Covid, Miozzo (Cts): «Rispettare le regole per due settimane o si chiude tutto»
Il coordinatore del Comitato tecnico scientifico: da aprile chiediamo misure per i trasporti. Coinvolgere di più i medici di base, sanzioni a chi si rifiuta
Agostino Miozzo, il Comitato tecnico scientifico che lei coordina è accusato di aver coperto le scelte sbagliate del governo. Si vuole difendere?
«Ho letto di tutto, soprattutto analisi totalmente errate e disorientanti di pseudo esperti che hanno evidentemente la sfera di cristallo e la bacchetta del mago Merlino proponendo soluzioni magiche a problemi estremamente complessi. Che siano i politici a criticare le indicazioni del Cts mi sembra quasi legittimo, è nel pieno diritto. Che siano dei tecnici a dire cose inesatte e fuorvianti è molto meno legittimo».
Si sente offeso?
«Imputare al Cts responsabilità di una situazione figlia delle sofferenze imposte al sistema sanitario italiano nei decenni passati è, non solo scorretto, ma direi disonesto. Dov’erano questi esperti di gestione delle emergenze dell’ultima ora, quando venivano tagliati ospedali pubblici e letti di terapia intensiva, quando la politica penalizzava il sistema di sanità pubblica. Non ricordo le voci di questi nuovi urlatori di professione alzarsi forti per denunciare i tagli».
Il Dpcm la convince?
«Risponde alla situazione attuale del Paese che è in rapidissimo peggioramento. Le stesse misure le ha adottate oggi la Germania».
Che senso ha chiudere i ristoranti alle 18, serrare i cinema e i teatri?
«Noi dobbiamo orientare i comportamenti dei nostri concittadini al rispetto rigoroso del distanziamento, alla riduzione di tutti i contatti a rischio, alla limitazione di tutte le possibili occasioni di contagio. È la gradualità di comportamenti da mettere in atto come ultimo tentativo per evitare la ben più dolorosa decisione del lockdown generale».
Non era più efficace ridurre la capienza del trasporto pubblico?
«Dal 18 aprile chiediamo di “attuare ogni misura per ridurre i picchi di utilizzo del trasporto pubblico”».
Però non è stato fatto.
«Non abbastanza. I verbali dimostrano che lo abbiamo scritto per ben 20 volte sollecitando, a più riprese, un nuovo concetto di mobilità».
Appena firmato il Dpcm, il consulente del ministro della Salute Walter Ricciardi ha chiesto il lockdown almeno parziale. Queste prese di posizioni non rischiano di alimentare la confusione?
«Stimo molto Walter Ricciardi, di cui sono amico, ma lui è esperto di sanità pubblica, questa emergenza mi ha insegnato che le decisioni di giungere al lockdown includono anche valutazioni relative alla sicurezza, all’erogazione dei servizi essenziali, all’economia. Io non ho tutti questi strumenti di valutazione e invidio i colleghi capaci di fare valutazioni così complesse dal chiuso del reparto dove dovrebbero assistere i loro malati».
Gli ospedali stanno collassando?
«Soffrono una pressione difficilmente sostenibile nel lungo periodo, soprattutto nei territori in ritardo nell’organizzazione dei percorsi dedicati ai pazienti Covid. L’unico modo per alleggerire è coinvolgere medici di famiglia e pediatri di libera scelta fornendo loro tutti i mezzi per operare, i materiali di protezione, gli strumenti diagnostici. Con l’accordo appena siglato tutti i cittadini potranno fare i tamponi rapidi con il loro medico».
Molti dottori si rifiutano.
«Vanno coinvolti, anche ospitandoli in spazi dedicati se il loro studio non è sufficiente. Naturalmente vanno messi nelle condizioni di lavorare in sicurezza, ma il loro contributo è essenziale».
Non ritiene vergognose le file di ore ai drive in?
«Certamente sì. Ora però le Regioni stanno intervenendo attivando subito tutte le risorse del sistema nazionale. E poi dobbiamo promuovere, insistere, fare tutto il necessario per avere tutti sul proprio cellulare l’applicazione Immuni».
Obbligare?
«Se vuoi entrare in Università devi avere l’applicazione. So di andare contro la libertà dei singoli e i diritti costituzionali, ma dobbiamo convincerci che il bene dell’intera comunità passa anche dalla riduzione, tutto sommato marginale, di alcuni aspetti delle nostre libertà. Con una notifica di Immuni scatta l’isolamento e si interrompe la catena del contagio».
Con la didattica a distanza al 75 % la maggior parte dei ragazzi rimane a casa. Non sarebbe stato più serio chiudere le scuole?
«Io sono un fautore della scuola al 100 %. Il vero coraggio è tenerle aperte e adattare il sistema a questa esigenza. Sono stati fatti miracoli per trasformare il cronico disastro del sistema scolastico in qualcosa che sia in grado di affrontare la crisi che stiamo passando. Dobbiamo difenderlo se non vogliamo trovarci centinaia di migliaia di ragazzi terrorizzati e affetti dalla sindrome della capanna».
Tra quanto tempo sapremo se le misure funzionano?
«Almeno due settimane, poi saremo pronti per decidere se abbiamo raggiunto il limite non compatibile e si deve passare ad un intervento più radicale come quello che abbiamo già dolorosamente sperimentato a marzo e aprile».
E qual è il limite per non passare al lockdown?
«Solo con il rispetto rigoroso delle regole, il lockdown potrà essere ricordato come una brutta esperienza del passato».
CorSera
Il coordinatore del Comitato tecnico scientifico: da aprile chiediamo misure per i trasporti. Coinvolgere di più i medici di base, sanzioni a chi si rifiuta
Agostino Miozzo, il Comitato tecnico scientifico che lei coordina è accusato di aver coperto le scelte sbagliate del governo. Si vuole difendere?
«Ho letto di tutto, soprattutto analisi totalmente errate e disorientanti di pseudo esperti che hanno evidentemente la sfera di cristallo e la bacchetta del mago Merlino proponendo soluzioni magiche a problemi estremamente complessi. Che siano i politici a criticare le indicazioni del Cts mi sembra quasi legittimo, è nel pieno diritto. Che siano dei tecnici a dire cose inesatte e fuorvianti è molto meno legittimo».
Si sente offeso?
«Imputare al Cts responsabilità di una situazione figlia delle sofferenze imposte al sistema sanitario italiano nei decenni passati è, non solo scorretto, ma direi disonesto. Dov’erano questi esperti di gestione delle emergenze dell’ultima ora, quando venivano tagliati ospedali pubblici e letti di terapia intensiva, quando la politica penalizzava il sistema di sanità pubblica. Non ricordo le voci di questi nuovi urlatori di professione alzarsi forti per denunciare i tagli».
Il Dpcm la convince?
«Risponde alla situazione attuale del Paese che è in rapidissimo peggioramento. Le stesse misure le ha adottate oggi la Germania».
Che senso ha chiudere i ristoranti alle 18, serrare i cinema e i teatri?
«Noi dobbiamo orientare i comportamenti dei nostri concittadini al rispetto rigoroso del distanziamento, alla riduzione di tutti i contatti a rischio, alla limitazione di tutte le possibili occasioni di contagio. È la gradualità di comportamenti da mettere in atto come ultimo tentativo per evitare la ben più dolorosa decisione del lockdown generale».
Non era più efficace ridurre la capienza del trasporto pubblico?
«Dal 18 aprile chiediamo di “attuare ogni misura per ridurre i picchi di utilizzo del trasporto pubblico”».
Però non è stato fatto.
«Non abbastanza. I verbali dimostrano che lo abbiamo scritto per ben 20 volte sollecitando, a più riprese, un nuovo concetto di mobilità».
Appena firmato il Dpcm, il consulente del ministro della Salute Walter Ricciardi ha chiesto il lockdown almeno parziale. Queste prese di posizioni non rischiano di alimentare la confusione?
«Stimo molto Walter Ricciardi, di cui sono amico, ma lui è esperto di sanità pubblica, questa emergenza mi ha insegnato che le decisioni di giungere al lockdown includono anche valutazioni relative alla sicurezza, all’erogazione dei servizi essenziali, all’economia. Io non ho tutti questi strumenti di valutazione e invidio i colleghi capaci di fare valutazioni così complesse dal chiuso del reparto dove dovrebbero assistere i loro malati».
Gli ospedali stanno collassando?
«Soffrono una pressione difficilmente sostenibile nel lungo periodo, soprattutto nei territori in ritardo nell’organizzazione dei percorsi dedicati ai pazienti Covid. L’unico modo per alleggerire è coinvolgere medici di famiglia e pediatri di libera scelta fornendo loro tutti i mezzi per operare, i materiali di protezione, gli strumenti diagnostici. Con l’accordo appena siglato tutti i cittadini potranno fare i tamponi rapidi con il loro medico».
Molti dottori si rifiutano.
«Vanno coinvolti, anche ospitandoli in spazi dedicati se il loro studio non è sufficiente. Naturalmente vanno messi nelle condizioni di lavorare in sicurezza, ma il loro contributo è essenziale».
Non ritiene vergognose le file di ore ai drive in?
«Certamente sì. Ora però le Regioni stanno intervenendo attivando subito tutte le risorse del sistema nazionale. E poi dobbiamo promuovere, insistere, fare tutto il necessario per avere tutti sul proprio cellulare l’applicazione Immuni».
Obbligare?
«Se vuoi entrare in Università devi avere l’applicazione. So di andare contro la libertà dei singoli e i diritti costituzionali, ma dobbiamo convincerci che il bene dell’intera comunità passa anche dalla riduzione, tutto sommato marginale, di alcuni aspetti delle nostre libertà. Con una notifica di Immuni scatta l’isolamento e si interrompe la catena del contagio».
Con la didattica a distanza al 75 % la maggior parte dei ragazzi rimane a casa. Non sarebbe stato più serio chiudere le scuole?
«Io sono un fautore della scuola al 100 %. Il vero coraggio è tenerle aperte e adattare il sistema a questa esigenza. Sono stati fatti miracoli per trasformare il cronico disastro del sistema scolastico in qualcosa che sia in grado di affrontare la crisi che stiamo passando. Dobbiamo difenderlo se non vogliamo trovarci centinaia di migliaia di ragazzi terrorizzati e affetti dalla sindrome della capanna».
Tra quanto tempo sapremo se le misure funzionano?
«Almeno due settimane, poi saremo pronti per decidere se abbiamo raggiunto il limite non compatibile e si deve passare ad un intervento più radicale come quello che abbiamo già dolorosamente sperimentato a marzo e aprile».
E qual è il limite per non passare al lockdown?
«Solo con il rispetto rigoroso delle regole, il lockdown potrà essere ricordato come una brutta esperienza del passato».
CorSera
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