Propaganda a parte, cosa pensa davvero la Cina dei dazi di Trump
La risposta ufficiale di Pechino agli Usa è stata ferma e dura. L'idea che ci sia un’opportunità di sviluppo per consumatori e imprese cinesi, accelerando la de-americanizzazione e rafforzando i rapporti con altri partner in tutto il mondo. Ma non tutti la pensano così
La guerra dei dazi ha attirato su Trump tali e tanti antipatie europee (e mondiali), che molti arrivano a tifare per chiunque altro possa dare una lezione al «bullo» americano. In questo clima è normale imbattersi in europei di ogni colore politico che sognano una grande coalizione di «tutti gli altri» (Europa, Cina, Giappone, Canada, Messico) in grado di mettere in ginocchio gli Stati Uniti.
In mancanza di meglio c’è chi auspica che Xi Jinping infligga una sonora lezione al suo omologo americano. Per quanto comprensibile, il clima emotivo rischia di far perdere di vista i veri rapporti di forze. È irresistibile la tentazione di scambiare i propri desideri per realtà. In questo contesto, è interessante che alcune lezioni di realismo, pragmatismo e lucidità vengano proprio da Pechino. Non dalla propaganda ufficiale di Xi Jinping, che ovviamente deve trasudare certezze e infondere fiducia nella vittoria finale. Ma basta cercare nell’entourage di Xi, tra esperti vicini al regime, per trovare voci più variegate, un ventaglio di analisi pluralista, incluse alcune posizioni preoccupate e assai poco trionfaliste.
Vi suggerisco la lettura di questa breve sintesi che ne fa un osservatore autorevole, Paddy Stephens, nella newsletter Sinification. Eccovi la sua rassegna sulle reazioni cinesi ai dazi di Trump:
«La risposta ufficiale di Pechino è stata ferma e dura. Martedì, il Ministero del Commercio ha dichiarato che la Cina “combatterà fino alla fine”. In un post su X, la portavoce del Ministero degli Esteri Mao Ning ha affermato che “non ci tireremo indietro”, accompagnando il messaggio con un video storico di Mao Zedong in cui il fondatore della Repubblica Popolare prometteva di continuare a combattere nella Guerra di Corea (1950-53) finché fosse stato necessario.
Il presidente Xi ha sottolineato la forza della Cina: l’economia del Paese – “un grande mare, non un piccolo stagno” – resisterà ai venti forti e alle tempeste. Sebbene i funzionari riconoscano che i dazi statunitensi saranno dolorosi, cercano di rassicurare che, per usare l’immagine scelta dal Quotidiano del Popolo, “il cielo non cadrà”.
I commenti cinesi online sono più preoccupati da ciò che viene dalla terra. Si prevede un aumento dei prezzi dei beni derivati da prodotti agricoli come la soia, di cui gli Stati Uniti sono tra i principali esportatori mondiali. Anche i marchi americani più popolari diventeranno più costosi in Cina. Eppure, per alcuni, c’è un lato positivo: un’opportunità per consumatori e imprese cinesi di acquistare e vendere prodotti locali.
Alcuni studiosi e analisti cinesi vedono ulteriori benefici nel caos dei dazi, considerandolo un’occasione per trasformare la pressione americana in uno stimolo per potenziare la tanto desiderata domanda interna del Paese.
Separatamente, l’esperto di semiconduttori Gu Wenjun ritiene che, nonostante qualche perturbazione nel breve termine, i dazi accelereranno la de-americanizzazione delle filiere dei chip in Cina e stimoleranno ulteriormente il boom dell’industria cinese dei semiconduttori.
Altri adottano invece un tono molto più cupo. Il noto politologo Zheng Yongnian non è d’accordo con media occidentali come *The Economist*, né con alcuni utenti dei social cinesi, che sostengono che Trump stia rendendo la Cina di nuovo grande (“Making China Great Again” - MCGA). Sottolinea i danni che i dazi infliggeranno e l’importanza di una risposta basata su un pensiero strategico a lungo termine.
La tesi alla base di questo argomento "MCGA" è che i dazi di Trump spingeranno una frattura tra l’America e i suoi partner in Asia e in Europa, avvicinandoli alla Cina. Alcuni nella Repubblica Popolare sono d’accordo: Gu vede un’opportunità per centrare le filiere tecnologiche su un ipotetico blocco a basso dazio che includa UE, Cina, Corea del Sud e Giappone. Altri, come Jin Canrong – ex studioso di relazioni internazionali diventato opinion leader – sono molto scettici: l’influenza globale degli Stati Uniti resta impareggiabile, e pochissimi Paesi sembrano disposti a opporvisi.
Luo Zhiheng, un giovane economista emergente del settore privato, osserva che un rafforzamento dei legami commerciali tra la Cina e il resto del mondo rischia di scatenare una reazione se i mercati altrui saranno colpiti da un’ondata di esportazioni cinesi.
Nel mezzo delle turbolenze di mercato, alcuni analisti riflettono sulle prossime mosse di Trump. Cosa seguirà alla guerra commerciale? I paralleli storici tracciati con le guerre dei dazi durante la Grande Depressione offrono una risposta allarmante. Zheng, però, ritiene che il conflitto con gli Stati Uniti “non debba far paura”. Secondo lui è più probabile che precipiti il declino americano piuttosto che quello cinese».
CorSera
La risposta ufficiale di Pechino agli Usa è stata ferma e dura. L'idea che ci sia un’opportunità di sviluppo per consumatori e imprese cinesi, accelerando la de-americanizzazione e rafforzando i rapporti con altri partner in tutto il mondo. Ma non tutti la pensano così
La guerra dei dazi ha attirato su Trump tali e tanti antipatie europee (e mondiali), che molti arrivano a tifare per chiunque altro possa dare una lezione al «bullo» americano. In questo clima è normale imbattersi in europei di ogni colore politico che sognano una grande coalizione di «tutti gli altri» (Europa, Cina, Giappone, Canada, Messico) in grado di mettere in ginocchio gli Stati Uniti.
In mancanza di meglio c’è chi auspica che Xi Jinping infligga una sonora lezione al suo omologo americano. Per quanto comprensibile, il clima emotivo rischia di far perdere di vista i veri rapporti di forze. È irresistibile la tentazione di scambiare i propri desideri per realtà. In questo contesto, è interessante che alcune lezioni di realismo, pragmatismo e lucidità vengano proprio da Pechino. Non dalla propaganda ufficiale di Xi Jinping, che ovviamente deve trasudare certezze e infondere fiducia nella vittoria finale. Ma basta cercare nell’entourage di Xi, tra esperti vicini al regime, per trovare voci più variegate, un ventaglio di analisi pluralista, incluse alcune posizioni preoccupate e assai poco trionfaliste.
Vi suggerisco la lettura di questa breve sintesi che ne fa un osservatore autorevole, Paddy Stephens, nella newsletter Sinification. Eccovi la sua rassegna sulle reazioni cinesi ai dazi di Trump:
«La risposta ufficiale di Pechino è stata ferma e dura. Martedì, il Ministero del Commercio ha dichiarato che la Cina “combatterà fino alla fine”. In un post su X, la portavoce del Ministero degli Esteri Mao Ning ha affermato che “non ci tireremo indietro”, accompagnando il messaggio con un video storico di Mao Zedong in cui il fondatore della Repubblica Popolare prometteva di continuare a combattere nella Guerra di Corea (1950-53) finché fosse stato necessario.
Il presidente Xi ha sottolineato la forza della Cina: l’economia del Paese – “un grande mare, non un piccolo stagno” – resisterà ai venti forti e alle tempeste. Sebbene i funzionari riconoscano che i dazi statunitensi saranno dolorosi, cercano di rassicurare che, per usare l’immagine scelta dal Quotidiano del Popolo, “il cielo non cadrà”.
I commenti cinesi online sono più preoccupati da ciò che viene dalla terra. Si prevede un aumento dei prezzi dei beni derivati da prodotti agricoli come la soia, di cui gli Stati Uniti sono tra i principali esportatori mondiali. Anche i marchi americani più popolari diventeranno più costosi in Cina. Eppure, per alcuni, c’è un lato positivo: un’opportunità per consumatori e imprese cinesi di acquistare e vendere prodotti locali.
Alcuni studiosi e analisti cinesi vedono ulteriori benefici nel caos dei dazi, considerandolo un’occasione per trasformare la pressione americana in uno stimolo per potenziare la tanto desiderata domanda interna del Paese.
Separatamente, l’esperto di semiconduttori Gu Wenjun ritiene che, nonostante qualche perturbazione nel breve termine, i dazi accelereranno la de-americanizzazione delle filiere dei chip in Cina e stimoleranno ulteriormente il boom dell’industria cinese dei semiconduttori.
Altri adottano invece un tono molto più cupo. Il noto politologo Zheng Yongnian non è d’accordo con media occidentali come *The Economist*, né con alcuni utenti dei social cinesi, che sostengono che Trump stia rendendo la Cina di nuovo grande (“Making China Great Again” - MCGA). Sottolinea i danni che i dazi infliggeranno e l’importanza di una risposta basata su un pensiero strategico a lungo termine.
La tesi alla base di questo argomento "MCGA" è che i dazi di Trump spingeranno una frattura tra l’America e i suoi partner in Asia e in Europa, avvicinandoli alla Cina. Alcuni nella Repubblica Popolare sono d’accordo: Gu vede un’opportunità per centrare le filiere tecnologiche su un ipotetico blocco a basso dazio che includa UE, Cina, Corea del Sud e Giappone. Altri, come Jin Canrong – ex studioso di relazioni internazionali diventato opinion leader – sono molto scettici: l’influenza globale degli Stati Uniti resta impareggiabile, e pochissimi Paesi sembrano disposti a opporvisi.
Luo Zhiheng, un giovane economista emergente del settore privato, osserva che un rafforzamento dei legami commerciali tra la Cina e il resto del mondo rischia di scatenare una reazione se i mercati altrui saranno colpiti da un’ondata di esportazioni cinesi.
Nel mezzo delle turbolenze di mercato, alcuni analisti riflettono sulle prossime mosse di Trump. Cosa seguirà alla guerra commerciale? I paralleli storici tracciati con le guerre dei dazi durante la Grande Depressione offrono una risposta allarmante. Zheng, però, ritiene che il conflitto con gli Stati Uniti “non debba far paura”. Secondo lui è più probabile che precipiti il declino americano piuttosto che quello cinese».
CorSera
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