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Vedremo se usciranno presto i farmaci orali di Pfizer e Merck
Per il resto a breve dovrebbe essere disponibile il vaccino novavax che usa tecniche più standard e collaudate.. dovrebbero convincere qualche attuale no-covid-vax che ha paura di pfizer/Moderna
Vedremo se usciranno presto i farmaci orali di Pfizer e Merck
Per il resto a breve dovrebbe essere disponibile il vaccino novavax che usa tecniche più standard e collaudate.. dovrebbero convincere qualche attuale no-covid-vax che ha paura di pfizer/Moderna
Va bè ma chi se ne frega, o quasi, del n. di contagiati
Quello che rileva sono i ricoveri, che impallano gli ospedali e fanno sospendere o rallentare le attività di routine.
Ma non lo abbiamo già detto più volte?
Omicron e il tempo del raddoppio dei contagi che minaccia gli ospedali
Se il numero delle infezioni si gonfia a dismisura, anche con pochi casi gravi, può mettere sotto stress il sistema sanitario
La prima informazione è che non ci sono ancora abbastanza informazioni. Tuttavia,
i dati che si accumulano fanno pensare che, dopo la fase Delta, stiamo per entrare nella fase Omicron.
Ricapitoliamo. La nuova variante è stata ormai rilevata in una sessantina di paesi all’infuori del Sud Africa, il primo segno evidente della sua capacità di diffusione, nonché dell’inutilità manifesta delle restrizioni sui voli da e verso alcuni Paesi, a oggi l’unica misura che sia stata adottata con convinzione.
Gli studi inglesi, ovviamente in divenire, confermano una velocità di raddoppio dei contagi della nuova variante di due giorni e mezzo. Diciamo tre giorni, per ottimismo.
Il «tempo di raddoppio» è un parametro che ha il pregio di essere di comprensione immediata: se in un determinato giorno ho un certo numero di infezioni da Omicron, tre giorni dopo ne avrò il doppio; altri tre giorni dopo il doppio del doppio, e così via. È una misura diretta della rapidità del contagio.
Giusto per dare delle coordinate, il tempo di raddoppio di Delta in questo momento è superiore alle due settimane. Quindi Omicron sembra essere molto veloce. Molto più veloce di tutto quel che abbiamo incontrato fino a qui. La sua apparente contagiosità sta lasciando sbalorditi e perplessi molti epidemiologi. I tempi per far girare le analisi sui calcolatori e fare esperimenti in laboratorio sono quasi troppo lunghi per tenere il passo con la diffusione della variante. Se non fosse strettamente imparentata con il Sars-Cov-2 che ormai conosciamo, verrebbe da pensare a un virus diverso.
E un po’ diverso lo è davvero. I dati di neutralizzazione in vitro suggeriscono una significativa riduzione dell’efficacia di due dosi di vaccino contro l’infezione. Confermata dai dati del Sud Africa resi noti ieri, che indicano più che un dimezzamento della protezione. Lo stesso, per fortuna, non vale per l’efficacia contro le forme gravi che, seppure ridotta, viene ancora considerata alta. Il richiamo del vaccino, poi, riporterebbe a livelli elevati anche la protezione dall’infezione.
Infine c’è l’indicazione più controversa, ovvero che Omicron sia meno severa di Delta. Meno pericolosa, in parole povere.
L’ipotesi trova una sua ragione d’essere nella crescita delle ospedalizzazioni e dei decessi in Sud Africa, minore di quella che ci si attenderebbe. I dati circolati ieri, ancora preliminari, che confrontano le ospedalizzazioni dell’ondata attuale con quelle della prima ondata, suggeriscono una riduzione di severità di circa il 30%.
Esistono tuttavia alcuni fattori di incertezza, che dovrebbero quanto meno stemperare l’affidamento cieco che stiamo facendo sull’indicazione di minore severità. È ancora difficile, allo stato attuale, associarla a una caratteristica intrinseca della variante, escludendo elementi che hanno a che fare con la composizione della popolazione sudafricana, con l’immunità pregressa o con problemi di reporting. E serve altro tempo per averne conferma dai paesi in cui Omicron è in rapida crescita (o che Omicron la cercano), come UK e Danimarca.
Ci auguriamo tutti che la malattia indotta da Omicron sia davvero meno severa di quella che abbiamo fronteggiato fino a qui. Sarebbe un’ottima notizia.Ma non è detto che questo basti, di per sé, a farci attraversare indenni i prossimi due mesi. Vale lo stesso discorso affrontato per Delta un anno fa: l’aspetto peggiore di una variante, a livello comunitario, è la sua aumentata velocità di diffusione. Anche se non è il peggiore psicologicamente.
Perché se il numero delle infezioni si gonfia a dismisura, anche un impatto percentualmente ridotto di casi gravi o semigravi può diventare significativo, e mettere sotto stress il sistema sanitario, ancora una volta. In altre parole, quel 30% di riduzione della severità, se confermato, rischia di essere assorbito rapidamente dal minore tempo di raddoppio.
Eppure, pochi giorni fa, alcuni esperti e rappresentanti delle istituzioni sanitarie parlavano di presenza «sporadica» della variante in Europa, annunciando che non sembrava più trasmissibile e che «sicuramente» era meno patogena. Altri esponenti più mediatici, ormai sfiniti dal presenzialismo pandemico, si sono lasciati andare a esternazioni simili. È scoraggiante constatare che, arrivati a questo punto, non si sia ancora compreso che minimizzare per poi alzare all’improvviso l’allerta è un processo che logora la tenuta e la fiducia della cittadinanza. Ed è ancora più scoraggiante osservare la sostanziale inerzia del governo e delle istituzioni in questo nuovo punto di svolta della pandemia. L’Italia delle ultime due settimane sembra comodamente adagiata sulla mancanza di dati, come una bella addormentata.
È la stranissima stortura di un atteggiamento scientificamente rigoroso. Non avere dati consolidati non significa non avere dati affatto. Esiste fra i due estremi la possibilità più ragionevole di formulare scenari con quello che si ha, di preparare il terreno comunque.
Invece, mentre in UK vengono prodotti studi di rischio e si ipotizzano strategie di gravità diversa in base alla traiettoria di Omicron, da noi non si fa nulla. E non si comunica alla popolazione nulla, che forse è perfino peggio: non la percezione di un rischio già aumentato, non l’imminenza possibile di un’impennata dei numeri.
Non è detto che stiamo per accogliere la piena di Omicron con degli argini abbastanza alti: a oggi, solo il 30% della popolazione nella fascia 60-69 ha ricevuto il richiamo, il 37% in quella 70-79 e il 62% degli over 80. Sono percentuali basse.
Non è nemmeno detto che il sistema delle regioni a colori, che ha funzionato bene nell’inverno scorso, sia calibrato in maniera ottimale e sia sufficientemente reattivo per tenere il passo con la nuova velocità del contagio.
Quanto a tutte le altre misure di contrasto alla pandemia — più sequenziamenti, rafforzamento del contact tracing, test nelle scuole —, misure invocate a più riprese da molti, stiamo forse per vedere come non fossero poi così fuori moda, anche se le abbiamo trattate da tali, per concentrarci quasi esclusivamente sulle intemperanze antivax.
Mentre le nostre istituzioni attendono dati definitivi per comunicare una strategia, la raccomandazione per noi è simile a quella di altri momenti che abbiamo attraversato, per quanto ci affatichi pensarlo: un innalzamento del livello di guardia personale. Nelle interazioni e nei modi di interazione. Oltre al sottoporsi al più presto, tutti noi che possiamo, al richiamo del vaccino.
CoeSera - Paolo Giordano e Alessandro Vespignani
...ma di noi
sopra una sola teca di cristallo
popoli studiosi scriveranno
forse, tra mille inverni
«nessun vincolo univa questi morti
nella necropoli deserta»
Chi ha detto che causa solo una febbre? Alcuni sostengono sia meno grave di Delta ma siamo nel campo delle supposizioni per ora perchè i dati sono insufficienti. In Europa sta prendendo piede adesso.
...ma di noi
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popoli studiosi scriveranno
forse, tra mille inverni
«nessun vincolo univa questi morti
nella necropoli deserta»
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