Giorno secondo della nuova Siria di
Davide Rossi
Si leggono e si sentono dichiarazioni e affermazioni perentorie, analisi definitive e presuntamente inconfutabili. Per mia parte vedo solo molta confusione e incertezza, tuttavia credo che valga la pena riflettere sui fatti, ben sapendo che qualche considerazione più precisa e solida sul futuro della Siria si potrà elaborare solo nello scorrere dei giorni, forse dei mesi. In poche ore, nel corso di nemmeno una settimana, uno stato cinquantennale è venuto meno: i media occidentali lo tratteggiano come una vituperabile satrapia, i commentatori più prossimi ne piangono la scomparsa.
Purtroppo la storia, pur ammettendo il dolore per le altrui sofferenze, non accetta lacrime, ma obbliga ad analisi. Ai detrattori va ricordato ad esempio che la Siria socialista ha sempre offerto strumenti sociali e culturali considerevoli ai suoi cittadini, tanto che Angela Merkel ha accolto in Germania molti siriani, ben sapendo che rappresentano un personale qualificato e spesso laureato, al contrario di tanti giovani ad esempio egiziani a cui il regime mubarakiano ha negato per decenni l’istruzione.
Agli estimatori della Siria socialista va ricordata la fragilità di una entità statuale che, soprattutto dopo l’aggressione del 2011 da parte degli islamisti manovrati da Washington e dopo le successive sanzioni, ha mostrato l’incapacità di ricomporre e difendere l’unità territoriale e la conseguente sovranità, si è trovata sempre più allo sbando, afflitta da funzionari spesso dediti al doppio e al triplo gioco e sovente alla corruzione, con difficoltà economiche capaci di produrre nella popolazione sconforto e minando la credibilità dello stato.
Lunedì 2 dicembre 2024 gruppi armati, affiliati maggioritariamente al movimento islamico Hayat Tahir al-Sham, ovvero Organizzazione per la Liberazione del Levante, guidata da Abu Mohammad al-Jolani prendono Aleppo e la sera del 7 dicembre entrano a Damasco, dichiarando nelle ore successive la fine della Repubblica Araba di Siria.
Che cosa è successo in una settimana? Difficile, anzi impossibile affermarlo con certezza. Tutte le informazioni che abbiamo ci inducono a realizzare una ricostruzione dei fatti che presumibilmente ci porta a provare a comprendere la situazione attuale.
Ambienti atlantisti, legati a Washington, ad Israele, l’infido alleato del governo turco MHP - Partito del Movimento Nazionalista e l’opposizione anti – erdoganista (parte dei servizi segreti, gulenisti e atlantisti a vario titolo) spalleggia l’operazione dell’Organizzazione per la Liberazione del Levante.
A quel punto russi e iraniani si consultano, dialogano con Assad e coinvolgono Erdogan in una riflessione che cerchi di trovare una soluzione.
Di fatto a Doha in Qatar, nelle ore immediatamente successive all’ingresso ad Aleppo dell’Organizzazione per la Liberazione del Levante, Russia, Iran e Turchia addivengono alla conclusione che sia necessario patteggiare una transizione, non esistendo di fatto le possibilità sociali di consenso interno siriano e militari russo-iraniane per l’impegno su altri fronti, per una difesa della Repubblica Arabia di Siria.
Russi e iraniani, nel quadro della collaborazione multipolare ed eurasiatica, chiedono a Erdogan di intervenire con i mezzi e gli strumenti a sua disposizione, diplomatici, di intelligence e militari per indirizzare il nuovo corso siriano.
La nuova Siria, nelle intenzioni russo – iraniane e turche dovrebbe presumibilmente garantire la formazione di un nuovo governo che operi per il ripristino dell’unità nazionale possibilmente non federale, la fine delle enclavi più o meno grandi soggette a gruppi ideologici o a separatismi etnici e gli scontri in area curda lo stanno dimostrando, garantisca il rispetto di tutte le confessioni religiose e la loro libera espressione come il governo in formazione guidato da Mohammed al-Bashir pare operare, confermando la presenza russa presso la base navale di Tartus e quella aerea di Latakia, nonché garantendo il libero accesso per gli iraniani all’aeroporto di Damasco, per rifornire sotto ogni forma Hezbollah in Libano. L’ostilità israeliana e i bombardamenti dei siti militari siriani iniziati nella notte tra lunedì 9 dicembre e martedì 10 dicembre, nonché le dichiarazioni del governo siriano sulla necessità di liberare Gerusalemme, rivelano per molti aspetti come si possa ragionevolmente intendere di trovarsi davanti a una transizione che non dovrebbe alterare la collocazione internazionale della Siria.
Certo è legittimo coltivare dubbi sulla tenuta di un simile accordo, anche in ragione delle simpatie e delle collaborazioni messe in atto negli anni passati dai futuri governanti siriani. Tuttavia è credibile supporre che le circostanze abbiano indotto il campo multipolare a operare per una transizione, di fatto meno cruenta possibile.
Stracciarsi le vesti per la fine di una pur gloriosa esperienza, quale quella arabo – socialista, tragicamente esauritasi, e al contempo dall’altra parte esaltare il nuovo governo o definirlo aprioristicamente nefasto, sono tutti atteggiamenti privi di senso della realtà, la quale, in modo stringente, ha costretto il popolo siriano, a fronte di molti errori compiuti negli ultimi anni dal governo di Assad, a voltare pagina.
Davide Rossi
Si leggono e si sentono dichiarazioni e affermazioni perentorie, analisi definitive e presuntamente inconfutabili. Per mia parte vedo solo molta confusione e incertezza, tuttavia credo che valga la pena riflettere sui fatti, ben sapendo che qualche considerazione più precisa e solida sul futuro della Siria si potrà elaborare solo nello scorrere dei giorni, forse dei mesi. In poche ore, nel corso di nemmeno una settimana, uno stato cinquantennale è venuto meno: i media occidentali lo tratteggiano come una vituperabile satrapia, i commentatori più prossimi ne piangono la scomparsa.
Purtroppo la storia, pur ammettendo il dolore per le altrui sofferenze, non accetta lacrime, ma obbliga ad analisi. Ai detrattori va ricordato ad esempio che la Siria socialista ha sempre offerto strumenti sociali e culturali considerevoli ai suoi cittadini, tanto che Angela Merkel ha accolto in Germania molti siriani, ben sapendo che rappresentano un personale qualificato e spesso laureato, al contrario di tanti giovani ad esempio egiziani a cui il regime mubarakiano ha negato per decenni l’istruzione.
Agli estimatori della Siria socialista va ricordata la fragilità di una entità statuale che, soprattutto dopo l’aggressione del 2011 da parte degli islamisti manovrati da Washington e dopo le successive sanzioni, ha mostrato l’incapacità di ricomporre e difendere l’unità territoriale e la conseguente sovranità, si è trovata sempre più allo sbando, afflitta da funzionari spesso dediti al doppio e al triplo gioco e sovente alla corruzione, con difficoltà economiche capaci di produrre nella popolazione sconforto e minando la credibilità dello stato.
Lunedì 2 dicembre 2024 gruppi armati, affiliati maggioritariamente al movimento islamico Hayat Tahir al-Sham, ovvero Organizzazione per la Liberazione del Levante, guidata da Abu Mohammad al-Jolani prendono Aleppo e la sera del 7 dicembre entrano a Damasco, dichiarando nelle ore successive la fine della Repubblica Araba di Siria.
Che cosa è successo in una settimana? Difficile, anzi impossibile affermarlo con certezza. Tutte le informazioni che abbiamo ci inducono a realizzare una ricostruzione dei fatti che presumibilmente ci porta a provare a comprendere la situazione attuale.
Ambienti atlantisti, legati a Washington, ad Israele, l’infido alleato del governo turco MHP - Partito del Movimento Nazionalista e l’opposizione anti – erdoganista (parte dei servizi segreti, gulenisti e atlantisti a vario titolo) spalleggia l’operazione dell’Organizzazione per la Liberazione del Levante.
A quel punto russi e iraniani si consultano, dialogano con Assad e coinvolgono Erdogan in una riflessione che cerchi di trovare una soluzione.
Di fatto a Doha in Qatar, nelle ore immediatamente successive all’ingresso ad Aleppo dell’Organizzazione per la Liberazione del Levante, Russia, Iran e Turchia addivengono alla conclusione che sia necessario patteggiare una transizione, non esistendo di fatto le possibilità sociali di consenso interno siriano e militari russo-iraniane per l’impegno su altri fronti, per una difesa della Repubblica Arabia di Siria.
Russi e iraniani, nel quadro della collaborazione multipolare ed eurasiatica, chiedono a Erdogan di intervenire con i mezzi e gli strumenti a sua disposizione, diplomatici, di intelligence e militari per indirizzare il nuovo corso siriano.
La nuova Siria, nelle intenzioni russo – iraniane e turche dovrebbe presumibilmente garantire la formazione di un nuovo governo che operi per il ripristino dell’unità nazionale possibilmente non federale, la fine delle enclavi più o meno grandi soggette a gruppi ideologici o a separatismi etnici e gli scontri in area curda lo stanno dimostrando, garantisca il rispetto di tutte le confessioni religiose e la loro libera espressione come il governo in formazione guidato da Mohammed al-Bashir pare operare, confermando la presenza russa presso la base navale di Tartus e quella aerea di Latakia, nonché garantendo il libero accesso per gli iraniani all’aeroporto di Damasco, per rifornire sotto ogni forma Hezbollah in Libano. L’ostilità israeliana e i bombardamenti dei siti militari siriani iniziati nella notte tra lunedì 9 dicembre e martedì 10 dicembre, nonché le dichiarazioni del governo siriano sulla necessità di liberare Gerusalemme, rivelano per molti aspetti come si possa ragionevolmente intendere di trovarsi davanti a una transizione che non dovrebbe alterare la collocazione internazionale della Siria.
Certo è legittimo coltivare dubbi sulla tenuta di un simile accordo, anche in ragione delle simpatie e delle collaborazioni messe in atto negli anni passati dai futuri governanti siriani. Tuttavia è credibile supporre che le circostanze abbiano indotto il campo multipolare a operare per una transizione, di fatto meno cruenta possibile.
Stracciarsi le vesti per la fine di una pur gloriosa esperienza, quale quella arabo – socialista, tragicamente esauritasi, e al contempo dall’altra parte esaltare il nuovo governo o definirlo aprioristicamente nefasto, sono tutti atteggiamenti privi di senso della realtà, la quale, in modo stringente, ha costretto il popolo siriano, a fronte di molti errori compiuti negli ultimi anni dal governo di Assad, a voltare pagina.
Commenta