Originariamente Scritto da Sly83
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Ma quindi c’è un legame tra concentrazione di particolato e diffusione del Covid-19?
La Società Italiana di Medicina Ambientale ha pubblicato un position paper dove si ipotizza il PM10 abbia facilitato la diffusione del coronavirus in Pianura Padana. “Per alcuni virus questo è una cosa che già esiste. Il metro di distanza in certe condizioni potrebbe non bastare”
Il position paper realizzato dai medici della Sima di Bologna e Bari è consultabile qui:
Relazione circa l’effetto dell’inquinamento da particolato atmosferico e la diffusione di virus nella popolazione
Si legge nel documento:
“Riguardo agli studi sulla diffusione dei virus nella popolazione vi è una solida letteratura scientifica che correla l’incidenza dei casi di infezione virale con le concentrazioni di particolato atmosferico (es. PM10 e PM2,5). È noto che il particolato atmosferico funziona da carrier, ovvero da vettore di trasporto, per molti contaminanti chimici e biologici, inclusi i virus. I virus si “attaccano” (con un processo di coagulazione) al particolato atmosferico, costituito da particelle solide e/o liquide in grado di rimanere in atmosfera anche per ore, giorni o settimane, e che possono diffondere ed essere trasportate anche per lunghe distanze.
Leonadro Setti, del Dipartimento di Chimica industriale dell’Università di Bologna dice: “Dai nostri studi è emerso che laddove abbiamo avuto i maggiori sforamenti di Pm10 nel mese di Febbraio, cioè il mese in cui abbiamo avuto l’espansione della virulenza, statisticamente aumentano le persone contagiate.”
La Italian Aerosol Society non è d’accordo con la correlazione aumento dei contagi-inquinamento e pubblica una nota informativa in cui, nel merito di questa tesi, invita alla massima prudenza.
Italian Aerosol Society – Informativa sulla relazione tra inquinamento atmosferico e diffusione del COVID-19
Nel documento si dice:
La IAS intende esprimere un parere sulle attuali conoscenze relative all’interazione tra livelli di inquinamento da PM e la diffusione del COVID-19. Queste conoscenze sono ancora molto limitate e ciò impone di utilizzare la massima cautela nell’interpretazione dei dati disponibili.
Gli studi però ci sono. Recentemente è stato pubblicato dalla Dottoressa Francesca Dominici, professoressa di biostatistica presso la Harvard T.H. Chan School of Public Health e condirettrice della Data Science Initiative presso l’Università di Harvard, uno studio in cui si dimostra che in 3080 contee degli Stati Uniti, a livelli più elevati di PM 2,5, corrispondono tassi di mortalità da Covid-19 più elevati del 15%.
Lo studio si intitola Exposure to air pollution and COVID-19 mortality in the United States ed è disponibile QUI
Gli studi ci sono e sono materia di indagine per gli enti preposti
Esiste una correlazione tra concentrazione di polveri sottili nell’atmosfera e diffusione e letalità di Covid-19? Report, attraverso un’intervista della giornalista Giulia Presutti, lo chiede direttamente all’Istituto Superiore di Sanità. Ecco il commento Silvio Brusaferro a proposito dello studio guidato dalla Dottoressa Francesca Dominici:
“Lo studio è assolutamente solido; è uno studio che mette in correlazione l’esposizione a PM 2,5 negli anni 2000-2016 con le aree in cui si è verificata mortalità e diffusione di Covid. I ricercatori dell’Istituto lavoreranno su questo tipo di scenario. Esiste un programma (Programma sui Sustainable Developement Goals) dentro il quale si parla di inquinamento e i paesi si pongono degli obiettivi per abbatterlo. Il programma Non era correlato al Covid ma il tema delle polveri sottili era presente.
Fonte: inchiesta di Report del 13 Aprile 2020
La Società Italiana di Medicina Ambientale ha pubblicato un position paper dove si ipotizza il PM10 abbia facilitato la diffusione del coronavirus in Pianura Padana. “Per alcuni virus questo è una cosa che già esiste. Il metro di distanza in certe condizioni potrebbe non bastare”
Il position paper realizzato dai medici della Sima di Bologna e Bari è consultabile qui:
Relazione circa l’effetto dell’inquinamento da particolato atmosferico e la diffusione di virus nella popolazione
Si legge nel documento:
“Riguardo agli studi sulla diffusione dei virus nella popolazione vi è una solida letteratura scientifica che correla l’incidenza dei casi di infezione virale con le concentrazioni di particolato atmosferico (es. PM10 e PM2,5). È noto che il particolato atmosferico funziona da carrier, ovvero da vettore di trasporto, per molti contaminanti chimici e biologici, inclusi i virus. I virus si “attaccano” (con un processo di coagulazione) al particolato atmosferico, costituito da particelle solide e/o liquide in grado di rimanere in atmosfera anche per ore, giorni o settimane, e che possono diffondere ed essere trasportate anche per lunghe distanze.
Leonadro Setti, del Dipartimento di Chimica industriale dell’Università di Bologna dice: “Dai nostri studi è emerso che laddove abbiamo avuto i maggiori sforamenti di Pm10 nel mese di Febbraio, cioè il mese in cui abbiamo avuto l’espansione della virulenza, statisticamente aumentano le persone contagiate.”
La Italian Aerosol Society non è d’accordo con la correlazione aumento dei contagi-inquinamento e pubblica una nota informativa in cui, nel merito di questa tesi, invita alla massima prudenza.
Italian Aerosol Society – Informativa sulla relazione tra inquinamento atmosferico e diffusione del COVID-19
Nel documento si dice:
La IAS intende esprimere un parere sulle attuali conoscenze relative all’interazione tra livelli di inquinamento da PM e la diffusione del COVID-19. Queste conoscenze sono ancora molto limitate e ciò impone di utilizzare la massima cautela nell’interpretazione dei dati disponibili.
Gli studi però ci sono. Recentemente è stato pubblicato dalla Dottoressa Francesca Dominici, professoressa di biostatistica presso la Harvard T.H. Chan School of Public Health e condirettrice della Data Science Initiative presso l’Università di Harvard, uno studio in cui si dimostra che in 3080 contee degli Stati Uniti, a livelli più elevati di PM 2,5, corrispondono tassi di mortalità da Covid-19 più elevati del 15%.
Lo studio si intitola Exposure to air pollution and COVID-19 mortality in the United States ed è disponibile QUI
Gli studi ci sono e sono materia di indagine per gli enti preposti
Esiste una correlazione tra concentrazione di polveri sottili nell’atmosfera e diffusione e letalità di Covid-19? Report, attraverso un’intervista della giornalista Giulia Presutti, lo chiede direttamente all’Istituto Superiore di Sanità. Ecco il commento Silvio Brusaferro a proposito dello studio guidato dalla Dottoressa Francesca Dominici:
“Lo studio è assolutamente solido; è uno studio che mette in correlazione l’esposizione a PM 2,5 negli anni 2000-2016 con le aree in cui si è verificata mortalità e diffusione di Covid. I ricercatori dell’Istituto lavoreranno su questo tipo di scenario. Esiste un programma (Programma sui Sustainable Developement Goals) dentro il quale si parla di inquinamento e i paesi si pongono degli obiettivi per abbatterlo. Il programma Non era correlato al Covid ma il tema delle polveri sottili era presente.
Fonte: inchiesta di Report del 13 Aprile 2020
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