Originariamente Scritto da Sean
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Federico Rampini: «Putin ci sfida da 15 anni ma l’Occidente si autoflagella. Così perdiamo»
L’editorialista del Corriere in un libro mette in evidenza la debolezza per cui l’attaco di Putin ci ha colto di sorpresa: «Procediamo alla demonizzazione dei nostri valori»
Parlare di tendenze suicide dell’Occidente mentre all’esterno c’è chi commette omicidi di massa può sembrare un paradosso. In realtà con il suo nuovo libro Suicidio occidentale (Mondadori), Federico Rampini, editorialista del Corriere della Sera, vuole mettere in evidenza proprio quella debolezza intrinseca in atto che ha fatto sì che l’attacco di Vladimir Putin ci abbia colto di sorpresa: eravamo impegnati nell’attività di autosabotaggio, prima di tutto culturale, con cui miniamo i pilastri della nostra società. L’ideologia dominante — in America, ma via via anche in Europa — pare imporci di colpevolizzarci e autoflagellarci, innanzitutto a partire dal diktat dell’allineamento ormai acritico al pensiero politically correct, che domina ovunque, dalle università alle aziende e alle istituzioni.
C’è chi sostiene che perfino lo zar russo possa aver scatenato la guerra confidando nella debolezza “decadente” del nemico occidentale e della conseguente incapacità di agire. L’idea del profondo indebolimento dei valori fondativi del nostro vivere comune è al centro del libro. Di quale decadenza soffriamo?
«Il primo sintomo di decadenza è in questo paradosso: consideriamo l’Occidente come il centro del mondo mentre non lo è più; al tempo stesso gli attribuiamo tutte le sofferenze dell’umanità, riconduciamo ogni male alla nostra responsabilità. È l’auto-demolizione dei nostri valori. Nell’ignoranza profonda della storia globale, molti di noi credono che l’imperialismo, le pulsioni di conquista, i comportamenti predatori siano una colpa della razza bianca. Abbiamo gli occhi chiusi sugli imperialismi altrui: russo, cinese, turco-ottomano, persiano».
Quando è cominciato?
«Le origini sono antiche, la nostra civiltà ha avuto profonde correnti anti-occidentali tra cui il fascismo, il comunismo, una parte del pensiero cattolico. Negli Anni 60 l’Occidente fu processato in piazza. Però allora bruciare la bandiera americana era contro-cultura, anti-sistema. Oggi il politically correct è il pensiero unico dell’establishment capitalistico Usa. L’estremismo radicale ha educato la generazione di giovani che sono nei consigli d’amministrazione della Silicon Valley».
L’auto-colpevolizzazione che nel fronte occidentale sorge nei confronti di Putin - che avrebbe avuto ragione a sentirsi accerchiato - sembra la versione internazionale del “pensiero unico” secondo cui la colpa è sempre dell’America bianca che deve emendare.
«Esatto, anche dopo l’aggressione all’Ucraina è scattata l’auto-flagellazione. Chi è prigioniero del complesso di colpa di fronte al crimine dell’aggressore deve sempre chiedersi dove abbiamo sbagliato noi. Poi entra in azione un ventaglio di tradizioni anti-americane, per cui il vero aggressore criminale può essere sempre e soltanto l’America».
Suicidio occidentale racconta come, negli Usa, ad imporre un concetto di “politicamente corretto” che trasforma l’anti-razzismo in razzismo anti-bianco sia stata la “sinistra illiberale”, che è riuscita a conquistare alcuni gangli decisivi del potere.
«Nelle università di élite, con rette da 70.000 dollari annui, il potere accademico pratica un conformismo totalitario che abbraccia le cause radicali: l’anti-razzismo ultrà di Black Lives Matter, l’esaltazione acritica di tutte le minoranze etniche, il femminismo sessuofobico e neopuritano di #MeToo. Si insegna che il razzismo è una tara genetica della sola razza bianca. Il Columbus Day diventa il giorno della vergogna degli italo-americani, discendenti di una sorta di Adolf Hitler che pianificò il genocidio dei nativi. La storia vera viene trasformata in una caricatura grottesca. Il capitalismo che ha sventrato la classe operaia e impoverito il ceto medio ora si rifà una coscienza con queste battaglie valoriali, pur di nascondere la grande questione sociale».
Perfino il New York Times ne sarebbe preda, al punto da aver abbandonato la linea di giornalismo indipendente liberal . È possibile un ritorno alle origini?
«Il Nyt è stato il teatro di purghe feroci, molte grandi firme moderate sono state espulse, la pagina dei commenti è in mano agli ayatollah del pensiero unico. Impone ai suoi lettori il “1619 Project” che è una riscrittura aberrante della storia americana in cui tutto viene ricondotto all’elemento dominante dello schiavismo, anche negli Stati Usa che lo combatterono. E vengono cancellati come irrilevanti i diritti civili conquistati negli Anni 60. Un ritorno alle origini potrebbe avvenire come reazione agli eccessi. Anche la Rivoluzione culturale maoista finì».
Si diceva che la Storia la scrive chi vince. Come ha fatto allora una minoranza a imporre un’egemonia culturale?
«Gli estremisti, i radicali che una volta erano l’anti-sistema, hanno imparato a sedurre i miliardari. La generazione Millennial, formata da professori vetero-marxisti nelle università per ricchi, oggi siede nei consigli d’amministrazione, comanda a Hollywood, nelle tv e nei giornali».
È destinata a durare a lungo?
«Gli anticorpi ci sono. In seno al partito democratico prevalgono i moderati, una sinistra storica che vede con orrore la deriva estremista guidata da Alexandria Ocasio-Cortez. È più preoccupante un altro tipo di reazione: quella che porta voti alla destra trumpiana, essa stessa impegnata a demolire l’Occidente con i suoi assalti alle istituzioni liberaldemocratiche».
Ci sono differenze fra le due sponde dell’Occidente, l’America e l’Europa?
«L’Europa ha qualche perplessità di fronte alle punte estreme del neopuritanesimo americano, per alcuni aspetti, come la repressione sessuale, questa cancel culture è un Grande Risveglio di fondamentalismo protestante. Ma Londra insegue l’America, con la censura nelle università o la persecuzione di una femminista come J. K. Rowling. L’autrice di Harry Potter ha osato parlare di biologia femminile ed è stata accusata di transfobia, ha ricevuto minacce di morte».
Parlando di decadenza di imperi, il parallelismo corre subito a quello Romano. Che è stato lungo quattro secoli: se ne possono trarre lezioni?
«Molte. Costantino impose il cristianesimo dall’alto: fu una rivoluzione élitaria, però non demolì ideologicamente la storia imperiale della Roma pagana. Dobbiamo prendere nota affinché anche il nostro declino sia spalmato per secoli».
Quali reazioni può avviare sull’Occidente una guerra col nemico storico? «Per adesso non siamo affatto in guerra, anzi la rifiutiamo ad ogni costo. Vorrei che almeno fossimo fieri di questo nostro pacifismo, e capaci di esprimere tutto il disgusto morale e politico per la ferocia di Putin. Uno shock culturale su di noi potrebbe esercitarlo lo spettacolo del popolo ucraino, che si vede negato l’Occidente e lo ama con tutte le sue forze».
Cosa ci dice la discreta compattezza dell’Occidente nei confronti di Putin?
«Aspetterei a giudicare. La compattezza la vedremo negli anni. Dal 2007 Putin ci dice in modo esplicito la sua volontà di riconquista imperiale. Per 15 anni abbiamo brillato per inconsistenza e debolezza».
E la presenza di un gigante imperiale alternativo come la Cina può scatenare una reazione di autoconservazione?
«La Cina ci sfida con un sistema di valori in cui crede, non fa i nostri errori, rivaluta Confucio mentre nelle università Usa si cancella Platone “maschio bianco”. Poi Pechino ha una quinta colonna in mezzo a noi, la lobby affaristica filo-cinese».
Angelo Panebianco sul Corriere ha scritto: «Se la maggioranza degli italiani sta con l’Occidente, il Paese non ha anticorpi sufficienti per garantirsi contro i danni che può provocare una minoranza diversamente schierata», dalla pandemia alla guerra. Fino a che punto una minoranza può provocare danni?
«È bastato che la minoranza si agitasse, e l’Italia diluisce e rinvia i suoi impegni per la sicurezza europea. Anche in altri campi, delle minoranze rissose hanno fatto danni: hanno fermato la trivellazione del nostro gas, perfino le pale eoliche sono ostacolate per ragioni paesaggistiche. È l’ambientalismo adolescenziale, apocalittico e anti-scientifico, una religione neopagana con sacerdotesse e sacerdoti molto snob ma spietati».
Segnali di inversione di marcia?
«In America vengono proprio dalle minoranze etniche che si ribellano alle frange estremiste che dicono di volerle difendere. A New York afroamericani e ispanici hanno eletto il sindaco Eric Adams perché riporti la polizia in strada dopo la folle campagna di Black Lives Matter contro le forze dell’ordine. Nel mondo dell’immigrazione latinoamericana c’è una reazione contro chi vuole abolire i pronomi maschili e femminili».
CorSera
L’editorialista del Corriere in un libro mette in evidenza la debolezza per cui l’attaco di Putin ci ha colto di sorpresa: «Procediamo alla demonizzazione dei nostri valori»
Parlare di tendenze suicide dell’Occidente mentre all’esterno c’è chi commette omicidi di massa può sembrare un paradosso. In realtà con il suo nuovo libro Suicidio occidentale (Mondadori), Federico Rampini, editorialista del Corriere della Sera, vuole mettere in evidenza proprio quella debolezza intrinseca in atto che ha fatto sì che l’attacco di Vladimir Putin ci abbia colto di sorpresa: eravamo impegnati nell’attività di autosabotaggio, prima di tutto culturale, con cui miniamo i pilastri della nostra società. L’ideologia dominante — in America, ma via via anche in Europa — pare imporci di colpevolizzarci e autoflagellarci, innanzitutto a partire dal diktat dell’allineamento ormai acritico al pensiero politically correct, che domina ovunque, dalle università alle aziende e alle istituzioni.
C’è chi sostiene che perfino lo zar russo possa aver scatenato la guerra confidando nella debolezza “decadente” del nemico occidentale e della conseguente incapacità di agire. L’idea del profondo indebolimento dei valori fondativi del nostro vivere comune è al centro del libro. Di quale decadenza soffriamo?
«Il primo sintomo di decadenza è in questo paradosso: consideriamo l’Occidente come il centro del mondo mentre non lo è più; al tempo stesso gli attribuiamo tutte le sofferenze dell’umanità, riconduciamo ogni male alla nostra responsabilità. È l’auto-demolizione dei nostri valori. Nell’ignoranza profonda della storia globale, molti di noi credono che l’imperialismo, le pulsioni di conquista, i comportamenti predatori siano una colpa della razza bianca. Abbiamo gli occhi chiusi sugli imperialismi altrui: russo, cinese, turco-ottomano, persiano».
Quando è cominciato?
«Le origini sono antiche, la nostra civiltà ha avuto profonde correnti anti-occidentali tra cui il fascismo, il comunismo, una parte del pensiero cattolico. Negli Anni 60 l’Occidente fu processato in piazza. Però allora bruciare la bandiera americana era contro-cultura, anti-sistema. Oggi il politically correct è il pensiero unico dell’establishment capitalistico Usa. L’estremismo radicale ha educato la generazione di giovani che sono nei consigli d’amministrazione della Silicon Valley».
L’auto-colpevolizzazione che nel fronte occidentale sorge nei confronti di Putin - che avrebbe avuto ragione a sentirsi accerchiato - sembra la versione internazionale del “pensiero unico” secondo cui la colpa è sempre dell’America bianca che deve emendare.
«Esatto, anche dopo l’aggressione all’Ucraina è scattata l’auto-flagellazione. Chi è prigioniero del complesso di colpa di fronte al crimine dell’aggressore deve sempre chiedersi dove abbiamo sbagliato noi. Poi entra in azione un ventaglio di tradizioni anti-americane, per cui il vero aggressore criminale può essere sempre e soltanto l’America».
Suicidio occidentale racconta come, negli Usa, ad imporre un concetto di “politicamente corretto” che trasforma l’anti-razzismo in razzismo anti-bianco sia stata la “sinistra illiberale”, che è riuscita a conquistare alcuni gangli decisivi del potere.
«Nelle università di élite, con rette da 70.000 dollari annui, il potere accademico pratica un conformismo totalitario che abbraccia le cause radicali: l’anti-razzismo ultrà di Black Lives Matter, l’esaltazione acritica di tutte le minoranze etniche, il femminismo sessuofobico e neopuritano di #MeToo. Si insegna che il razzismo è una tara genetica della sola razza bianca. Il Columbus Day diventa il giorno della vergogna degli italo-americani, discendenti di una sorta di Adolf Hitler che pianificò il genocidio dei nativi. La storia vera viene trasformata in una caricatura grottesca. Il capitalismo che ha sventrato la classe operaia e impoverito il ceto medio ora si rifà una coscienza con queste battaglie valoriali, pur di nascondere la grande questione sociale».
Perfino il New York Times ne sarebbe preda, al punto da aver abbandonato la linea di giornalismo indipendente liberal . È possibile un ritorno alle origini?
«Il Nyt è stato il teatro di purghe feroci, molte grandi firme moderate sono state espulse, la pagina dei commenti è in mano agli ayatollah del pensiero unico. Impone ai suoi lettori il “1619 Project” che è una riscrittura aberrante della storia americana in cui tutto viene ricondotto all’elemento dominante dello schiavismo, anche negli Stati Usa che lo combatterono. E vengono cancellati come irrilevanti i diritti civili conquistati negli Anni 60. Un ritorno alle origini potrebbe avvenire come reazione agli eccessi. Anche la Rivoluzione culturale maoista finì».
Si diceva che la Storia la scrive chi vince. Come ha fatto allora una minoranza a imporre un’egemonia culturale?
«Gli estremisti, i radicali che una volta erano l’anti-sistema, hanno imparato a sedurre i miliardari. La generazione Millennial, formata da professori vetero-marxisti nelle università per ricchi, oggi siede nei consigli d’amministrazione, comanda a Hollywood, nelle tv e nei giornali».
È destinata a durare a lungo?
«Gli anticorpi ci sono. In seno al partito democratico prevalgono i moderati, una sinistra storica che vede con orrore la deriva estremista guidata da Alexandria Ocasio-Cortez. È più preoccupante un altro tipo di reazione: quella che porta voti alla destra trumpiana, essa stessa impegnata a demolire l’Occidente con i suoi assalti alle istituzioni liberaldemocratiche».
Ci sono differenze fra le due sponde dell’Occidente, l’America e l’Europa?
«L’Europa ha qualche perplessità di fronte alle punte estreme del neopuritanesimo americano, per alcuni aspetti, come la repressione sessuale, questa cancel culture è un Grande Risveglio di fondamentalismo protestante. Ma Londra insegue l’America, con la censura nelle università o la persecuzione di una femminista come J. K. Rowling. L’autrice di Harry Potter ha osato parlare di biologia femminile ed è stata accusata di transfobia, ha ricevuto minacce di morte».
Parlando di decadenza di imperi, il parallelismo corre subito a quello Romano. Che è stato lungo quattro secoli: se ne possono trarre lezioni?
«Molte. Costantino impose il cristianesimo dall’alto: fu una rivoluzione élitaria, però non demolì ideologicamente la storia imperiale della Roma pagana. Dobbiamo prendere nota affinché anche il nostro declino sia spalmato per secoli».
Quali reazioni può avviare sull’Occidente una guerra col nemico storico? «Per adesso non siamo affatto in guerra, anzi la rifiutiamo ad ogni costo. Vorrei che almeno fossimo fieri di questo nostro pacifismo, e capaci di esprimere tutto il disgusto morale e politico per la ferocia di Putin. Uno shock culturale su di noi potrebbe esercitarlo lo spettacolo del popolo ucraino, che si vede negato l’Occidente e lo ama con tutte le sue forze».
Cosa ci dice la discreta compattezza dell’Occidente nei confronti di Putin?
«Aspetterei a giudicare. La compattezza la vedremo negli anni. Dal 2007 Putin ci dice in modo esplicito la sua volontà di riconquista imperiale. Per 15 anni abbiamo brillato per inconsistenza e debolezza».
E la presenza di un gigante imperiale alternativo come la Cina può scatenare una reazione di autoconservazione?
«La Cina ci sfida con un sistema di valori in cui crede, non fa i nostri errori, rivaluta Confucio mentre nelle università Usa si cancella Platone “maschio bianco”. Poi Pechino ha una quinta colonna in mezzo a noi, la lobby affaristica filo-cinese».
Angelo Panebianco sul Corriere ha scritto: «Se la maggioranza degli italiani sta con l’Occidente, il Paese non ha anticorpi sufficienti per garantirsi contro i danni che può provocare una minoranza diversamente schierata», dalla pandemia alla guerra. Fino a che punto una minoranza può provocare danni?
«È bastato che la minoranza si agitasse, e l’Italia diluisce e rinvia i suoi impegni per la sicurezza europea. Anche in altri campi, delle minoranze rissose hanno fatto danni: hanno fermato la trivellazione del nostro gas, perfino le pale eoliche sono ostacolate per ragioni paesaggistiche. È l’ambientalismo adolescenziale, apocalittico e anti-scientifico, una religione neopagana con sacerdotesse e sacerdoti molto snob ma spietati».
Segnali di inversione di marcia?
«In America vengono proprio dalle minoranze etniche che si ribellano alle frange estremiste che dicono di volerle difendere. A New York afroamericani e ispanici hanno eletto il sindaco Eric Adams perché riporti la polizia in strada dopo la folle campagna di Black Lives Matter contro le forze dell’ordine. Nel mondo dell’immigrazione latinoamericana c’è una reazione contro chi vuole abolire i pronomi maschili e femminili».
CorSera
E' incredibile quanto Rampini riesca a riciclarsi, intercettando umori politici ed elettorali, senza saperne mai niente di niente.
E' bravissimo nel cavalcare paure finte o fomentate. Come ho scritto soopra, il problema del politicamente corretto esiste ma non direi che e' una minaccia esistenziale negli USA (dato che sta venendo affrontato brillantemente). In Italia non arrivera', nel senso che il politicamente corretto l' Italia lo ha sempre avuto (lo chiamavamo 'bigottismo'). Quello di Michela Murgia e compagnia varia e' una variante cosmetica dello stesso fenomeno
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