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Cronaca e politica estera [Equilibri mondiali] Thread unico.
Ogni mio intervento e' da considerarsi di stampo satirico e ironico ,cosi come ogni riferimento alla mia e altrui persone e' da intendersi come mai realmente accaduto e di pura fantasia. In nessun caso , il contenuto dei miei interventi su questo forum e' atto all' offesa , denigrazione o all odio verso persone o idee.
Originariamente Scritto da Bob Terwilliger
Di solito i buoni propositi di contenersi si sfasciano contro la dura realtà dell'alcolismo.
Ucraina, disertori e fuggiaschi: ora all’esercito mancano i soldati per potersi difendere
Dopo l’ondata di generosi volontari dei primi momenti dell’invasione russa , oggi tanti disertano o cercano di evitare la coscrizione. La polizia va a caccia di reclute
Le forze armate ucraine sono malate, mancano di soldati, tanti fuggono dal fronte: un problema gravissimo, specie in queste settimane in cui Vladimir Putin intensifica le offensive per annettere il massimo del territorio ucraino prima dell’arrivo alla Casa Bianca di Donald Trump. Pare che l’occupazione russa a inizio ottobre di Vulhedar, la cittadina strategica nel Donbass meridionale, sia da imputare alle unità che se la sono data a gambe lasciando i bunker sguarniti. Secondo alcune fonti, tra il 10 e 20 per cento del circa un milione e 300mila soldati ucraini potrebbe essere processato per vari gradi di renitenza al reclutamento.
Ci sono i «disertori» veri e propri e invece gli «Szch», dall’acronimo ucraino che indica «coloro che hanno abbandonato la loro unità senza autorizzazione». I primi hanno su di loro il marchio dell’infamia: sono scappati dalle trincee col fucile in mano, mettendo in pericolo la vita dei compagni e pregiudicando la tenuta di interi settori, rischiano oltre 7 anni di carcere. I secondi godono di attenuanti: non hanno ceduto nel fuoco della battaglia, piuttosto sono fuggiti dalle seconde linee, hanno abbandonato le caserme, sono inclusi coloro che non tornano ai loro battaglioni dalle licenze o dalle convalescenze.
Ma i gradi diversi della gravità del reato non cambiano la sostanza del problema: dopo l’ondata di generosi volontari che nei primi momenti dell’invasione russa 33 mesi fa si offrirono per difendere il Paese, oggi tanti, tantissimi disertano o cercano di evitare la coscrizione. «L’handicap maggiore delle forze armate ucraine non sta tanto nella mancanza di armi o munizioni, piuttosto non hanno soldati. I veterani sono stanchi, esauriti. E i rimpiazzi arrivati dopo la promulgazione tardiva della legge sulla leva, tra aprile e giugno, sono troppo pochi e per la maggioranza dei casi non vanno bene, mancano di addestramento e motivazione», sostengono al Pentagono.
Lo stesso ministero degli Interni a Kiev ricorda che, tra i circa 8-10 milioni di ucraini emigrati all’estero dopo l’attacco russo, almeno 600.000 uomini tra i 25 e 60 anni non intendono tornare per combattere. Non a caso, ’amministrazione Biden ha di recente suggerito a Zelensky di abbassare l’età del reclutamento sino ai 18enni. Le conseguenze le abbiamo rilevate durante un recente reportage sul fronte presso Pokrovsk, la cittadina del Donbass contesa da tre mesi. «Non disponiamo di numeri sufficienti di soldati per tenere le postazioni. Per sopperire usiamo a man bassa i droni, specie quelli piccoli e leggeri disegnati per i blitz kamikaze. Ma non sempre vanno bene. I droni aiutano a difendere, però non funzionano per i contrattacchi veloci, dove le fanterie sono insostituibili», ci diceva Kostantin, un sergente maggiore quarantenne della 29esima Brigata dispiegata a fermare le pattuglie russe in avanscoperta.
I motivi delle diserzioni sono molti, oltre alla stanchezza generale del Paese. La gente odia le brutali retate della polizia a caccia di reclute, specie la tattica che chiamano «busificazione»: gli agenti salgono sugli autobus di linea e portano in caserma tutti i ritenuti abili. Sono però aspetti da raccontare tenendo conto che la democrazia ucraina tollera le critiche al governo e la descrizione delle difficoltà interne, che certamente esistono anche in Russia, ma dove la censura punisce le voci di coloro che si discostano dalla propaganda di regime.
Spiega il politologo Taras Semenyuk: «I veterani ucraini sono spietati contro la corruzione del Paese e non sopportano più che ci siano i benestanti che pagano per non fare il soldato, mentre i poveracci vanno a morire. C’è inoltre lo scontro generazionale tra i vecchi ufficiali formati al tempo dell’esercito sovietico e le reclute cresciute nella società aperta alle influenze occidentali». Anche per questo, Zelensky ha appena promulgato una nuova legge che facilità il ritorno nei ranghi dei disertori senza alcuna punizione e la possibilità di potere essere trasferiti in unità con comandanti diversi.
CorSera
...ma di noi
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popoli studiosi scriveranno
forse, tra mille inverni
«nessun vincolo univa questi morti
nella necropoli deserta»
In caso di chiamata generale alle armi, nessuno potrebbe sottrarsi...ma oggidì una eventualità simile è da escludersi, in quanto uno scenario bellico simile sarebbe impossibile a concretizzarsi perchè l'Italia fa parte della Nato e se subisse una aggressione interverrebbero le forze armate di quella alleanza.
L'Italia nel caso di un conflitto simile parteciperebbe con le sue forze armate professionistiche o al più pescando tra i volontari e al massimo tra gli arruolabili, cioè nè i 18enni e nemmeno i 60enni: questi riguarderebbero una "mobilitazione totale" che presupporrebbe uno scenario da catastrofe mondiale...che in quanto tale si risolverebbe in circa 30 minuti con la guerra nucleare.
Per lo scenario convenzionale basterebbero le forze armate in essere e la Nato.
...ma di noi
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«nessun vincolo univa questi morti
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In Ucraina nemmeno gli ucraini sono più disposti a morire per il Donbass (e meno che mai per la Crimea), si sono giustamente rotti le balle anche loro.
Bisogna solo prendere atto dello stato delle cose e tirare una linea e metterci un punto.
...ma di noi
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«nessun vincolo univa questi morti
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Il piano di Zelensky per la pace, sotto l'ombrello della Nato
L'aiuto americano è in bilico, l'Europa divisa, i russi avanzano. Il leader dell'Ucraina, però, accelera
Come terminare la «fase calda della guerra»? Si può raggiungere presto, «facendo entrare nella Nato le aree libere dell’Ucraina» e, nel frattempo, assicurandoci che «ancora la Nato riconosca la validità dei nostri confini internazionali, toccherà poi a noi ucraini nel futuro di riprenderne il controllo con mezzi diplomatici».
Per la prima volta dopo parecchio tempo. Volodymyr Zelensky torna ad ammettere pubblicamente la possibilità da parte sua di accettarel’occupazione temporanea della Russia di parte del territorio ucraino in cambio del cessate il fuoco e l’avvio di negoziati con Vladimir Putin. Il presidente ucraino ne ha parlato durante un’intervista a Sky News con toni che sono un misto di vecchio e relativamente nuovo, calibrati con grande attenzione per essere ascoltato da Donald Trump.
Era dalle fasi iniziali dell’invasione russa, nel febbraio 2022, che Zelensky quasi non parlava più di accettare l’occupazione di regioni ucraine in cambio del cessate il fuoco. Se ne era trattato ai colloqui di Istanbul sino ad aprile dello stesso anno. Allora Zelensky aveva proposto a Putin di «congelare» l’occupazione russa della Crimea e di parte del Donbass sui confini del 2014 per un quindicennio in cambio della pace. Ma in seguito il referendum imposto da Putin nel settembre 2022 per annettersi le regioni occupate (mai riconosciuto valido da larga parte della comunità internazionale) aveva spinto Zelensky a tornare su posizioni massimaliste, esigendo il pieno ritiro nemico sino ai confini del 1991 e persino la rimozione di Putin dal Cremlino.
Adesso sono le circostanze avverse a imprimere una ventata di pragmatismo: Trump spariglia le carte; l’aiuto americano è in serio pericolo; l’Europa resta divisa e incapace di sostituirsi agli Usa, mentre le truppe russe continuano ad avanzare nel Donbass e le città ucraine a essere bombardate. Le sue affermazioni richiedono almeno tre considerazioni.
Primo. Zelensky lancia messaggi di amicizia a Trump e prepara il terreno per il suo arrivo alla Casa Bianca il 20 gennaio. «Voglio parlare direttamente con lui, perché sono cresciute troppe voci a confondere le acque», spiega a Sky. La sua speranza resta quella di tessere un accordo. Il tempo incalza e l’incertezza domina come una cappa ingombrante su Kiev. A suo dire, l’ultimo incontro con Trump a New York in settembre era stato «ottimo, caloroso, costruttivo» e adesso «occorre prepararne un altro».
Secondo. Putin parla apertamente di «annessione legale» alla Federazione Russa delle terre occupate. Per Zelensky si tratta invece di una concessione solo temporanea. Stiamo parlando di circa il 20 per cento del territorio ucraino conquistato manu militari dai russi e i loro alleati nel Donbass a partire dal 2014. Putin sta cercando di fare avanzare le sue truppe il massimo possibile prima dell’insediamento di Trump, i confini sono dunque ancora in espansione.
Zelensky ne parla obtorto collo. In luglio, durante un’intervista con Le Monde, aveva accennato al fatto che per la Costituzione ucraina le terre occupate potrebbero diventare russe solo dopo un referendum tra i loro abitanti e ciò comporterebbe, prima del voto, il loro ritorno alla sovranità ucraina. Ma in questo caso vince il principio di realtà: Putin si terrà tutto ciò che riesce a prendere. Sia a Kiev che tra gli alleati nel campo occidentale sono ormai tutti ben consapevoli che l’unica speranza per Zelensky restano le garanzie che riesce a ottenere per il futuro.
Terzo. Da qui, l’insistenza del presidente ucraino sulla necessità che le regioni sotto il controllo di Kiev entrino ufficialmente a fare parte della Nato. La richiesta non è certamente nuova. Lui l’ha rilaneciata con forza al summit internazionale in Svizzera a metà giugno e quindi ribadita nei primi dei 10 punti del suo «piano di pace» avanzato a settembre. Anche oggi ai suoi occhi l’entrata del governo di Kiev nella Nato rappresenta la condizione necessaria per avviare le trattative. Ma proprio qui emergono le massime difficoltà. Putin è assolutamente contrario: esige che l’Ucraina, anche nella sua versione priva dei territori annessi alla Russia, sia «disarmata» e «neutrale».
E c’è di più: Trump a sua volta ha già ribadito di non volere l’Ucraina nella Nato, come del resto ha sempre sostenuto anche Joe Biden. La posizione è condivisa da larga parte dell’Alleanza Atlantica, con l’eccezione dei Paesi Baltici e della Polonia, che deve ancora deliberare con chiarezza. Durante le prossime settimane, Zelensky si troverà dunque nella posizione scomoda di dover cercare garanzie alternative all’opzione Nato e assillato dal timore che Trump parli direttamente con Putin.
CorSera
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«nessun vincolo univa questi morti
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Ci sono momenti nella storia in cui si viene improvvisamente superati dalla dinamo dello "spirito dei tempi", risucchiati dal vortice di quelle spirali storiche che, se non le prevedi o non le segui, ti riducono come il pulviscolo che si deposita sopra ai mobili accatastati in soffitta.
Zelensky è già un ferro vecchio, un attrezzo inutilizzabile, una presenza divenuta d'un tratto imbarazzante, come il vecchio zio rintontolito che alle ricorrenze in famiglia si fa finta di ascoltare per due minuti per poi dimenticarselo sull'angolo della tavola.
Ci si sveglia una mattina e la guerra è perduta, la musica è finita e gli amici se ne vanno.
L'ottundimento mentale del protagonista si evidenzia dal fatto che l'ultima carta che si vuol giocare il fu presidente ucraino è quella di chiedere la protezione della Nato, cioè di quegli "amici" che lo stanno lasciando per strada: "sono disposto a concedere ai russi tutto quello che si sono presi sul campo ma fatemi almeno entrare nella Nato", supplica di là dal fossato mentre il ponte levatoio si è alzato e i feudatari chiusi nel castello hanno abbandonato tra le steppe il villico, che sognava di farsi signorotto, al suo destino.
Ora dovrà stare attento ai suoi consanguinei, cioè a coloro (gli ultranazionalisti e fondamentalisti ucraini, quelli che i russi definisco i "nazisti") che a cedere intere regioni ai russi, veder ridotto, anzichè espanso, il sogno della "grande Ucraina", non ci stanno; e al clan di coloro che la guerra non la vogliono più e vorrebbero vivere in pace, tornare ad una "normalità".
Zelensky è un ferro vecchio per entrambi quei gruppi e ovviamente per l'occidente dalla lingua triforcuta, per questo fa già parte del mondo degli spettri.
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Joe Biden concede la grazia al figlio Hunter (che rischiava il carcere): «Contro di lui persecuzione mirata per colpire me»
Uno degli ultimi atti del presidente Usa è il «perdono» per il figlio. Rischiava fino a 25 anni in due processi per possesso illegale di un'arma e per evasione fiscale. L'ironia di Trump
«Oggi ho firmato la grazia per mio figlio Hunter». Lo ha scritto in un lungo comunicato diffuso domenica notte il presidente Usa uscente Joe Biden. Le ultime parole, alla fine, sono queste: «Spero che gli americani capiscano perché un padre e un presidente abbia preso questa decisione». Più volte Biden aveva assicurato che non avrebbe concesso la grazia a suo figlio, che è stato condannato lo scorso giugno per avere acquistato nel 2018 un’arma mentendo sull’uso di stupefacenti e che si è dichiarato colpevole in un altro processo per evasione fiscale. Rischiava fino a 25 anni di carcere nel primo caso e fino a 17 nel secondo: i verdetti erano attesi questo mese. «La grazia concessa da Joe a Hunter include gli ostaggi del 6 gennaio, che sono in carcere ormai da anni? - ha scritto Donald Trump sul suo social Truth. - Che abuso e fallimento della Giustizia».
Dopo aver trascorso con il figlio, i nipoti e il resto della famiglia la settimana del Ringraziamento, il presidente ha spiegato così la sua decisione: «Dal giorno del mio insediamento, ho detto che non avrei interferito con le decisioni del dipartimento di Giustizia e ho mantenuto la parola, anche se ho visto mio figlio perseguito in modo selettivo e ingiusto. Senza aggravanti come l’uso per un crimine, gli acquisti multipli o l’acquisto di un’arma come prestanome, le persone non vengono quasi mai processate per un crimine solamente per il modo in cui hanno compilato un documento d’acquisto di una pistola. Le persone che sono in ritardo nel pagare le tasse per via di gravi problemi di dipendenza ma che alla fine le pagano con interessi e multe, tipicamente ottengono un patteggiamento non penale. È chiaro che Hunter è stato trattato diversamente».
Joe Biden non ha solo perdonato suo figlio per i crimini commessi ma anche per quelli che «potrebbe aver commesso o ai quali potrebbe aver partecipato» nel periodo tra il 1 gennaio 2014 - quando Biden era vicepresidente - e il 1 dicembre 2024. I sostenitori di Trump sui social la additano come una ammissione di colpevolezza. Mentre quelli di Biden invece affermano che è un modo per proteggere suo figlio da future persecuzioni per motivi politici. In una dichiarazione trasmessa ai giornalisti via e-mail Hunter ha dichiarato nella notte che non darà mai per scontata la grazia ricevuta e che dedicherà la vita «ad aiutare coloro che sono ancora malati e soffrono». Ha aggiunto: «Ho ammesso le mie responsabilità per gli errori che ho commesso nei giorni più bui della dipendenza, errori che sono stati pubblicamente usati per umiliare me e la mia famiglia per motivi politici».
Il giornalista del Watergate Bob Woodward aveva preannunciato a ottobre, in un'intervista al Corriere, che sarebbe finita così: «Biden ha detto a un amico che si sente in colpa, che se non fosse presidente non sarebbe accaduto a Hunter, l’ha detto con dolore. E io penso che alla fine potrebbe concedere la grazia presidenziale a suo figlio, anche se ha detto che non lo farà. Ho studiato Biden per anni: potrebbe farlo. Il legame con la famiglia è così forte. Lo attaccheranno se lo fa, ma forse tanti nel partito repubblicano lo capiranno». È la conclusione di una lunga saga che ha accompagnato la presidenza di Biden e la campagna elettorale del 2024. Le parole di Biden tuttavia possono anche avere l’effetto di contribuire alla sfiducia nella Giustizia americana, alimentata per anni dal suo rivale Donald Trump, eletto nonostante i molteplici guai giudiziari. «Le accuse in questo caso – scrive Biden – sono giunte soltanto dopo che diversi dei miei rivali politici al Congresso le hanno istigate ad attaccarmi e per opporsi alla mia elezione. Poi, un patteggiamento attentamente negoziato che il dipartimento di Giustizia aveva accettato, è stato disfatto in un’aula di tribunale, con un numero di miei rivali politici al Congresso che si prendevano il merito di aver fatto pressione politica. Se il patteggiamento fosse andato in porto, ci sarebbe stata una risoluzione giusta e ragionevole dei casi di Hunter».
E poi, prosegue il presidente uscente: «Nessuna persona ragionevole che guarda ai fatti può giungere ad una conclusione diversa da quella che Hunter sia stato preso di mira solo perché è mio figlio. E questo è sbagliato. C’è stato un tentativo di spezzare Hunter, che da cinque anni e mezzo non ha fatto uso di droghe nonostante gli attacchi incessanti e i procedimenti selettivi contro di lui. Nel cercare di spezzare Hunter, hanno cercato di spezzare me, e non c’è ragione per credere che si fermeranno qui. Quel che è troppo è troppo. Nel corso della mia intera carriera ho seguito un semplice principio: dire al popolo americano la verità. Saranno imparziali. Ecco la verità: credo nel sistema giudiziario, e pur essendo combattuto credo anche che la crudezza della politica abbia infettato questo processo e portato ad un errore giudiziario – e una volta che ho preso questa decisione nel fine settimana, non aveva senso rimandarla ulteriormente».
«Joe Biden ha mentito dall'inizio alla fine». È il commento del rappresentante Repubblicano della Camera James Comer, presidente della commissione di vigilanza, all'annuncio del presidente degli Stati Uniti di graziare il figlio Hunter, atteso da due sentenze nelle prossime due settimane. Comer per anni ha cercato senza successo di legare gli affari di Hunter Biden a quelli del padre. Anche tra i democratici tuttavia giunge qualche critica a Biden. Il governatore del Colorado Jared Polis, democratico ma anche favorevole alla nomina di Robert Kennedy come ministro della Sanità (seppure in disaccordo con lui sui vaccini), ha scritto su X: «Come padre certamente capisco il desiderio naturale del presidente Biden di aiutare suo figlio concedendogli la grazia, ma sono deluso dal fatto che abbia messo la sua famiglia davanti al paese. Questo è un brutto precedente che può diventare oggetto di abuso da altri presidenti e tristemente macchiare la sua reputazione. Quando diventi presidente il tuo ruolo è di pater familias della nazione. Hunter ha causato a se stesso quei guai giudiziari e si può simpatizzare con le sue difficoltà ma anche riconoscere che nessuno è al di sopra della legge, nemmeno il figlio di un presidente».
CorSera
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Ripugnante, respingente e sfacciatissima decisione di nepotismo come nemmeno nei regimi dittatoriali più beceri, con un presidente che per salvare il figlio (reo confesso tra l'altro) sbugiarda la magistratura americana, dà uno schiaffo alla parità ed uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e pone il criminal suo bamboccio al di sopra della stessa.
Saranno contenti gli americani, in specie tutti quelli in galera per reati simili.
Quindi quando Trump accusava il sistema giudiziario di perseguitarlo - sotto campagna elettorale - per cause politiche, per l'amministrazione Biden egli stava delirando e meritava la galera; adesso Biden ci dice che il figlio è stato uno strumento che il sistema giudiziario ha usato per "attaccare la mia persona"...quando però già era presidente e con reati commessi prima che il padre diventasse presidente, molto prima.
Pagliacciata che dà uno schiaffo a tutto il sistema giudiziario americano e che invita i cittadini a non fidarsi della legge e certifica che, al contrario di quanto afferma la loro costituzione, i cittadini americani non sono tutti uguali...perchè c'è qualcuno più uguale degli altri e che, grazie ad un atto regio, si metterà il chiulo al sicuro invece di andarsene in galera.
...ma di noi
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