In Germania lacrime e polemiche dopo l'attentato a Magdeburgo: i sauditi avevano segnalato Taleb Abdulmohsen quattro volte
Sale a 5 il numero delle vittime di Magdeburgo, tra loro un bimbo di 9 anni. L’ultradestra attacca sull’immigrazione
La sera, la cattedrale Johanniskirche è illuminata dalla luce di fari e candele. C’è un manto di fiori che la gente continua a deporre fino a notte. Quando Taleb Al Abdulmohsen ha accelerato sulla via del mercatino, è questa chiesa che vedeva sullo sfondo.
All’interno, il presidente Frank-Walter Steinmeier e il cancelliere Olaf Scholz partecipano alla funzione trasmessa in piazza dagli altoparlanti. Come aveva detto Scholz, appena arrivato in città: «Non c’è luogo più tranquillo e gioioso di un mercatino di Natale. Che atto terribile è ferire e uccidere così tante persone con una tale brutalità».
Eppure, mentre Magdeburgo aggiorna il numero delle vittime a cinque (il più piccolo un bambino di 9 anni); mentre 200 persone sono ferite; mentre finalmente arriva l’annuncio che gli 11 in terapia intensiva se la caveranno, c’è una domanda che non si può evitare: perché sono stati ignorati così tanti segnali? Davvero Taleb Al Abdulmohsen, medico di 50 anni e assassino, non poteva essere fermato dopo aver disseminato i suoi social di post che promettevano morte? Perché un anno fa la polizia della Sassonia-Anhalt l’ha ritenuto non pericoloso?
Ma soprattutto, perché sono state ignorate le segnalazioni dei servizi segreti sauditi, ben quattro tra il 2023 e il 2024? Semplice: perché Taleb Al Abdulmohsen, figura quasi pubblica, nemico giurato dell’Islam, rifugiato saudita in lotta con le proprie origini, era ritenuto un dissidente. Quegli avvisi erano quindi stati trattati come rappresaglie di un regime che, nel 2018 aveva ucciso e fatto a pezzi a Istanbul un suo critico, Jamal Khashoggi.
Tante cose devono essere esaminate. Il killer è entrato dalle vie di fuga, quelle destinate alle ambulanze e ai soccorsi, le uniche non protette dai blocchi di cemento. Almeno due volte era stato in città, a novembre e dicembre, soggiornando nello stesso albergo che, in queste ore, è pieno di giornalisti. Qualcuno dovrà spiegare perché su quel percorso «libero» per i soccorsi non ci fosse nessun ostacolo a terra che ne potessero rallentare la corsa. E ovviamente restano da chiarire le sue motivazioni. Taleb deve rispondere per ora di omicidio, tentato omicidio e lesioni, ma non ancora di terrorismo. Ha parlato ai magistrati, non si è trincerato nel silenzio.
Come ha detto il procuratore capo di Magdeburgo, Horst Walter Nopens, «per come stanno le cose», il movente «potrebbe essere l’insoddisfazione per il modo in cui i rifugiati sauditi vengono trattati in Germania». Ma che cosa significa? Un accenno al fatto che, secondo Taleb, la Germania non proteggeva a sufficienza le donne saudite? O invece un riferimento ai litigi e alle cause legali che aveva con le ong sostenute dal governo tedesco? Quel che ha detto, come ha spiegato il procuratore, «andrà verificato».
È un giorno lungo, in cui a Magdeburgo arriva l’attenzione del mondo: del Papa, del presidente Usa Joe Biden, che parla di «atto abietto», di Volodymyr Zelensky. Ma tutto tornerà a essere, di nuovo tra pochi giorni, soltanto una questione tedesca. E allora, la stessa Alice Weidel, leader dell’estrema destra AfD, che la sera prima aveva twittato «quando finirà questa follia?», si è affrettata a precisare che Taleb, l’odiatore dell’Islam che ammirava le sue tesi politiche, non era iscritto al suo partito. Lei stessa, anzi, domani verrà in città.
Ieri, intanto, a mezzogiorno, è passato sul luogo della strage il suo co-leader Tino Chrupalla. Si è fermato al secondo memoriale, a 200 metri dalla Johanniskirche, all’imbocco del viale mortale. Ha deposto un fiore senza dire nulla. «Non sempre servono le parole», ha detto a chi ha provato ad avvicinarlo. Ma nessuno lo guardava con sospetto, come se le tesi di estrema destra non avessero nulla a che fare con questa criminale follia.
Qualche ora più tardi, nello stesso luogo, una signora, spingendo la carrozzina del marito invalido, si è messa a inveire contro «gli stranieri», contro i rifugiati: «È tutta colpa di Angela Merkel». Per tanti che al fatto dedicano uno sguardo frettoloso questa resterà la strage di un killer venuto dall’Arabia Saudita. Quanto può importare che avesse o meno litigato con l’Islam? Un poliziotto, con infinita cura, si è infine avvicinato all’anziana signora. Le ha detto: «La capisco, lei è arrabbiata, ma forse oggi è il momento di restare in silenzio». Poi l’ha aiutata a chinarsi e accendere la sua candela.
CorSera
Sale a 5 il numero delle vittime di Magdeburgo, tra loro un bimbo di 9 anni. L’ultradestra attacca sull’immigrazione
La sera, la cattedrale Johanniskirche è illuminata dalla luce di fari e candele. C’è un manto di fiori che la gente continua a deporre fino a notte. Quando Taleb Al Abdulmohsen ha accelerato sulla via del mercatino, è questa chiesa che vedeva sullo sfondo.
All’interno, il presidente Frank-Walter Steinmeier e il cancelliere Olaf Scholz partecipano alla funzione trasmessa in piazza dagli altoparlanti. Come aveva detto Scholz, appena arrivato in città: «Non c’è luogo più tranquillo e gioioso di un mercatino di Natale. Che atto terribile è ferire e uccidere così tante persone con una tale brutalità».
Eppure, mentre Magdeburgo aggiorna il numero delle vittime a cinque (il più piccolo un bambino di 9 anni); mentre 200 persone sono ferite; mentre finalmente arriva l’annuncio che gli 11 in terapia intensiva se la caveranno, c’è una domanda che non si può evitare: perché sono stati ignorati così tanti segnali? Davvero Taleb Al Abdulmohsen, medico di 50 anni e assassino, non poteva essere fermato dopo aver disseminato i suoi social di post che promettevano morte? Perché un anno fa la polizia della Sassonia-Anhalt l’ha ritenuto non pericoloso?
Ma soprattutto, perché sono state ignorate le segnalazioni dei servizi segreti sauditi, ben quattro tra il 2023 e il 2024? Semplice: perché Taleb Al Abdulmohsen, figura quasi pubblica, nemico giurato dell’Islam, rifugiato saudita in lotta con le proprie origini, era ritenuto un dissidente. Quegli avvisi erano quindi stati trattati come rappresaglie di un regime che, nel 2018 aveva ucciso e fatto a pezzi a Istanbul un suo critico, Jamal Khashoggi.
Tante cose devono essere esaminate. Il killer è entrato dalle vie di fuga, quelle destinate alle ambulanze e ai soccorsi, le uniche non protette dai blocchi di cemento. Almeno due volte era stato in città, a novembre e dicembre, soggiornando nello stesso albergo che, in queste ore, è pieno di giornalisti. Qualcuno dovrà spiegare perché su quel percorso «libero» per i soccorsi non ci fosse nessun ostacolo a terra che ne potessero rallentare la corsa. E ovviamente restano da chiarire le sue motivazioni. Taleb deve rispondere per ora di omicidio, tentato omicidio e lesioni, ma non ancora di terrorismo. Ha parlato ai magistrati, non si è trincerato nel silenzio.
Come ha detto il procuratore capo di Magdeburgo, Horst Walter Nopens, «per come stanno le cose», il movente «potrebbe essere l’insoddisfazione per il modo in cui i rifugiati sauditi vengono trattati in Germania». Ma che cosa significa? Un accenno al fatto che, secondo Taleb, la Germania non proteggeva a sufficienza le donne saudite? O invece un riferimento ai litigi e alle cause legali che aveva con le ong sostenute dal governo tedesco? Quel che ha detto, come ha spiegato il procuratore, «andrà verificato».
È un giorno lungo, in cui a Magdeburgo arriva l’attenzione del mondo: del Papa, del presidente Usa Joe Biden, che parla di «atto abietto», di Volodymyr Zelensky. Ma tutto tornerà a essere, di nuovo tra pochi giorni, soltanto una questione tedesca. E allora, la stessa Alice Weidel, leader dell’estrema destra AfD, che la sera prima aveva twittato «quando finirà questa follia?», si è affrettata a precisare che Taleb, l’odiatore dell’Islam che ammirava le sue tesi politiche, non era iscritto al suo partito. Lei stessa, anzi, domani verrà in città.
Ieri, intanto, a mezzogiorno, è passato sul luogo della strage il suo co-leader Tino Chrupalla. Si è fermato al secondo memoriale, a 200 metri dalla Johanniskirche, all’imbocco del viale mortale. Ha deposto un fiore senza dire nulla. «Non sempre servono le parole», ha detto a chi ha provato ad avvicinarlo. Ma nessuno lo guardava con sospetto, come se le tesi di estrema destra non avessero nulla a che fare con questa criminale follia.
Qualche ora più tardi, nello stesso luogo, una signora, spingendo la carrozzina del marito invalido, si è messa a inveire contro «gli stranieri», contro i rifugiati: «È tutta colpa di Angela Merkel». Per tanti che al fatto dedicano uno sguardo frettoloso questa resterà la strage di un killer venuto dall’Arabia Saudita. Quanto può importare che avesse o meno litigato con l’Islam? Un poliziotto, con infinita cura, si è infine avvicinato all’anziana signora. Le ha detto: «La capisco, lei è arrabbiata, ma forse oggi è il momento di restare in silenzio». Poi l’ha aiutata a chinarsi e accendere la sua candela.
CorSera
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