraino – per altro ora sospesi dalla legge marziale – ma vi sono evidentemente all’interno di questo sistema, gruppi che non accetterebbero la trattativa con Putin. Il destino politico di Zelensky potrebbe diventare più ipotetico e problematico di quello che oggi appare dal suo simbolo, dalla sua voce, dal suo sguardo fermo, dalla eroica resistenza ucraina.
Cosa può venir fuori da tutto questo? Secondo me una guerra lunga trent’anni. Non esiste spazio di trattativa perché nessuno vuole trattare la pace. Ogni qualvolta vien fuori qualcosa che vi assomiglia questa viene impallinata come un cinghiale in una battuta di caccia. Credo che questa guerra, purtroppo, durerà ancora a lungo. La Russia non “collassa” mentre l’Ucraina è in grado persino di contrattaccare e i mediatori sono spariti. Erdo?an ha fatto il pieno di tutto ciò che poteva ottenere, il Papa si è (auto)messo fuori gioco – non capisco chi gli abbia sciaguratamente suggerito – nel momento in cui sembrava venire fuori un’ipotesi concreta di una sua “discesa in campo”.
I cinesi invece… lei si immagina gli americani accettare una pace in Ucraina mediata dai cinesi? Una catastrofe! Il sigillo del passaggio delle consegne del controllo del mondo dagli Stati Uniti alla Cina. Un’eventuale mediazione cinese non si è mai concretizzata in niente se non in abili chiacchiere con gli ospiti di Pechino, i quali amano sentirsi parlare di “suprema armonia”.
Come crisi internazionale pare molto una crisi “bismarckiana”, portata al limite del conflitto mondiale con obiettivi indiretti, qual’è la sua opinione al riguardo?
Diciamo che qualcuno ha scoperto che sono tornati gli imperi, ma gli imperi non hanno mai smesso di esistere. Le esigenze di reciproco equilibrio sono sempre lì. Nell’epoca a cui lei si riferisce c’era Bismarck, che riunì a Berlino una grande Conferenza ove si disegnarono equilibri, come sempre temporanei, e che ressero fino al 1914, quando la Germania prese strade molto più pericolose, come ad esempio il confronto con il Regno Unito. Oggi francamente un nuovo equilibrio, andato in frantumi il 24 febbraio, dovrebbe essere ricostruito dagli americani. Un grande Congresso di Vienna delle tre superpotenze, nel quale appunto ridisegnare un equilibrio capace di reggere per un po’ di tempo, ma gli americani non lo faranno mai. Dovrebbero riconoscere alla Russia un ruolo di potenza – ed è quello che Putin chiede da vent’anni – che loro non potranno mai concedere perché significherebbe automaticamente un riconoscimento della propria debolezza. Un posto in più a tavola significa che la torta va divisa in fette più piccole e lo stesso vale nei confronti della Cina. Non è possibile una pace tra Zelensky e Putin, perché sarebbe una pace priva di senso. Alla pace devono partecipare Biden, Putin e Xi Jin Ping. Non tanto per ridurre Zelensky ad un mero oggetto di contesa, ma perché senza di loro non può esserci la pace.
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