Russia-Ucraina, il «nodo territori» dalla Crimea al Kursk. Putin rivendica un'area pari a quella della Grecia
I russi in netto vantaggio, agli ucraini poche carte. Secondo l’Institute for the Study of War, gli ucraini nel Kursk disporrebbero di soli 482 chilometri quadrati
La «questione territoriale» è il passaggio chiave del possibile negoziato tra Donald Trump, Vladimir Putin e, vedremo con quale peso, Volodymyr Zelensky. Si partirà dallo scenario maturato sul campo di battaglia, dopo scontri furibondi e sanguinosi. Ma per capire l’evolversi della mappa bisogna risalire a undici anni fa, all’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Negli ultimi giorni di febbraio del 2014 i soldati russi escono dalla base navale di Sebastopoli e cominciano a occupare la penisola della Crimea: 25.961 kilometri quadrati, pari al 4,33% della superficie totale dell’Ucraina. È la prima risposta di Putin alla rivolta di Maidan che a Kiev, il 22 febbraio di quell’anno, aveva indotto alla fuga il presidente Viktor Yanukovich.
Poche settimane dopo gruppi di miliziani filorussi di due città del Donbass, Donetsk e Lugansk insorgono e danno vita a una serie di incidenti sempre più pesanti. Fino a quando da Mosca arrivano rinforzi: armi pesanti e militari senza mostrine, i cosiddetti «uomini verdi». A quel punto inizia la vera guerra tra Russia e Ucraina. L’obiettivo di Putin è conquistare la striscia che costeggia il Mar d’Azov per congiungere il Donbass con la Crimea e se possibile arrivare fino a Odessa. Ma la resistenza ucraina, guidata dal presidente Petro Poroshenko, riesce a bloccare l’avanzata nemica. Si muove, allora, la diplomazia europea.
La cancelliera Angela Merkel e il presidente francese François Hollande premono sul Cremlino. Il 5 settembre del 2014 si raggiunge il primo dei due Accordi di Minsk. Il fronte si ferma su una linea che taglia quasi a metà gli «oblast», i distretti, di Donetsk e di Lugansk. La Russia, così, controlla 25.961 chilometri quadrati, un’estensione poco più grande della Lombardia, pari a circa il 7% della superficie ucraina. Gli Accordi di Minsk prevedevano che il governo di Kiev avrebbe dovuto organizzare elezioni speciali nelle regioni occupate dai russi e, il giorno successivo, riacquistare la sovranità sui confini esterni del Donbass. Non è accaduto nulla di tutto ciò. Anzi gli scontri armati sono proseguiti, più o meno a bassa intensità, fino al 24 febbraio 2022, quando un’interminabile colonna di carri armati russi forza la frontiera a nord di Kiev. In questi tre anni, il conflitto ha vissuto fasi alterne, con offensive e controffensive da una parte e dall’altra.
Oggi, come documentano i dati raccolti dall’Institute for the Study of War, (base a Washington), l’armata putiniana occupa circa 120 mila chilometri quadrati in quattro oblast che vanno da sud a est: Kherson, Zaporizhzhia, Lugansk e Donetsk. Stiamo parlando di quasi il 20% dell’Ucraina. Putin, però, pretende l’annessione delle quattro regioni al completo: si arriverebbe a circa 131 mila chilometri quadrati, un’area grande come la Grecia. Dopo la spallata iniziale, l’avanzata russa ha ristagnato negli ultimi mesi del 2022, riprendendo slancio nel 2023 e accelerando nel 2024.
Zelensky ha reagito con una mossa a sorpresa: il blitz nella regione russa di Kursk, appena oltre la frontiera orientale dell’Ucraina. Qui i numeri sono discordanti. Kiev rivendica il possesso di circa 1.300 chilometri quadrati. Ma il calcolo comprenderebbe anche la «terra di nessuno», dove ancora si combatte. Sempre secondo l’Institute for the Study of War, gli ucraini, in realtà, disporrebbero di soli 482 chilometri quadrati. Non è una differenza da poco, visto che Putin è determinato a riprendersi comunque quel fazzoletto di madrepatria. Il Cremlino non vuole concedere alcun vantaggio a Zelensky nel negoziato che, forse, potrebbe entrare nel vivo.
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CorSera
I russi in netto vantaggio, agli ucraini poche carte. Secondo l’Institute for the Study of War, gli ucraini nel Kursk disporrebbero di soli 482 chilometri quadrati
La «questione territoriale» è il passaggio chiave del possibile negoziato tra Donald Trump, Vladimir Putin e, vedremo con quale peso, Volodymyr Zelensky. Si partirà dallo scenario maturato sul campo di battaglia, dopo scontri furibondi e sanguinosi. Ma per capire l’evolversi della mappa bisogna risalire a undici anni fa, all’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Negli ultimi giorni di febbraio del 2014 i soldati russi escono dalla base navale di Sebastopoli e cominciano a occupare la penisola della Crimea: 25.961 kilometri quadrati, pari al 4,33% della superficie totale dell’Ucraina. È la prima risposta di Putin alla rivolta di Maidan che a Kiev, il 22 febbraio di quell’anno, aveva indotto alla fuga il presidente Viktor Yanukovich.
Poche settimane dopo gruppi di miliziani filorussi di due città del Donbass, Donetsk e Lugansk insorgono e danno vita a una serie di incidenti sempre più pesanti. Fino a quando da Mosca arrivano rinforzi: armi pesanti e militari senza mostrine, i cosiddetti «uomini verdi». A quel punto inizia la vera guerra tra Russia e Ucraina. L’obiettivo di Putin è conquistare la striscia che costeggia il Mar d’Azov per congiungere il Donbass con la Crimea e se possibile arrivare fino a Odessa. Ma la resistenza ucraina, guidata dal presidente Petro Poroshenko, riesce a bloccare l’avanzata nemica. Si muove, allora, la diplomazia europea.
La cancelliera Angela Merkel e il presidente francese François Hollande premono sul Cremlino. Il 5 settembre del 2014 si raggiunge il primo dei due Accordi di Minsk. Il fronte si ferma su una linea che taglia quasi a metà gli «oblast», i distretti, di Donetsk e di Lugansk. La Russia, così, controlla 25.961 chilometri quadrati, un’estensione poco più grande della Lombardia, pari a circa il 7% della superficie ucraina. Gli Accordi di Minsk prevedevano che il governo di Kiev avrebbe dovuto organizzare elezioni speciali nelle regioni occupate dai russi e, il giorno successivo, riacquistare la sovranità sui confini esterni del Donbass. Non è accaduto nulla di tutto ciò. Anzi gli scontri armati sono proseguiti, più o meno a bassa intensità, fino al 24 febbraio 2022, quando un’interminabile colonna di carri armati russi forza la frontiera a nord di Kiev. In questi tre anni, il conflitto ha vissuto fasi alterne, con offensive e controffensive da una parte e dall’altra.
Oggi, come documentano i dati raccolti dall’Institute for the Study of War, (base a Washington), l’armata putiniana occupa circa 120 mila chilometri quadrati in quattro oblast che vanno da sud a est: Kherson, Zaporizhzhia, Lugansk e Donetsk. Stiamo parlando di quasi il 20% dell’Ucraina. Putin, però, pretende l’annessione delle quattro regioni al completo: si arriverebbe a circa 131 mila chilometri quadrati, un’area grande come la Grecia. Dopo la spallata iniziale, l’avanzata russa ha ristagnato negli ultimi mesi del 2022, riprendendo slancio nel 2023 e accelerando nel 2024.
Zelensky ha reagito con una mossa a sorpresa: il blitz nella regione russa di Kursk, appena oltre la frontiera orientale dell’Ucraina. Qui i numeri sono discordanti. Kiev rivendica il possesso di circa 1.300 chilometri quadrati. Ma il calcolo comprenderebbe anche la «terra di nessuno», dove ancora si combatte. Sempre secondo l’Institute for the Study of War, gli ucraini, in realtà, disporrebbero di soli 482 chilometri quadrati. Non è una differenza da poco, visto che Putin è determinato a riprendersi comunque quel fazzoletto di madrepatria. Il Cremlino non vuole concedere alcun vantaggio a Zelensky nel negoziato che, forse, potrebbe entrare nel vivo.
CorSera
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