Beh quei numeri sono impressionanti c'è poco da dire
Emergenza Coronavirus: thread unico.
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Originariamente Scritto da huntermaster Visualizza MessaggioCome faranno a non accettare la cura?
Cercheranno di screditarlo?
Potrá dimostrare tranquillamente dell'efficacia dei suoi test.
Fosse stato 1 sconosciuto magari sarebbe stato facile zittirlo ma essendo un luminare come potranno fare? Mah
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Originariamente Scritto da jinx Visualizza MessaggioCome stanno già facendo: diranno che ci sono effetti collaterali, diranno che servono trials rigorosi, testeranno la clorichina da sola che è molto meno efficace.Originariamente Scritto da laplaceIo che sono innocente, il più innocente di tutti maledetti bastardi che mi avete concepito per poi farmi passare serate come questaOriginariamente Scritto da Pescavuole disperatamente scoprire se scopo, bevo, mi faccio inculare. cose che non saprà mai.
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Originariamente Scritto da Mario12 Visualizza MessaggioIl 3 aprile è tra 7 giorni esatti ... considerando che oggi sono morte praticamente 1000 persone , mi viene solo da ridere pensando a sta deadline ...
Inviato dal mio SM-G950F utilizzando TapatalkOriginariamente Scritto da SPANATEMELAparliamo della mezzasega pipita e del suo golllaaaaaaaaaaaaazzzoooooooooooooooooo contro la rubentusOriginariamente Scritto da GoodBoy!ma non si era detto che espressioni tipo rube lanzie riommers dovevano essere sanzionate col rosso?
grazie.
PROFEZZOREZZAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
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Originariamente Scritto da THE ALEX Visualizza Messaggiohttps://www.romatoday.it/attualita/c...-palestra.html
Un paio di settimane fa, mi meravigliavo di come le palestre fossero ancora aperte, ma c'era qualche genio che le riteneva il luogo più sicuro della terra...
Inviato dal mio SM-G950F utilizzando TapatalkOriginariamente Scritto da SPANATEMELAparliamo della mezzasega pipita e del suo golllaaaaaaaaaaaaazzzoooooooooooooooooo contro la rubentusOriginariamente Scritto da GoodBoy!ma non si era detto che espressioni tipo rube lanzie riommers dovevano essere sanzionate col rosso?
grazie.
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Chiusure coronavirus, proroga certa per altri 15 giorni: per allentare i divieti serve il «contagio uno»
Confermare la chiusura totale e i divieti di spostamento per altre due settimane, valutando alcune minime deroghe per le aziende: è questa l’ipotesi alla quale lavora il governo in vista del 3 aprile quando sarà firmato il nuovo decreto
Confermare la chiusura totale e i divieti di spostamento per altre due settimane, valutando però la possibilità di concedere alcune deroghe, seppur minime, per le aziende. È questa l’ipotesi alla quale lavora il governo in vista del 3 aprile, quando scadrà il decreto firmato il 22 marzo scorso dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte per fermare il contagio da coronavirus con l’obbligo per tutti di rimanere a casa. Con la consapevolezza che per tornare a una vita normale potrebbero essere necessarie ancora settimane, forse qualche mese. E che quanto accadrà a maggio sarà decisivo proprio per comprendere come e quando l’Italia potrà dichiarare finita l’emergenza. Una linea condivisa con Silvio Brusaferro e Franco Locatelli — presidenti rispettivamente di Istituto superiore di sanità e del Consiglio superiore di sanità — i vertici delle istituzioni sanitarie che proprio venerdì hanno parlato in maniera esplicita: «L’epidemia ha rallentato il suo cammino, ma non è opportuno interrompere le misure di contenimento».
Il valore dell’R0
Dal punto di vista matematico sarà possibile ritenere di averla avuta vinta contro il coronavirus soltanto quando il valore dell’R0 (l’erre-zero, l’indice di contagiosità)sarà inferiore a 1. Vuol dire che bisognerà arrivare al momento in cui per ogni individuo infetto ci sarà meno di un nuovo contagiato. E già questo basta a comprendere quanto la strada possa essere ancora lunga. Ecco perché è necessario continuare a rispettare le regole e perché è fondamentale mantenere la distanza di almeno un metro quando si esce per andare al lavoro, a fare la spesa, o comunque quando si entra in contatto con le altre persone. «Ad oggi il prolungamento delle misure di distanziamento sociale è inevitabile. Non siamo in una fase marcatamente declinante ma in una fase, sia pur incoraggiante di contenimento» sottolinea Brusaferro, lasciando intendere il possibile percorso che si intende seguire. E per renderlo ancora più chiaro usa una metafora eloquente: «Non abbiamo ancora scollinato, ci stiamo però avvicinando alla cima».
Altre due settimane
La prima tappa sarà dunque il 3 aprile quando sarà firmato un nuovo Dpcm che — a meno di un andamento dei contagi ulteriormente negativo — confermerà le misure attualmente in vigore fino al 18 aprile. Le difficoltà economiche in cui versano le aziende, anche quelle medio-piccole, convincono palazzo Chigi sulla necessità di effettuare un monitoraggio costante che possa portare a una valutazione rispetto ad alcune deroghe. Rimane infatti la preoccupazione di «tenere il Paese dal punto di vista psicologico e sociale», come viene ripetuto nelle riunioni di governo e con le Regioni, consapevoli però che anche il minimo allentamento dei divieti ora in vigore rischia di far impennare nuovamente il numero dei contagi e dunque di prolungare per un periodo molto più lungo il lockdown italiano. E dunque si valuterà con imprenditori e sindacati se possano esserci dei settori produttivi che — mantenendo comunque il massimo rigore rispetto al distanziamento sociale e tutte le possibilità di smart working — possano cominciare a ripartire.
I decreti di maggio
Soltanto nelle successive due settimane si potrà fare un’ulteriore verifica sulle misure idonee a limitare il contagio. La possibilità che i divieti vengano revocati con un unico decreto è già stata esclusa. Sarà comunque una ripresa graduale e molto lenta perché, come sottolinea lo stesso Brusaferro, «dovremo immaginare alcuni mesi in cui adottare misure attente per evitare una ripresa della curva epidemica». Ecco perché la ministra dell’Istruzione ha escluso un ritorno sui banchi per il 3 aprile lasciando intendere che a scuola si potrebbe anche non tornare se non per gli esami di terza media e per la maturità. E perché si pensa di continuare a vietare l’ingresso in Italia dall’estero. Gli indicatori da considerare sono diversi. Dal 20 marzo scorso la curva più seguita dagli italiani — quella epidemica — «sembra attenuarsi nell’ascesa» in molte Regioni, compresa la Lombardia, mentre Lazio e Campania «hanno opportunità di contenere la crescita», come ha confermato Brusaferro. Ma il valore dell’R0 è ancora molto superiore a quell’1.
CorSera...ma di noi
sopra una sola teca di cristallo
popoli studiosi scriveranno
forse, tra mille inverni
«nessun vincolo univa questi morti
nella necropoli deserta»
C. Campo - Moriremo Lontani
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Originariamente Scritto da marcu9 Visualizza MessaggioCoronavirus:Bolsonaro,'il Brasile non si ferma per un virus'
'Alcuni moriranno, è certo. Mi spiace, ma è la vita' (ANSA) - SAN PAOLO, 27 MAR - "Alcuni moriranno, è certo. Mi spiace, ma è la vita. Però non si chiude una fabbrica di automobili perché ci sono morti negli incidenti stradali": così ha giustificato il presidente brasiliano Jair Bolsonaro la sua opposizione alle misure di isolamento generale e restrizione delle attività economiche per combattere la pandemia di coronavirus.
In una intervista a un programma della Rede Bandeirantes, Bolsonaro ha ribadito che "il Brasile non si può fermare a causa di un virus, stanno cercando di mandare il paese in bancarotta con questo allarmismo", insistendo sul fatto che "la migliore medicina per questa malattia è il lavoro: chi può lavorare che vada a lavorare, non può nascondersi a casa in quarantena per chissà quanti giorni".
Il presidente ha anche messo in dubbio molte delle informazioni mediche più comuni sul coronavirus, sostenendo che "per il 90% della popolazione sarà una influenzetta", che i contagi degli under 40 "sono vicini allo zero, sono insignificanti" e ipotizzando che le cifre di malati e decessi registrate a San Paolo, epicentro dell'epidemia in Brasile, forse non sono attendibili.
"Alle cifre di ieri, Rio de Janeiro aveva 9 decessi e San Paolo 58. Ora, io capisco che la popolazione è più grande, ma la differenza delle cifre di San Paolo è troppo grande, io non credo ai numeri di San Paolo, anche per le misure prese da (Joao) Doria", il governatore dello Stato, ha detto Bolsonaro, aggiungendo che "non mi interessa ascoltare le opinioni di quella persona".
Dopo aver definito Doria "un pappagallo in cerca di audience", Bolsonaro ha detto che il governatore di San Paolo "dovrebbe ingoiare una pillola di umiltà", perché "quello che sta facendo a San Paolo (dove le autorità hanno decretato misure di isolamento sociale e freno alle attività economiche) non va bene, e i cittadini lo stanno capendo, stanno capendo che ha esagerato con la dose di medicina". (ANSA).
FD
27-MAR-20 22:45 NNNN
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Inviato dal mio SM-G950F utilizzando TapatalkOriginariamente Scritto da SPANATEMELAparliamo della mezzasega pipita e del suo golllaaaaaaaaaaaaazzzoooooooooooooooooo contro la rubentusOriginariamente Scritto da GoodBoy!ma non si era detto che espressioni tipo rube lanzie riommers dovevano essere sanzionate col rosso?
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Coronavirus, i medici non sottoposti a tampone: «Una scelta con effetti catastrofici»
Tredici medici di Bergamo sul New England journal of medicine: «Così gli ospedali sono diventati il principale vettore di diffusione del contagio»
«Mia moglie è malata. Fino a due giorni fa abbiamo dormito insieme». «Questo non implica che lei stia a casa». «Non è un sospetto, è arrivato il tampone, è positiva». «Venga lo stesso in ospedale». Non serve citare in che struttura sanitaria ha avuto luogo questo dialogo telefonico tra un chirurgo e il suo responsabile. Perché è avvenuto in decine di ospedali lombardi. E non perché i direttori sanitari siano stati (solo) incoscienti: ma perché era quello che dice la legge. Anche per questo (oltre alla carenza di protezioni e alla mancanza di protocolli per affrontare una pandemia) gli ospedali «sono diventati il principale vettore di diffusione del contagio», come hanno scritto 13 medici del «Papa Giovanni XXIII» di Bergamo in un articolo sul New England journal of medicine.
Il dibattito
Se fare più o meno tamponi alla popolazione è oggetto di dibattito, «non aver fatto le analisi e un attento tracciamento dei contatti per il personale sanitario è stato inspiegabile ed ha avuto effetti catastrofici», confermano al Corriereuna decina di medici milanesi, che non possono apparire con nome e cognome perché in questi giorni la comunicazione è stata blindata. Il primo medico contagiato a Milano è stato un dermatologo del «Policlinico» (attenzione ai tempi, siamo a febbraio, poco dopo Codogno). Reazione immediata: tampone (esito positivo), dunque quarantena (medico isolato) e tracing(analisi dei contatti con tampone: due specializzandi positivi restano a casa, due negativi continuano a lavorare). Era l’obiettivo all’inizio dell’epidemia: circoscrivere e bloccare i focolai, soprattutto dentro gli ospedali.
Le indicazioni da Roma
Il 10 marzo, però, tutte le strutture sanitarie lombarde recepiscono le indicazioni che arrivano da Roma: «Per l’operatore asintomatico che ha assistito un caso probabile o confermato di Covid-19» senza adeguate protezioni, «o l’operatore che ha avuto un contatto stretto in ambito extra lavorativo, non è indicata l’effettuazione del tampone». E poi: «In assenza di sintomi non è prevista l’interruzione dal lavoro». Medici e infermieri ad altissimo rischio, dunque, hanno così continuato a lavorare con la sola mascherina chirurgica, e senza alcun accertamento per capire se fossero malati. Molti, dopo giorni, si sono ammalati davvero. «Sono andata al lavoro e mi sono sentita una terrorista che poteva spargere il virus nel mio ospedale», afferma in lacrime un’infermiera.
Se si aggiunge a questo la disastrosa carenza di mascherine e protezioni, si comprende meglio la cifra stratosferica di oltre 6.400 sanitari infettati (fonte: Federazione nazionale ordini dei medici). I sindacati stanno facendo una battaglia durissima per chiedere tamponi a medici e infermieri. E ieri anche le organizzazioni dei professionisti sanitari di tutta Europa, in una nota unitaria, hanno chiesto: «Il personale deve essere dotato di dispositivi di protezione individuale e deve essere regolarmente testato, indipendentemente dai sintomi o dall’esposizione segnalati». L’ultima direttiva della Regione Lombardia (23 marzo) stabilisce che a inizio turno il personale sanitario debba provare o autocertificare la temperatura. Oltre i 37,5, si ha «diritto» al tampone. Dunque, quando arriva la febbre: e il medico o l’infermiere possono aver già diffuso l’infezione per giorni.
CorSera...ma di noi
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popoli studiosi scriveranno
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«nessun vincolo univa questi morti
nella necropoli deserta»
C. Campo - Moriremo Lontani
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Originariamente Scritto da jinx Visualizza MessaggioDai ragazzi la cura c'è, c'è poco da fare:
Questo è uno dei migliori virologi al mondo e tra i più citati scienziati mondiali. Wikipedia cita 2300 pubblicazioni scientifiche, un numero mostruoso. Probabilmente ne ha di più di tutti i virologi che vediamo in tv messi insieme.
Ora ha testato 80 pazienti e sono migliorati in 78. Dopo 8 giorni il 93% è praticamente guarito. In 5 giorni il 97.5% non era più infettivo. Sapete cosa vuole dire? Che gli ospedali si possono svuotare alla velocità della luce.
La cura c'è, è chiaro. Peccato siano farmaci poco costosi e faranno di tutto per non accettarla.
Ogni morto da domani è un crimine della politica, della burocrazia, del business e del modello di scienza che abbiamo oggi.
Notiamo anche che su 80 pazienti, effetti collaterali mortali non ci sono stati. E' cosi pericolosa la cura?
La battaglia contro il virus è vinta, ora dobbiamo vedere se riusciremo a vincere la battaglia verso gli interessi e la tradizione.
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Originariamente Scritto da Sean Visualizza MessaggioCoronavirus, i medici non sottoposti a tampone: «Una scelta con effetti catastrofici»
Tredici medici di Bergamo sul New England journal of medicine: «Così gli ospedali sono diventati il principale vettore di diffusione del contagio»
«Mia moglie è malata. Fino a due giorni fa abbiamo dormito insieme». «Questo non implica che lei stia a casa». «Non è un sospetto, è arrivato il tampone, è positiva». «Venga lo stesso in ospedale». Non serve citare in che struttura sanitaria ha avuto luogo questo dialogo telefonico tra un chirurgo e il suo responsabile. Perché è avvenuto in decine di ospedali lombardi. E non perché i direttori sanitari siano stati (solo) incoscienti: ma perché era quello che dice la legge. Anche per questo (oltre alla carenza di protezioni e alla mancanza di protocolli per affrontare una pandemia) gli ospedali «sono diventati il principale vettore di diffusione del contagio», come hanno scritto 13 medici del «Papa Giovanni XXIII» di Bergamo in un articolo sul New England journal of medicine.
Il dibattito
Se fare più o meno tamponi alla popolazione è oggetto di dibattito, «non aver fatto le analisi e un attento tracciamento dei contatti per il personale sanitario è stato inspiegabile ed ha avuto effetti catastrofici», confermano al Corriereuna decina di medici milanesi, che non possono apparire con nome e cognome perché in questi giorni la comunicazione è stata blindata. Il primo medico contagiato a Milano è stato un dermatologo del «Policlinico» (attenzione ai tempi, siamo a febbraio, poco dopo Codogno). Reazione immediata: tampone (esito positivo), dunque quarantena (medico isolato) e tracing(analisi dei contatti con tampone: due specializzandi positivi restano a casa, due negativi continuano a lavorare). Era l’obiettivo all’inizio dell’epidemia: circoscrivere e bloccare i focolai, soprattutto dentro gli ospedali.
Le indicazioni da Roma
Il 10 marzo, però, tutte le strutture sanitarie lombarde recepiscono le indicazioni che arrivano da Roma: «Per l’operatore asintomatico che ha assistito un caso probabile o confermato di Covid-19» senza adeguate protezioni, «o l’operatore che ha avuto un contatto stretto in ambito extra lavorativo, non è indicata l’effettuazione del tampone». E poi: «In assenza di sintomi non è prevista l’interruzione dal lavoro». Medici e infermieri ad altissimo rischio, dunque, hanno così continuato a lavorare con la sola mascherina chirurgica, e senza alcun accertamento per capire se fossero malati. Molti, dopo giorni, si sono ammalati davvero. «Sono andata al lavoro e mi sono sentita una terrorista che poteva spargere il virus nel mio ospedale», afferma in lacrime un’infermiera.
Se si aggiunge a questo la disastrosa carenza di mascherine e protezioni, si comprende meglio la cifra stratosferica di oltre 6.400 sanitari infettati (fonte: Federazione nazionale ordini dei medici). I sindacati stanno facendo una battaglia durissima per chiedere tamponi a medici e infermieri. E ieri anche le organizzazioni dei professionisti sanitari di tutta Europa, in una nota unitaria, hanno chiesto: «Il personale deve essere dotato di dispositivi di protezione individuale e deve essere regolarmente testato, indipendentemente dai sintomi o dall’esposizione segnalati». L’ultima direttiva della Regione Lombardia (23 marzo) stabilisce che a inizio turno il personale sanitario debba provare o autocertificare la temperatura. Oltre i 37,5, si ha «diritto» al tampone. Dunque, quando arriva la febbre: e il medico o l’infermiere possono aver già diffuso l’infezione per giorni.
CorSera
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Come sarà Milano dopo il coronavirus, il sindaco Sala: «Da San Siro al metrò, così progettiamo la ripartenza a tappe»
Limitazioni sulla privacy, ma solo temporanee. Sperimentiamo qui il tracciamento digitale. Il sistema sanitario lombardo? Bisognerà riflettere
Sindaco Beppe Sala, da più parti piovono critiche su come la Regione ha gestito la crisi. Anche suoi colleghi come il sindaco di Bergamo Giorgio Gori hanno attaccato il sistema sanitario lombardo. Si poteva fare di più?
«Non mi sono mai permesso di criticare il presidente Fontana per la gestione della crisi. Dico, evitando qualsiasi polemica, che una riflessione sul sistema sanitario lombardo va fatta. Dopo? Certamente sì, ma già oggi è sotto gli occhi di tutti che certe scelte hanno costituito un elemento di debolezza».
A cosa si riferisce?
«Al fatto che in Lombardia, a differenza di Emilia e Veneto, si è puntato più sulle grandi infrastrutture ospedaliere, anche private, a scapito della rete sociosanitaria del territorio, consultori, medici di base. Sono proprio questi ultimi a denunciare le loro difficoltà. Stanno facendo una battaglia che va al di là delle loro forze senza strumenti adeguati. Dopodiché io mi confronto e lavoro con Fontana ogni giorno. Ci manca solo che ci litighi! Non l’ho fatto e non lo farò».
A che punto è la battaglia di Milano? Come si può vincerla?
«Milano ha il dovere per sé stessa e per il sistema sanitario di resistere. La guerra non è affatto finita, però permettetemi di dire che i milanesi si stanno comportando bene e di questo li ringrazio. Da parte mia sto cominciando a pensare come sarà la ripartenza. Lo so bene che è prematuro e che mi espongo alle critiche, ma ritengo che sia fondamentale essere preparati e non improvvisare. Partendo da un dato difficilmente contestabile: non esisterà un giorno “uno” in cui andremo tutti in piazza con la fanfara al grido “ripartiamo”. Sarà una ripartenza graduale che non esclude stop and go».
Cosa bisognerà fare in questa fase di mezzo, quella che verrà dopo il tutti a casa?
«Lavoro su tre grandi capitoli che dovranno essere la base della ripartenza. Il primo: va modificato il sistema delle infrastrutture. In primis penso ai trasporti e la mobilità perché cambierà il nostro modo di muoverci. Ma penso anche alle infrastrutture digitali perché questa emergenza ci ha insegnato che la fame di banda larga è enorme. Ne sto già parlando con i grandi operatori. Il secondo: va fatto un piano per gli spazi di grande concentrazione, dallo stadio ai cinema».
Come?
«Pensiamo a San Siro. Non è solo il fatto di essere seduti uno di fianco all’altro, ma penso ai grandi assembramenti all’ingresso per i controlli. Fino a oggi sulla tutela della salute ha prevalso la sicurezza. Bisognerà cambiare. Vale per il macro come per il micro. Ad esempio i cinema. È semplicistico dire metto una poltrona sì e una poltrona no e una fila sì e una fila no. Ma come si entra? Come si esce? Oggi è difficile vedere delle opportunità da questa tragedia, ma qualche lezione dobbiamo impararla».
Ci sta dicendo che niente sarà come prima?
«Niente sarà come prima, ma vedremo se qualcosa diventerà meglio di prima».
Qual è il terzo capitolo a cui sta lavorando?
«Come far ripartire l’economia. Semplifico: le grandi aziende baderanno al loro destino, certamente io garantirò dialogo e supporto, ma da sindaco dovrò lavorare molto sulle piccole iniziative economiche e culturali. Questi sono i capisaldi della ripresa. Dopo, solo dopo, si potrà pensare al resto».
Lei parla di ripartenza graduale. Come?
«In Comune stiamo riflettendo su come possano essere garantiti tutti i servizi quando ci sarà la ripartenza. Potrebbero tornare al lavoro i più giovani, la fascia d’età che arriva fino ai 50 anni. Successivamente gli altri. Credo che un protocollo del genere sarebbe utile e saggio anche per il nostro Paese perché il numero dei morti riguarda soprattutto la popolazione anziana. Stiamo perdendo una generazione, quella che ha sostenuto la ricostruzione e ha garantito la tenuta democratica del Paese. Vedere falcidiata questa generazione è straziante».
Chi deve dare il segnale del rientro graduale alla normalità?
«Ci vuole una regia nazionale e un mix tra governo e Regioni. È necessario che ci sia un dialogo privo di polemiche sulla definizione delle regole oltre a una gestione molto attenta e tempestiva».
App per il tracciamento delle persone e relativa compressione della privacy. È d’accordo?
«Sono favorevole a condizione che si trovi la formula per normarla temporaneamente. Va bene, ma per un periodo definito. Ho studiato ciò che è stato fatto in Cina e in Corea del Sud. Oggettivamente vale la pena di pensarci. Se so che muovendomi vado in una zona dove il contagio è più alto, magari ci penso due volte prima di andarci. Al contrario se riscontro la mia positività permetto a chi mi ha incontrato recentemente di stare all’erta. Non ho nessun problema a cedere il mio spazio di privacy».
Milano potrebbe essere la città dove sperimentare il tracciamento digitale?
«Penso di sì perché i milanesi sono quelli che tradizionalmente si muovono in maniere più frenetica. Sarebbe utile e interessante che il governo sperimentasse questa possibilità su Milano».
Il Comune ha lanciato un Fondo di mutuo soccorso per la ricostruzione. A che cifra siamo arrivati?
«La raccolta è arrivata a 7 milioni che si aggiungono ai 3 messi a disposizione del Comune. Sono molto contento di come sta andando. Un’ipotesi realistica è arrivare a 10 milioni, per un totale complessivo di 13».
Intanto la politica non si ferma. Il centrodestra ragiona sul candidato sindaco da votare l’anno prossimo: l’assessore regionale, Giulio Gallera. Lei ci sarà?
«Il tema delle elezioni può entusiasmare la classe politica, non certo i cittadini. Tanto meno me».
Che messaggio vuole dare oggi ai milanesi?
«Non dobbiamo farci vincere dalla stanchezza anche se è difficile. Ma è il momento in cui, probabilmente e con un altro po’ di pazienza, potremo vedere qualche segnale positivo. Posso essere smentito dalla realtà ma ritengo giusto pensare così. Io sono qua a Palazzo Marino. Ci sto mettendo tutto l’impegno e l’esperienza di quasi 40 anni di lavoro per trovare la formula giusta e ripartire bene».
CorSera...ma di noi
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Originariamente Scritto da INFILATEMELO Visualizza MessaggioQuesta è una cosa veramente assurda
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Gli ospedali non sono le quattro mura: quando si dice ospedali si traduce in medici, infermieri, operatori vari (dal primario al personale di pulizia e mensa). Sono tutti diventati dei vettori, per risparmiare su qualche tampone con direttive assurde, illogiche, disastrose.
Quando (ahi, ma quando?) sarà tutto finito e si potrà finalmente e liberamente tornare a parlare, analizzare, ricostruire, la politica ed i governanti saranno sommersi da una impressionante onda di ritorno, una tremenda lista di accuse: stavolta non basteranno lo scaricabarile e due artifizi verbali....ma di noi
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Originariamente Scritto da Sean Visualizza MessaggioCoronavirus, i medici non sottoposti a tampone: «Una scelta con effetti catastrofici»
Tredici medici di Bergamo sul New England journal of medicine: «Così gli ospedali sono diventati il principale vettore di diffusione del contagio»
«Mia moglie è malata. Fino a due giorni fa abbiamo dormito insieme». «Questo non implica che lei stia a casa». «Non è un sospetto, è arrivato il tampone, è positiva». «Venga lo stesso in ospedale». Non serve citare in che struttura sanitaria ha avuto luogo questo dialogo telefonico tra un chirurgo e il suo responsabile. Perché è avvenuto in decine di ospedali lombardi. E non perché i direttori sanitari siano stati (solo) incoscienti: ma perché era quello che dice la legge. Anche per questo (oltre alla carenza di protezioni e alla mancanza di protocolli per affrontare una pandemia) gli ospedali «sono diventati il principale vettore di diffusione del contagio», come hanno scritto 13 medici del «Papa Giovanni XXIII» di Bergamo in un articolo sul New England journal of medicine.
Il dibattito
Se fare più o meno tamponi alla popolazione è oggetto di dibattito, «non aver fatto le analisi e un attento tracciamento dei contatti per il personale sanitario è stato inspiegabile ed ha avuto effetti catastrofici», confermano al Corriereuna decina di medici milanesi, che non possono apparire con nome e cognome perché in questi giorni la comunicazione è stata blindata. Il primo medico contagiato a Milano è stato un dermatologo del «Policlinico» (attenzione ai tempi, siamo a febbraio, poco dopo Codogno). Reazione immediata: tampone (esito positivo), dunque quarantena (medico isolato) e tracing(analisi dei contatti con tampone: due specializzandi positivi restano a casa, due negativi continuano a lavorare). Era l’obiettivo all’inizio dell’epidemia: circoscrivere e bloccare i focolai, soprattutto dentro gli ospedali.
Le indicazioni da Roma
Il 10 marzo, però, tutte le strutture sanitarie lombarde recepiscono le indicazioni che arrivano da Roma: «Per l’operatore asintomatico che ha assistito un caso probabile o confermato di Covid-19» senza adeguate protezioni, «o l’operatore che ha avuto un contatto stretto in ambito extra lavorativo, non è indicata l’effettuazione del tampone». E poi: «In assenza di sintomi non è prevista l’interruzione dal lavoro». Medici e infermieri ad altissimo rischio, dunque, hanno così continuato a lavorare con la sola mascherina chirurgica, e senza alcun accertamento per capire se fossero malati. Molti, dopo giorni, si sono ammalati davvero. «Sono andata al lavoro e mi sono sentita una terrorista che poteva spargere il virus nel mio ospedale», afferma in lacrime un’infermiera.
Se si aggiunge a questo la disastrosa carenza di mascherine e protezioni, si comprende meglio la cifra stratosferica di oltre 6.400 sanitari infettati (fonte: Federazione nazionale ordini dei medici). I sindacati stanno facendo una battaglia durissima per chiedere tamponi a medici e infermieri. E ieri anche le organizzazioni dei professionisti sanitari di tutta Europa, in una nota unitaria, hanno chiesto: «Il personale deve essere dotato di dispositivi di protezione individuale e deve essere regolarmente testato, indipendentemente dai sintomi o dall’esposizione segnalati». L’ultima direttiva della Regione Lombardia (23 marzo) stabilisce che a inizio turno il personale sanitario debba provare o autocertificare la temperatura. Oltre i 37,5, si ha «diritto» al tampone. Dunque, quando arriva la febbre: e il medico o l’infermiere possono aver già diffuso l’infezione per giorni.
CorSera
Che pena madonna
Inviato dal mio Mi 9T Pro utilizzando TapatalkOriginariamente Scritto da claudio96
sigpic
più o meno il triplo
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Originariamente Scritto da jinx Visualizza MessaggioDai ragazzi la cura c'è, c'è poco da fare:
Questo è uno dei migliori virologi al mondo e tra i più citati scienziati mondiali. Wikipedia cita 2300 pubblicazioni scientifiche, un numero mostruoso. Probabilmente ne ha di più di tutti i virologi che vediamo in tv messi insieme.
Ora ha testato 80 pazienti e sono migliorati in 78. Dopo 8 giorni il 93% è praticamente guarito. In 5 giorni il 97.5% non era più infettivo. Sapete cosa vuole dire? Che gli ospedali si possono svuotare alla velocità della luce.
La cura c'è, è chiaro. Peccato siano farmaci poco costosi e faranno di tutto per non accettarla.
Ogni morto da domani è un crimine della politica, della burocrazia, del business e del modello di scienza che abbiamo oggi.
Notiamo anche che su 80 pazienti, effetti collaterali mortali non ci sono stati. E' cosi pericolosa la cura?
La battaglia contro il virus è vinta, ora dobbiamo vedere se riusciremo a vincere la battaglia verso gli interessi e la tradizione.
Tessera N° 7
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Originariamente Scritto da MUTHANDINA Visualizza MessaggioI nr in generale non convincono neanche me... sebbene la tesi dell'influenzetta non la sposi completamente
Inviato dal mio SM-G970F utilizzando TapatalkOriginariamente Scritto da Pescalei ti parla però, ti saluta, è gentile, sei tu la merda hunt
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