Cronaca e politica estera [Equilibri mondiali] Thread unico.

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    Perché l’Europa è entrata nella seconda guerra del gas (e cosa cambia per l'Italia)

    Stamani mattina, primo dell’anno, alle 6 nella pianura gelata di Sudzha, al confine fra l’Ucraina e l’oblast russo di Kursk, l’Europa è entrata nella sua seconda guerra del gas (Gazprom ha chiuso le forniture). La seconda, naturalmente, in meno di tre anni.​

    Ora nuova guerra del gas, se tutto non andrà terribilmente storto, non dovrebbe essere grave come la prima. Ma il prezzo di mercato al Ttf di Amsterdam (la piattaforma di riferimento in Europa) ieri è risalito di un altro 4,1%, sopra i 50 euro a megawattora per la prima volta da quindici mesi: è un aumento del 66% in un anno e del 29% solo nelle ultime due settimane.

    L’epicentro sul confine russo-ucraino

    Questa seconda guerra del gas ha il suo epicentro a Sudzha, sul confine russo-ucraino, perché lì si trova la stazione dalla quale il flusso del monopolista di Mosca Gazprom finora è entrato nella rete ucraina, per essere poi trasportato fino all’Unione europea. L’attività a Sudzha ora è a zero, quando fino a ieri intermediava poco più di 40 milioni di metri cubi di metano al giorno e circa 15 miliardi di metri cubi l’anno: quelle quantità sono circa un decimo rispetto alle forniture russe all’Europa di prima della guerra, ma rappresentano pur sempre quasi il 5% del consumo europeo di metano in un mercato che resta in tensione.

    Il gas russo, da Sudzha, era destinato ad attraversare tutta l’Ucraina fino al confine slovacco per poi essere consumato soprattutto in Slovacchia stessa, in Ungheria, nella Repubblica Ceca, in Austria e in parte anche in Italia (dove gli acquisti di gas via tubo dalla Russia in ottobre scorso erano saliti del 167% rispetto a un anno prima). Ma quello del metano in Europa è un sistema di vasi comunicanti, dove ogni ammanco di fornitura genera ulteriore domanda da altre fonti in competizione con altri compratori.

    Cosa cambia per l’Europa e l’Italia

    In sostanza questa è una guerra del gas nel quale l’Europa e l’Italia non rischiano di restare senza materia prima. Rischiano però, ancora una volta, di subire sostanziali rincari del riscaldamento e della bolletta elettrica (a novembre, per esempio, il 51% dell’elettricità italiana è stata prodotta bruciando metano). Tutto nasce da una posizione molto ferma di Volodymyr Zelensky. Il leader ucraino si è rifiutato – finora – di rinnovare un accordo quinquennale per il transito di gas russo, perché non intende facilitare ulteriormente nuove entrate del bilancio di Mosca, che poi servono a finanziare la distruzione dell’Ucraina.

    Secondo il centro studi Crea di Helsinki, grazie al gas via gasdotto Gazprom continua a fatturare in Europa circa 350 milioni di euro alla settimana (più altri 200 milioni con il gas liquefatto). Questi poi sono in buona parte retrocessi al governo, che spende circa quattro rubli ogni dieci nello sforzo di guerra.

    Le mosse di Orbán

    Contro Zelensky si sono mossi in queste settimane i premier nazionalisti e filo-russi di Slovacchia e Ungheria, Robert Fico e Viktor Orbán. Entrambi hanno visitato Putin al Cremlino negli ultimi giorni. Orbán ha proposto un accordo in base al quale il gas di Gazprom sarebbe stato acquistato dagli importatori slovacchi prima di uscire dai confini russi, in modo che formalmente non fosse più russo nel momento in cui entra in Ucraina. Zelensky non ha accettato perché, secondo lui, si sarebbe trattato solo un finzione che non riduce il finanziamento della guerra di Mosca.

    Fico ha minacciato Kiev con l’interruzione delle forniture elettriche dalle centrali slovacche, proprio ora che le reti ucraine sono devastate dai bombardamenti. Il premier slovacco ha persino scritto a Ursula von der Leyen, sostenendo con la presidente della Commissione Ue che l’interruzione del flusso dall’Ucraina sarebbe costato 50 miliardi di euro in più ai consumatori europei per la bolletta del gas e altri 70 per quella elettrica (a fronte, a dire di Fico, di una perdita di soli due miliardi per Mosca). Zelensky non si è piegato. L’Ucraina ora rischia che il Cremlino faccia bombardare i gasdotti e le centrali usate da Gazprom nel Paese, lasciando ancora più al freddo la popolazione.

    Il messaggio di Kiev all’Europa

    Ma nella fermezza del leader di Kiev c’è anche un messaggio politico all’Europa. Zelensky ha accettato finora di non attaccare il porto di Novorossijsk, sul Mar Nero, da cui parte circa un quarto dell’export russo di petrolio: è bastata un po’ di pressione su Kiev da parte dell’amministrazione americana, preoccupata di qualunque azione che faccia salire il prezzo internazionale del greggio. Ma gli ucraini non sono altrettanto sensibili alle richieste degli europei, specie se si tratta di Fico o di Orbán: segno di frustrazione per un sostegno militare e finanziario dell’Europa non del tutto convinto. Secondo dati riservati della Commissione di Bruxelles, in quasi tre anni di guerra i fondi inviati dagli Stati Uniti a Kiev superano quelli degli europei di quasi il 50%. Ora, con la seconda guerra del gas, l’Europa raccoglie i frutti delle sue contraddizioni.

    https://www.corriere.it/economia/fin...tml?refresh_ce
    ...ma di noi
    sopra una sola teca di cristallo
    popoli studiosi scriveranno
    forse, tra mille inverni
    «nessun vincolo univa questi morti
    nella necropoli deserta»

    C. Campo - Moriremo Lontani


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    • Ponno
      Socialista col Rolex
      • Feb 2013
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      Originariamente Scritto da Sean Visualizza Messaggio
      Perché l’Europa è entrata nella seconda guerra del gas (e cosa cambia per l'Italia)

      Stamani mattina, primo dell’anno, alle 6 nella pianura gelata di Sudzha, al confine fra l’Ucraina e l’oblast russo di Kursk, l’Europa è entrata nella sua seconda guerra del gas (Gazprom ha chiuso le forniture). La seconda, naturalmente, in meno di tre anni.

      Ora nuova guerra del gas, se tutto non andrà terribilmente storto, non dovrebbe essere grave come la prima. Ma il prezzo di mercato al Ttf di Amsterdam (la piattaforma di riferimento in Europa) ieri è risalito di un altro 4,1%, sopra i 50 euro a megawattora per la prima volta da quindici mesi: è un aumento del 66% in un anno e del 29% solo nelle ultime due settimane.

      L’epicentro sul confine russo-ucraino

      Questa seconda guerra del gas ha il suo epicentro a Sudzha, sul confine russo-ucraino, perché lì si trova la stazione dalla quale il flusso del monopolista di Mosca Gazprom finora è entrato nella rete ucraina, per essere poi trasportato fino all’Unione europea. L’attività a Sudzha ora è a zero, quando fino a ieri intermediava poco più di 40 milioni di metri cubi di metano al giorno e circa 15 miliardi di metri cubi l’anno: quelle quantità sono circa un decimo rispetto alle forniture russe all’Europa di prima della guerra, ma rappresentano pur sempre quasi il 5% del consumo europeo di metano in un mercato che resta in tensione.

      Il gas russo, da Sudzha, era destinato ad attraversare tutta l’Ucraina fino al confine slovacco per poi essere consumato soprattutto in Slovacchia stessa, in Ungheria, nella Repubblica Ceca, in Austria e in parte anche in Italia (dove gli acquisti di gas via tubo dalla Russia in ottobre scorso erano saliti del 167% rispetto a un anno prima). Ma quello del metano in Europa è un sistema di vasi comunicanti, dove ogni ammanco di fornitura genera ulteriore domanda da altre fonti in competizione con altri compratori.

      Cosa cambia per l’Europa e l’Italia

      In sostanza questa è una guerra del gas nel quale l’Europa e l’Italia non rischiano di restare senza materia prima. Rischiano però, ancora una volta, di subire sostanziali rincari del riscaldamento e della bolletta elettrica (a novembre, per esempio, il 51% dell’elettricità italiana è stata prodotta bruciando metano). Tutto nasce da una posizione molto ferma di Volodymyr Zelensky. Il leader ucraino si è rifiutato – finora – di rinnovare un accordo quinquennale per il transito di gas russo, perché non intende facilitare ulteriormente nuove entrate del bilancio di Mosca, che poi servono a finanziare la distruzione dell’Ucraina.

      Secondo il centro studi Crea di Helsinki, grazie al gas via gasdotto Gazprom continua a fatturare in Europa circa 350 milioni di euro alla settimana (più altri 200 milioni con il gas liquefatto). Questi poi sono in buona parte retrocessi al governo, che spende circa quattro rubli ogni dieci nello sforzo di guerra.

      Le mosse di Orbán

      Contro Zelensky si sono mossi in queste settimane i premier nazionalisti e filo-russi di Slovacchia e Ungheria, Robert Fico e Viktor Orbán. Entrambi hanno visitato Putin al Cremlino negli ultimi giorni. Orbán ha proposto un accordo in base al quale il gas di Gazprom sarebbe stato acquistato dagli importatori slovacchi prima di uscire dai confini russi, in modo che formalmente non fosse più russo nel momento in cui entra in Ucraina. Zelensky non ha accettato perché, secondo lui, si sarebbe trattato solo un finzione che non riduce il finanziamento della guerra di Mosca.

      Fico ha minacciato Kiev con l’interruzione delle forniture elettriche dalle centrali slovacche, proprio ora che le reti ucraine sono devastate dai bombardamenti. Il premier slovacco ha persino scritto a Ursula von der Leyen, sostenendo con la presidente della Commissione Ue che l’interruzione del flusso dall’Ucraina sarebbe costato 50 miliardi di euro in più ai consumatori europei per la bolletta del gas e altri 70 per quella elettrica (a fronte, a dire di Fico, di una perdita di soli due miliardi per Mosca). Zelensky non si è piegato. L’Ucraina ora rischia che il Cremlino faccia bombardare i gasdotti e le centrali usate da Gazprom nel Paese, lasciando ancora più al freddo la popolazione.

      Il messaggio di Kiev all’Europa

      Ma nella fermezza del leader di Kiev c’è anche un messaggio politico all’Europa. Zelensky ha accettato finora di non attaccare il porto di Novorossijsk, sul Mar Nero, da cui parte circa un quarto dell’export russo di petrolio: è bastata un po’ di pressione su Kiev da parte dell’amministrazione americana, preoccupata di qualunque azione che faccia salire il prezzo internazionale del greggio. Ma gli ucraini non sono altrettanto sensibili alle richieste degli europei, specie se si tratta di Fico o di Orbán: segno di frustrazione per un sostegno militare e finanziario dell’Europa non del tutto convinto. Secondo dati riservati della Commissione di Bruxelles, in quasi tre anni di guerra i fondi inviati dagli Stati Uniti a Kiev superano quelli degli europei di quasi il 50%. Ora, con la seconda guerra del gas, l’Europa raccoglie i frutti delle sue contraddizioni.

      https://www.corriere.it/economia/fin...tml?refresh_ce
      Ottimo dai, gli europei non hanno pagato abbastanza per quel comico. Che serva un Luigi ucraino?
      Originariamente Scritto da claudio96

      sigpic
      più o meno il triplo

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      • Sean
        Csar
        • Sep 2007
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        • In piedi tra le rovine
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        Nel suo animo alberga ancora il pensiero della "vittoria," cioè l'odio antirusso, di vedere il nemico "annientato" e, in un delirio ultranazionalista, l'Ucraina "grande". Vi è anche un odio antieuropeo: vorrebbe vedere l'Europa stesa al freddo o altrimenti prona ai suoi desideri, di essere riempito di armi, mezzi, soldi: per Zelensky tutti dovremmo precipitarci, letteralmente gettarci, nella fornace ucraina, tutti dissolverci in quel sabba demonico.

        Le masse occidentali invece sono stanche di sentir parlare di guerra e aiuti all'Ucraina. Auguriamoci che i primi ad essersi rotti le balle siano davvero gli americani: gli altri seguiranno a ruota.
        ...ma di noi
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        • KURTANGLE
          Inculamelo: l'ottavo nano...quello gay
          • Jun 2005
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          • Borgo D'io
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          Originariamente Scritto da The_machine Visualizza Messaggio
          In Russia hanno limitato l'informazione (tra l'altro sapevate che FB e IG sono bloccate?) e un po' li capisco, ma certi ragionamenti si sentono pure in Italia, e questo la dice lunga.


          accedono tranquillamente a tutto con le VPN
          Originariamente Scritto da SPANATEMELA
          parliamo della mezzasega pipita e del suo golllaaaaaaaaaaaaazzzoooooooooooooooooo contro la rubentus
          Originariamente Scritto da GoodBoy!
          ma non si era detto che espressioni tipo rube lanzie riommers dovevano essere sanzionate col rosso?


          grazie.




          PROFEZZOREZZAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA

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          • Sean
            Csar
            • Sep 2007
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            New Orleans, veicolo travolge la folla. Il conducente scende e fa fuoco: almeno 10 morti e 30 feriti

            Secondo quanto riferito dalla polizia l'incidente sembra essere stato intenzionale. L'autista non è stato arrestato

            Nelle prime ore di mercoledì a New Orleans, nel sud degli Stati Uniti, un veicolo ha travolto la folla in Bourbon Street, nel quartiere francese di New Orleans
            .

            Secondo alcuni testimoni il veicolo è piombato ad alta velocità sulla folla di Bourbon Street, prima che il conducente scendesse e iniziasse a sparare con un'arma. La polizia ha risposto al fuoco. Secondo le autorità sarebbero morte almeno 10 persone e 30 sono rimaste ferite.

            I video che circolano sui social media, e che sembrano essere stati registrati oggi sulla scena dell'incidente, mostrano diverse vittime a terra. Nelle clip si sentono degli spari in sottofondo e si vedono delle persone scappare. L’incidente sarebbe avvenuto alle 3.15 locali (le 10.15 in Italia).

            "L'8° distretto sta lavorando a un incidente di massa che coinvolge un veicolo che ha investito una grande folla tra Canal e Bourbon Street. Ci sono 30 feriti trasportati dal Noems (New Orleans Emergency Medical Services) e 10 morti. I partner della sicurezza pubblica stanno intervenendo sulla scena. Seguiranno gli aggiornamenti man mano che verranno ricevuti", si legge in un comunicato dell'agenzia ufficiale di preparazione alle catastrofi della città, Nola Ready.

            Secondo un testimone, il veicolo ad aver investito la folla sarebbe un camion. A riferirlo Kevin Garcia, 22 anni, parlando alla Cnn poco dopo l'incidente. “Il camion ha sbattuto contro tutti sul lato sinistro del marciapiede di Bourbon. Un corpo mi è volato addosso", ha raccontato, aggiungendo di aver sentito anche degli spari.

            In un post su X, il governatore della Louisiana Jeff Landry ha dichiarato di “pregare per tutte le vittime e per i primi soccorritori sul posto”. “Un orribile atto di violenza ha avuto luogo a Bourbon Street questa mattina”, scrive Landry. “Vi prego di unirvi a Sharon e a me nel pregare per tutte le vittime e i primi soccorritori sulla scena. Invito tutti coloro che si trovano nei pressi della scena ad evitare la zona”.

            Il veicolo è piombato sulla folla di Bourbon Street, nella città di New Orleans, nel sud degli Stati Uniti. La strada molto famosa, nel quartiere francese di New Orleans, era piena di turisti e gente del posto che festeggiavano il nuovo anno. La strada, nota per la vita notturna e per i turisti, è piena di bar, club e ristoranti.

            ...ma di noi
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            • M K K
              finte ferie user
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              Sono proprio garantisti
              Ogni mio intervento e' da considerarsi di stampo satirico e ironico ,cosi come ogni riferimento alla mia e altrui persone e' da intendersi come mai realmente accaduto e di pura fantasia. In nessun caso , il contenuto dei miei interventi su questo forum e' atto all' offesa , denigrazione o all odio verso persone o idee.
              Originariamente Scritto da Bob Terwilliger
              Di solito i buoni propositi di contenersi si sfasciano contro la dura realtà dell'alcolismo.

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              • The_machine
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                Originariamente Scritto da KURTANGLE Visualizza Messaggio


                accedono tranquillamente a tutto con le VPN
                Si certo, ma così facendo togli l'accesso libero alle informazioni (oltreché intrattenimento) ad una buona fetta della popolazione.

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                • Sergio
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                  Originariamente Scritto da Sean Visualizza Messaggio
                  New Orleans, veicolo travolge la folla. Il conducente scende e fa fuoco: almeno 10 morti e 30 feriti

                  Secondo quanto riferito dalla polizia l'incidente sembra essere stato intenzionale. L'autista non è stato arrestato

                  Nelle prime ore di mercoledì a New Orleans, nel sud degli Stati Uniti, un veicolo ha travolto la folla in Bourbon Street, nel quartiere francese di New Orleans
                  .

                  Secondo alcuni testimoni il veicolo è piombato ad alta velocità sulla folla di Bourbon Street, prima che il conducente scendesse e iniziasse a sparare con un'arma. La polizia ha risposto al fuoco. Secondo le autorità sarebbero morte almeno 10 persone e 30 sono rimaste ferite.

                  I video che circolano sui social media, e che sembrano essere stati registrati oggi sulla scena dell'incidente, mostrano diverse vittime a terra. Nelle clip si sentono degli spari in sottofondo e si vedono delle persone scappare. L’incidente sarebbe avvenuto alle 3.15 locali (le 10.15 in Italia).

                  "L'8° distretto sta lavorando a un incidente di massa che coinvolge un veicolo che ha investito una grande folla tra Canal e Bourbon Street. Ci sono 30 feriti trasportati dal Noems (New Orleans Emergency Medical Services) e 10 morti. I partner della sicurezza pubblica stanno intervenendo sulla scena. Seguiranno gli aggiornamenti man mano che verranno ricevuti", si legge in un comunicato dell'agenzia ufficiale di preparazione alle catastrofi della città, Nola Ready.

                  Secondo un testimone, il veicolo ad aver investito la folla sarebbe un camion. A riferirlo Kevin Garcia, 22 anni, parlando alla Cnn poco dopo l'incidente. “Il camion ha sbattuto contro tutti sul lato sinistro del marciapiede di Bourbon. Un corpo mi è volato addosso", ha raccontato, aggiungendo di aver sentito anche degli spari.

                  In un post su X, il governatore della Louisiana Jeff Landry ha dichiarato di “pregare per tutte le vittime e per i primi soccorritori sul posto”. “Un orribile atto di violenza ha avuto luogo a Bourbon Street questa mattina”, scrive Landry. “Vi prego di unirvi a Sharon e a me nel pregare per tutte le vittime e i primi soccorritori sulla scena. Invito tutti coloro che si trovano nei pressi della scena ad evitare la zona”.

                  Il veicolo è piombato sulla folla di Bourbon Street, nella città di New Orleans, nel sud degli Stati Uniti. La strada molto famosa, nel quartiere francese di New Orleans, era piena di turisti e gente del posto che festeggiavano il nuovo anno. La strada, nota per la vita notturna e per i turisti, è piena di bar, club e ristoranti.

                  https://www.lastampa.it/esteri/2025/...HA-BH-P1-S1-T1
                  Ma porc..... New Orleans è un posto rilassatissimo, in Bourbon Street c'ero l'anno scorso. M'è andata bene.



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                  • Sean
                    Csar
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                    • In piedi tra le rovine
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                    Inoltre, sempre l'Fbi sta ora cercando di approfondire se l'uomo abbia connessioni con l'Isis (come riporta il New Oleans Metro News), dato che aveva con sé una bandiera dello Stato islamico, come scrive la Cnn, aggiungendo anche che fosse in possesso di cittadinanza americana. Il New York Times aggiunge poi che il killer di New Orleans è stato identificato come Shamsud-Din Bahar Jabbar, citando come fonti vari dirigenti di polizia.

                    ...ma di noi
                    sopra una sola teca di cristallo
                    popoli studiosi scriveranno
                    forse, tra mille inverni
                    «nessun vincolo univa questi morti
                    nella necropoli deserta»

                    C. Campo - Moriremo Lontani


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                    • Arturo Bandini
                      million dollar boy
                      • Aug 2003
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                      • Send PM

                      sempre islamici, questo che problema mentale avrà? gli islamici non sono integrabili, vogliono prendere il possesso dei paesi che li ospitano e ci stanno riuscendo grazie al loro numero

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                      • Death Magnetic
                        Bodyweb Senior
                        • Jan 2009
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                        • Send PM

                        Vabbè chi è che oggi come oggi non ha una bandiera dello stato islamico in macchina suvvia.

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                        • Arturo Bandini
                          million dollar boy
                          • Aug 2003
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                          • 503
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                          bè a quanto pare, come quello in germania, era un estremista fascio e aveva il poster di musk in cameretta. Maledetti nazi azizz




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                            Le telefonate choc di Cecilia Sala: «Dormo per terra in cella e mi hanno tolto anche gli occhiali»

                            Ieri le chiamate alla madre, al padre e al compagno Daniele Raineri:«Fate presto». Non le è arrivato nessun pacco con i beni di prima necessità, come aveva riferito il regime

                            Nella cella lunga quanto lei sdraiata, Cecilia Sala non ha un materasso e dorme per terra, su una coperta. Ne ha un’altra di coperta per proteggersi dal freddo di Evin che è pungente — «doloroso», dicono le detenute iraniane —, e congela. Cecilia Sala non vede nessuno dal 27 dicembre, dal giorno in cui ha incontrato l’ambasciatrice Paola Amedei.

                            Non vede nemmeno le guardie perché le passano il cibo — molti datteri — da una fessura della porta. Non ha ricevuto nessun pacco. Nessun panettone. Nessun cioccolato, né sigarette, né maglioni, né i quattro libri che già immaginavamo tra le sue mani, né la mascherina per proteggersi dalla luce al neon accesa 24 ore su 24, né beni di prima necessità. Anzi: a Cecilia Sala sono stati confiscati gli occhiali da vista.

                            L’unico — l’unico — particolare che per la famiglia della giornalista in cella in Iran dal 19 dicembre aveva l’ombra di una rassicurazione, era quella frase pronunciata dalle autorità subito dopo l’arresto: «Tratteremo la reporter italiana in modo dignitoso». Ora lo sappiamo: non va così.
                            A Sala è riservato lo stesso trattamento delle prigioniere politiche che affollano le celle del carcere simbolo della repressione della Repubblica islamica. Il metodo è identico: senza dignità.

                            Ieri, primo gennaio, nemmeno 24 ore dopo il discorso del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella dedicato anche a lei, alla giornalista del Foglio e di Chora Media sono state concesse tre chiamate: alla madre, al padre, al compagno e collega Daniele Raineri. Telefonate sconvolgenti per la famiglia che la immaginava in condizioni migliori, viste le informazioni degli ultimi giorni. E che hanno spinto la Farnesina a chiederne la «liberazione immediata» e «garanzie totali sulle sue condizioni di detenzione».

                            Ma il regime fa il regime e non rispetta la parola data. La versione della Repubblica islamica era un’altra. Avevano raccontato che è stata scelta una cella singola per farla sentire al sicuro, per farla stare meglio. Avevano aggiunto che finalmente erano riusciti a consegnarle il pacco dell’ambasciata con alcuni dolci, libri e beni di prima necessità. Niente di tutto questo è vero. Sala è una prigioniera a tutti gli effetti degli ayatollah che non specificano ancora l’accusa per cui l’hanno arrestata. La tengono in regime d’isolamento con un generico «ha violato le leggi della Repubblica islamica».

                            «Fate presto», ha detto la giornalista nella prima chiamata dopo l’arresto. Lo ha ripetuto anche ieri: «Fate presto». Sala non può rimanere chiusa tra le pareti di una prigione dove non vengono rispettati i diritti umani.

                            Se il suo destino è speculare a quello di Mohammad Abedini-Najafabad — l’ingegnere iraniano esperto di droni e detenuto in Italia dal 16 dicembre per conto degli Stati Uniti — in realtà ci sono già molte differenze tra le loro storie, le loro detenzioni: Abedini ha un materasso, delle coperte, dei libri, dei vestiti, contatti umani. Ha la certezza di un sistema giudiziario che gli garantirà un trattamento giusto, secondo le leggi del diritto internazionale. Sala è ostaggio di un Paese illiberale che sta mostrando tutta la sua ferocia nei confronti di una cittadina straniera che è andata in Iran per fare il suo lavoro con un visto giornalistico regolare.

                            Secondo l’articolo 38 della Costituzione iraniana, l’isolamento non è consentito né dalla legge statale, né da quella religiosa. Precisamente: «Sono vietati qualsiasi tipo di tortura, estorsione di confessioni o acquisizione di informazioni, costrizione degli individui a testimoniare, giuramenti forzati. Queste prove mancano di credibilità». Una legge-farsa mai rispettata tra i corridoi di Evin. Violata da sempre, dalla sua costruzione ai tempi dello Scià. Violata anche con Sala. I suoi racconti sono così simili, così sovrapponibili, a quelli delle donne iraniane passate per le stesse stanze dell’orrore, da far spavento. Il freddo, la solitudine, la fame, quel pavimento grigio di cui tutte parlano. La luce accesa che fa impazzire. Lo spazio minuscolo, la porta chiusa che non si apre mai.

                            Solo tre giorni fa, Elahe Ejbari, studentessa iraniana scappata in Germania e detenuta tre mesi a Evin, anche lei in isolamento, diceva al Corriere: «Nella mia cella singola non c’era il materasso, né il cuscino, ma solo due coperte. Morivo di freddo. Non c’erano finestre. Non avevo libri, penne, nulla. Se dovevo andare in bagno, bussavo alla porta. Le guardie non arrivavano mai. A volte ho aspettato ore. Cercavo di stare vigile e non perdere la lucidità». L’avevamo sentita per farci raccontare la sua esperienza nel carcere di Teheran. L’abbiamo richiamata: «Cecilia Sala è trattata come sei stata trattata tu: hanno mentito». Ci ha risposto: «Lo sapevo, le autorità iraniane non fanno favori. Non dovete fidarvi delle loro parole». E fa una lista di nomi di stranieri detenuti tra cui quello di Nahid Taqvi, un cittadino tedesco. Non la stupisce questa notizia sui contenuti delle telefonate della giornalista ai familiari, che a noi sconvolge: «È la loro strategia — dice Ejbari riferendosi al trattamento del regime —. Esercitano una pressione sempre maggiore per ottenere quello che vogliono. In questo caso la liberazione di Abedini».
                            La studentessa spera che Sala non firmi nessuna lettera né documento. E ha altre due speranze. La prima è che la liberino al più presto. La seconda: «Vedrete che la porteranno nel reparto femminile del carcere, dove sicuramente le attiviste iraniane diventeranno sue amiche e la guideranno nell’inferno di Evin».

                            ​CorSera
                            ...ma di noi
                            sopra una sola teca di cristallo
                            popoli studiosi scriveranno
                            forse, tra mille inverni
                            «nessun vincolo univa questi morti
                            nella necropoli deserta»

                            C. Campo - Moriremo Lontani


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                              Chi è il killer di New Orleans. L’esercito, i debiti, i divorzi e i tweet. Misteri e complici del veterano Jabbar

                              Quando Shamsud-Din Jabbar, 42 anni, residente in Texas, si presenta in un video pubblicato su YouTube per promuovere la sua attività immobiliare sembra tutto tranne che un jihadista pronto a uccidere e farsi uccidere. Aspetto curato, parlata che lascia intendere un buon livello di istruzione, è lui stesso a spiegare di essere nato e cresciuto a Beaumont, in Texas, di aver «servito» per oltre 10 anni nell’esercito come esperto di risorse umane e di IT, prima di trasferirsi a Houston.

                              Sono tutte informazioni confermate dall’agente speciale dell’Fbi Alethea Duncan che ieri durante una conferenza stampa ha spiegato: «Riteniamo che sia stato congedato con onore». A fornire più dettagli, un profilo LinkedIn rimosso dalla Rete cui la giornalista investigativa statunitense Jacqueline Sweet è riuscita ad accedere. Sempre con la stessa modalità la reporter è entrata in un profilo X da cui provengono immagini che mostrano Jabbar mentre si esercita a sparare con altri due uomini in quello che sembra un campo e poi in completo con orologio e fermacravatta per una fotografia posata e diffusa con l’hashtag #me. Secondo il New York Times, Jabbar aveva problemi finanziari: in un documento giudiziario depositato nell’agosto 2022 come parte di una procedura di divorzio (il secondo), aveva dichiarato di aver lavorato presso la società Deloitte e di aver guadagnato circa 120 mila dollari l’anno. Ma in un’email all’inizio dello stesso anno, rivela sempre il quotidiano, sosteneva di avere debiti per 27 mila dollari per la casa, di essere a rischio di pignoramento e di essere sotto di altri 16 mila sulla carta di credito a causa del divorzio. Dopo il congedo Jabbar era convertito all’Islam, racconta Dwayne Marsh, sposato con l’ex moglie dell’uomo. «E negli ultimi mesi si comportava come un pazzo».

                              Secondo la polizia di New Orleans, Jabbar aveva precedenti penali, tra cui furto e guida con patente sospesa. Elementi che potrebbero coincidere con un periodo più turbolento in seguito al congedo. Ma come sia finito su quel pick-up e perché abbia deciso di lanciarsi sulla folla uccidendo 10 persone e ferendole più di 30 è ancora tutto da capire. Quello che è certo è che, al momento della sua morte, indossava un giubbetto anti proiettile e abiti mimetici e sul veicolo a noleggio era issata una bandiera nera cosi come al suo interno si trovavano armi — una pistola Glock e un fucile d’assalto — ed esplosivi. Tutti elementi che hanno spinto l’Fbi a indagare sui possibili legami di Jabbar con organizzazioni jihadiste. Da chiarire anche se abbia agito da solo o se facesse parte di una cellula. All’esame della scientifica di New Orleans c’è un video che mostra tre uomini e una donna mentre piazzano un ordigno esplosivo improvvisato.

                              ​CorSera
                              ...ma di noi
                              sopra una sola teca di cristallo
                              popoli studiosi scriveranno
                              forse, tra mille inverni
                              «nessun vincolo univa questi morti
                              nella necropoli deserta»

                              C. Campo - Moriremo Lontani


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                                A quel Jabbar il cervello ha semplicemente fatto click. Finchè guadagnava i suoi bei 120mila dollari anno, con moglie e casa, un lavoro, andava tutto bene...perduto tutto, e riempitosi di debiti, è diventato un fuori sistema e quindi si è radicalizzato come anti sistema, non senza prima essere passato per la comune criminalità (il furto).

                                Una vita che va disgregandosi e inabissandosi, fino al fondo melmoso della paranoia. In specie negli USA ci sono copiosi precedenti, lo stesso cinema è pieno di soggetti simili.
                                ...ma di noi
                                sopra una sola teca di cristallo
                                popoli studiosi scriveranno
                                forse, tra mille inverni
                                «nessun vincolo univa questi morti
                                nella necropoli deserta»

                                C. Campo - Moriremo Lontani


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