Trump annuncia la vendetta di Putin, gli alleati sconcertati: il timore che abbandoni Zelensky al suo destino
L’ultimo segnale: il segretario alla Difesa Pete Hegseth diserta l’incontro del Gruppo di contatto a Bruxelles. E il presidente non ha gradito gli attacchi ucraini sulla Russia, di cui non sarebbe stato informato preventivamente
Il post di Donald Trump sembra quasi un resoconto diffuso da Mosca. Il presidente americano fa sapere di aver parlato con Vladimir Putin, tra l’altro, «degli ultimi attacchi ucraini» condotti con i droni nel territorio russo. E conclude quasi alla maniera di Dmitri Peskov, il portavoce del Cremlino: il colloquio non porterà alla pace, perché Putin dice che ora dovrà rispondere all’incursione degli ucraini. La guerra, dunque, va avanti. Tra lo sconcerto crescente degli alleati europei degli Stati Uniti, nonché, naturalmente, dello stesso Volodymyr Zelensky.
Nelle ultime settimane le oscillazioni di Trump hanno mandato in tilt le capacità analitiche della diplomazia europea. Ancora domenica 25 maggio il leader della Casa Bianca aveva attaccato pesantemente Putin: «È diventato pazzo, stiamo negoziando e lui bombarda le città ucraine». Ma ieri ha preso atto dell’annuncio di un’imminente rappresaglia che molto probabilmente colpirà la popolazione civile, come è sempre accaduto dall’inizio del conflitto.
Alcuni Paesi europei, in particolare Regno Unito, Francia, Germania e Polonia sono ormai convinti che l’amministrazione Trump si stia gradualmente sganciando dal dossier Ucraina. D’altra parte i segnali sono sempre più chiari. Stando alle indiscrezioni, a Washington non sarebbe affatto piaciuto il raid dei droni ucraini che il primo giugno avrebbe distrutto un terzo della flotta dei bombardieri nemici. La Casa Bianca non ne sapeva nulla, e verosimilmente Trump lo avrà fatto presente a Putin. Ma anche se fosse stato informato, il presidente Usa non avrebbe apprezzato. Al di là delle parole, viene fatto notare, Trump finora non ha fatto sostanzialmente nulla di concreto a favore dell’Ucraina.
Ieri l’ultima prova. A Bruxelles si è tenuto l’incontro del «Gruppo di contatto sull’Ucraina», un formato istituito dagli Usa e che mette insieme i ministri della Difesa di circa 50 Paesi. La prima riunione fu convocata dall’allora segretario Lloyd Austin, il 26 aprile del 2022, nella base americana di Ramstein, in Germania, pochi mesi dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Ma ieri Pete Hegseth, il successore di Austin, non si è nemmeno presentato. Lo ha sostituito l’ambasciatore Usa presso la Nato, Matthew Whitaker, evidentemente senza alcun mandato ad assumere nuovi impegni. In altre occasioni, Hegseth si era limitato a collegarsi da remoto. I suoi portavoce hanno minimizzato l’assenza, giustificandola con impegni pregressi.
La riunione di ieri è andata avanti comunque. La guida del «gruppo di Ramstein» è passata, già nel febbraio scorso, a Regno Unito e Germania. Zelensky è intervenuto in videoconferenza e ha sollecitato gli alleati a inviare altri missili Patriot per la contraerea. Nei giorni scorsi il presidente ucraino aveva dichiarato di essere pronto ad acquistare 10 batterie di Patriot, pagandole 15 miliardi di dollari alle imprese americane, anche se non ha precisato dove avrebbe trovato tutti quei soldi. In ogni caso il suo appello di ieri non ha avuto una risposta ufficiale dal Pentagono, visto che Hegseth, il suo capo, non c’era.
Fino a oggi il «gruppo di Ramstein» ha fornito all’Ucraina armi per 126 miliardi di dollari: la quota degli Stati Uniti ammonta a circa 66,5 miliardi. Gli Usa, però, stanno vistosamente rallentando. Al momento, il dipartimento di Stato, guidato da Marco Rubio, ha chiesto al Congresso di autorizzare la vendita all’Ucraina di mezzi e componenti militari per soli 50 milioni di dollari.
Adesso ci si chiede se la formula di Ramstein avrà ancora senso, visto l’atteggiamento americano. È possibile che il coordinamento degli aiuti militari passi alla «coalizione dei volenterosi», con la guida di Regno Unito, Francia e Germania. D’altra parte, nel meeting di ieri, si sono fatti avanti soltanto Paesi europei. Il ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius, ha ricordato che il Bundestag ha appena approvato un pacchetto di armi destinate all’Ucraina per cinque miliardi di euro. Il collega britannico, John Healey, ha annunciato la fornitura di 100 mila droni entro il 2025, per un valore di 415 milioni di euro. Nel complesso Londra stanzierà 5,3 miliardi di euro, da qui alla fine dell’anno. E poi la Norvegia che mette in campo altri 700 milioni di dollari e la Svezia, con 440 milioni di euro.
Hegseth, invece, dovrebbe farsi vivo oggi a Bruxelles, per il vertice Nato. Primo punto in agenda: sollecitare i partner ad aumentare la spesa militare
CorSera
L’ultimo segnale: il segretario alla Difesa Pete Hegseth diserta l’incontro del Gruppo di contatto a Bruxelles. E il presidente non ha gradito gli attacchi ucraini sulla Russia, di cui non sarebbe stato informato preventivamente
Il post di Donald Trump sembra quasi un resoconto diffuso da Mosca. Il presidente americano fa sapere di aver parlato con Vladimir Putin, tra l’altro, «degli ultimi attacchi ucraini» condotti con i droni nel territorio russo. E conclude quasi alla maniera di Dmitri Peskov, il portavoce del Cremlino: il colloquio non porterà alla pace, perché Putin dice che ora dovrà rispondere all’incursione degli ucraini. La guerra, dunque, va avanti. Tra lo sconcerto crescente degli alleati europei degli Stati Uniti, nonché, naturalmente, dello stesso Volodymyr Zelensky.
Nelle ultime settimane le oscillazioni di Trump hanno mandato in tilt le capacità analitiche della diplomazia europea. Ancora domenica 25 maggio il leader della Casa Bianca aveva attaccato pesantemente Putin: «È diventato pazzo, stiamo negoziando e lui bombarda le città ucraine». Ma ieri ha preso atto dell’annuncio di un’imminente rappresaglia che molto probabilmente colpirà la popolazione civile, come è sempre accaduto dall’inizio del conflitto.
Alcuni Paesi europei, in particolare Regno Unito, Francia, Germania e Polonia sono ormai convinti che l’amministrazione Trump si stia gradualmente sganciando dal dossier Ucraina. D’altra parte i segnali sono sempre più chiari. Stando alle indiscrezioni, a Washington non sarebbe affatto piaciuto il raid dei droni ucraini che il primo giugno avrebbe distrutto un terzo della flotta dei bombardieri nemici. La Casa Bianca non ne sapeva nulla, e verosimilmente Trump lo avrà fatto presente a Putin. Ma anche se fosse stato informato, il presidente Usa non avrebbe apprezzato. Al di là delle parole, viene fatto notare, Trump finora non ha fatto sostanzialmente nulla di concreto a favore dell’Ucraina.
Ieri l’ultima prova. A Bruxelles si è tenuto l’incontro del «Gruppo di contatto sull’Ucraina», un formato istituito dagli Usa e che mette insieme i ministri della Difesa di circa 50 Paesi. La prima riunione fu convocata dall’allora segretario Lloyd Austin, il 26 aprile del 2022, nella base americana di Ramstein, in Germania, pochi mesi dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Ma ieri Pete Hegseth, il successore di Austin, non si è nemmeno presentato. Lo ha sostituito l’ambasciatore Usa presso la Nato, Matthew Whitaker, evidentemente senza alcun mandato ad assumere nuovi impegni. In altre occasioni, Hegseth si era limitato a collegarsi da remoto. I suoi portavoce hanno minimizzato l’assenza, giustificandola con impegni pregressi.
La riunione di ieri è andata avanti comunque. La guida del «gruppo di Ramstein» è passata, già nel febbraio scorso, a Regno Unito e Germania. Zelensky è intervenuto in videoconferenza e ha sollecitato gli alleati a inviare altri missili Patriot per la contraerea. Nei giorni scorsi il presidente ucraino aveva dichiarato di essere pronto ad acquistare 10 batterie di Patriot, pagandole 15 miliardi di dollari alle imprese americane, anche se non ha precisato dove avrebbe trovato tutti quei soldi. In ogni caso il suo appello di ieri non ha avuto una risposta ufficiale dal Pentagono, visto che Hegseth, il suo capo, non c’era.
Fino a oggi il «gruppo di Ramstein» ha fornito all’Ucraina armi per 126 miliardi di dollari: la quota degli Stati Uniti ammonta a circa 66,5 miliardi. Gli Usa, però, stanno vistosamente rallentando. Al momento, il dipartimento di Stato, guidato da Marco Rubio, ha chiesto al Congresso di autorizzare la vendita all’Ucraina di mezzi e componenti militari per soli 50 milioni di dollari.
Adesso ci si chiede se la formula di Ramstein avrà ancora senso, visto l’atteggiamento americano. È possibile che il coordinamento degli aiuti militari passi alla «coalizione dei volenterosi», con la guida di Regno Unito, Francia e Germania. D’altra parte, nel meeting di ieri, si sono fatti avanti soltanto Paesi europei. Il ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius, ha ricordato che il Bundestag ha appena approvato un pacchetto di armi destinate all’Ucraina per cinque miliardi di euro. Il collega britannico, John Healey, ha annunciato la fornitura di 100 mila droni entro il 2025, per un valore di 415 milioni di euro. Nel complesso Londra stanzierà 5,3 miliardi di euro, da qui alla fine dell’anno. E poi la Norvegia che mette in campo altri 700 milioni di dollari e la Svezia, con 440 milioni di euro.
Hegseth, invece, dovrebbe farsi vivo oggi a Bruxelles, per il vertice Nato. Primo punto in agenda: sollecitare i partner ad aumentare la spesa militare
CorSera
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