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Cronaca e politica estera [Guerra Ucraina-Russia] Thread unico.
Gli usa prima dicono "non manderemo arma mortale xxx in Ucraina" dopo tot mesi la mandano.... Fra qualche mese forniranno anche testate atomiche... Mi stupisco di Putin che non sta facendo nulla
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Originariamente Scritto da Pesca
lei ti parla però, ti saluta, è gentile, sei tu la merda hunt
Ma Putin ormai non ci crede più nemmeno lui.
Tra qualche mese inscenerà una finta malattia disabilitante e si dimetterà.
Ogni mio intervento e' da considerarsi di stampo satirico e ironico ,cosi come ogni riferimento alla mia e altrui persone e' da intendersi come mai realmente accaduto e di pura fantasia. In nessun caso , il contenuto dei miei interventi su questo forum e' atto all' offesa , denigrazione o all odio verso persone o idee.
Originariamente Scritto da Bob Terwilliger
Di solito i buoni propositi di contenersi si sfasciano contro la dura realtà dell'alcolismo.
Tu non capisci niente, Lukino, proietti le tue fissi su altri. Sei di una ignoranza abissale. Prima te la devi scrostare di dosso, poi potremmo forse avere un dialogo civile.
Kiev: Mosca prepara un attacco su vasta scala in inverno
La Russia sta ammassando truppe e armi per una nuova grande offensiva invernale in Ucraina. E' quanto emerge dagli ultimi briefing del presidente Volodymyr Zelensky e dei suoi generali ripresi dal settimanale britannico The Economist
Kiev: Mosca prepara un attacco su vasta scala in inverno
La Russia sta ammassando truppe e armi per una nuova grande offensiva invernale in Ucraina. E' quanto emerge dagli ultimi briefing del presidente Volodymyr Zelensky e dei suoi generali ripresi dal settimanale britannico The Economist
Ogni mio intervento e' da considerarsi di stampo satirico e ironico ,cosi come ogni riferimento alla mia e altrui persone e' da intendersi come mai realmente accaduto e di pura fantasia. In nessun caso , il contenuto dei miei interventi su questo forum e' atto all' offesa , denigrazione o all odio verso persone o idee.
Originariamente Scritto da Bob Terwilliger
Di solito i buoni propositi di contenersi si sfasciano contro la dura realtà dell'alcolismo.
Euroscandalo, è Cozzolino il terzo uomo: “Agiva per soldi”
La procura belga: il deputato Ue parte della rete pro Qatar e Marocco. Verso la richiesta di revoca dell’immunità. Il tesoro italiano di Panzeri
Un gruppo composto da tre persone: Antonio Panzeri, Francesco Giorgi e l'eurodeputato del Partito democratico Andrea Cozzolino. Un gruppo con una "motivazione prioritaria: il lavoro con il Marocco e il Qatar in cambio di denaro. Il gruppo riceveva pagamenti per le sue attività. E nel 2019 aveva concluso un accordo per effettuare ingerenze a favore del Marocco in cambio di denaro". Parte da qui - da quello che i magistrati belgi scrivono nel decreto che ha portato all'arresto la scorsa settimana di Panzeri e Giorgi - la seconda fase dell'inchiesta del Qatargate. Del gruppo, secondo le informazioni che i servizi belgi hanno girato alla Procura, farebbe parte un terzo uomo: Cozzolino, appunto. Che però al momento non è stato indagato perché non ci sono prove di dazioni di denaro. E, soprattutto, perché gode dell'immunità da parlamentare.
È proprio su questo che stanno lavorando i magistrati in questi giorni: dai computer, dai telefoni, dalle chat sequestrate (recuperando anche, grazie ai sofisticati mezzi a disposizione della polizia belga, quelle cancellate) stanno cercando di tirare fuori eventuali accuse a carico di Cozzolino per poi chiedere al Parlamento di procedere nei suoi confronti. Determinante è quello che racconterà il suo assistente, Francesco Giorgi.
Nel primo interrogatorio davanti al giudice Michel Claise ha parlato per più di dodici ore, facendo saltare tutto il programma di giornata di testimonianze. In quell'occasione, Giorgi a domanda specifica su Cozzolino, cioè se Panzeri avesse mai pagato l'europarlamentare italiano, ha detto di "supporre" che uno scambio ci possa essere stato. Ipotesi che, però, ieri il parlamentare del Pd ha respinto con sdegno: "Sono del tutto estraneo alle indagini. Non sono indagato, non sono stato interrogato, non ho subito perquisizioni né, tantomeno, sono stati apposti sigilli al mio ufficio. Non ho mai perseguito interessi, vantaggi o utilità personali nella mia vita politica".
Cozzolino sostiene di non aver mai potuto influire né per il Qatar né per il Marocco. E che tutte le sue mosse - come per esempio la mail, pare scritta da Giorgi, nella quale chiedeva al gruppo socialista di ammorbidire la posizione nella votazione sulla mozione contro il Qatar - sono state dettate tutte da volontà politiche. "Non ho mai avuto alcun vantaggio personale e mi batterò per fare piena luce su sospetti infondati". Cozzolino si dice pronto a essere interrogato ma in questo momento i magistrati belgi nulla possono fare nei suoi confronti senza chiedere l'autorizzazione al Parlamento. Cosa che, appunto, potrebbe accadere a breve, non appena cioè la Polizia concluderà gli accertamenti sui computer sequestrati.
Ma, a questo punto, gli accertamenti non saranno soltanto dei magistrati belgi. La Guardia di Finanza ha ricevuto delega dalla procura di Milano di mettere il naso nei conti di Panzeri e Giorgi: analisi dei movimenti bancari, carte di credito, acquisti immobiliari dell'ultimo periodo sulla base del sospetto, fondato su "elementi idonei", che ci siano altre somme in Italia. "Ci troviamo di fronte - ha scritto la procura nel decreto di perquisizione nelle case italiane di Panzeri e Giorgi - a un gruppo indeterminato e molto ampio di corruzione, operante all'interno di strutture europee con o senza legami con l'Unione europea". Un gruppo che avrebbe venduto la "propria attività" in cambio di "ingenti somme di denaro".
Nei giorni scorsi a casa Panzeri, a Calusco d'Adda, sono stati sequestrati tre sacchi nascosti in un armadio con dentro 17mila euro in banconote. A Giorgi invece sono stati trovati circa 20 mila euro in una cassetta di sicurezza. Tra le indagini previste, su richiesta di Bruxelles, anche la convocazione delle persone che hanno lavorato con Fight Impunity, la Ong fondata dall'ex parlamentare europeo nel 2019.
Questo, perché Fight Impunity è considerata uno dei cuori dell'inchiesta. La polizia belga ha accertato che parte dei fondi arrivati sui conti correnti della Ong giungessero direttamente dal Qatar. È quello che ha raccontato Francesco Giorgi - "le Ong servono a far girare il denaro" -, è quello che è stato contestato a Luca Visentini, il segretario del sindacato mondiale, fermato e poi rilasciato la scorsa settimana. Visentini ha ricevuto da Fight Impunity un finanziamento per la campagna elettorale che lo ha eletto segretario. La Procura sospetta che sia stato uno scambio per ottenere dichiarazioni pro-Qatar, alla vigilia dei campionati del mondo. Visentini si è difeso mostrando che i bonifici erano stati registrati. I soldi spesi, effettivamente, per la campagna elettorale. E che le posizioni del sindacato nei confronti del Qatar erano state sempre molto dure. Il giudice gli ha creduto e, per questo, lo ha rilasciato.
La procura belga: il deputato Ue parte della rete pro Qatar e Marocco. Verso la richiesta di revoca dell’immunità. Il tesoro italiano di Panzeri
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sopra una sola teca di cristallo
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forse, tra mille inverni
«nessun vincolo univa questi morti
nella necropoli deserta»
Quando Cozzolino disse: «Sarebbe un errore ostacolare il Qatar»
In una mail del 24 novembre l’eurodeputato del Pd invitava a votare contro una parte di risoluzione in cui si sosteneva che Doha aveva ottenuto la Coppa del Mondo grazie alla corruzione
«Guardate che è solo una questione politica, a quello che ho scritto io ci credo veramente». Così sosteneva Andrea Cozzolino nella chat interna degli eurodeputati del Pd. I suoi colleghi lo avevano accusato, non troppo velatamente, di aver fatto fare a tutta la delegazione italiana una brutta figura per via della mail inviata a tutto il gruppo dei Socialisti&Democratici. Nella quale, poco prima del voto del 24 novembre sulla risoluzione per i diritti umani ai Mondiali di calcio, invitava a votare contro una parte del testo in cui si sosteneva che il Qatar aveva ottenuto la Coppa del Mondo grazie alla corruzione. «Il Parlamento Ue non dovrebbe accusare un Paese senza prove delle autorità giudiziarie competenti», si legge nella mail.
In questi giorni l’episodio è stato riletto e interpretato con l’abituale senno di poi, e sarà così ancora a lungo, alla luce delle ultime rivelazioni fatte dal suo assistente Francesco Giorgi, il quale ha detto di sospettare che il suo datore di lavoro abbia preso soldi tramite Antonio Panzeri. Ieri Cozzolino ha rotto il silenzio. Chiuso per tutta la mattina nel suo ufficio a Strasburgo, ne è uscito con un comunicato che è doveroso riportare, dato che in questa vicenda anche la presunzione di innocenza ne sta uscendo a pezzi. «Sono indignato per le vicende giudiziarie che apprendo dalla stampa e che minano fortemente la credibilità delle istituzioni europee. A livello personale sono del tutto estraneo alle indagini». L’europarlamentare napoletano del Pd precisa di non essere indagato, di non essere stato interrogato, di non avere subito perquisizioni e di non avere mai avuto rapporti con l’ambasciatore del Marocco in Polonia, il presunto corruttore Abderrahim Atmoun, e con l’intelligence di Rabat.
«Non ho mai incontrato persone vicine ad agenzie o servizi di sicurezza, né tanto meno ho mai perseguito interessi, vantaggi o utilità personali nella mia vita politica. Sono pronto a tutelare la mia storia e la mia onorabilità in ogni sede». È il suo destino, quello di essere oggetto di speculazioni, fin dai tempi di Napoli, quando era considerato l’eterno papabile a ogni carica. Antonio Bassolino ne descrisse l’ambizione con una battuta caustica. «Non dite a Cozzolino che nel palazzo di fronte ci sono le elezioni condominiali, perché si candida anche lì». Ma questa è una storia diversa, molto più pesante. Diventa quasi normale guardare a ritroso, i primi a farlo sono i suoi colleghi come sa bene anche Cozzolino. Ogni parola, opera o omissione, rischiano di diventare elementi di sospetto. Come la sua mancata firma all’interrogazione con richiesta di risposta scritta che la maggior parte della delegazione italiana di sinistra presenta dopo le frasi sul «danno mentale» dell’omosessualità e sul fatto che essere gay «è proibito» pronunciate dall’ambasciatore della Coppa del Mondo in Qatar Khalid Salman. Pochi giorni dopo, nella sottocommissione Droi per i diritti umani il clima è teso. L’ospite in aula è il ministro del Lavoro Ali Bin al-Marri. Molti europarlamentari del gruppo S&D sono pronti a fare la voce grossa. Cozzolino prende la parola per primo. Esordisce con una battuta.
Per motivi calcistici, ha dubbi sul Mondiale che va a cominciare, perché il suo Napoli è primo in classifica «e interrompere il Campionato per due mesi crea qualche problema». Prosegue così. Testuale. «Mi pare imponente il lavoro che si è fatto in Qatar, soprattutto il dialogo sociale. Con gli organismi internazionali, con le Ong, con i sindacati. Noi dobbiamo incoraggiare questo dialogo e questo programma di riforme. Guai se nel momento in cui sta cominciando, noi come organismi internazionali come il Parlamento europeo frapponessimo ostacoli a questo sviluppo. Sarebbe un errore». Sono parole che significano tutto e niente. Ma Cozzolino sa che è così che gira il suo mondo. Da tempo. Ne ha macinata di strada l’europarlamentare napoletano del Pd, dal movimento studentesco anticamorra alla Fgci. Pane e partito. Per anni è stato considerato il delfino di Antonio Bassolino, anche se i rapporti con l’ex sindaco di Napoli si sono poi logorati. Consigliere regionale nel 2000, superassessore nel 2005. Non prima però, di aver tentato di diventare vicesindaco di Rosa Russo Iervolino, operazione stoppata per un conflitto d’interessi. La moglie è una imprenditrice che in città gestisce varie attività.
L’annus horribilis, per lui e per il Pd, è il 2011. Cozzolino prova a diventare sindaco. È il capitolo terribile delle primarie dello scandalo, quelle delle file dei cinesi ai seggi, che fece dire a Walter Veltroni: «O sono cinesi democratici o c’è qualcosa che non va». Da una parte c’è Cozzolino che stando ai dati avrebbe vinto, dall’altro il figlio politico di Giorgio Napolitano, Umberto Ranieri, che grida ai brogli. Il partito viene commissariato. Da allora e per i successivi dieci anni il Pd a Napoli perde tutte le elezioni. Nel frattempo, Cozzolino ha preso il primo volo per Bruxelles.
CorSera
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Per mesi i politici ed i media di sinistra ci hanno raccontato della Russia che "influenzerebbe" attraverso alcuni personaggi televisivi o alcuni partiti di destra le politiche nazionali ed internazionali, od orienterebbe l'opinione pubblica a favore di Putin, senza tirare fuori uno straccio di prova epperò mettendo alla gogna delle persone che hanno il solo torto di ragionare con la testa propria...e poi, ullallà, si scopre che i corrotti erano e sono tutti appartenenti ai partiti di sinistra (in Italia il PD), organizzatori di ONG, europarassiti di quella UE che sta lì sempre col ditino puntato sulle questioni morali e la protezione delle "minoranze".
I famigerati protettori delle "minoranze" si sono fatti corrompere dai cammellieri arabi per distorcere la realtà di corruzioni, per nascondere i problemi dei diritti civili in quei paesi, per avere accordi economici/commerciali di favore...sulla pelle di quelle stesse minoranze che a parole si vorrebbero tutelare - in Qatar le migliaia di schiavi morti per costruire gli stadi e in Italia familiari di deputati di sinistra africani indagati per aver sfruttato i centri di accoglienza.
Nelle regioni periferiche (l'Europa è questo ormai) dell'impero della menzogna, sotto al tappeto intessuto di buone intenzioni e belle parole si intrecciano trama e ordito al rovescio. I gestori unici, i decisori di ciò che si deve pensare e dire e fare sono i primi falsari, i primi bugiardi, i primi sfruttatori, i primi schiavisti, i primi corrotti e corruttori, i primi adoratori del vitello d'oro che, come si cantava da qualche parte, si (s)vendono (e con essi le morali, i "diritti", le "minoranze" e tutto ciò che viene spacciato per "verità" e alla quale sono i primi a non credere) al miglior offerente:
Sveglia, svegliamoci
Dormienti in stato di sonno perenne
I servi del potere si vendono per quattro soldi
Pappagalli ammaestrati
Che ripetono ossessivamente
Sempre le stesse irresponsabili bugie
("Facciamo finta che sia vero", canzone, testo di Battiato/Sgalambro, 2011)
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Da Boris Johnson a Kissinger, ecco perché la cessione della Crimea alla Russia non è più un tabù
La penisola occupata da Mosca nel 2014 potrebbe essere la pedina di scambio per arrivare a un accordo di pace. A sostenerlo sono anche l'ex premier britannico e l'ex Segretario di Stato americano. L'ipotesi dei referendum nei territori occupati.
Sarà la Crimea la "pedina di scambio” che può aprire un negoziato di pace tra Russia e Ucraina? A sollevare pubblicamente l’interrogativo sono un articolo di Boris Johnson uscito in questi giorni sul Wall Street Journal e uno di Henry Kissinger apparso sullo Spectator, il settimanale filo-conservatore inglese.
La proposta di Johnson
L’ex primo ministro britannico scrive che, se le truppe russe si ritirassero fino al territorio ucraino che occupavano prima che cominciasse l’invasione del 24 febbraio scorso, questa potrebbe essere una base per riaprire le trattative fra Kiev e Mosca. L’affermazione di Johnson lascia intendere che l’Ucraina non porrebbe la liberazione della Crimea e di una parte del Donbass, occupati dalla Russia fin dalla precedente invasione del 2014, come precondizione per l’inizio di nuovi colloqui di pace.
E quella di Kissinger
L’ex segretario di Stato americano avanza una proposta simile, affermando che la Russia dovrebbe ritirarsi soltanto dai territori ucraini conquistati dal febbraio di quest’anno in poi. Le terre occupate quasi un decennio fa, inclusa la Crimea, “potrebbero essere oggetto di un negoziato dopo il cessate il fuoco”, afferma il veterano della diplomazia Usa. Kissinger aggiunge che, se il negoziato non riuscisse a risolvere tale questione, si potrebbero indire “referendum con supervisione internazionale” sull’autodeterminazione dei popoli che abitano quei territori.
L’intervento di Johnson è particolarmente degno di nota, perché l’ex primo ministro britannico, in carica fino alle dimissioni dell’estate scorsa per lo scandalo dei party illegali a Downing Street durante la pandemia, era stato il leader occidentale più vicino a Volodymyr Zelensky, visitandolo più volte a Kiev e offrendogli il sostegno più determinato, ancora più degli Stati Uniti, nella resistenza all’invasore russo. Ciò non vuol dire necessariamente che il suo articolo sul quotidiano di Wall Street sia stato concordato con il presidente ucraino, ma è comunque un segnale interessante, così come lo sono le parole di Kissinger sulla possibilità di rinviare il problema dell’appartenenza di Crimea e almeno parte del Donbass a un futuro negoziato o addirittura a referendum sotto supervisione internazionale.
Zelensky ha più volte dichiarato che la guerra può finire soltanto quando “tutta l’Ucraina” verrà liberata, ma questo non esclude che le cose cambino nella prospettiva di un negoziato di pace. Beninteso, è assolutamente legittimo che Kiev chieda la liberazione di tutti i territori invasi illegalmente dalla Russia. Non solo, è inevitabile che il leader ucraino assuma questa posizione mentre si continua a combattere e il suo popolo è sottoposto a bombardamenti mirati di installazioni civili e infrastrutture per fargli passare l’inverno al freddo. Zelensky non può fare concessioni prima ancora che un negoziato abbia inizio. Ma le affermazioni di Johnson e Kissinger fanno supporre che, se Vladimir Putin fosse seriamente deciso a dichiarare un cessate il fuoco, compiere un almeno parziale ritiro e aprire una trattativa, l’Ucraina potrebbe convincersi sia pure a malincuore a non porre il ritiro da Crimea e Donbass come precondizione per avviare un dialogo con Mosca.
Perché la Russia vuole la Crimea ad ogni costo
La Crimea in particolare rappresenta una questione complicata. Fino al 1954 apparteneva alla Russia: l’allora leader sovietico Krusciov la “donò” all’Ucraina come segno di fratellanza tra i popoli dell’Urss. Di fatto non aveva molta importanza, perché sia Russia che Ucraina facevano parte dell’Unione Sovietica. Le cose sono cambiate nel 1991 con il crollo dell’Urss. La stragrande maggioranza della popolazione della Crimea è di etnia russa, ancora di più oggi, dopo otto anni di occupazione militare seguita all’invasione russa del 2014 che ha visto l’espulsione o la fuga delle minoranze etniche.
L'ipotesi del referendum
Il referendum indetto da Putin dopo quella invasione, in cui il 96 per cento della popolazione della Crimea avrebbe votato per l’annessione alla Russia, privo di reale supervisione internazionale, è stato probabilmente una truffa. Ma è verosimile che, in un referendum legale verificato da osservatori stranieri, come auspica Kissinger, una maggioranza si esprimerebbe comunque per restare parte della Russia. Un risultato analogo è possibile, sebbene meno certo, nella parte più orientale del Donbass, la regione mineraria dell’Ucraina, confinante con la Russia, occupata da forze pro-russe dal 2014 e anch’essa storicamente abitata in maggioranza da russi.
Dal punto di vista politico, il ragionamento dietro gli interventi di Johnson e Kissinger sembra il seguente: avrebbe senso per Kiev continuare a combattere per una parte dell’Ucraina che non controlla già da un decennio e in cui la maggioranza della popolazione preferisce comunque appartenere alla Russia? A rafforzare il ragionamento ci sono considerazioni militari: liberare la Crimea sarebbe arduo, anche se le forze ucraine hanno dimostrato di poterla colpire e perfino isolare, come è successo con l’attacco al ponte che la collega con la Russia. Ma la presidiano 30mila truppe russe. E perderla sarebbe per Putin l’umiliazione più inaccettabile, la sfida che potrebbe spingerlo a giocare il tutto per tutto, compreso l’uso di armi nucleari. Una escalation che l’Occidente chiaramente non vuole.
L'"elefante nella stanza"
Considerare la Crimea come la "pedina di scambio” decisiva per portare Putin al tavolo del negoziato e mettere fine alla guerra è il classico “elefante nella stanza”: quello che negli ambienti diplomatici occidentali tutti vedono, ma che nessuno può dire apertamente. Quando Usa e Ue affermano che ogni ipotesi di pace deve essere una pace in primo luogo accettabile da Kiev sottintendono proprio questo: che spetta a Kiev fare una concessione sulla Crimea, nessuno gliela può imporre. È logico, tuttavia, che i Paesi occidentali impegnati ad aiutare militarmente Kiev a respingere l’invasione russa discutano in privato con il proprio alleato ucraino quale opzione potrebbe mettere fine al conflitto. In un negoziato, del resto, si deve per forza arrivare a un compromesso, ovvero a concessioni reciproche. L’Ucraina perderebbe la Crimea e forse parte del Donbass, che però ha già perso da otto anni. La Russia perderebbe molto di più, vanificando tutti gli obiettivi dell’invasione lanciata nel febbraio scorso, a eccezione di un ingresso (per il momento non considerato, in futuro si vedrà) dell’Ucraina nella Nato: ma l’Ucraina resterebbe indipendente, democratica, largamente intatta come unità geografica, candidata a entrare nell’Unione Europea, assistita militarmente dalla Nato e con il presidente Zelensky in carica.
In realtà convincere Putin a ritirarsi fino ai confini del 2014, rinunciando al mare di Azov e agli altri territori conquistati negli ultimi dieci mesi, sarebbe molto più difficile che convincere Zelensky a rinunciare alla liberazione di Crimea e Donbass come precondizione per un negoziato: per questo è possibile che ogni ipotesi di trattativa sia prematura, finché il Cremlino non capisce che con la guerra non otterrà niente, anzi solo danni sempre maggiori, e finché Putin non capirà che, se insiste con la guerra, rischia di perdere il potere.
Ma gli articoli di Boris Johnson ed Henry Kissinger potrebbero segnalare che, dietro le quinte del conflitto, qualcosa comincia a muoversi. Ha parlato un ex premier britannico, ha parlato un ex diplomatico americano, forse il prossimo a esprimersi sul tema sarà un ex leader o un leader dell’Unione Europea?
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Secondo la saggezza popolare il tempo "porta consiglio"...e vale anche per la diplomazia. Pian piano iniziano ad intravedersi idee realistiche, non campate per aria, su di una possibile via di uscita dal conflitto, per il quale a febbraio scoccherà il primo compleanno e si entrerà nel secondo anno di guerra.
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