Il generale Figliuolo: «Arrivare a 500 mila vaccinazioni al giorno: il sistema deve reggere, aprile è decisivo»
Il commissario per l’emergenza: «Ho avuto incontri anche accesi, ma le Regioni sono i miei alleati. Il nepotismo? Io non so come uno possa dormire la notte sapendo che avrebbe potuto salvare una vita e invece ha dato il vaccino all’amico»
Da un mese in carica: che Italia ha trovato nella prima ricognizione sui territori, generale Figliuolo?
«Un’Italia che vuole uscire in fretta dalla pandemia. Ora è chiaro che bisogna mettere al sicuro le nostre radici: gli anziani; e poi i più vulnerabili».
Non è sempre stato così chiaro, diciamolo...
«La svolta sta nel piano strategico del ministero della Salute condiviso con la struttura commissariale: abbiamo messo un punto fermo su chi deve essere vaccinato in priorità. Adesso è stato recepito dai presidenti di Regione e dai loro responsabili sul territorio per le vaccinazioni».
Le Regioni però hanno sbandato, prima. Draghi le ha bacchettate e lei stesso ha parlato di nepotismi.
«C’è stato un combinato disposto: da una parte la pandemia, infida e poco nota, soggetta a rivisitazioni su come agire; dall’altra il primo piano vaccinale, dove si parlava di categorie essenziali poco declinate, al di là di forze armate e forze dell’ordine, insegnanti e sanitari, lasciava molto spazio a ciò che diventa... l’italica inventiva».
Che lei giustifica?
«Io non devo giustificare. Capisco gli atteggiamenti di qualche Regione. Io per primo ho ricevuto molte sollecitazioni, al limite della pressione, da ordini professionali che mi dicevano “noi siamo essenziali”. Aspirazioni legittime, perché non era declinato il piano. Poi si è aggiunta la problematica di AstraZeneca che ha dato all’agenzia regolatoria motivi per porre un limite. Poi, vedendo altri Paesi che vaccinavano oltre quel limite, si è cambiato rotta. Ma alcune Regioni si sono dette: ho AstraZeneca, lo posso fare solo ad alcune tipologie, ci sono i servizi essenziali, li allargo».
Fine degli equivoci, ora?
«Dopo le raccomandazioni del 10 marzo, questo atteggiamento deve scomparire, perché il piano è molto chiaro. C’è una tabella di priorità. Devo ringraziare il ministro Speranza che ha declinato le categorie dei fragili. Dopo queste precisazioni non ci sono più margini: se abusi ci sono, sono voluti. Che poi ci sia qualche nepotismo... io non so come uno possa dormire la notte sapendo che avrebbe potuto salvare una vita e invece ha dato il vaccino all’amico. Lo trovo inqualificabile. Le liste di riserva devono essere in analogia col piano vaccinale: con gli ottantenni, poi i settantenni... non è che fai venire tuo cugino dicendo aspetta che ti vaccino con la sesta dose che rimane».
Accanto al virus letale, c’è un virus della polemica che ci indebolisce nella lotta?
«Noi italiani siamo bravissimi singolarmente ma non pratichiamo il gioco di squadra. Perciò io voglio smorzare le polemiche, sempre».
Mi definisca il suo Piano.
«È la sintesi di tutti i piani regionali. Sono contento di farlo per i nostri concittadini, ho la soddisfazione di essere stato chiamato da un numero uno, il presidente Draghi».
Chi sono i suoi alleati?
«Le Regioni. Ma devo citare anche l’ingegner Curcio, capo della Protezione civile. Mi sta dando una grande mano. Ci conoscevamo da altre emergenze. Ora è nata un’amicizia. In squadra si vince».
Punto debole?
«Dobbiamo spingere Big Pharma a onorare gli impegni. Sui territori ci sono cose da migliorare, ma andarci crea tensione positiva tra i responsabili dei piani vaccinali. I confronti che ho avuto, a volte anche accesi, sono sempre stati costruttivi. Ho avuto interlocutori sul pezzo».
Nelle Regioni?
«Sì. Dalla Lombardia, che è una Regione-Stato, alla Calabria, alla Sardegna, ognuno con le sue peculiarità. La moral suasionmagari su tre commissari Asl, un sindaco e un presidente di Regione, senza pensare al ritorno per ognuno, provoca riposte responsabili da tutti. Andando in giro con Curcio si mettono insieme associazionismo, protezione civile, Difesa, medici, infermieri».
Le task force servono?
«Eccome. Danno il senso dello Stato che arriva laddove ci sono i più fragili».
Quanti punti vaccinali abbiamo in tutto?
«A fine febbraio siamo partiti da 1.500, ora sono 2.066: dal punto vaccinale in un presidio sanitario fino all’hub da 50 linee di vaccinazione. Il piano prevede approvvigionamento e distribuzione, verifica dei fabbisogni e capillarizzazione. Non deve accadere che arrivino le dosi e non abbiamo chi le somministra».
A quando il mezzo milione di vaccinazioni al giorno?
«L’ultima settimana di aprile. Ora incrementeremo».
Aprile è il mese decisivo?
«Sì. Tra due settimane staremo a 300 mila dosi al giorno. Ad aprile si incrocia un consistente arrivo di vaccini con la verifica delle capacità dei vaccinatori e dei punti di vaccinazione. Se il sistema regge, e mi porta ad avere 500 mila vaccinazioni al giorno a fine mese, a fine settembre chiudo la campagna».
I privati si sono fatti avanti per dare una mano?
«Abbiamo già censito 420 siti produttivi che possono entrare in campagna vaccinale, offerti da Confindustria, aziende, Coni. Ne abbiamo controllato i requisiti. Molti dicono: vorremmo vaccinare i nostri lavoratori. Si farà quando avremo messo in sicurezza chi ha più probabilità di esito negativo per questa malattia. Quando arriveremo a quel punto, vaccineremo in parallelo, per far ripartire il Paese».
Quando?
«Verso fine maggio».
Come valuta il passaporto vaccinale?
«È importante. Si sta pensando a un green pass di natura europea. Ci lavorano i ministri competenti».
L’Oms ha criticato duramente l’Europa per i ritardi nei vaccini...
«Ogni sprone, ben venga. Poi il tempo è galantuomo».
Lei, da tecnico, è un «chiusurista» o un «aperturista»?
«Bisogna essere equilibrati, con buonsenso e pragmatismo».
Un segnale di speranza?
«Le scuole aperte dopo Pasqua. Vaccineremo di più. E tornare sui banchi sarà sempre più sicuro per i nostri figli e i nostri nipoti».
CorSera
Il commissario per l’emergenza: «Ho avuto incontri anche accesi, ma le Regioni sono i miei alleati. Il nepotismo? Io non so come uno possa dormire la notte sapendo che avrebbe potuto salvare una vita e invece ha dato il vaccino all’amico»
Da un mese in carica: che Italia ha trovato nella prima ricognizione sui territori, generale Figliuolo?
«Un’Italia che vuole uscire in fretta dalla pandemia. Ora è chiaro che bisogna mettere al sicuro le nostre radici: gli anziani; e poi i più vulnerabili».
Non è sempre stato così chiaro, diciamolo...
«La svolta sta nel piano strategico del ministero della Salute condiviso con la struttura commissariale: abbiamo messo un punto fermo su chi deve essere vaccinato in priorità. Adesso è stato recepito dai presidenti di Regione e dai loro responsabili sul territorio per le vaccinazioni».
Le Regioni però hanno sbandato, prima. Draghi le ha bacchettate e lei stesso ha parlato di nepotismi.
«C’è stato un combinato disposto: da una parte la pandemia, infida e poco nota, soggetta a rivisitazioni su come agire; dall’altra il primo piano vaccinale, dove si parlava di categorie essenziali poco declinate, al di là di forze armate e forze dell’ordine, insegnanti e sanitari, lasciava molto spazio a ciò che diventa... l’italica inventiva».
Che lei giustifica?
«Io non devo giustificare. Capisco gli atteggiamenti di qualche Regione. Io per primo ho ricevuto molte sollecitazioni, al limite della pressione, da ordini professionali che mi dicevano “noi siamo essenziali”. Aspirazioni legittime, perché non era declinato il piano. Poi si è aggiunta la problematica di AstraZeneca che ha dato all’agenzia regolatoria motivi per porre un limite. Poi, vedendo altri Paesi che vaccinavano oltre quel limite, si è cambiato rotta. Ma alcune Regioni si sono dette: ho AstraZeneca, lo posso fare solo ad alcune tipologie, ci sono i servizi essenziali, li allargo».
Fine degli equivoci, ora?
«Dopo le raccomandazioni del 10 marzo, questo atteggiamento deve scomparire, perché il piano è molto chiaro. C’è una tabella di priorità. Devo ringraziare il ministro Speranza che ha declinato le categorie dei fragili. Dopo queste precisazioni non ci sono più margini: se abusi ci sono, sono voluti. Che poi ci sia qualche nepotismo... io non so come uno possa dormire la notte sapendo che avrebbe potuto salvare una vita e invece ha dato il vaccino all’amico. Lo trovo inqualificabile. Le liste di riserva devono essere in analogia col piano vaccinale: con gli ottantenni, poi i settantenni... non è che fai venire tuo cugino dicendo aspetta che ti vaccino con la sesta dose che rimane».
Accanto al virus letale, c’è un virus della polemica che ci indebolisce nella lotta?
«Noi italiani siamo bravissimi singolarmente ma non pratichiamo il gioco di squadra. Perciò io voglio smorzare le polemiche, sempre».
Mi definisca il suo Piano.
«È la sintesi di tutti i piani regionali. Sono contento di farlo per i nostri concittadini, ho la soddisfazione di essere stato chiamato da un numero uno, il presidente Draghi».
Chi sono i suoi alleati?
«Le Regioni. Ma devo citare anche l’ingegner Curcio, capo della Protezione civile. Mi sta dando una grande mano. Ci conoscevamo da altre emergenze. Ora è nata un’amicizia. In squadra si vince».
Punto debole?
«Dobbiamo spingere Big Pharma a onorare gli impegni. Sui territori ci sono cose da migliorare, ma andarci crea tensione positiva tra i responsabili dei piani vaccinali. I confronti che ho avuto, a volte anche accesi, sono sempre stati costruttivi. Ho avuto interlocutori sul pezzo».
Nelle Regioni?
«Sì. Dalla Lombardia, che è una Regione-Stato, alla Calabria, alla Sardegna, ognuno con le sue peculiarità. La moral suasionmagari su tre commissari Asl, un sindaco e un presidente di Regione, senza pensare al ritorno per ognuno, provoca riposte responsabili da tutti. Andando in giro con Curcio si mettono insieme associazionismo, protezione civile, Difesa, medici, infermieri».
Le task force servono?
«Eccome. Danno il senso dello Stato che arriva laddove ci sono i più fragili».
Quanti punti vaccinali abbiamo in tutto?
«A fine febbraio siamo partiti da 1.500, ora sono 2.066: dal punto vaccinale in un presidio sanitario fino all’hub da 50 linee di vaccinazione. Il piano prevede approvvigionamento e distribuzione, verifica dei fabbisogni e capillarizzazione. Non deve accadere che arrivino le dosi e non abbiamo chi le somministra».
A quando il mezzo milione di vaccinazioni al giorno?
«L’ultima settimana di aprile. Ora incrementeremo».
Aprile è il mese decisivo?
«Sì. Tra due settimane staremo a 300 mila dosi al giorno. Ad aprile si incrocia un consistente arrivo di vaccini con la verifica delle capacità dei vaccinatori e dei punti di vaccinazione. Se il sistema regge, e mi porta ad avere 500 mila vaccinazioni al giorno a fine mese, a fine settembre chiudo la campagna».
I privati si sono fatti avanti per dare una mano?
«Abbiamo già censito 420 siti produttivi che possono entrare in campagna vaccinale, offerti da Confindustria, aziende, Coni. Ne abbiamo controllato i requisiti. Molti dicono: vorremmo vaccinare i nostri lavoratori. Si farà quando avremo messo in sicurezza chi ha più probabilità di esito negativo per questa malattia. Quando arriveremo a quel punto, vaccineremo in parallelo, per far ripartire il Paese».
Quando?
«Verso fine maggio».
Come valuta il passaporto vaccinale?
«È importante. Si sta pensando a un green pass di natura europea. Ci lavorano i ministri competenti».
L’Oms ha criticato duramente l’Europa per i ritardi nei vaccini...
«Ogni sprone, ben venga. Poi il tempo è galantuomo».
Lei, da tecnico, è un «chiusurista» o un «aperturista»?
«Bisogna essere equilibrati, con buonsenso e pragmatismo».
Un segnale di speranza?
«Le scuole aperte dopo Pasqua. Vaccineremo di più. E tornare sui banchi sarà sempre più sicuro per i nostri figli e i nostri nipoti».
CorSera
Commenta