Il piano segreto di Boris Johnson per dividere l’Ucraina da Russia e Ue: il Commonwealth europeo
di Federico Fubini
Martedì a Davos era prevista la serata di più alto profilo per l’Europa. Ai tavoli di una sala appartata del Centro Congressi erano seduti tre primi ministri dell’Unione – di Belgio, Grecia e Spagna – la presidente della banca centrale europea Christine Lagarde, due pesi massimi della Commissione di Bruxelles come Paolo Gentiloni e Frans Timmermas, molti ministri di vari Paesi, il capo dell’intelligence esterna di Parigi. Eppure mancava l’ospite più atteso: il ministro degli Esteri di Kiev Dmytro Kuleba. Annunciato alla vigilia, ma non si è mai presentato.
In apparenza Kuleba non si è perso molto perché l’establishment europeo al suo livello più alto, per tutta la sera, ha evitato quasi del tutto di menzionare la guerra alle frontiere dell’Unione. Ma proprio questi silenzi a tratti surreali e l’assenza dell’ospite di Kiev hanno messo a nudo la tensione strisciante fra l’Ucraina e alcuni dei principali Paesi dell’Unione. È precisamente in questo spazio che sta cercando di inserirsi Boris Johnson, con un’iniziativa che cerca di scompaginare le carte in Europa: il premier di Londra propone un nuovo sistema di alleanze politiche, economiche e militari – alternativo all’Unione europea – che raccolga Paesi accomunati dalla diffidenza verso Bruxelles e anche verso la risposta della Germania all’aggressione militare russa.
Boris Johnson tesse la sua tela ormai da oltre un mese, secondo alcune persone a conoscenza dei colloqui e presenti in questi giorni al World Economic Forum di Davos. Il premier ha presentato la sua idea per la prima volta a Volodymyr Zelensky quando il presidente ucraino lo ha accolto a Kiev il 9 aprile scorso. Il modello di Commonwealth europeo che Boris Johnson ha in mente avrebbe la Gran Bretagna come leader e includerebbe, oltre all’Ucraina, la Polonia, l’Estonia, la Lettonia e la Lituania, oltre che potenzialmente la Turchia in un secondo momento. Dalla visita del premier di Londra a Kiev i colloqui sarebbero continuati e il corteggiamento britannico verso l’Ucraina si starebbe facendo sempre più pressante e circostanziato.
Da quanto riferiscono le poche persone informate fuori da Londra, Johnson propone un’alleanza di Stati gelosi della propria sovranità nazionale, liberisti in economia e decisi alla massima intransigenza contro la minaccia militare di Mosca. Il governo di Kiev, per parte propria, non ha preso posizione sull’iniziativa britannica ma per il momento non l’ha fermata sul nascere. L’élite ucraina si è convinta che nei palazzi del potere in Germania e in Francia ben pochi si augurano la sconfitta di Vladimir Putin: i ritardi sulle sanzioni e sulle armi da inviare hanno ormai scavato un fossato politico. Zelensky aspetta dunque il vertice europeo del 23 giugno, quando i leder dei ventisette Paesi saranno chiamati a decidere se riconoscere all’Ucraina lo status di “candidato” per avviare formalmente i negoziati di adesione all’Unione europea. Non è detto però che la decisione del 23 giugno sarà quella che spera l’Ucraina, anche perché solleverebbe le proteste di Albania e Macedonia del Nord che aspettano da anni lo status di “candidato”. C’è dunque anche un’altra ipotesi, secondo alcuni negoziatori: i leader dei Ventisette si possono limitare a dichiarare in modo vago che Kiev ha una “prospettiva europea” (la cosiddetta “formula di Salonicco”).
In quel caso Zelensky prenderebbe più sul serio l’offerta alternativa di Boris Johnson. È anche possibile che le voci su questi contatti vengano fatte circolare adesso, proprio per mettere pressione sui leader europei in vista delle decisioni di giugno. Probabile poi che il progetto britannico abbia i piedi d’argilla: Londra non ha la capacità dell’Unione europea di sostenere finanziariamente l’Ucraina, né è detto che la Polonia o i Paesi baltici si imbarchino in un’iniziativa che potrebbe compromettere i rapporti con Bruxelles.
Di certo Johnson è in cerca di un dividendo politico, nota un ministro europeo: il premier spera di avere una carta in più nella trattativa con Bruxelles che lui stesso vorrebbe riaprire sulla Brexit. Così Londra cerca di scompaginare gli equilibri sul continente. E nel farlo può finire per rivelare una linea di frattura che ormai esiste veramente sul continente europeo: quello fra i Paesi che stanno aiutando l’Ucraina con più decisione – Regno Unito e Polonia su tutti – e quelli che lo fanno in modo più cinico e esitante. Secondo le stime di Arianna Antezza del Kiel Institute for the World Economy, Londra da sola ha fornito per ora più aiuti economici e militari a Kiev nella guerra di tutta l’Unione europea. E la Polonia ne ha dati più della Germania, della Francia e dell’Italia. Così la guerra di Vladimir Putin, giunta al suo quarto mese, inizia ad aprire le prime crepe politiche in Europa.
CorSera
di Federico Fubini
Martedì a Davos era prevista la serata di più alto profilo per l’Europa. Ai tavoli di una sala appartata del Centro Congressi erano seduti tre primi ministri dell’Unione – di Belgio, Grecia e Spagna – la presidente della banca centrale europea Christine Lagarde, due pesi massimi della Commissione di Bruxelles come Paolo Gentiloni e Frans Timmermas, molti ministri di vari Paesi, il capo dell’intelligence esterna di Parigi. Eppure mancava l’ospite più atteso: il ministro degli Esteri di Kiev Dmytro Kuleba. Annunciato alla vigilia, ma non si è mai presentato.
In apparenza Kuleba non si è perso molto perché l’establishment europeo al suo livello più alto, per tutta la sera, ha evitato quasi del tutto di menzionare la guerra alle frontiere dell’Unione. Ma proprio questi silenzi a tratti surreali e l’assenza dell’ospite di Kiev hanno messo a nudo la tensione strisciante fra l’Ucraina e alcuni dei principali Paesi dell’Unione. È precisamente in questo spazio che sta cercando di inserirsi Boris Johnson, con un’iniziativa che cerca di scompaginare le carte in Europa: il premier di Londra propone un nuovo sistema di alleanze politiche, economiche e militari – alternativo all’Unione europea – che raccolga Paesi accomunati dalla diffidenza verso Bruxelles e anche verso la risposta della Germania all’aggressione militare russa.
Boris Johnson tesse la sua tela ormai da oltre un mese, secondo alcune persone a conoscenza dei colloqui e presenti in questi giorni al World Economic Forum di Davos. Il premier ha presentato la sua idea per la prima volta a Volodymyr Zelensky quando il presidente ucraino lo ha accolto a Kiev il 9 aprile scorso. Il modello di Commonwealth europeo che Boris Johnson ha in mente avrebbe la Gran Bretagna come leader e includerebbe, oltre all’Ucraina, la Polonia, l’Estonia, la Lettonia e la Lituania, oltre che potenzialmente la Turchia in un secondo momento. Dalla visita del premier di Londra a Kiev i colloqui sarebbero continuati e il corteggiamento britannico verso l’Ucraina si starebbe facendo sempre più pressante e circostanziato.
Da quanto riferiscono le poche persone informate fuori da Londra, Johnson propone un’alleanza di Stati gelosi della propria sovranità nazionale, liberisti in economia e decisi alla massima intransigenza contro la minaccia militare di Mosca. Il governo di Kiev, per parte propria, non ha preso posizione sull’iniziativa britannica ma per il momento non l’ha fermata sul nascere. L’élite ucraina si è convinta che nei palazzi del potere in Germania e in Francia ben pochi si augurano la sconfitta di Vladimir Putin: i ritardi sulle sanzioni e sulle armi da inviare hanno ormai scavato un fossato politico. Zelensky aspetta dunque il vertice europeo del 23 giugno, quando i leder dei ventisette Paesi saranno chiamati a decidere se riconoscere all’Ucraina lo status di “candidato” per avviare formalmente i negoziati di adesione all’Unione europea. Non è detto però che la decisione del 23 giugno sarà quella che spera l’Ucraina, anche perché solleverebbe le proteste di Albania e Macedonia del Nord che aspettano da anni lo status di “candidato”. C’è dunque anche un’altra ipotesi, secondo alcuni negoziatori: i leader dei Ventisette si possono limitare a dichiarare in modo vago che Kiev ha una “prospettiva europea” (la cosiddetta “formula di Salonicco”).
In quel caso Zelensky prenderebbe più sul serio l’offerta alternativa di Boris Johnson. È anche possibile che le voci su questi contatti vengano fatte circolare adesso, proprio per mettere pressione sui leader europei in vista delle decisioni di giugno. Probabile poi che il progetto britannico abbia i piedi d’argilla: Londra non ha la capacità dell’Unione europea di sostenere finanziariamente l’Ucraina, né è detto che la Polonia o i Paesi baltici si imbarchino in un’iniziativa che potrebbe compromettere i rapporti con Bruxelles.
Di certo Johnson è in cerca di un dividendo politico, nota un ministro europeo: il premier spera di avere una carta in più nella trattativa con Bruxelles che lui stesso vorrebbe riaprire sulla Brexit. Così Londra cerca di scompaginare gli equilibri sul continente. E nel farlo può finire per rivelare una linea di frattura che ormai esiste veramente sul continente europeo: quello fra i Paesi che stanno aiutando l’Ucraina con più decisione – Regno Unito e Polonia su tutti – e quelli che lo fanno in modo più cinico e esitante. Secondo le stime di Arianna Antezza del Kiel Institute for the World Economy, Londra da sola ha fornito per ora più aiuti economici e militari a Kiev nella guerra di tutta l’Unione europea. E la Polonia ne ha dati più della Germania, della Francia e dell’Italia. Così la guerra di Vladimir Putin, giunta al suo quarto mese, inizia ad aprire le prime crepe politiche in Europa.
CorSera
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