Originariamente Scritto da Sean
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Così Cina e India aiutano la Russia (e imboccano una via opposta all’Occidente)
India e Cina aumentano gli acquisti di energie fossili dalla Russia, neutralizzando gran parte delle sanzioni. E mentre l’Occidente scommette sulle rinnovabili (e non riesce per questo a risultare convincente quando chiede a nuovi partner di alzare la produzione di gas e petrolio) l’Oriente punta a transizioni ben più lunghe - e senza «buchi»
India e Cina aumentano i loro acquisti di energie fossili dalla Russia, soprattutto petrolio.
L’India è la più vorace , importa al ritmo di circa un milione di barili al giorno da Mosca. È addirittura il decuplo rispetto alla quantità di petrolio che Delhi importava un anno fa dalla Russia, quando gli acquisti indiani erano solo di centomila barili al giorno.
Anche la Cina ha aumentato le sue importazioni dalla Russia . I due giganti asiatici stanno facendo incetta di energia fossile russa e in questo modo neutralizzano gran parte delle sanzioni occidentali, al punto che la produzione complessiva di petrolio russo è in risalita, a quota 10,55 milioni di barili al giorno, secondo l’Agenzia internazionale dell’energia.
Rispetto a quanto la Russia produceva prima del suo attacco militare all’Ucraina, il livello resta più basso del 7,5%. Però grazie all’aumento dei prezzi stanno risalendo anche gli introiti della Russia: 20 miliardi di dollari per le sole vendite di petrolio a maggio, un aumento di 1,7 miliardi rispetto al mese di aprile.
Sul fronte occidentale tutti i governi si dibattono nella stessa contraddizione: come rendere compatibili gli impegni ambientalisti con la dura realtà della nostra dipendenza dalle energie fossili.
L’Unione europea ha siglato un memorandum d’intesa con Egitto e Israele per favorire gli aumenti di forniture di gas da quei due paesi, ricchi di giacimenti sottomarini e ben collegati con i paesi della sponda settentrionale del Mediterraneo. Nel memorandum però i rappresentanti di Bruxelles hanno sentito il bisogno di precisare che il gas «svolgerà un ruolo importante nella produzione di elettricità» solo fino al 2030. Un orizzonte di otto anni è breve, per chi vuole incentivare altri paesi a garantirci una «stabile fornitura» di gas naturale. Gli investimenti in impianti di solito richiedono un orizzonte temporale lungo in questo settore.
Lo stesso problema assedia Joe Biden. Il presidente americano ha scritto una lettera rovente ai giganti del petrolio: Bp, Chevron, Exxon Mobil, Marathon, Phillips 66, Shell, Valeo Energy. Li accusa di incassare «profitti storicamente alti dalle raffinerie, peggiorando il danno sui consumatori».
Nella lettera Biden sostiene che i proprietari di raffinerie – dove il greggio viene trasformato in benzina – non stanno aumentando la capacità di produzione. Dopo avere ridimensionato le raffinerie all’inizio della pandemia, ora non si adeguano all’aumento della domanda. Così creano una scarsità, che accentua i rincari dei prezzi alla pompa, aumenta i profitti dei petrolieri e impoverisce i consumatori. È tutto vero: rispetto al 2019 la capacità di raffinazione negli Stati Uniti si è ridotta del 6%. Lo stesso è accaduto peraltro anche in Europa dove la capacità di raffinazione è scesa del 5,7%. Ma questo avviene perché le compagnie petrolifere occidentali hanno ricevuto il messaggio: l’Occidente vuole sbarazzarsi delle energie fossili al più presto, non c’è convenienza a investire nel settore.
Chi la pensa diversamente? I produttori asiatici. Mentre le capacità di raffinazione si sono ridotte in America e in Europa, in Medio Oriente sono aumentate del 13% nel corso dell’ultimo triennio. I produttori asiatici sembrano aver capito la dura lezione dell’estate 2021 quando il vento smise di soffiare nel Mare del Nord e l’Inghilterra fu esposta ai blackout. Anche ipotizzando un forte aumento nell’uso delle energie rinnovabili – cosa auspicabile – questo si accompagnerà per molto tempo con dei consumi di energie fossili che dovranno riempire i buchi. Oppure con una riabilitazione del nucleare, di cui al momento non v’è traccia in Occidente, salvo eccezioni come la Francia.
Vento e sole non creano energia 24 ore su 24 né 365 giorni all’anno. Finché non intervengono salti tecnologici nella capacità di conservazione di energia (batterie di nuova generazione) a fianco al solare e all’eolico ci sarà bisogno di gas.
L’Oriente sembra deciso a gestire una transizione senza i buchi e le cattive sorprese che hanno messo in difficoltà l’Occidente.
CorSera - Federico Rampini
India e Cina aumentano gli acquisti di energie fossili dalla Russia, neutralizzando gran parte delle sanzioni. E mentre l’Occidente scommette sulle rinnovabili (e non riesce per questo a risultare convincente quando chiede a nuovi partner di alzare la produzione di gas e petrolio) l’Oriente punta a transizioni ben più lunghe - e senza «buchi»
India e Cina aumentano i loro acquisti di energie fossili dalla Russia, soprattutto petrolio.
L’India è la più vorace , importa al ritmo di circa un milione di barili al giorno da Mosca. È addirittura il decuplo rispetto alla quantità di petrolio che Delhi importava un anno fa dalla Russia, quando gli acquisti indiani erano solo di centomila barili al giorno.
Anche la Cina ha aumentato le sue importazioni dalla Russia . I due giganti asiatici stanno facendo incetta di energia fossile russa e in questo modo neutralizzano gran parte delle sanzioni occidentali, al punto che la produzione complessiva di petrolio russo è in risalita, a quota 10,55 milioni di barili al giorno, secondo l’Agenzia internazionale dell’energia.
Rispetto a quanto la Russia produceva prima del suo attacco militare all’Ucraina, il livello resta più basso del 7,5%. Però grazie all’aumento dei prezzi stanno risalendo anche gli introiti della Russia: 20 miliardi di dollari per le sole vendite di petrolio a maggio, un aumento di 1,7 miliardi rispetto al mese di aprile.
Sul fronte occidentale tutti i governi si dibattono nella stessa contraddizione: come rendere compatibili gli impegni ambientalisti con la dura realtà della nostra dipendenza dalle energie fossili.
L’Unione europea ha siglato un memorandum d’intesa con Egitto e Israele per favorire gli aumenti di forniture di gas da quei due paesi, ricchi di giacimenti sottomarini e ben collegati con i paesi della sponda settentrionale del Mediterraneo. Nel memorandum però i rappresentanti di Bruxelles hanno sentito il bisogno di precisare che il gas «svolgerà un ruolo importante nella produzione di elettricità» solo fino al 2030. Un orizzonte di otto anni è breve, per chi vuole incentivare altri paesi a garantirci una «stabile fornitura» di gas naturale. Gli investimenti in impianti di solito richiedono un orizzonte temporale lungo in questo settore.
Lo stesso problema assedia Joe Biden. Il presidente americano ha scritto una lettera rovente ai giganti del petrolio: Bp, Chevron, Exxon Mobil, Marathon, Phillips 66, Shell, Valeo Energy. Li accusa di incassare «profitti storicamente alti dalle raffinerie, peggiorando il danno sui consumatori».
Nella lettera Biden sostiene che i proprietari di raffinerie – dove il greggio viene trasformato in benzina – non stanno aumentando la capacità di produzione. Dopo avere ridimensionato le raffinerie all’inizio della pandemia, ora non si adeguano all’aumento della domanda. Così creano una scarsità, che accentua i rincari dei prezzi alla pompa, aumenta i profitti dei petrolieri e impoverisce i consumatori. È tutto vero: rispetto al 2019 la capacità di raffinazione negli Stati Uniti si è ridotta del 6%. Lo stesso è accaduto peraltro anche in Europa dove la capacità di raffinazione è scesa del 5,7%. Ma questo avviene perché le compagnie petrolifere occidentali hanno ricevuto il messaggio: l’Occidente vuole sbarazzarsi delle energie fossili al più presto, non c’è convenienza a investire nel settore.
Chi la pensa diversamente? I produttori asiatici. Mentre le capacità di raffinazione si sono ridotte in America e in Europa, in Medio Oriente sono aumentate del 13% nel corso dell’ultimo triennio. I produttori asiatici sembrano aver capito la dura lezione dell’estate 2021 quando il vento smise di soffiare nel Mare del Nord e l’Inghilterra fu esposta ai blackout. Anche ipotizzando un forte aumento nell’uso delle energie rinnovabili – cosa auspicabile – questo si accompagnerà per molto tempo con dei consumi di energie fossili che dovranno riempire i buchi. Oppure con una riabilitazione del nucleare, di cui al momento non v’è traccia in Occidente, salvo eccezioni come la Francia.
Vento e sole non creano energia 24 ore su 24 né 365 giorni all’anno. Finché non intervengono salti tecnologici nella capacità di conservazione di energia (batterie di nuova generazione) a fianco al solare e all’eolico ci sarà bisogno di gas.
L’Oriente sembra deciso a gestire una transizione senza i buchi e le cattive sorprese che hanno messo in difficoltà l’Occidente.
CorSera - Federico Rampini
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