Ucraina, le difficili strade per trattare una pace
Washington punta sull’arrivo degli aiuti militari per contenere i russi mentre Kiev ammette che la guerra non può finire con una vittoria. La strategia di Parigi e le pressioni su Xi prima della conferenza in Svizzera
di Giuseppe Sarcina
Il fattore decisivo resta il tempo. Il governo americano sta iniziando a consegnare i mezzi militari finanziati con il provvedimento da 61 miliardi di dollari, appena approvato dal Congresso. Secondo il Consigliere per la sicurezza Usa, Jake Sullivan, dovrebbero consentire all’esercito di Volodymyr Zelensky di reggere per tutto il resto del 2024. Ma le notizie che arrivano dal fronte sembrano mettere in dubbio le sicurezze americane. Specie ora che il generale ucraino Vadym Skibitsky ha dichiarato all’Economist: «Non c’è modo di vincere la guerra sul campo di battaglia; il conflitto può terminare solo con dei trattati». Una frase che ha spostato, come è accaduto ciclicamente negli ultimi due anni, l’attenzione sulla possibilità di un negoziato con Vladimir Putin, tanto più che il 15 e il 16 giugno è in programma «la Conferenza ad alto livello per la pace», organizzata nella cittadina svizzera di Lucerna dalla presidente della Confederazione elvetica, Viola Amherd.
All’evento stanno lavorando da mesi le diplomazie occidentali, in stretto coordinamento con Kiev. La presidente Amherd ha invitato circa 160 Paesi: praticamente tutto il mondo tranne la Russia. L’idea è raccogliere il consenso più ampio possibile su uno schema da cui partire per la trattativa, coinvolgendo anche la Cina. Finora Xi Jinping ha prodotto solo parole per la pace. Da mesi gli americani stanno cercando di stanarlo, di convincerlo a esercitare pressioni su Putin.
L’atteggiamento di Xi Jinping, quindi, rimane cruciale. Ma a poche settimane dalla Conferenza, i segnali sono confusi. Il 16 aprile scorso, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, in visita a Pechino, aveva scritto su X (ex Twitter) che Xi Jinping «era d’accordo a promuovere la conferenza ad alto livello in Svizzera». A oggi, però, non è ancora sicuro che i cinesi saranno presenti a Lucerna. Xi Jinping aveva posto come condizione che venissero ammessi anche i russi. Il tema sarà al centro del vertice tra il presidente francese Emmanuel Macron, la numero uno della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e lo stesso Xi, in programma domani a Parigi. Al momento l’ipotesi più quotata è che il leader cinese invierà una delegazione di basso rango diplomatico in Svizzera.
Fin qui le manovre in superficie. Ma il percorso verso la trattativa è ostruito da una questione politica che lo schieramento occidentale non ha ancora risolto, pur discutendone dall’inizio della guerra. Tutti sono d’accordo su un punto: Putin è un interlocutore inaffidabile, che accetterà di negoziare solo quando sarà costretto a farlo dai rovesci militari sul campo. Ma ora lo scenario potrebbe essere diverso: che cosa fare se l’Armata russa, come dice il generale ucraino Skibitsky, non potrà essere sconfitta? La domanda divide i Paesi alleati di Zelensky. La Casa Bianca pensa, non da oggi in verità, che l’esercito ucraino debba essere messo nelle condizioni di resistere il più possibile. Quindi più armi, più addestramento, più intelligence. E con la massima urgenza. Il conflitto, però, deve restare circoscritto e non deve coinvolgere soldati americani. La strategia è condivisa dalla Germania e da molti Paesi europei, Italia compresa. Al Pentagono, come nel quartier generale della Nato a Bruxelles, si immagina che non ci saranno possibilità per negoziare almeno per tutto il 2024.
La strategia americana è considerata insufficiente da un gruppo cospicuo di Paesi. E, anche in questo caso, non da ora. Bisogna tornare indietro al vertice della Nato il 23 marzo 2022, cioè un mese dopo l’invasione dell’Ucraina. In quell’occasione Polonia, Lettonia, Estonia e Lituania, ma anche il Regno Unito e la Norvegia, chiesero di mandare a Putin un segnale ambiguo: l’Alleanza atlantica non esclude l’intervento in caso di emergenza. All’epoca si temeva che Mosca potesse usare le armi nucleari tattiche. Oggi il pericolo è lo sfondamento delle difese da parte dei russi. L’uscita di Macron va in questa direzione: siamo pronti a mandare i nostri soldati, non aspetteremo che le truppe russe dilaghino in Ucraina. Il presidente francese, pertanto, non è così isolato come può sembrare. Il suo teorema fa parte di un repertorio classico: provare ad aprire la trattativa, coinvolgendo i cinesi e mettendo il fucile sul tavolo. Per ora le due strategie, quella americana e quella polacco-francese, hanno convissuto. Ma in caso di disfatta ucraina, giungerebbe il momento della scelta più difficile: patteggiare, fosse anche la resa, oppure allargare lo scontro. Un bivio che Biden sta cercando di evitare in ogni modo.
CorSera
Washington punta sull’arrivo degli aiuti militari per contenere i russi mentre Kiev ammette che la guerra non può finire con una vittoria. La strategia di Parigi e le pressioni su Xi prima della conferenza in Svizzera
di Giuseppe Sarcina
Il fattore decisivo resta il tempo. Il governo americano sta iniziando a consegnare i mezzi militari finanziati con il provvedimento da 61 miliardi di dollari, appena approvato dal Congresso. Secondo il Consigliere per la sicurezza Usa, Jake Sullivan, dovrebbero consentire all’esercito di Volodymyr Zelensky di reggere per tutto il resto del 2024. Ma le notizie che arrivano dal fronte sembrano mettere in dubbio le sicurezze americane. Specie ora che il generale ucraino Vadym Skibitsky ha dichiarato all’Economist: «Non c’è modo di vincere la guerra sul campo di battaglia; il conflitto può terminare solo con dei trattati». Una frase che ha spostato, come è accaduto ciclicamente negli ultimi due anni, l’attenzione sulla possibilità di un negoziato con Vladimir Putin, tanto più che il 15 e il 16 giugno è in programma «la Conferenza ad alto livello per la pace», organizzata nella cittadina svizzera di Lucerna dalla presidente della Confederazione elvetica, Viola Amherd.
All’evento stanno lavorando da mesi le diplomazie occidentali, in stretto coordinamento con Kiev. La presidente Amherd ha invitato circa 160 Paesi: praticamente tutto il mondo tranne la Russia. L’idea è raccogliere il consenso più ampio possibile su uno schema da cui partire per la trattativa, coinvolgendo anche la Cina. Finora Xi Jinping ha prodotto solo parole per la pace. Da mesi gli americani stanno cercando di stanarlo, di convincerlo a esercitare pressioni su Putin.
L’atteggiamento di Xi Jinping, quindi, rimane cruciale. Ma a poche settimane dalla Conferenza, i segnali sono confusi. Il 16 aprile scorso, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, in visita a Pechino, aveva scritto su X (ex Twitter) che Xi Jinping «era d’accordo a promuovere la conferenza ad alto livello in Svizzera». A oggi, però, non è ancora sicuro che i cinesi saranno presenti a Lucerna. Xi Jinping aveva posto come condizione che venissero ammessi anche i russi. Il tema sarà al centro del vertice tra il presidente francese Emmanuel Macron, la numero uno della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e lo stesso Xi, in programma domani a Parigi. Al momento l’ipotesi più quotata è che il leader cinese invierà una delegazione di basso rango diplomatico in Svizzera.
Fin qui le manovre in superficie. Ma il percorso verso la trattativa è ostruito da una questione politica che lo schieramento occidentale non ha ancora risolto, pur discutendone dall’inizio della guerra. Tutti sono d’accordo su un punto: Putin è un interlocutore inaffidabile, che accetterà di negoziare solo quando sarà costretto a farlo dai rovesci militari sul campo. Ma ora lo scenario potrebbe essere diverso: che cosa fare se l’Armata russa, come dice il generale ucraino Skibitsky, non potrà essere sconfitta? La domanda divide i Paesi alleati di Zelensky. La Casa Bianca pensa, non da oggi in verità, che l’esercito ucraino debba essere messo nelle condizioni di resistere il più possibile. Quindi più armi, più addestramento, più intelligence. E con la massima urgenza. Il conflitto, però, deve restare circoscritto e non deve coinvolgere soldati americani. La strategia è condivisa dalla Germania e da molti Paesi europei, Italia compresa. Al Pentagono, come nel quartier generale della Nato a Bruxelles, si immagina che non ci saranno possibilità per negoziare almeno per tutto il 2024.
La strategia americana è considerata insufficiente da un gruppo cospicuo di Paesi. E, anche in questo caso, non da ora. Bisogna tornare indietro al vertice della Nato il 23 marzo 2022, cioè un mese dopo l’invasione dell’Ucraina. In quell’occasione Polonia, Lettonia, Estonia e Lituania, ma anche il Regno Unito e la Norvegia, chiesero di mandare a Putin un segnale ambiguo: l’Alleanza atlantica non esclude l’intervento in caso di emergenza. All’epoca si temeva che Mosca potesse usare le armi nucleari tattiche. Oggi il pericolo è lo sfondamento delle difese da parte dei russi. L’uscita di Macron va in questa direzione: siamo pronti a mandare i nostri soldati, non aspetteremo che le truppe russe dilaghino in Ucraina. Il presidente francese, pertanto, non è così isolato come può sembrare. Il suo teorema fa parte di un repertorio classico: provare ad aprire la trattativa, coinvolgendo i cinesi e mettendo il fucile sul tavolo. Per ora le due strategie, quella americana e quella polacco-francese, hanno convissuto. Ma in caso di disfatta ucraina, giungerebbe il momento della scelta più difficile: patteggiare, fosse anche la resa, oppure allargare lo scontro. Un bivio che Biden sta cercando di evitare in ogni modo.
CorSera
Commenta