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Cronaca e politica estera [Equilibri mondiali] Thread unico.
Non mi è chiaro perché criticate così tanto le proposte di riarmo europeo. Vi siete sempre lamentati che come Europa non contiamo un cazz0 nella politica internazionale, però mi pare di capire che l'avere un esercito sia una condizione sine qua non per essere presi sul serio.
Cosa volete, un'Europa in versione Svizzera gigante?
Io invece sono molto a favore, maaaa se fatto con senno, cosa che di nuovo non sembra accadere.
1. Serve un coordinamento centrale degli eserciti nazionali cosa che non sta facendo.
2. Acquisti non possono e devono essere americani mentre sembra che si stiano acquistando di nuovo dagli Yankees
Non mi è chiaro perché criticate così tanto le proposte di riarmo europeo. Vi siete sempre lamentati che come Europa non contiamo un cazz0 nella politica internazionale, però mi pare di capire che l'avere un esercito sia una condizione sine qua non per essere presi sul serio.
Cosa volete, un'Europa in versione Svizzera gigante?
L svizzera ce l'ha l'esercizio e sulla carta è anche parecchio efficente
Ogni mio intervento e' da considerarsi di stampo satirico e ironico ,cosi come ogni riferimento alla mia e altrui persone e' da intendersi come mai realmente accaduto e di pura fantasia. In nessun caso , il contenuto dei miei interventi su questo forum e' atto all' offesa , denigrazione o all odio verso persone o idee.
Originariamente Scritto da Bob Terwilliger
Di solito i buoni propositi di contenersi si sfasciano contro la dura realtà dell'alcolismo.
Elezioni in Groenlandia, vincono le opposizione centrodestra, sovranista e indipendentista
Crollano i partiti del governo uscente, smentiti i sondaggi. Netta l’avanzata di Demokratii, a lungo scettico sul divorzio dalla Danimarca ora favorevole a un distacco, sia pure graduale
Rivoluzione in Groenlandia, dove, a dispetto dei sondaggi – ce n’era stato uno solo, quasi due mesi fa - a vincere le elezioni sono le opposizioni di centrodestra, indipendentiste e sovraniste. Sebbene con due approcci alla secessione diversi.
Alle due di notte locali, con 65 sezioni scrutinate su 72 (ma manca ancora il massiccio voto della capitale, siamo a 28.620 schede scrutinate su 49.369) sembra inesorabile l’avanzata di Demokratii, un partito a lungo scettico sul divorzio dalla Danimarca che nel corso di questa tornata ha cambiato posizione, ora pro-business e favorevole a un distacco, sia pure più graduale: attualmente è in testa col 29,9 per cento, un balzo in avanti di venti punti percentuale rispetto alle scorse elezioni del 2021.
L’altra grande sorpresa è il successo dei sovranisti di destra Naleraq (“Punto di orientamento”): i più favorevoli a un referendum sulla secessione immediata e anche a collaborare con gli Stati Uniti. Attualmente sono al 24,5 per cento, un raddoppio rispetto al 12 ottenuto nel 2021. E infatti ieri sera già festeggiavano sventolando le loro bandiere arancioni.
Dimezzate invece le percentuali dei partiti di governo: Inuit Ataqatigiit, il centro sinistra ambientalista, crollato al 21,4 dal 36,6 che aveva. I socialdemocratici di Siumut addirittura al 14,7 dal 29,5. Impossibilitati, insomma, a governare ancora.
Mentre vi stiamo scrivendo manca, appunto, ancora il dato sul voto della capitale, che è anche la città più grande e potrebbe forse, in qualche modo, ancora alterare le percentuali. Ma difficilmente le ribalterà. Secondo i media locali, il risultato è chiaro.
Di sicuro dalla provincia più estrema arriva un voto decisamente di protesta. Contro la Danimarca che ancora ne controlla la politica estera. Ma anche contro chi ha governato il Paese negli ultimi quattro anni. Comunque vada, ora bisognerà fare delle alleanze e trovare una quadra per mediare le posizioni diverse. La data del referendum sulla successione potrebbe essere determinante e proprio ieri la candidata di Naleraq Qupanuk Olsen ci diceva: «Presto, entro la fine della legislazione». Quindi entro il 2028.
Crollano i partiti del governo uscente, smentiti i sondaggi. Netta l’avanzata di Demokratii, a lungo scettico sul divorzio dalla Danimarca ora favorevole a un …
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sopra una sola teca di cristallo
popoli studiosi scriveranno
forse, tra mille inverni
«nessun vincolo univa questi morti
nella necropoli deserta»
Ucraina, cosa farà ora Putin? Le ipotesi in campo (e perché Mosca potrebbe far saltare la tregua)
«Ora la palla è nel campo russo», hanno detto ieri gli Stati Uniti, dopo che da Kiev è arrivato il sì all'ipotesi di una tregua di 30 giorni. Che cosa può succedere ora?
Dodici giorni dopo avere raggiunto l’acme dell’ignominia umiliando in mondovisione Zelensky, ieri Donald Trump ha aperto un primo spiraglio di pace tra ucraini e russi: una tregua totale di 30 giorni, subito accettata dalla delegazione di Kiev nei colloqui con il segretario di Stato americano Marco Rubio in Arabia Saudita.
«Ora la palla sta nel campo russo», ha detto Rubio, e sono parole che riassumono bene tutte le incognite di queste ore, ma anche delle prossime settimane.
In sintesi: Putin dira sì? Lo farà subito o aspetterà? Come userà la tregua? Soprattutto: la rispetterà? Vedremo qualche risposta possibile.
La proposta Usa, il sì ucraino, l’attesa per la risposta russa: punto per punto.
Il sì di Zelensky
Il presidente ucraino ha accolto senza esitazioni l’idea americana di 30 giorni di tregua nel conflitto scaturito dall’invasione su larga scala lanciata dai russi il 24 febbraio 2022. «L'Ucraina accetta questa proposta, la consideriamo positiva, siamo pronti a fare un passo del genere e gli Stati Uniti devono convincere la Russia a farlo». Intanto, l’Ucraina incassa un primo risultato essenziale: gli Stati Uniti riattiveranno «immediatamente» gli aiuti militari e la condivisione di intelligence con Kiev, interrotti dopo lo scontro del 28 febbraio. E il comunicato seguito ai colloqui parla di «una pace duratura che garantisca la sicurezza di lungo periodo per l’Ucraina»: un primo accenno, insomma, alla richiesta di tutele certe per il futuro su cui insiste Kiev.
Zelensky ha fatto bene?
Risposta in una parola: sì. Risposta più articolata: il leader di Kiev aveva un bisogno disperato di rientrare in partita dopo essere stato letteralmente cacciato dalla Casa Bianca, e c’è riuscito. Dopo l’umiliazione subita dal duo Trump-Vance, il premier britannico Keir Starmer ha «allenato» Zelensky per giorni sul modo di porsi agli americani e l’operazione pare riuscita. Come osserva la nostra corrispondente dall’America Viviana Mazza, «indipendentemente dalla risposta russa, la giornata di ieri cambia la dinamica tra ucraini e americani. Zelensky può dire di non rappresentare un ostacolo al ripristino della pace». E può rimettere piede a Washington.
L’ottimismo di Trump
«L’Ucraina ha accettato, adesso si spera che Putin sia d’accordo», ha detto il presidente Usa. «Sarebbe fantastico. Se non ci riusciamo andremo ci saranno moltissimi morti». Alla domanda se Zelensky potrà tornare nello Studio Ovale, Trump ha risposto così: «Certo, assolutamente». Intanto, spera di parlare con Putin «nei prossimi giorni».
Ma per gli Usa è una svolta?
Per quanto l’esegesi di Trump sia sempre complicata, parrebbe di sì. Decisivo il ruolo di Rubio, che è riuscito a farsi finalmente largo dopo essere stato schiacciato dai falchi dell’amministrazione. La sua frase «la palla ora è nel campo russo» denota per la prima volta un’America che prova almeno a porsi come honest broker, come mediatore imparziale, dopo essere passata in poche settimane da primo alleato di Kiev ad alleato di fatto di Putin, cui ha già regalato due obiettivi vitali prima ancora di negoziare (nessuna restituzione dei territori conquistati e niente ingresso di Kiev nella Nato). Questa altalena, secondo esponenti dell’amministrazione come l’inviato per l’Ucraina Keith Kellogg, è studiata proprio per rendere Trump imprevedibile, e dunque temibile, agli occhi di Putin.
Ma qual è la situazione militare?
La proposta di tregua è arrivata poche ore dopo che gli ucraini hanno colpito i russi con un impressionante attacco di droni su Mosca, che ha fatto 4 vittime civili. I droni si confermano al momento l’arma migliore per il Paese invaso, perché riesce a produrne tantissimi - dai circa 5.000 del 2021 agli attuali quasi due milioni - e perché sopperisce in parte alla scarsità di truppe. Sul terreno, però, le cose vanno male: gli ucraini stanno perdendo il controllo della regione russa di Kursk, che speravano di scambiare con i propri territori invasi. Le unità ucraine, riporta Lorenzo Cremonesi, «sono ormai disperatamente trincerate in difesa degli ultimi circa 280 chilometri quadrati di un’enclave che ancora a fine agosta era ampia circa 1.100 chilometri quadrati». E questo è uno dei motivi che rende incerta la risposta russa.
La reazione di Mosca
Fino a ieri sera, nessuna risposta ufficiale alla proposta di tregua. Ma siti e blog nazionalisti esprimono umori oltranzisti, e consigliano a Putin di cessare il fuoco solo dopo essersi ripreso tutto il Kursk: «Non ha alcun senso bloccare la nostra offensiva proprio adesso che stiamo vincendo, serve solo a ridare forza agli ucraini grazie alla ripresa degli aiuti americani», scrivono i falchi russi.
Ma quindi cosa può succedere?
Si possono fare queste ipotesi:
Putin dirà sì ma non subito
L’autocrate russo ha bisogno di confermare l’idea trumpiana che a Mosca ci sia un partner per la pace e per una futura coesistenza strategica tra superpotenze, e che l’ostacolo per la fine della guerra sia Zelensky. Ma è plausibile che cerchi prima di riprendersi davvero tutto il Kursk
La tregua sarà complicatissima
Lo sarà anche dopo l’eventuale sì russo, perché l’idea di un cessate il fuoco totale su tutti i fronti, e per un mese, è oggettivamente difficile da realizzare. Dopo tre anni di scontri feroci con tutti i mezzi - blindati, artiglieri, droni - bisognerà evitare il minimo incidente. Perché anche una sparatoria dettata dal panico, o una provocazione voluta, potranno far riesplodere i combattimenti. Proprio per questo ucraini ed europei avevano proposto un cessate il fuoco parziale, limitato agli attacchi aerei e marittimi e alle infrastrutture energetiche, in modo da monitorare più facilmente le eventuali violazioni.
I russi giocheranno sporco
L’hanno sempre fatto, perché sono maestri nelle «operazioni sotto falsa bandiera», quelle inscenate per mascherare le vere responsabilità e attribuirle al nemico. È prevedibile che alcuni incidenti non potranno mai essere chiariti con certezza, e che molti saranno vere e proprie invenzioni divulgate con sapienza anche grazie all’intelligenza artificiale. I precedenti non incoraggiano: nel 2015, per esempio, i russi dissero sì al cessate il fuoco ma dopo pochi giorni conquistarono la città ucraina di Debaltseve
A proposito di palle Per dirla con l’analista della Cnn Nick Paton Walsh, il fatto che ora la palla sia nel loro campo, come ha detto Rubio, «è vero ed è un risultato ammirevole. Ma è vero anche che la Russia eccelle nell'afferrare la palla, mettersela in tasca, discutere le regole del gioco e i punti persi tre set fa, per poi affermare che la palla è stata rubata dall’altra squadra».
Sarebbe la fine delle illusioni. Ma in ogni caso, vale la pena provarci. Anche perché, come Zelensky ha dolorosamente constatato, non ci sono alternative.
CorSera
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Verso un patto Trump-Putin? Così la realpolitik sacrifica i diritti umani
Era già successo a Yalta e con la distensione ai tempi di Nixon. Ora l’obiettivo principale di Washington è allontanare Mosca da Pechino
di Walter Russell Mead (The Wall Street Journal)
La vera natura e il prezzo pieno delle politiche del presidente Donald Trump su Russia e Ucraina sono diventati chiari negli ultimi giorni. Trump ritiene che migliorare le relazioni con la Russia sia necessario per la rinascita americana che spera di guidare, ed è disposto a pagare un prezzo alto, persino stupefacente, in autorità morale, relazioni di alleanza e territorio ucraino per ottenere il suo accordo. Vladimir Putin lo capisce e farà pagare gli Stati Uniti di conseguenza.
Trump non è il primo presidente americano a mettere da parte la moralità per fare un accordo con Mosca. Franklin D. Roosevelt, convinto che avrebbe avuto bisogno dell'aiuto sovietico contro il Giappone se il Progetto Manhattan non fosse riuscito a consegnare in tempo un'arma che avrebbe posto fine alla guerra, si recò a Yalta negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale sperando di arruolare Joseph Stalin nella lotta nel Pacifico. Impantanati in Vietnam e contemplando il crollo del sistema finanziario di Bretton Woods, Richard Nixon e Henry Kissinger contattarono Leonid Breznev con un'offerta di distensione.
Che ci piaccia o no, Trump intende elaborare un terzo compromesso pragmatico tra Mosca e Washington. I sostenitori del presidente sostengono che non si tratta di una novità. Sia gli accordi di Yalta che la distensione di Nixon hanno sacrificato i diritti umani a una realpolitik a sangue freddo.
Moralità e pragmatismo
Dal punto di vista del Team Trump, un'intesa pragmatica con la Russia, anche se la stretta di mano avviene sul cadavere sanguinante dell'Ucraina, fa parte di una strategia per ripristinare l'equilibrio di potere a livello mondiale. Potrebbe allontanare la Russia dalla Cina e ottenere l'aiuto russo per convincere l'Iran ad accettare un serio accordo nucleare.
È allettante ma sbagliato attaccare questa strategia principalmente per motivi morali. Frenare l'ascesa di Pechino senza rischiare una guerra tra Stati Uniti e Cina è un obiettivo sia grande che profondamente morale. Se la politica di Trump dovesse concludersi con un grande patto con la Russia che facilitasse un'intesa a lungo termine con la Cina, gli storici del futuro potrebbero elogiare una strategia che gli osservatori contemporanei condannano ampiamente.
La domanda più rilevante riguarda l'efficacia. Quanto è probabile che i risultati di questa strategia giustifichino i costi iniziali estremamente elevati? Le prospettive qui sono contrastanti. Offrendo a Putin un riconoscimento esplicito di una sfera di interesse in parti dell'ex Unione Sovietica tra cui Ucraina, Bielorussia, Georgia e Armenia, Trump sta facendo concessioni più grandi e consequenziali di quelle che i suoi predecessori hanno tentato nei loro falliti tentativi di raggiungere un'intesa con Putin. E offrendo di abbandonare il sostegno americano alla promozione della democrazia, il Trump sta tornando allo studiato silenzio sui diritti umani che ha caratterizzato la distensione dell'era Nixon.
Se Putin è raggiungibile, Trump ha avanzato offerte allettanti. Inoltre, rendendo i suoi gesti unilaterali, senza chiedere concessioni russe in cambio, Trump sta minimizzando, per quanto possibile, qualsiasi sfiducia da parte russa sulle sue intenzioni.
La domanda non è se Putin accetterà le generose mosse iniziali di Trump. Prenderà tutto ciò che gli verrà dato. La domanda è cosa succederà dopo. Sia la Russia che gli Stati Uniti onoreranno il grande patto proposto da Trump? Queste ampie concessioni produrranno i risultati che spera Trump?
I precedenti storici
Qui la storia non è incoraggiante. Se si va abbastanza indietro nel tempo, l'America democratica e la Russia autoritaria riuscirono a coesistere pacificamente per lunghi periodi di tempo. L'espansionismo russo in Nord America all'inizio del XIX secolo contribuì a spingere James Monroe a emanare la sua famosa dottrina e il brutale antisemitismo che spinse centinaia di migliaia di ebrei russi disperati all'esilio americano portò a maggiori attriti mentre il secolo si avvicinava alla fine. Nonostante ciò, gli anni intermedi videro solide relazioni bilaterali, nonostante il record di repressione della Russia in patria e all'estero. E gli Stati Uniti ottennero l'Alaska dall'accordo.
Mentre entrambe le parti diventavano potenze globali nel XX secolo, l'accordo si dimostrò più sfuggente. Harry S. Truman si pentì degli accordi di Yalta già nella primavera del 1945. Sia Jimmy Carter che Ronald Reagan costruirono campagne di successo sull'opposizione all'amoralità percepita della realpolitik e della distensione nixoniana.
Data questa storia, il Cremlino considererà qualsiasi accordo con Trump come una tregua temporanea piuttosto che una pace permanente. Ciò limita il valore di un accordo. Mosca non accetterà limitazioni permanenti al suo comportamento in cambio di promesse temporanee da Washington.
Nel frattempo, un accordo con la Russia potrebbe porre più problemi che benefici per il movimento Maga negli anni a venire. Se la Russia non rispetta scrupolosamente l'accordo, come è probabile, è probabile che l'opinione pubblica americana si rivolti contro un accordo fallito, come è successo con gli accordi di Yalta. E se l'accordo riuscisse a ripristinare il potere americano come fece la distensione, la pressione politica negli Stati Uniti affinché tornino a una politica estera ideologicamente più assertiva si intensificherebbe, come accadde negli anni di Ford, Carter e Reagan.
https://www.milanofinanza.it/news/ve...6?refresh_cens
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