Emergenza Coronavirus: thread unico.

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    Ilaria Capua: «Le stime sul coronavirus? Tutte sbagliate. Ecco che cosa ci aspetta»

    Che cosa ci aspetta? Ma l’estate aiuterà a ridurre il contagio? E in autunno ci sarà una seconda ondata? Quante volte lo sento chiedere, percepisco lo smarrimento e vorrei avere più certezze per voi. Ma io sapevo che una pandemia sarebbe prima o poi arrivata e che una pandemia ci avrebbe trattato come degli animali. Un morbo che falcia soprattutto i più deboli e ci sorprende ogni giorno quando ci ricorda che la nostra esistenza è ancorata sulla terra ed alle sue leggi naturali. Ci lascia sgomenti.


    I tempi della scienza

    Noi questo virus lo conosciamo da poco, in Italia da metà febbraio quindi sì e no da due mesi. Sono tante, tantissime le cose che non sappiamo e su cui molti si interrogano e purtroppo la scienza ha tempi lunghi, lunghissimi per arrivare alle sue certezze relative. Un mare di incertezza ci avvolge e ci disorienta. Non sappiamo neanche quanto l’infezione abbia circolato e si sia diffusa in Italia perché i campionamenti non sono rappresentativi e le procedure non armonizzate. Quindi ogni stima è soltanto una stima e come tale intrinsecamente sbagliata — bisogna solo capire di quanto.



    Il ripopolamento

    Ma c’è qualcosa che sappiamo. Sappiamo che il distanziamento fisico e le misure di igiene personale e pubblica aiutano ad appiattire la curva quindi a ridurre la velocità del contagio. Ma una curva più piatta non significa blocco della diffusione virale, significa riduzione della circolazione virale. Quindi è chiaro che il virus continuerà a circolare in maniera «visibile» — ovvero provocando i casi clinici fino a quando non si stabilirà l’immunità di gregge, naturale o da vaccinazione. Sappiamo che le persone anziane e con altre comorbidità sono più a rischio di sviluppare una forma grave e morire. Sappiamo anche che nella stragrande maggior parte dei bambini il passaggio virale è asintomatico e che si ammalano solo i bimbi con altre comorbidità. Non sappiamo ancora se le donne hanno realmente un rischio inferiore ai coetanei maschi di sviluppare una forma grave della malattia. Da alcuni dati sembrerebbe eclatante da altri meno, ma io mi azzardo a dire che le donne hanno probabilmente un rischio uguale o inferiore di morire o di sviluppare una malattia grave rispetto agli uomini. Quindi il ripopolamento basato almeno sulla parità di genere avrebbe senso. Sappiamo che ci sono diversi farmaci e protocolli terapeutici innovativi che ci permettono di affinare la cura, ma non credo proprio che si arriverà in tempi brevi a una commercializzazione nelle farmacie ma piuttosto verranno usati per i pazienti ricoverati.


    La riflessione

    Eppoi, la panacea, il vaccino che di certo non sarà disponibile almeno fino alla fine dell’anno. Non sappiamo né quanto ce ne sarà né se poi gli italiani lo utilizzeranno, visti i precedenti. Incertezza sull’incertezza.

    Cosa ci aspetta?

    Insomma, cosa ci aspetta? Ci aspetta una riflessione personale, di famiglia e di team di lavoro o di gruppo di svago. Ormai qui non è questione di goccioline o mascherine. È questione di adattare quello che sappiamo sulla prevenzione del Covid-19 alla nostra vita quotidiana per evitare di finire in ospedale noi stessi e fare in modo che non ci finiscano i nostri cari. Perché l’obiettivo prioritario del Paese deve essere quello di far tornare gli ospedali a regimi gestibili, e di recuperare l’arretrato. Non possiamo permetterci un’altra catastrofe con le bare nelle palestre e i morti che non si riescono più a contare. Per forza di cose dovremo ripensare ai nostri regimi organizzativi ed intrattenitivi. Arriveranno grandi cambiamenti sul fronte lavoro che dobbiamo essere pronti ad accogliere con una mentalità nuova, diversa. Il vuoto delle strade e delle piazze che ci separa dalle nostre abitudini del passato fiorirà di nuove sfide e opportunità che dovremo cogliere nella assoluta certezza che saremo noi che dovremo adattarci al coronavirus e non il contrario.



    Il vaccino non sarà disponibile almeno fino alla fine dell’anno. Le nuove cure non saranno in vendita nelle farmacie ma verranno usate solo per i ricoverati. La curva dei contagi sarà più piatta ma il virus continuerà a circolare in modo «visibile»
    ...ma di noi
    sopra una sola teca di cristallo
    popoli studiosi scriveranno
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    «nessun vincolo univa questi morti
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    C. Campo - Moriremo Lontani


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      Coronavirus, il matematico Sebastiani: «Il contagio ha viaggiato sui Tir in autostrada»

      E’ il risultato di uno studio del matematico Giovanni Sebastiani: «La diffusione è maggiore vicino ai grandi nodi autostradali»

      «Il virus ha viaggiato in autostrada» è il teorema di Giovanni Sebastiani, ricercatore dell’Istituto per le applicazioni del calcolo «Mauro Picone», del Cnr, che ha appena pubblicato sul tema un articolo sul sito Scienzainrete.

      E come ha viaggiato il virus in autostrada?
      «Probabilmente si è spostato col traffico degli autotrasportatori e sarebbe interessante verificare la frequenza dei contagi in questa categoria. Meno probabile che il veicolo siano state le automobili private. Siamo giunti a queste conclusioni sulla base di due evidenze».


      Quale è la prima?
      «Abbiamo osservato all’interno della penisola la distribuzione delle province più colpite in termini di contagi. Si distribuivano tutte quante su 4 direttrici autostradali di carattere internazionale: la E35 da Milano a Napoli (meglio conosciuta come A1), la E70 da Torino a Venezia, poi altre due direttrici più brevi ma caratterizzate da grande traffico, la A22 Modena-Trento-Bolzano, infine la E55 da Bologna ad Ancona. Il 5 aprile solo le province di Piacenza e Cremona superavano l’1% dei contagiati. Il capoluogo della prima si trova nell’intersezione tra E35 e E70, per la seconda a 40 chilometri dal primo lungo la E70. Non è casuale che siano posizionate lungo arterie così trafficate».

      La seconda evidenza?
      «Abbiamo determinato la distribuzione nello spazio delle province più colpite che hanno avuto la stessa evoluzione nazionale raddoppiando il numero dei positivi osservati in certe date dal 6 al 25 marzo, giorno di massima velocità di propagazione. Tra esse troviamo Milano, Venezia e Pesaro, lontane tra loro ma unite da grandi direttrici».

      Lavora pure sulla letalità?
      «Quella apparente — vale a dire il numero di morti diviso per il numero totale dei contagiati, in pratica sottostimati — è superiore al 12% con variazioni notevoli. Ad esempio il Veneto, tra le più colpite come numero di contagiati, è sotto il 6% ed anche per mortalità è un ottavo della Lombardia che ha letalità attorno al 18%. Le differenze tra le province sono ancora maggiori. È difficile spiegare la causa di queste diversità. Per quanto riguarda il Veneto credo che il grado di ospedalizzazione possa essere una delle spiegazioni. Qui la percentuale dei ricoverati è stata la metà della Lombardia, significa che sono state fatte scelte strategiche molto buone e che la fase emergenziale è stata meglio gestita evitando che i pazienti non Covid-19 arrivassero nei nosocomi, dove le infezioni trovano terreno fertile».

      Ha pubblicato sl «European Journal of Epidemiology lo studio di un modello matematico per quantificare l’epidemia. Conferma la frenata?
      «Fino a ieri 98 province sul totale delle 107 italiane avevano superato il picco. Col nostro modello possiamo prevedere quando arriveremo alla stabilizzazione della curva o quando il tasso dei contagiati sarà sceso a livelli trascurabili. Le posso dire che, molto probabilmente, Perugia entro una settimana avrà controllato l’epidemia e che da fine aprile a fine maggio in tutte le regioni il numero dei nuovi casi al giorno sarà prossimo allo zero».



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        Coronavirus, l’Rsa di Brugherio. La disperata telefonata: «Sono rimasto l’unico medico tra gli anziani che muoiono»

        L’appello del medico dalla casa di riposo «Villa Paradiso» di Brugherio al numero d’emergenza: «Non possiamo dare neanche cure minime»

        «Sono rimasto solo. Ho bisogno d’aiuto». Ore 11 di ieri mattina, la chiamata parte da un telefono di «Villa Paradiso», casa di riposo a Brugherio, tra Monza e Milano. È una telefonata insolita. Il dottore chiama il numero d’emergenza, ma non è (solo) di un singolo soccorso che ha bisogno. Spiega: «Un anziano è morto. Altri sono in crisi. Io qui sono rimasto praticamente solo, c’è qualche operatore. Così non possiamo più assisterli. Non possiamo più assicurare le cure minime». Le fratture di solitudine del coronavirus non si aprono soltanto nelle esistenze degli anziani che stanno morendo a centinaia lontani dalle loro famiglie, negli ospedali e nelle case di riposo. C’è anche la solitudine di questa chiamata che arriva da una Rsa che ospita una cinquantina di anziani: dove oltre agli ospiti si sono infettati i medici, gli infermieri, gli operatori. Tamponi «positivi», febbri, quarantene, assenze per malattia. Quella chiamata è un gesto estremo di responsabilità di fronte alla possibile deriva dell’abbandono. E forse non è un caso che sia stata fatta al 112, il numero d’emergenza.

        Poco dopo le 11 i soccorritori arrivano con mezzi e ambulanze; si bardano con le protezioni; entrano nella palazzina. Un anziano è da poco morto nel suo letto. Un altro fa una tale fatica a respirare potrebbe non passare la giornata. Altri quattro o cinque sono tra le «condizioni disperate» e il «fin di vita». Molti altri sono comunque malati. Febbri e tossi. Vengono allertati i carabinieri. Viene chiamata l’Ats. Viene investito del problema il Comune, con il sindaco Marco Troiano che segue l’evoluzione della crisi ora dopo ora. Nel pomeriggio, viene data notizia alla prefettura di Monza. È una di quelle situazioni in cui la parola catastrofe trova un senso definitivo, e come a volte accade le catastrofi più nere sono quelle che si consumano nelle «periferie». «Villa Paradiso» a Brugherio non è il «Trivulzio» di Milano, che attira l’attenzione e sguardi anche perché resta carico di un’eco politica.


        A Brugherio il pomeriggio passa così: «L’Ats sta cercando altro personale — racconta poco dopo le 17 il sindaco al Corriere — probabilmente sarà necessario programmare anche dei trasferimenti». Trasferimenti vuol dire di fatto allontanamento degli anziani contagiati dal coronavirus, perché non possono più restare in una casa di riposo dove il personale s’è ammalato e chi s’è salvato non può più reggere: iniziano ieri sera, con le prime ambulanze che caricano gli anziani e li spostano in altre strutture. Nelle piccole Rsa medici, infermieri e direttori spesso sono stati travolti dall’epidemia senza riuscire a reagire, abbandonati per settimane dalle autorità sanitarie che guardavano agli ospedali senza pensare che le case di riposo avrebbero potuto trasformarsi in cimiteri. È quel che sta accadendo.

        Dall’interno di «Villa Paradiso» nei giorni scorsi è circolato un messaggio ai parenti di una operatrice assistenziale: «Carissimi, vi comunico che la situazione in struttura è precipitata.La maggior parte del personale è ammalato. Sono rimaste una manciata di operatrici, che eroicamente fanno quel che possono. La signora E. e il signor R. sono presenti anche loro 24 su 24. Molti ospiti si sono ammalati. Se le telefonate sono diminuite è perché davvero ho poco tempo. Cerco di fare il possibile per tenevi in contatto, ma davvero è dura. Se potete chiedete aiuto anche voi... alle istruzioni, a qualcuno».




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          Coronavirus, gli oltre 100 preti morti per dare conforti a malati e ultimi

          Da Nord a Sud, il dolente elenco dei lutti tra i religiosi: parroci che sino alla fine hanno voluto stare accanto ai fedeli. Don Giosuè tra gli anziani, don Fausto tra i clochard


          Erano preti così, come don Francesco Nisoli, cremonese, 71 anni, trenta dei quali trascorsi come missionario in Brasile. O come don Paolo Camminati, 55 anni, il ««Camo», piacentino con la chitarra sempre appresso, un passato di giocatore di rugby e un presente in cui stava progettando un ostello per lavoratori precari da ospitare in parrocchia. O come don Mario Cavalleri, 104 anni e fondatore, ancora a Cremona, della «Casetta», realtà d’accoglienza per poveri, tossicodipendenti, senza dimora. Sacerdoti sempre in mezzo alla gente, tra gli ultimi, falcidiati dal coronavirus (leggi i dati riguardanti l’Italia di sabato 11 aprile). Dal Venerdì Santo sono diventati 105. Lo stesso Francesco li ha ricordati durante i riti della Pasqua, ha parlato di «crocifissi» e «santi della porta accanto», preti, religiosi e suore che «hanno dato la vita per amore», come i medici e gli infermieri. Ma il bilancio totale dei morti tra i religiosi è ancora più drammatico: il calcolo non tiene conto di frati e missionari e l’elenco di monache e consacrati è almeno altrettanto lungo.

          Il centesimo morto

          Solo nella diocesi di Bergamo, la più colpita in Italia, ai 25 sacerdoti «secolari» uccisi dalla pandemia si aggiungono 14 religiosi e addirittura 84 suore «defunte in questo tempo di pandemia». Il centesimo prete, ha calcolato il quotidiano dei vescovi Avvenire, è morto a Pesaro, si chiamava don Marcello Balducci e aveva 61 anni. Anche lui, nonostante avesse da tempo problemi di salute, è rimasto «in servizio» fino alla fine. Tra i fedeli, a dare conforto ai parrocchiani. Volti e storie dei sacerdoti vittime del virus raccontano, come un epicedio, la storia di tanti preti che hanno finito per contagiarsi perché, semplicemente, hanno continuato a stare vicino alla loro gente come avevano fatto per tutta la vita. Don Fausto Resmini, morto a 67 anni in terapia intensiva a Como, aveva creato una comunità per minori, era stato cappellano del carcere, procurava cibo, medicine e coperte per i clochard della stazione di Bergamo, girava la notte in camper, e aiutava poveri, anziani e migranti.

          «Mago allegria»

          Padre Giosuè Torquati dehoniano, era nato a Bergamo nel 1938. Lo chiamavano «Mago allegria» perché animava spettacoli con giochi di prestigio in oratori, parrocchie, scuole e case di riposo, diceva che Dio «non vuole salici piangenti». A Milano — la diocesi è stata colpita da dodici lutti — don Giancarlo Quadri, 76 anni, era stato scelto dal cardinale Martini per guidare la pastorale dei migranti. A 83 anni, don Giuseppe Fadani, uno dei sette preti morti nella diocesi di Parma, era ancora parroco a Carignano e seguiva altre cinque parrocchie. A Vittorio Veneto don Corrado Forest, 80 anni, ordinato dall’allora vescovo Albino Luciani, aveva detto in ospedale: «Non è male che anche qualche prete prenda questa malattia, per condividere ciò che stanno vivendo tante altre persone».




          Il 45enne

          Tanti preti sono morti anche al Centro e al Sud. Uno dei più giovani, il quarantacinquenne Alessandro Brignone, era parroco a Caggiano (diocesi di Acerra). Oppure Silvio Buttitta, 83 anni, palermitano, un prete di borgata. E ancora: Gioacchino Basile, 60 anni, era di Reggio Calabria, ma è morto nel quartiere di Brooklyn, a New York, dove era parroco. Tra le vittime del Covid anche Remo Rota, 77 anni, lecchese. Per 38 anni in Congo, di sé diceva, con semplicità: «Ho fatto di tutto, spero di aver fatto bene anche il prete, con i miei difetti».

          Da Nord a Sud, il dolente elenco dei lutti tra i religiosi: parroci che sino alla fine hanno voluto stare accanto ai fedeli. Don Giosuè tra gli anziani, don Fausto tra i clochard
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          • DR. Vethonso
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            Sono state aggiornate le informazioni sui farmaci utilizzabili per il trattamento del COVID-19 con una nuova scheda contenente le prove di efficacia e sicurezza disponibili al momento sull'uso delle eparine a basso peso molecolare.

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              Record di nuovi casi in Russia
              Record di nuovi casi di coronavirus in Russia: l’agenzia Tass rende noto che sono stati segnalati 2.186 nuovi contagi nelle ultime 24 ore, portando il totale a 15.770. Il numero delle vittime è salito a 130, con un aumento anche nelle 24 ore. L’epicentro è Mosca, che ha oltre 10.000 casi, di cui oltre 1.300 registrati nelle ultime 24 ore.

              Von der Leyen: «Anziani isolati fino a fine anno»
              Le persone anziane potrebbero dover rimanere isolamento «fino alla fine dell’anno» per evitare ogni rischio di contrarre il coronavirus. Lo ha detto la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen in un’intervista al quotidiano tedesco Bild in edicola oggi. «So che è difficile, che l’isolamento è un peso ma è una questione di vita o di morte. Dobbiamo essere disciplinati e rimanere pazienti», ha sottolineato, invitando anche ad «aspettare a prenotare le ferie estive». E ha concluso: «Sono pronta ad agire, se i provvedimenti presi in Ungheria supereranno la misura», riferendosi ai pieni poteri che il premier Viktor Orban si è fatto attribuire dal Parlamento per affrontare il coronavirus.

              Usa, 1.920 morti nelle ultime 24 ore
              Altre 1.920 persone sono morte a causa del coronavirus nelle ultime 24 ore negli Usa, che superano così la soglia dei 20.000 morti e diventano il primo Paese al mondo per numero di vittime. Secondo gli ultimi aggiornamenti della Johns Hopkins University di Baltimora, i deceduti negli Usa sono 20.506 ovvero oltre mille in più che in Italia, dove sono 19.46

              «Personalmente penso che si possa fare una riflessione per posporre la riapertura delle scuole al prossimo anno». Lo ha affermato il presidente del...
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                Coronavirus, a Milano positivi e morti ancora in aumento: cosa sta succedendo e cosa cambia ora?

                Sono 520 i nuovi casi in provincia, la metà a Milano. Positività raddoppiate. Decessi: più 87% sul 2019. «Numeri altalenanti, la battaglia non è ancora finita»

                La battaglia di Milano è tutt’altro che vinta. I contagi da coronavirus continuano a oscillare, la mortalità rimane alta, soprattutto tra gli anziani. «Milano merita sempre attenzione» spiega l’assessore regionale alla Sanità Giulio Gallera, che annuncia inoltre un raddoppio del periodo di quarantena per i positivi al virus. Il bollettino giornaliero riporta 520 nuovi casi nella Città metropolitana, 262 solo a Milano. Un dato quasi raddoppiato rispetto a quello di venerdì, in cui si vedeva un incremento di 269 persone positive nella provincia e di 127 in città. «Non c’è un calo netto e deciso nei contagi — sottolinea l’assessore — quindi non rilassiamoci, restiamo a casa. Per quanto possibile limitiamo al minimo anche le uscite per andare a fare la spesa». Mentre in altre città si nota una costante discesa, per Milano non è così. Si teme una nuova ondata. «La linea un giorno scende e un giorno sale — continua Gallera —. Non è dunque finita, dobbiamo resistere anche in vista dei ponti che ci separano dalla data fissata del 3 maggio».

                Il bilancio

                I numeri milanesi incidono sull’andamento regionale. Sono 1.544 i nuovi casi in Lombardia, ora a quota 57.592, 12.026 le persone ricoverate (più 149), mentre si svuotano i letti di terapia intensiva (meno 28, ne rimangono occupati 1.174). Aumentano invece i decessi: sono 10.511 i lombardi morti a causa del virus, 273 in più rispetto a ieri. Su Milano, la mortalità a confronto con lo stesso periodo del 2019 è cresciuta dell’87 per cento dall’inizio dell’epidemia. Lo certifica il terzo rapporto del Sistema nazionale di sorveglianza della mortalità giornaliera . L’incremento è visibile soprattutto nelle fasce d’età 75-84 e tra gli over 85. In città i grandi anziani morti tra il 28 marzo e il 3 aprile sono 361, contro i 294 della settimana precedente. E se la forte crescita sembra essersi stabilizzata, il report indica anche che i dati più recenti potrebbero essere sottostimati. Il trend milanese è influenzato dai numerosissimi decessi che si stanno registrando in alcune residenze sanitarie assistenziali (Rsa). La Procura sta indagando e la Regione ha istituito una commissione per approfondire il tema.


                Verso la ripartenza

                Il Pirellone sta affrontando un altro nodo cruciale per la ripartenza. Come raccontato nei giorni scorsi, chi contrae il coronavirus rimane positivo anche dopo i 14 giorni senza sintomi finora stabiliti come quarantena. Claudio Colosio, docente di Medicina del lavoro in Statale e Responsabile della Unità operativa ospedaliera degli ospedali San Paolo e San Carlo, spiega che nelle due strutture tra i medici e gli infermieri che hanno contratto l’infezione solo il 30 per cento è negativo al test dopo due settimane. Addirittura, il primo rianimatore risultato positivo non si è ancora negativizzato dopo 40 giorni.


                Il «sommerso»

                Il problema, come sottolineato dalla Federazione dei medici di medicina generale, è ancor più rilevante per tutti quei casi sommersi, che si sono curati o si stanno curando a casa ma non hanno un tampone che certifichi l’inizio né tantomeno la fine della contagiosità e possono diventare così un pericolo per gli altri, specie con la ripartenza. Ora la Regione ha deciso di rivedere le regole. «Sta uscendo una linea guida che prevede che la quarantena duri fino al 3 maggio — dice Gallera —. Tutti coloro che sono a casa dal lavoro avranno un certificato dal medico di allungamento della quarantena fino a quella data». L’idea, poi, è di fissare un periodo di sorveglianza doppio, di 28 giorni. Per la fase due, l’assessorato punta sui test e intende ampliare l’uso di tamponi e indagine con kit seriologici tramite prelievi del sangue. «Contiamo di riuscire a tamponare la maggior parte di coloro che sono a domicilio e quindi dare una risposta più certa a tutti coloro che sono a casa».

                Sono 520 i nuovi casi in provincia, la metà a Milano. Positività raddoppiate. Decessi: più 87% sul 2019. «Numeri altalenanti, la battaglia non è ancora finita»
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                  Questo passaggio è inquietante e contribuirebbe a spiegare i tanti casi ancora in giro, il contagio continuo:

                  "Il Pirellone sta affrontando un altro nodo cruciale per la ripartenza. Come raccontato nei giorni scorsi, chi contrae il coronavirus rimane positivo anche dopo i 14 giorni senza sintomi finora stabiliti come quarantena. Claudio Colosio, docente di Medicina del lavoro in Statale e Responsabile della Unità operativa ospedaliera degli ospedali San Paolo e San Carlo, spiega che nelle due strutture tra i medici e gli infermieri che hanno contratto l’infezione solo il 30 per cento è negativo al test dopo due settimane. Addirittura, il primo rianimatore risultato positivo non si è ancora negativizzato dopo 40 giorni."
                  ...ma di noi
                  sopra una sola teca di cristallo
                  popoli studiosi scriveranno
                  forse, tra mille inverni
                  «nessun vincolo univa questi morti
                  nella necropoli deserta»

                  C. Campo - Moriremo Lontani


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                  • Maverick87
                    Bodyweb Senior
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                    Comunque devono passare 2 settimane senza sintomi, non dalla comparsa dei sintomi, s'era sempre saputo

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                    • Sean
                      Csar
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                      • In piedi tra le rovine
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                      Originariamente Scritto da Maverick87 Visualizza Messaggio
                      Comunque devono passare 2 settimane senza sintomi, non dalla comparsa dei sintomi, s'era sempre saputo
                      Sintomi o non sintomi, lì si dice che alcuni non diventano asintomatici nemmeno dopo 15 o 40 giorni. Il virus non sempre si disattiva dopo le due settimane.

                      In quel pezzo non si parla "dalla comparsa dei sintomi" ma che, una volta spariti, e fatte passare le due canoniche settimane, alcuni sono ancora attivi. La stessa cosa l'aveva riportata su di sè uno delle Iene....dopo 30 giorni era ancora contagioso.
                      ...ma di noi
                      sopra una sola teca di cristallo
                      popoli studiosi scriveranno
                      forse, tra mille inverni
                      «nessun vincolo univa questi morti
                      nella necropoli deserta»

                      C. Campo - Moriremo Lontani


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                      • valium
                        Bodyweb Advanced
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                        Non so se è stato già postato:

                        Coronavirus, lo studio dal Regno Unito: "Asintomatici 4 contagiati su 5", una battaglia difficilissima
                        06 APR 2020

                        La minaccia più grande del coronavirus? Arriva dagli asintomatici. Un sospetto, o una certezza, che coltiviamo da tempo. Ma ora a fornire proprorzioni più spaventose a questo sospetto è uno studio del British Medical Journal, secondo il quale - in base a studi condotti sui casi in Cina - quattro contagiati su cinque sarebbero asintomatici. Le autorità cinesi hanno infatti, iniziato, lo scorso primo aprile, a pubblicare il numero di nuovi casi asintomatici di coronavirus. I dati del primo giorno (il 1 aprile, appunto) suggeriscono come circa 4 infezioni su 5 non abbiano accusato sintomi. "Molti esperti - mette nero su bianco l'articolo - ritengono che casi inosservati e asintomatici di infezione da coronavirus possano essere un’importante fonte di contagio". In particolare, riferendosi sempre alla ricerca cinese, sono risultate senza sintomi 130 persone su un totale di 166 identificate (il 78%). La maggior parte dei 36 casi positivi e sintomatici hanno riguardato arrivi dall’estero. Cifre che danno la cifra della situazione, che spiegano quanto questa battaglia sia difficilissima da combattere e da vincere.
                        sigpic

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                        • Sly83
                          CAVETTERIA INCLUSIVA
                          • May 2003
                          • 46577
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                          • Send PM

                          Almeno la meta’ resta positiva dopo la quarantena a partire dal termine dei sintomi



                          Originariamente Scritto da Giampo93
                          Finché c'è emivita c'è Speran*a

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                          • ma_75
                            Super Moderator
                            • Sep 2006
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                            • Send PM

                            Grazie Sean per gli articoli. Mi ha colpito molto l’intervista della Capua, perché avrebbe potuto farla identica due mesi fa.
                            In un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione può ripetersi infinite volte.
                            ma_75@bodyweb.com

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                            • Sly83
                              CAVETTERIA INCLUSIVA
                              • May 2003
                              • 46577
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                              • Send PM

                              E’ appurato che ci sia alta contagiosita’ da parte degli asintomatici durante l’incubazione.
                              Quello che chiedo qui a chi sta studiando la cosa e’ se e’ possibile che tale contagiosita’ si riduca negli asintomatici positivi dopo la quarantena.

                              Sicuramente ci sono cariche virali differenti da soggetto a soggetto, ma possibile che ci sia un potenziale di trasmissione differente tra asintomatici in incubazione e asintomatici post remissione dai sintomi?



                              Originariamente Scritto da Giampo93
                              Finché c'è emivita c'è Speran*a

                              Commenta

                              • Maverick87
                                Bodyweb Senior
                                • Mar 2012
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                                Originariamente Scritto da Sly83 Visualizza Messaggio
                                asintomatici in incubazione e asintomatici post remissione dai sintomi?
                                scusa ma se son asintomatici che senso ha parlare di remissione dai sintomi?

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