Vertice di Parigi, l’Europa non abbandona l’Ucraina. Leader divisi sulle truppe di pace
Berlino, Madrid e Roma frenano Parigi e Londra. Differenze anche nell’approccio con Trump. Insolitamente taciturno il padrone di casa Macron
«L’Ucraina merita una pace ottenuta grazie alla forza», dice Ursula von der Leyen, invocando un «aumento della difesa in Europa». E diffonde la foto simbolo dell’incontro: undici leader che discutono intorno a un tavolo. Già questa immagine spiega la differenza tra l’Europa e i due blocchi un tempo avversari e ormai vicini, la Russia di Vladimir Putin e gli Stati Uniti di Donald Trump, entrambi guidati con spregiudicatezza, velocità e decisionismo da un dittatore e un presidente dotati di poteri enormi.
L’unico successo certo della giornata è che gli undici europei siano riusciti a incontrarsi nel giro di poche ore, invitati con urgenza dal presidente Emmanuel Macron per rispondere allo «strappo» americano di Monaco. Ma la «riunione informale» di Parigi sembra avere cristallizzato, invece che appianato, le differenze.
Si è parlato di due questioni principali: l’invio o meno di truppe europee in Ucraina per garantire un eventuale cessate il fuoco, e l’aumento delle spese militari: se superassero il 2 per cento del Pil, potrebbero essere escluse dal calcolo del deficit e dai parametri di Maastricht, come ha suggerito per la prima volta la Germania (un tempo più rigorosa) del cancelliere Olaf Scholz, dopo le dichiarazioni nella stessa direzione del commissario all’Economia Dombrovskis al termine dell’Eurogruppo a Bruxelles. Quanto all’invio di truppe per una missione di peacekeeping, il vero test di unità continentale, alcuni Paesi della Ue — Francia, gli scandinavi e i Baltici rappresentati ieri all’Eliseo dalla premier danese Mette Frederiksen — più il Regno Unito si dichiarano disponibili. «La Russia sta minacciando tutta l’Europa — ha detto Fredriksen —. Dobbiamo essere pronti alla possibilità che la Russia sposti la guerra dall’Ucraina ad un altro Paese europeo».
Se la cifra di oltre 200 mila uomini avanzata dal presidente ucraino Zelensky è stata giudicata irrealistica giorni fa dallo stesso Macron, secondo fonti americane citate dal Washington Post la Francia e il Regno Unito sarebbero disponibili a inviare una forza di 25-30 mila uomini, dei quali 10 mila francesi e il resto britannici e di altri Paesi. In cambio gli Stati Uniti, che però spingono per una presenza anche di Paesi non europei (per esempio Cina e Brasile), offrirebbero intelligence ed eventuale copertura aerea.
Ma molti altri Paesi frenano: Spagna, Polonia, e soprattutto Italia e Germania. «Soluzione inefficace», per la premier Giorgia Meloni, che sottolinea come le discussioni di Parigi non vadano interpretate come un «fronte anti-Trump». Anche Olaf Scholz è netto sull’invio di soldati europei per mantenere la pace: «Credo che sia del tutto prematuro e inappropriato parlarne ora. Non siamo ancora alla pace, ma nel mezzo di una guerra che la Russia sta ancora portando avanti».
Europei divisi anche sull’atteggiamento da tenere nei confronti degli Stati Uniti. Sono ancora nostri alleati, o no? Macron ha parlato a Trump per oltre 20 minuti prima dell’inizio della riunione, ma se ha organizzato l’incontro era proprio per rafforzare la sua idea di «autonomia strategica» dagli Stati Uniti, sperando che «l’elettrochoc» delle dichiarazioni distensive di Trump su Putin e di JD Vance a Monaco spingessero i grandi d’Europa a una risposta unitaria, di affrancamento dalla protezione americana.
Non è stato così. Meloni ha ribadito che non c’è sicurezza in Europa senza gli Stati Uniti, e anche Germania e Regno Unito hanno sostenuto la stessa tesi. «Non ci deve essere alcuna divisione sulla sicurezza tra Europa e Stati Uniti — ha detto Scholz —. La Nato (presente ieri a Parigi con il segretario Mark Rutte, ndr) si basa sul fatto che dobbiamo sempre agire insieme e condividere i rischi». E Starmer: «Una rete di protezione americana resta necessaria». Alla fine, l’unico a non prendere la parola alla fine del vertice è stato il solitamente loquace Emmanuel Macron.
CorSera
Berlino, Madrid e Roma frenano Parigi e Londra. Differenze anche nell’approccio con Trump. Insolitamente taciturno il padrone di casa Macron
«L’Ucraina merita una pace ottenuta grazie alla forza», dice Ursula von der Leyen, invocando un «aumento della difesa in Europa». E diffonde la foto simbolo dell’incontro: undici leader che discutono intorno a un tavolo. Già questa immagine spiega la differenza tra l’Europa e i due blocchi un tempo avversari e ormai vicini, la Russia di Vladimir Putin e gli Stati Uniti di Donald Trump, entrambi guidati con spregiudicatezza, velocità e decisionismo da un dittatore e un presidente dotati di poteri enormi.
L’unico successo certo della giornata è che gli undici europei siano riusciti a incontrarsi nel giro di poche ore, invitati con urgenza dal presidente Emmanuel Macron per rispondere allo «strappo» americano di Monaco. Ma la «riunione informale» di Parigi sembra avere cristallizzato, invece che appianato, le differenze.
Si è parlato di due questioni principali: l’invio o meno di truppe europee in Ucraina per garantire un eventuale cessate il fuoco, e l’aumento delle spese militari: se superassero il 2 per cento del Pil, potrebbero essere escluse dal calcolo del deficit e dai parametri di Maastricht, come ha suggerito per la prima volta la Germania (un tempo più rigorosa) del cancelliere Olaf Scholz, dopo le dichiarazioni nella stessa direzione del commissario all’Economia Dombrovskis al termine dell’Eurogruppo a Bruxelles. Quanto all’invio di truppe per una missione di peacekeeping, il vero test di unità continentale, alcuni Paesi della Ue — Francia, gli scandinavi e i Baltici rappresentati ieri all’Eliseo dalla premier danese Mette Frederiksen — più il Regno Unito si dichiarano disponibili. «La Russia sta minacciando tutta l’Europa — ha detto Fredriksen —. Dobbiamo essere pronti alla possibilità che la Russia sposti la guerra dall’Ucraina ad un altro Paese europeo».
Se la cifra di oltre 200 mila uomini avanzata dal presidente ucraino Zelensky è stata giudicata irrealistica giorni fa dallo stesso Macron, secondo fonti americane citate dal Washington Post la Francia e il Regno Unito sarebbero disponibili a inviare una forza di 25-30 mila uomini, dei quali 10 mila francesi e il resto britannici e di altri Paesi. In cambio gli Stati Uniti, che però spingono per una presenza anche di Paesi non europei (per esempio Cina e Brasile), offrirebbero intelligence ed eventuale copertura aerea.
Ma molti altri Paesi frenano: Spagna, Polonia, e soprattutto Italia e Germania. «Soluzione inefficace», per la premier Giorgia Meloni, che sottolinea come le discussioni di Parigi non vadano interpretate come un «fronte anti-Trump». Anche Olaf Scholz è netto sull’invio di soldati europei per mantenere la pace: «Credo che sia del tutto prematuro e inappropriato parlarne ora. Non siamo ancora alla pace, ma nel mezzo di una guerra che la Russia sta ancora portando avanti».
Europei divisi anche sull’atteggiamento da tenere nei confronti degli Stati Uniti. Sono ancora nostri alleati, o no? Macron ha parlato a Trump per oltre 20 minuti prima dell’inizio della riunione, ma se ha organizzato l’incontro era proprio per rafforzare la sua idea di «autonomia strategica» dagli Stati Uniti, sperando che «l’elettrochoc» delle dichiarazioni distensive di Trump su Putin e di JD Vance a Monaco spingessero i grandi d’Europa a una risposta unitaria, di affrancamento dalla protezione americana.
Non è stato così. Meloni ha ribadito che non c’è sicurezza in Europa senza gli Stati Uniti, e anche Germania e Regno Unito hanno sostenuto la stessa tesi. «Non ci deve essere alcuna divisione sulla sicurezza tra Europa e Stati Uniti — ha detto Scholz —. La Nato (presente ieri a Parigi con il segretario Mark Rutte, ndr) si basa sul fatto che dobbiamo sempre agire insieme e condividere i rischi». E Starmer: «Una rete di protezione americana resta necessaria». Alla fine, l’unico a non prendere la parola alla fine del vertice è stato il solitamente loquace Emmanuel Macron.
CorSera
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