Cronaca e politica estera [Equilibri mondiali] Thread unico.
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Originariamente Scritto da LARRY SCOTT2 Visualizza MessaggioLa DDR comunque ha avuto penso l'inno più bello della Storia, tra l'altro strutturato musicalmente e come testo e metrica per essere cantato sulla melodia del ''Deutschland uber Alless' e viceversa.
Nel '91 considerarono di usare questo come inno per la ''Germania unificata''
E' rimasto l'Est tedesco, quello preservatosi più a lungo dalle corrosioni ideologiche dell'occidente, la parte che più corrisponde alla Germania per come è sempre apparsa, a tal riguardo la parte più "sana"? E' forse per questi motivi che proprio là l'AdF ha conquistato la stragrande maggioranza dei voti? Vediamo se qualche analista o sociologo approfondirà....ma di noi
sopra una sola teca di cristallo
popoli studiosi scriveranno
forse, tra mille inverni
«nessun vincolo univa questi morti
nella necropoli deserta»
C. Campo - Moriremo Lontani
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Originariamente Scritto da LARRY SCOTT2 Visualizza Messaggio
Sean mi sa che hai ragione, se ci dissolviamo presto ricominceranno i conflitti classici che hanno martoriato la nostra Storia per un millenio e mezzo
Se prendiamo la storia (che cosa dovremmo prendere altrimenti?) quanto ne ricaviamo è che "innaturali" non ci appaiono i lunghissimi periodi di guerre e conflitti tra popoli e nazioni e stati europei ma i brevi, brevissimi periodi di "pace".
Conclusa la II GM in Europa si sono vissuti 8 decenni senza guerra: credo proprio che sia il periodo più lungo della sua storia senza scoppi di cannone. Eppure la pace non è neutra, ma anch'essa una dinamo che accumula le tensioni storiche, delle quali la guerra è poi uno "sfogo" ed una risoluzione, proprio a motivo del fatto che non la pace ma la guerra dà forma alla storia e al mondo degli uomini e degli stati.
Come occidentali abbiamo assunto la pace come uno stato dell'essere dato per sicuro, acquisito, definitivo, dimenticandoci completamente della realtà della storia, che smentisce in radice quella credenza.
All' "apparir del vero" - dell'eterno riemergere della volontà di potenza connaturata all'uomo, agli stati forti, alla storia - assistiamo al crollo delle sovrastrutture "internazionali" sorte sul sabbioso terreno della "pace" e delle "ideologie": non hanno mai risolto niente prima (che fine fece la "società delle nazioni"?), sono completamente assenti ed inutili adesso, nel mentre vediamo che il "diritto" viene discusso e ridefinito da quei soggetti, le grandi forze della storia, dotati di imperium.
Argomentava a tal riguardo Spengler: "la forma normale in cui si compiono le grandi svolte della storia sono le catastrofi"; "aspirare ad una vita felice, pacifica, senza pericoli, immersa nel benesse (...) è solo pensabile, non possibile. Davanti alla realtà della storia naufraga qualsiasi ideologia"; "(...) la decisione delle grandi questioni di potenza - decisione impossibile per via pacifica".
"Ai riformatori dell'universo subentreranno i Cesari: riprende i suoi diritti la grande politica come arte del possibile, lontano da tutti i sistemi e da tutte le teorie: come maestria del disporre dei fatti da esperti, e di governare il mondo come un buon cavaliere fa con la pressione delle cosce"
[O. Spengler, "Anni della decisione", 1933]
Siamo stati fortunati a vivere in uno dei più lunghi periodi di pace (in occidente) della storia, ma si dovrebbe essere anche consapevoli che abbiamo vissuto in una "eccezione" storica - e che la pace, in quanto stasi amorfa, accumula o rimanda la risoluzione delle "grandi questioni", essa col suo prolungarsi si rovescia in un disordine, è come una vita artificiale, nel mentre le potenze della storia sono destinate sempre a (ri)tornare alla luce - senza quelle non vi è nessun "ordine" reale....ma di noi
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Cremlino: disponibili a un accordo con gli Usa sulle terre rare russe
Ci sono "vaste" possibilità di cooperazione tra Washington e Mosca per l'estrazione di terre rare, perché gli Usa ne hanno bisogno e la Russia ne ha a sufficienza. Lo ha detto il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, citato dall'agenzia Interfax. Peskov ha tuttavia chiarito che eventuali accordi economici con gli Usa saranno possibili solo dopo che sarà stata raggiunta un'intesa per mettere fine al conflitto ucraino. "La prossima cosa in agenda - ha detto il portavoce - è il regolamento della crisi ucraina. E poi, specialmente perché gli stessi americani hanno parlato di questo, verrà il tempo per considerare possibili progetti per il commercio, l'economia e la cooperazione negli investimenti. Ci sono prospettive molto vaste per questo
Ue: l’intesa con Kiev sulle terre rare non è in competizione con gli Usa
"Non c'è nessuna proposta" della Commissione europea sulle terre rare in Ucraina. "Dal 2021 abbiamo una partnership sulle materie prime critiche con l'Ucraina, formalizzata attraverso il nostro memorandum d'intesa. Come per tutti i partenariati sulle materie prime critiche che abbiamo, questa cooperazione non riguarda solo la sicurezza delle catene di approvvigionamento per l'Ue, ma anche la promozione e la creazione di valore locale e lo sviluppo di capacità nei Paesi partner, garantendo vantaggi reciproci". Lo chiarisce un portavoce della Commissione durante il briefing quotidiano alla stampa. "Si tratta di cooperazione con l'Ucraina, non c'è alcun tipo di competizione con gli Stati Uniti", ha sottolineato. Il portavoce ha poi riferito di un incontro del vicepresidente della Commissione Stéphane Séjourné ieri a Kiev nel corso della visita del collegio dei Commissari con la controparte Ucraina per ribadire l'impegno Ue a "attuare questo memorandum d'intesa e accelerare i lavori per rafforzare la nostra partnership reciprocamente vantaggiosa".
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La «teoria del debito» che spiega l'asse Trump-Putin
Il termine isolazionismo forse si applicava al Trump Uno, mentre è del tutto inadeguato a descrivere la politica estera del Trump Due
di Federico Rampini
Il termine isolazionismo forse si applicava al Trump Uno, mentre è del tutto inadeguato a descrivere la politica estera del Trump Due: i ribaltamenti repentini nelle alleanze, suggeriscono ad alcuni osservatori l’idea di un G3, consentono a Putin di accarezzare il suo sogno di una Nuova Yalta (spartizione del mondo in aree di influenza), in Cina hanno generato la metafora dei Tre Regni. Addio all’idea di Biden di una crociata del mondo libero contro le autocrazie, all’ordine del giorno c’è un grande compromesso storico. Due autorevoli studiosi di storia e di geopolitica ci aiutano a capire quale logica può ispirare oggi la nuova Dottrina Trump. Il primo sottolinea una forte rottura col passato e la spiega con una teoria del debito; il secondo al contrario sostiene che non c’è nulla di nuovo sotto il sole, e quanto sta facendo Trump ha molti precedenti nella storia Usa (con esiti talvolta brillanti, talvolta meno).
Il primo è lo storico di origine scozzese Nial Ferguson, grande esperto delle vicende degli imperi del passato, oggi docente alla fondazione Hoover presso l’università di Stanford in California. Ferguson riprende, con ricchezza di dati attuali e paragoni storici, la tesi resa celebre da un altro storico britannico, Paul Kennedy: gli imperi muoiono per «overstretching», iper-dilatazione delle spese militari che portano al collasso finanziario. Ma Ferguson propone una sua variante aggiornata. Gli imperi secondo lui muoiono quando il peso del debito pubblico (rimborso degli interessi e del capitale) supera quel che riescono a spendere per difendersi. L’America ha appena varcato questa soglia. Questo fra l’altro mette in una luce nuova il tentativo di Elon Musk (attraverso il suo Dipartimento dell’Efficienza governativa o DOGE) di tagliare dell’8% perfino il bilancio del Pentagono. La Dottrina Trump, puntando a un grande accordo con Russia e Cina, consentirebbe di alleggerire almeno in parte le responsabilità militari degli Stati Uniti. Ecco, qui di seguito, alcuni passaggi dell’analisi di Ferguson, apparsa in una versione sul Wall Street Journal del weekend scorso:
«Gli economisti hanno a lungo cercato invano una soglia che definisca quanto debito sia troppo. La mia formulazione focalizza l’attenzione sulla cruciale relazione storica tra il servizio del debito (interessi più rimborso del capitale) e la sicurezza nazionale (spese per la difesa, inclusi investimenti in ricerca e sviluppo). La soglia cruciale è il punto in cui il servizio del debito supera la spesa per la difesa, dopo il quale le forze centrifughe dell’onere aggregato del debito tendono a indebolire la presa geopolitica di una grande potenza, rendendola vulnerabile a sfide militari. La cosa sorprendente è che, per la prima volta in quasi un secolo, gli Stati Uniti hanno violato la Legge di Ferguson lo scorso anno. La spesa annua per la difesa—più precisamente, le spese di consumo per la difesa nazionale e gli investimenti lordi—è stata di 1.107 miliardi di dollari nel 2024, secondo il Bureau of Economic Analysis (BEA), mentre la spesa federale per il pagamento degli interessi (il governo ha rinunciato da tempo a rimborsare il capitale) ha raggiunto 1.124 miliardi di dollari. Queste spese possono essere espresse anche come percentuali del prodotto interno lordo.
L'Ufficio del bilancio del Congresso (CBO), che utilizza una definizione più ristretta di spesa per la difesa rispetto al BEA, la colloca al 2,9% del PIL per lo scorso anno. I pagamenti netti degli interessi (al netto degli interessi ricevuti dalle obbligazioni detenute dalle agenzie governative) ammontavano al 3,1%. Non abbiamo visto nulla di simile dall’era dell’isolazionismo. Tra il 1962 e il 1989, la spesa per la difesa degli Stati Uniti è stata in media del 6,4% del PIL; il servizio del debito era meno di un terzo di tale valore, pari all'1,8%. Anche dopo la fine della Guerra Fredda, il governo federale ha continuato a spendere in media circa il doppio per la sicurezza nazionale rispetto agli interessi sul debito. Il fatto che gli Stati Uniti siano attualmente proiettati a spendere una quota crescente del loro PIL per i pagamenti degli interessi e una quota decrescente per la difesa significa che il potere americano subisce più restrizioni di bilancio di quanto la maggior parte delle persone si renda conto. Entro il 2049, secondo l’ultima proiezione di bilancio a lungo termine del CBO, i pagamenti netti degli interessi sul debito federale saranno saliti al 4,9% del PIL.
Se la spesa per la difesa manterrà la sua quota recente della spesa discrezionale, ammonterà alla metà di quella percentuale del PIL. Non vi è inoltre alcuna reale possibilità che la spesa per la difesa aumenti drasticamente. Poiché tale spesa è discrezionale, deve essere stanziata dal Congresso ogni anno, a differenza della spesa per i programmi di Welfare (che è obbligatoria) e dei pagamenti degli interessi (la cui mancata corresponsione equivarrebbe a un default). Anzi, è probabile che i vincoli di bilancio esercitino una pressione al ribasso sulla spesa per la difesa nei decenni a venire».
Lo storico Ferguson conclude con quei paragoni nei quali è un maestro: illustra una serie di parallelismi fra l’America di oggi e gli Asburgo di Spagna, l’impero ottomano, la monarchia borbonica (quella francese), l’Austria-Ungheria, e i meccanismi che portarono alla decadenza di quei regimi.
Un suo collega di studi storici, nonché esponente del pensiero conservatore della «realpolitik» influenzato dal pensiero di Henry Kissinger, è Walter Russell Mead. Anche lui descrive una logica perfettamente razionale dietro ciò che Trump sta facendo in politica estera. Però è una versione assai meno pessimista rispetto a Ferguson. Inoltre Mead elenca gli elementi di continuità fra il Trump Due e altre fasi della politica estera statunitense, ivi compreso sotto presidenti democratici. Ecco questa variante positiva – s’intende positiva per l’America, non per gli europei – della Dottrina Trump secondo Mead.
«La scorsa settimana, mentre Donald Trump ha quasi fatto saltare in aria l’alleanza transatlantica, i soliti allarmisti che hanno lamentato ogni fase dell’ascesa del presidente si sono scatenati, tanto eloquenti quanto inevitabilmente inutili. Anche i sotenitori del mondo MAGA di Trump si sono fatti sentire, esaltando l’audace originalità di un uomo le cui presunte mosse di scacchi in 3D infrangono tutte le regole. Sia i sostenitori che i detrattori omettono che la politica di Trump nei confronti della Russia è, per molti aspetti, nella tradizione. Come Gerhard Schröder e Angela Merkel, il presidente vuole andare oltre le differenze politiche e ideologiche con Mosca per sviluppare legami economici reciprocamente vantaggiosi. Come Barack Obama, crede che l’antagonismo tra Stati Uniti e Russia sia un’eco anacronistica della Guerra Fredda. Come Joe Biden, Trump vuole «parcheggiare» la Russia: evitare il dolore, la difficoltà e i costi di un confronto con Mosca stabilendo una sorta di accordo di lavoro con essa.
La sostanza delle proposte di Trump alla Russia—accettare guadagni territoriali offrendo al contempo un’assistenza alla sicurezza inadeguata all’Ucraina—è l’approdo a cui probabilmente anche Biden e i suoi principali alleati europei sarebbero finiti. È così che George W. Bush, Obama, Merkel e Biden hanno trattato le azioni della Russia contro la Georgia nel 2008 e l’attacco del 2014 all’Ucraina. Ma ci sono differenze tra le vecchie e le nuove politiche verso la Russia. Mentre i suoi predecessori usavano una dura retorica anti-russa e sanzioni simboliche per mascherare il loro pragmatismo arrendevole, Trump vuole mandare a Vladimir Putin dolci e fiori. Per Trump, trattare Putin con «rispetto»—come direbbe Tony Soprano—è la strada per una relazione stabile e improntata agli affari con i russi. Se questo approccio non è una soluzione completa al problema della Russia per gli Stati Uniti, non è nemmeno del tutto sbagliato. Se vuoi che qualcuno parcheggi nella tua strada, non gli lanci addosso escrementi di cane.
CorSera...ma di noi
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