Il mondo diviso di nuovo in due blocchi (su Putin)
Le motivazioni dei «non allineati filo-russi» nel terzo millennio sono variegate. Ma di fatto la maggioranza sostiene la posizione della Russia in Ucraina
di Federico Rampini
Il leader di un grande Paese africano ha scritto su Twitter: «La maggioranza dell’umanità, che non è bianca, sostiene la posizione della Russia in Ucraina». È una verità sgradevole ma incontestabile. Corrisponde alla mappa dei Paesi che non applicano sanzioni economiche contro Mosca. Vi figurano la maggior parte dell’Asia, Medio Oriente incluso; Africa e America latina. La Russia viene trattata come un partner rispettabile dentro quello che fu definito come il club dei Paesi emergenti, l’alternativa al G7, cioè i Brics (Brasile Russia India Cina Sudafrica). Un membro della Nato, la Turchia, si dissocia dalle sanzioni; così come Israele e l’Arabia Saudita che pure godono da decenni di aiuti militari americani essenziali. La più grande delusione per Joe Biden su questo fronte viene da Delhi. Il governo nazionalista indù di Narendra Modi stava proseguendo un avvicinamento strategico verso gli Stati Uniti in funzione anti-cinese; però non se l’è sentita di guastarsi i rapporti con l’altra superpotenza vicina, la Russia.
Quando descriviamo un Vladimir Putin isolato dovremmo aggiungere: rispetto a noi occidentali, più qualche alleato di ferro dell’America come Giappone Corea del Sud Australia. L’insieme della coalizione pro Ucraina che applica sanzioni rappresenta pur sempre la maggioranza del Pil mondiale; ma non la maggioranza delle nazioni né tantomeno della popolazione. E se sono vere le proiezioni sul futuro del pianeta — economico, demografico — il «mondo del terzo millennio» sta dall’altra parte, non dalla nostra.
Questa divisione può sembrare un ritorno al passato. Nella Prima guerra fredda ci fu un movimento dei «Paesi non allineati», detto anche Terzo mondo perché rifiutava di schierarsi con uno dei due blocchi. Più spesso le sue simpatie andavano all’Unione sovietica — fu il caso dell’India di Nehru e Indira Gandhi — sia per l’appoggio ricevuto nelle battaglie anti-coloniali, sia per l’attrazione verso l’economia socialista. Oggi l’apparenza di neutralità o equidistanza si traduce in una complicità con Putin, che può evadere le sanzioni cercando partner economici alternativi all’Occidente. Non sarà indolore, ma i precedenti dell’Iran o del Venezuela insegnano che i regimi sanzionatori si possono aggirare.
Le motivazioni dei «non allineati filo-russi» nel terzo millennio sono variegate. Alcune sono geopolitiche e opportunistiche: l’India per decenni ha comprato armi made in Russia; sul mercato degli armamenti, condannato come peccaminoso qui in Occidente, le superpotenze autoritarie aumentano la penetrazione. Più in generale quello che un tempo chiamavamo Terzo mondo è stato oggetto di grandi attenzioni da parte di Pechino e anche di Mosca, con investimenti sostitutivi dei nostri.
L’Occidente ha favorito la diffusione di un vasto risentimento post-coloniale nei propri confronti. Buona parte delle classi dirigenti africane si sono formate nelle università americane inglesi e francesi dove la dottrina dominante impone il processo all’Occidente, descritto come l’unico colpevole di tutte le sofferenze dell’umanità: colonialismo, imperialismo, aggressione, sfruttamento, saccheggio di risorse. Il fatto che questo processo sia a senso unico rende le élite terzomondiste culturalmente impreparate ad affrontare gli imperialismi altrui: cinese, russo, turco-ottomano o persiano che siano. La formazione anti-occidentale assorbita in Europa o negli Stati Uniti costituisce anche un alibi prezioso: le élite corrotte e predatorie dei Paesi poveri in nome dell’anti-colonialismo respingono le critiche sui diritti umani o sul malgoverno.
L’Occidente ha accumulato scheletri negli armadi. L’invasione dell’Iraq nel 2003 fu motivata da menzogne spudorate; le vittime civili delle bombe, i crimini commessi a Guantanamo o Abu Ghraib contro i prigionieri sono ancora freschi nella memoria. L’America sprigionò subito degli anticorpi: le piazze delle sue città traboccavano di manifestazioni contro George W. Bush; poi Barack Obama vinse le elezioni del 2008 anche perché si era opposto a quella guerra. Oggi chi ricorda le infamie dello Zio Sam lo fa per praticare un’equidistanza morale che assolve i crimini di Putin. E non è solo l’America a subire questo trattamento. Nell’Africa francofona in seguito a diversi colpi di Stato sono stati cacciati i militari francesi e al loro posto sono state chiamate forze russe. Torna di moda lo slogan à bas la France, anche se di recente la sua presenza militare fungeva da bastione contro le milizie jihadiste.
Di fronte a queste diffuse ostilità l’Occidente non si difende, arretra. Non esiste un’alternativa americana o europea alle Nuove Vie della Seta con cui la Cina costruisce infrastrutture essenziali in Asia e in Africa. In molte liberaldemocrazie, le politiche della cooperazione sono sotto accusa: per il pericolo della corruzione, o perché le grandi opere non sono abbastanza rispettose dell’ambiente. Fondo monetario internazionale e Banca mondiale hanno subito dei processi ideologici, denunciati come strumenti finanziari dell’imperialismo bianco. Il risultato è aver abbandonato molti Paesi emergenti all’avanzata di istituzioni alternative, come la banca asiatica per le infrastrutture che ha la cabina di regìa a Pechino. Gli investimenti cinesi in Asia e in Africa non devono passare gli esami politicamente corretti sul terreno dei diritti umani, dell’ambiente, delle «quote rosa» o della rappresentanza Lgbtq nei consigli d’amministrazione. Dilagano dove noi ci ritiriamo.
Infine un’attrattiva culturale cementa il nuovo fronte dei «non allineati», di fatto indulgenti verso l’aggressione all’Ucraina. I modelli di società propugnati da Putin e Xi Jinping — per esempio la difesa della famiglia tradizionale — esercitano un’attrazione reale. La società occidentale viene vista come viziosa e decadente, in molte parti del mondo. I protestanti evangelici del Sudamerica, gli islamici dell’Africa o dell’Asia meridionale guardano con ribrezzo all’evoluzione dei costumi negli Stati Uniti, giudicandola come una sorta di decomposizione morale da basso impero.
L’Occidente rischia di compiacersi prematuramente per aver messo Putin nell’angolo. L’emisfero Sud del pianeta è vittima collaterale della guerra e poi delle sanzioni, con penurie e inflazione su energia e cibo; per adesso noi non lo abbiamo ancora convinto delle nostre ragioni.
CorSera
Le motivazioni dei «non allineati filo-russi» nel terzo millennio sono variegate. Ma di fatto la maggioranza sostiene la posizione della Russia in Ucraina
di Federico Rampini
Il leader di un grande Paese africano ha scritto su Twitter: «La maggioranza dell’umanità, che non è bianca, sostiene la posizione della Russia in Ucraina». È una verità sgradevole ma incontestabile. Corrisponde alla mappa dei Paesi che non applicano sanzioni economiche contro Mosca. Vi figurano la maggior parte dell’Asia, Medio Oriente incluso; Africa e America latina. La Russia viene trattata come un partner rispettabile dentro quello che fu definito come il club dei Paesi emergenti, l’alternativa al G7, cioè i Brics (Brasile Russia India Cina Sudafrica). Un membro della Nato, la Turchia, si dissocia dalle sanzioni; così come Israele e l’Arabia Saudita che pure godono da decenni di aiuti militari americani essenziali. La più grande delusione per Joe Biden su questo fronte viene da Delhi. Il governo nazionalista indù di Narendra Modi stava proseguendo un avvicinamento strategico verso gli Stati Uniti in funzione anti-cinese; però non se l’è sentita di guastarsi i rapporti con l’altra superpotenza vicina, la Russia.
Quando descriviamo un Vladimir Putin isolato dovremmo aggiungere: rispetto a noi occidentali, più qualche alleato di ferro dell’America come Giappone Corea del Sud Australia. L’insieme della coalizione pro Ucraina che applica sanzioni rappresenta pur sempre la maggioranza del Pil mondiale; ma non la maggioranza delle nazioni né tantomeno della popolazione. E se sono vere le proiezioni sul futuro del pianeta — economico, demografico — il «mondo del terzo millennio» sta dall’altra parte, non dalla nostra.
Questa divisione può sembrare un ritorno al passato. Nella Prima guerra fredda ci fu un movimento dei «Paesi non allineati», detto anche Terzo mondo perché rifiutava di schierarsi con uno dei due blocchi. Più spesso le sue simpatie andavano all’Unione sovietica — fu il caso dell’India di Nehru e Indira Gandhi — sia per l’appoggio ricevuto nelle battaglie anti-coloniali, sia per l’attrazione verso l’economia socialista. Oggi l’apparenza di neutralità o equidistanza si traduce in una complicità con Putin, che può evadere le sanzioni cercando partner economici alternativi all’Occidente. Non sarà indolore, ma i precedenti dell’Iran o del Venezuela insegnano che i regimi sanzionatori si possono aggirare.
Le motivazioni dei «non allineati filo-russi» nel terzo millennio sono variegate. Alcune sono geopolitiche e opportunistiche: l’India per decenni ha comprato armi made in Russia; sul mercato degli armamenti, condannato come peccaminoso qui in Occidente, le superpotenze autoritarie aumentano la penetrazione. Più in generale quello che un tempo chiamavamo Terzo mondo è stato oggetto di grandi attenzioni da parte di Pechino e anche di Mosca, con investimenti sostitutivi dei nostri.
L’Occidente ha favorito la diffusione di un vasto risentimento post-coloniale nei propri confronti. Buona parte delle classi dirigenti africane si sono formate nelle università americane inglesi e francesi dove la dottrina dominante impone il processo all’Occidente, descritto come l’unico colpevole di tutte le sofferenze dell’umanità: colonialismo, imperialismo, aggressione, sfruttamento, saccheggio di risorse. Il fatto che questo processo sia a senso unico rende le élite terzomondiste culturalmente impreparate ad affrontare gli imperialismi altrui: cinese, russo, turco-ottomano o persiano che siano. La formazione anti-occidentale assorbita in Europa o negli Stati Uniti costituisce anche un alibi prezioso: le élite corrotte e predatorie dei Paesi poveri in nome dell’anti-colonialismo respingono le critiche sui diritti umani o sul malgoverno.
L’Occidente ha accumulato scheletri negli armadi. L’invasione dell’Iraq nel 2003 fu motivata da menzogne spudorate; le vittime civili delle bombe, i crimini commessi a Guantanamo o Abu Ghraib contro i prigionieri sono ancora freschi nella memoria. L’America sprigionò subito degli anticorpi: le piazze delle sue città traboccavano di manifestazioni contro George W. Bush; poi Barack Obama vinse le elezioni del 2008 anche perché si era opposto a quella guerra. Oggi chi ricorda le infamie dello Zio Sam lo fa per praticare un’equidistanza morale che assolve i crimini di Putin. E non è solo l’America a subire questo trattamento. Nell’Africa francofona in seguito a diversi colpi di Stato sono stati cacciati i militari francesi e al loro posto sono state chiamate forze russe. Torna di moda lo slogan à bas la France, anche se di recente la sua presenza militare fungeva da bastione contro le milizie jihadiste.
Di fronte a queste diffuse ostilità l’Occidente non si difende, arretra. Non esiste un’alternativa americana o europea alle Nuove Vie della Seta con cui la Cina costruisce infrastrutture essenziali in Asia e in Africa. In molte liberaldemocrazie, le politiche della cooperazione sono sotto accusa: per il pericolo della corruzione, o perché le grandi opere non sono abbastanza rispettose dell’ambiente. Fondo monetario internazionale e Banca mondiale hanno subito dei processi ideologici, denunciati come strumenti finanziari dell’imperialismo bianco. Il risultato è aver abbandonato molti Paesi emergenti all’avanzata di istituzioni alternative, come la banca asiatica per le infrastrutture che ha la cabina di regìa a Pechino. Gli investimenti cinesi in Asia e in Africa non devono passare gli esami politicamente corretti sul terreno dei diritti umani, dell’ambiente, delle «quote rosa» o della rappresentanza Lgbtq nei consigli d’amministrazione. Dilagano dove noi ci ritiriamo.
Infine un’attrattiva culturale cementa il nuovo fronte dei «non allineati», di fatto indulgenti verso l’aggressione all’Ucraina. I modelli di società propugnati da Putin e Xi Jinping — per esempio la difesa della famiglia tradizionale — esercitano un’attrazione reale. La società occidentale viene vista come viziosa e decadente, in molte parti del mondo. I protestanti evangelici del Sudamerica, gli islamici dell’Africa o dell’Asia meridionale guardano con ribrezzo all’evoluzione dei costumi negli Stati Uniti, giudicandola come una sorta di decomposizione morale da basso impero.
L’Occidente rischia di compiacersi prematuramente per aver messo Putin nell’angolo. L’emisfero Sud del pianeta è vittima collaterale della guerra e poi delle sanzioni, con penurie e inflazione su energia e cibo; per adesso noi non lo abbiamo ancora convinto delle nostre ragioni.
CorSera
Commenta