Dalla spinta al riarmo alla sempre più timida difesa di Zelensky: dal vertice di Londra almeno tre diverse idee di “pace”
L’Europa esce dal vertice di Londra come uno specchio rotto, nel quale la stessa faccia si riflette in innumerevoli versioni, tutte diverse tra loro, nonostante le parole del presidente polacco, Donald Tusk, che all’uscita dal summit con 16 Paesi euroatlantici e i vertici di Nato e Unione europea ha parlato di un’Europa che “si è svegliata“, con tutti i leader che “parlano all’unisono“. Basta ascoltare le dichiarazioni a margine dell’incontro per capire che di unità, in Europa, ce n’è ben poca. Giorgia Meloni boccia la strategia ideata da Gran Bretagna e Francia che prevede l’invio di un “gruppo di volenterosi“, ossia 30mila soldati europei da inviare con funzioni di peacekeeping in Ucraina, Keir Starmer interviene e dice invece che si prosegue su questa linea, mentre Ursula von der Leyen continua a invocare l’uso della forza contro Putin. Così, le parole che meglio descrivono la mancanza di uniformità delle posizioni europee appaiono quelle di sabato di Viktor Orbán in vista del Consiglio Ue del 6 marzo: “Evitiamo documenti condivisi o tutti vedranno che siamo spaccati”.
Peacekeeping europeo: il fronte anglo-francese
L’idea di Francia e Gran Bretagna era emersa già al termine del vertice di Parigi organizzato da Emmanuel Macron: Ue, Usa e Ucraina elaborino un piano di pace congiunto da presentare anche alla Russia e i Paesi europei mettano a disposizione 30mila soldati da inviare come contingente di pace nel Paese di Volodymyr Zelensky a garanzia della sua sicurezza futura. Pochi punti che, però, segnano varie rotture con diversi membri del gruppo degli alleati. Ad esempio, Starmer ha affermato che un eventuale accordo dovrà “ovviamente” includere la Russia, ma Mosca “non può dettare i termini, altrimenti non faremo alcun progresso”: “Se un accordo viene fatto, deve essere difeso. In passato abbiamo assistito a una cessazione delle ostilità senza alcun sostegno, regolarmente violata dalla Russia. È una situazione che dobbiamo evitare”.
Posizione totalmente diversa da quella di Donald Trump che, invece, ha riservato maggiore attenzione alle richieste di Vladimir Putin rispetto a quelle di Zelensky, secondo la logica del ‘vince il più forte‘. Così, per il presidente americano la presenza della Russia al tavolo delle trattative sembra essere imprescindibile e tra le condizioni esposte dalla Federazione c’è anche quella che esclude la presenza di militari di Paesi membri della Nato in territorio ucraino. Opzione rigettata anche da una parte di Paesi Ue, tra cui l’Italia.
Meloni propone un vertice tra Usa e alleati europei
“Spunti di pace”. Così Giorgia Meloni ah definito, sminuendolo, il progetto di Francia e Gran Bretagna: “Presentato? Ci sono degli spunti, presentato non direi”, ha detto. La premier italiana rimane saldamente legata alla convinzione che l’Europa debba seguire senza tentennamenti la linea atlantista di Washington, con la speranza così di diventare davvero ponte tra le due sponde dell’Atlantico. “Ci sono varie proposte, penso che chiunque metta sul tavolo una proposta faccia in questo momento una cosa utile. Poi ci possono essere perplessità su alcune proposte”, come quella “dell’utilizzo di truppe europee su cui ho espresso perplessità. La presenza di truppe italiane in Ucraina non è mai stata all’ordine del giorno, voglio sgomberare il campo”.
A chi, come Emmanuel Macron, pensa a una maggiore autonomia da Washington nel campo della Difesa, la presidente del Consiglio oppone la salda vicinanza alle posizioni della Casa Bianca: credo che “il modo più effettivo” per garantire una pace duratura in Ucraina “sia sempre all’interno della cornice atlantica. Che non vuol dire necessariamente ingresso nella Nato, può voler dire diverse opzioni”, ha detto ipotizzando quindi una garanzia di sicurezza atlantica anche per Kiev. E se Trump non ci sta? “Trump, Putin, Zelensky, gli interlocutori sono tanti. Ma intanto bisogna provare a pensare un po’ fuori dagli schemi, pensare un po’ in modo creativo”.
Il suo timore è che l’Occidente si divida sull’Ucraina: “Dobbiamo essere bravi in questa fase a non dividere l’Occidente perché sarebbe esiziale per tutti”. Per questo annuncia di aver proposto un vertice tra Usa e alleati europei “per parlarci in modo franco di che cosa vogliamo fare, di come vogliamo affrontare le sfide che si presentano, non solo il tema della pace in Ucraina”. La premier ha anche un’altra paura, che non ha esplicitato, ed è quella che una divisione del genere possa lasciare l’Italia a metà strada, costretta a decidere tra la fedeltà a Washington, che la penalizzerebbe a livello europeo, e quella all’Ue, che invece le farebbe perdere i privilegi ottenuti grazie ai buoni rapporti con Trump e il suo entourage, uno su tutti Elon Musk.
Von der Leyen tira dritto: “Ottenere la pace con la forza”
Più passa il tempo e più sembra che a prendere in mano l’Europa saranno i principali capi di Stato e di governo, il tentativo di Macron e Starmer ne è solo l’ultima conferma, mentre i vertici Ue, ignorati da Donald Trump, non potranno che andare a rimorchio. Così Ursula von der Leyen, al termine dell’incontro, non prende posizione. O meglio, non la cambia rispetto a quella assunta ormai da anni: “Garanzie di sicurezza complete” per Kiev, “un piano di riarmo urgente dell’Europa che la Commissione proporrà al Consiglio europeo del 6 marzo”, senza dimenticare che con Putin “la via per la pace è la forza. La debolezza genera più guerra”.
Al suo fianco, come di consueto, si è posizionato anche il segretario generale della Nato, Mark Rutte, il primo a proporre tagli al welfare per finanziare l’industria della Difesa. Parole non in linea, però, con quanto espresso più volte da Trump, presidente del Paese (e contribuente) più importante del Patto Atlantico, che invece ha intenzione di chiudere la partita ucraina nel più breve tempo possibile e smettere, di conseguenza, di stanziare miliardi di dollari in aiuti per Kiev. Questo tipo di approccio, per Washington, può riguardare solo i Paesi europei.
Le posizioni di von der Leyen e dei membri della sua Commissione, uno su tutti l’Alto rappresentante per la Politica Estera dell’Ue, Kaja Kallas, rispecchiano anche quelle dell’ala europea più intransigente nei confronti di Mosca, formata in particolar modo dai Paesi Baltici, che vedono la Russia come una minaccia concreta all’integrità territoriale non solo dell’Ucraina, ma di tutti i Paesi Ue. Una posizione condivisa anche da Giorgia Meloni che l’ha poi ritarata con il ritorno alla Casa Bianca di Trump. Il governo di Roma, inoltre, si è detto contrario anche all’innalzamento della spesa per la Difesa se questa non sarà svincolata dal Patto di stabilità.
Zelensky è un ostacolo alla pace: la linea americana
Dopo lo storico scontro alla Casa Bianca tra Trump e Zelensky, da Washington è iniziato ad arrivare in Europa un messaggio ripetuto costantemente: se il presidente ucraino diventa un ostacolo alla pace deve dimettersi e permettere nuove elezioni. L’idea è quella di sbarazzarsi di un protagonista che, in questo momento, rappresenta una perdita di tempo per Trump e i suoi piani economici in Ucraina (e forse anche in Russia). Per ultimo lo ha ripetuto il consigliere per la sicurezza nazionale, Mike Waltz, alla Cnn: “Abbiamo bisogno di un leader che possa trattare con noi, eventualmente trattare con i russi e porre fine a questa guerra. E se diventa chiaro che le motivazioni personali o politiche del presidente Zelensky divergono dalla fine dei combattimenti in Ucraina, allora penso che abbiamo un vero problema tra le mani”.
Chiaro che questa posizione è ben diversa da quella del resto d’Europa, se si escludono Orbán e il premier slovacco Robert Fico, con Giorgia Meloni che continua invece il suo gioco di equilibri tra Washington e Bruxelles. Non è concepibile, dal punto di vista americano, che Putin “non detti le proprie condizioni”. Le richieste del Cremlino, per gli Usa, sono in questo momento più importanti di quelle di Kiev. Per un motivo: Zelensky, in qualche modo, può essere rimosso, Putin no. La pace in Ucraina, ha infatti aggiunto il segretario di Stato Marco Rubio, potrà arrivare solo se Vladimir Putin sarà coinvolto nei negoziati e, in questo momento, Donald Trump “è l’unica persona sulla terra che ha una qualche possibilità di portarlo a un tavolo per vedere per cosa sarebbe disposto a porre fine alla guerra”. Secondo il capo della diplomazia Usa, l’obiettivo è capire se c’è un modo per distogliere il Cremlino dal suo atteggiamento bellicista: “Quali sono le richieste dei russi? A quali condizioni i russi sarebbero disposti a fermare questa guerra?”. E ribalta poi le richieste di ucraina ed Europa sulle garanzie di sicurezza: “È tutto subordinato al raggiungimento della pace. Tutti dicono che le garanzie di sicurezza servono a garantire la pace. Prima bisogna avere una pace. Non sappiamo nemmeno se la pace sia possibile”.
L’incognita Germania
Per capire quale posizione prevarrà manca ancora un fattore troppo importante: le decisione del nuovo governo tedesco. L’immobilismo europeo dei mesi scorsi è dovuto anche a questo: senza un esecutivo a Berlino, prendere decisioni così importanti a Bruxelles è molto complicato. Olaf Scholz, da cancelliere uscente, si è limitato a dire che “dobbiamo sostenere l’Ucraina con mezzi finanziari e militari” e garantire che abbia “un esercito forte”. Ma a decidere la strategia sarà il nuovo capo dell’esecutivo, probabilmente il candidato della Cdu/Csu che ha vinto le ultime elezioni, Friedrich Merz. E la sua scelta influirà sulla futura postura dell’Europa: se Macron e Starmer riuscissero a portare dalla propria parte anche la Germania, aumenterebbero le possibilità che quella anglo-francese diventi la nuova strategia di pace europea, con l’Italia che rimarrebbe così in secondo piano. Fino a oggi, però, Berlino ha sempre escluso qualsiasi impiego di militari europei in Ucraina anche dopo il cessate il fuoco. Serve una maggioranza in Germania per sciogliere la riserva.
L’Europa esce dal vertice di Londra come uno specchio rotto, nel quale la stessa faccia si riflette in innumerevoli versioni, tutte diverse tra loro, nonostante le parole del presidente polacco, Donald Tusk, che all’uscita dal summit con 16 Paesi euroatlantici e i vertici di Nato e Unione europea ha parlato di un’Europa che “si è svegliata“, con tutti i leader che “parlano all’unisono“. Basta ascoltare le dichiarazioni a margine dell’incontro per capire che di unità, in Europa, ce n’è ben poca. Giorgia Meloni boccia la strategia ideata da Gran Bretagna e Francia che prevede l’invio di un “gruppo di volenterosi“, ossia 30mila soldati europei da inviare con funzioni di peacekeeping in Ucraina, Keir Starmer interviene e dice invece che si prosegue su questa linea, mentre Ursula von der Leyen continua a invocare l’uso della forza contro Putin. Così, le parole che meglio descrivono la mancanza di uniformità delle posizioni europee appaiono quelle di sabato di Viktor Orbán in vista del Consiglio Ue del 6 marzo: “Evitiamo documenti condivisi o tutti vedranno che siamo spaccati”.
Peacekeeping europeo: il fronte anglo-francese
L’idea di Francia e Gran Bretagna era emersa già al termine del vertice di Parigi organizzato da Emmanuel Macron: Ue, Usa e Ucraina elaborino un piano di pace congiunto da presentare anche alla Russia e i Paesi europei mettano a disposizione 30mila soldati da inviare come contingente di pace nel Paese di Volodymyr Zelensky a garanzia della sua sicurezza futura. Pochi punti che, però, segnano varie rotture con diversi membri del gruppo degli alleati. Ad esempio, Starmer ha affermato che un eventuale accordo dovrà “ovviamente” includere la Russia, ma Mosca “non può dettare i termini, altrimenti non faremo alcun progresso”: “Se un accordo viene fatto, deve essere difeso. In passato abbiamo assistito a una cessazione delle ostilità senza alcun sostegno, regolarmente violata dalla Russia. È una situazione che dobbiamo evitare”.
Posizione totalmente diversa da quella di Donald Trump che, invece, ha riservato maggiore attenzione alle richieste di Vladimir Putin rispetto a quelle di Zelensky, secondo la logica del ‘vince il più forte‘. Così, per il presidente americano la presenza della Russia al tavolo delle trattative sembra essere imprescindibile e tra le condizioni esposte dalla Federazione c’è anche quella che esclude la presenza di militari di Paesi membri della Nato in territorio ucraino. Opzione rigettata anche da una parte di Paesi Ue, tra cui l’Italia.
Meloni propone un vertice tra Usa e alleati europei
“Spunti di pace”. Così Giorgia Meloni ah definito, sminuendolo, il progetto di Francia e Gran Bretagna: “Presentato? Ci sono degli spunti, presentato non direi”, ha detto. La premier italiana rimane saldamente legata alla convinzione che l’Europa debba seguire senza tentennamenti la linea atlantista di Washington, con la speranza così di diventare davvero ponte tra le due sponde dell’Atlantico. “Ci sono varie proposte, penso che chiunque metta sul tavolo una proposta faccia in questo momento una cosa utile. Poi ci possono essere perplessità su alcune proposte”, come quella “dell’utilizzo di truppe europee su cui ho espresso perplessità. La presenza di truppe italiane in Ucraina non è mai stata all’ordine del giorno, voglio sgomberare il campo”.
A chi, come Emmanuel Macron, pensa a una maggiore autonomia da Washington nel campo della Difesa, la presidente del Consiglio oppone la salda vicinanza alle posizioni della Casa Bianca: credo che “il modo più effettivo” per garantire una pace duratura in Ucraina “sia sempre all’interno della cornice atlantica. Che non vuol dire necessariamente ingresso nella Nato, può voler dire diverse opzioni”, ha detto ipotizzando quindi una garanzia di sicurezza atlantica anche per Kiev. E se Trump non ci sta? “Trump, Putin, Zelensky, gli interlocutori sono tanti. Ma intanto bisogna provare a pensare un po’ fuori dagli schemi, pensare un po’ in modo creativo”.
Il suo timore è che l’Occidente si divida sull’Ucraina: “Dobbiamo essere bravi in questa fase a non dividere l’Occidente perché sarebbe esiziale per tutti”. Per questo annuncia di aver proposto un vertice tra Usa e alleati europei “per parlarci in modo franco di che cosa vogliamo fare, di come vogliamo affrontare le sfide che si presentano, non solo il tema della pace in Ucraina”. La premier ha anche un’altra paura, che non ha esplicitato, ed è quella che una divisione del genere possa lasciare l’Italia a metà strada, costretta a decidere tra la fedeltà a Washington, che la penalizzerebbe a livello europeo, e quella all’Ue, che invece le farebbe perdere i privilegi ottenuti grazie ai buoni rapporti con Trump e il suo entourage, uno su tutti Elon Musk.
Von der Leyen tira dritto: “Ottenere la pace con la forza”
Più passa il tempo e più sembra che a prendere in mano l’Europa saranno i principali capi di Stato e di governo, il tentativo di Macron e Starmer ne è solo l’ultima conferma, mentre i vertici Ue, ignorati da Donald Trump, non potranno che andare a rimorchio. Così Ursula von der Leyen, al termine dell’incontro, non prende posizione. O meglio, non la cambia rispetto a quella assunta ormai da anni: “Garanzie di sicurezza complete” per Kiev, “un piano di riarmo urgente dell’Europa che la Commissione proporrà al Consiglio europeo del 6 marzo”, senza dimenticare che con Putin “la via per la pace è la forza. La debolezza genera più guerra”.
Al suo fianco, come di consueto, si è posizionato anche il segretario generale della Nato, Mark Rutte, il primo a proporre tagli al welfare per finanziare l’industria della Difesa. Parole non in linea, però, con quanto espresso più volte da Trump, presidente del Paese (e contribuente) più importante del Patto Atlantico, che invece ha intenzione di chiudere la partita ucraina nel più breve tempo possibile e smettere, di conseguenza, di stanziare miliardi di dollari in aiuti per Kiev. Questo tipo di approccio, per Washington, può riguardare solo i Paesi europei.
Le posizioni di von der Leyen e dei membri della sua Commissione, uno su tutti l’Alto rappresentante per la Politica Estera dell’Ue, Kaja Kallas, rispecchiano anche quelle dell’ala europea più intransigente nei confronti di Mosca, formata in particolar modo dai Paesi Baltici, che vedono la Russia come una minaccia concreta all’integrità territoriale non solo dell’Ucraina, ma di tutti i Paesi Ue. Una posizione condivisa anche da Giorgia Meloni che l’ha poi ritarata con il ritorno alla Casa Bianca di Trump. Il governo di Roma, inoltre, si è detto contrario anche all’innalzamento della spesa per la Difesa se questa non sarà svincolata dal Patto di stabilità.
Zelensky è un ostacolo alla pace: la linea americana
Dopo lo storico scontro alla Casa Bianca tra Trump e Zelensky, da Washington è iniziato ad arrivare in Europa un messaggio ripetuto costantemente: se il presidente ucraino diventa un ostacolo alla pace deve dimettersi e permettere nuove elezioni. L’idea è quella di sbarazzarsi di un protagonista che, in questo momento, rappresenta una perdita di tempo per Trump e i suoi piani economici in Ucraina (e forse anche in Russia). Per ultimo lo ha ripetuto il consigliere per la sicurezza nazionale, Mike Waltz, alla Cnn: “Abbiamo bisogno di un leader che possa trattare con noi, eventualmente trattare con i russi e porre fine a questa guerra. E se diventa chiaro che le motivazioni personali o politiche del presidente Zelensky divergono dalla fine dei combattimenti in Ucraina, allora penso che abbiamo un vero problema tra le mani”.
Chiaro che questa posizione è ben diversa da quella del resto d’Europa, se si escludono Orbán e il premier slovacco Robert Fico, con Giorgia Meloni che continua invece il suo gioco di equilibri tra Washington e Bruxelles. Non è concepibile, dal punto di vista americano, che Putin “non detti le proprie condizioni”. Le richieste del Cremlino, per gli Usa, sono in questo momento più importanti di quelle di Kiev. Per un motivo: Zelensky, in qualche modo, può essere rimosso, Putin no. La pace in Ucraina, ha infatti aggiunto il segretario di Stato Marco Rubio, potrà arrivare solo se Vladimir Putin sarà coinvolto nei negoziati e, in questo momento, Donald Trump “è l’unica persona sulla terra che ha una qualche possibilità di portarlo a un tavolo per vedere per cosa sarebbe disposto a porre fine alla guerra”. Secondo il capo della diplomazia Usa, l’obiettivo è capire se c’è un modo per distogliere il Cremlino dal suo atteggiamento bellicista: “Quali sono le richieste dei russi? A quali condizioni i russi sarebbero disposti a fermare questa guerra?”. E ribalta poi le richieste di ucraina ed Europa sulle garanzie di sicurezza: “È tutto subordinato al raggiungimento della pace. Tutti dicono che le garanzie di sicurezza servono a garantire la pace. Prima bisogna avere una pace. Non sappiamo nemmeno se la pace sia possibile”.
L’incognita Germania
Per capire quale posizione prevarrà manca ancora un fattore troppo importante: le decisione del nuovo governo tedesco. L’immobilismo europeo dei mesi scorsi è dovuto anche a questo: senza un esecutivo a Berlino, prendere decisioni così importanti a Bruxelles è molto complicato. Olaf Scholz, da cancelliere uscente, si è limitato a dire che “dobbiamo sostenere l’Ucraina con mezzi finanziari e militari” e garantire che abbia “un esercito forte”. Ma a decidere la strategia sarà il nuovo capo dell’esecutivo, probabilmente il candidato della Cdu/Csu che ha vinto le ultime elezioni, Friedrich Merz. E la sua scelta influirà sulla futura postura dell’Europa: se Macron e Starmer riuscissero a portare dalla propria parte anche la Germania, aumenterebbero le possibilità che quella anglo-francese diventi la nuova strategia di pace europea, con l’Italia che rimarrebbe così in secondo piano. Fino a oggi, però, Berlino ha sempre escluso qualsiasi impiego di militari europei in Ucraina anche dopo il cessate il fuoco. Serve una maggioranza in Germania per sciogliere la riserva.
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