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ragazzi state guardando quella cosa li con superficialità. Quella è una protesta Republicana ai danni del Governatore Democratico Whitmer che ha avviato delle misure simili alle nostre. Quella roba li che vedete fare gli spacconi sono Trumpiani in pieno delirio che presto andranno a piangere quando loro o i loro parenti saranno con un tubo nella trachea.
Oltretutto i Conservatori avevano creato questa manifestazione da fare in macchina, suonando il clacson e facendo casino, specificando di non scendere e di non avere contatti l'uno con l'altro, al solito i Rep hanno capito e fatto l'esatto contrario.
Originariamente Scritto da modgallagher
gandhi invece di giocarsi il libretto della macchina si gioca la cartella clinica
" tra noi sarebbe come abbinare un vino pregiato a un ottimo cibo " ..
Molte delle compagnie che stanno lavorando sul vaccino sono relativamente piccole e non hanno esperienza nella produzione su larga o larghissima scala. Dovranno essere molto brave a cercare le collaborazioni e gli aiuti giusti.
Un'altra cosa che per alcuni di questi potenziali vaccini sara' molto importante, e' l'identificazione degli additivi migliori per ciascun potenziale prodotto. E' una cosa che viene data per scontata, ma che invece e' importantissima, soprattutto per i vaccini. Compagnie che hanno additivi approvati hanno dichiarato di essere disponibili a metterli a disposizione (non gratis) per altre compagnie. Questo dovrebbe applicarsi anche a GSK, il colosso farmaceutico anglo-americano, che oltre ad avere una tecnologia avanzata per quanto riguarda gli additivi, sta anche lavorando ad un vaccino insieme a Sanofi.
Questo e' il numero di progetti attualmente in corso, per area geografica. Sono 115 in tutto, di cui 73 allo stadio preclinico.
* Cina esclusa.
E questi sono quelli che hanno su cui stanno gia' lavorando su volontari sani, 5 al momento. Per i piu' nerd, e' abbastanza interessante vedere che sono approcci tecnologici anche molto diversi tra loro.
TABLE 1 | CLINICAL-PHASE VACCINE CANDIDATES FOR COVID-19
Cina e coronavirus, l’anima taoista e l’abito confuciano
Il contrattacco cinese e l'Occidente. Con l'emergenza da coronavirus da Pechino arriva uno spiraglio di osservazione a proposito del concetto di potere
Il fallimento dei test messi a disposizione dalle autorità sanitarie americane, insieme al sospetto che il governo stia nascondendo i reali numeri del contagio di coronavirus negli Usa, ha portato a una rivalutazione di quanto fatto, invece, dal governo cinese. Di ritorno dalla Cina gli emissari dell’Oms hanno raccontato di ospedali all’avanguardia e macchinari ultramoderni, sostenendo che tutti noi dovremmo ringraziare la Cina per come ha rallentato e limitato il contagio. Bruce Aylward, il leader del team dell’Oms recatosi in Cina, ancora ieri sul New York Times ha sostenuto che «il contrattacco cinese può essere replicato, ma richiederà velocità, denaro, immaginazione e coraggio politico».
Un allenatore italiano, tra i tanti al di là della muraglia, ha spiegato che il governo cinese pensa davvero alla sua popolazione. La Cina ammalia e incanta, si sa. Ma nonostante questo, l’odierna rivalutazione (dopo critiche per i ritardi e la censura delle informazioni) nasce da elementi determinanti insiti nel rapporto tra potere politico e popolazione in Cina.
Si dice che i cinesi abbiano un’anima taoista (quasi sempre sottovalutata in Occidente) e un abito confuciano. L’anima la mostrano spesso nella determinazione a non obbedire, alla legittima aspirazione alla ribellione, alla «revoca del mandato» (la storia cinese è piuttosto ricca di rivolte); il vestito è il riconoscimento di un sistema gerarchico (dalla famiglia allo Stato) in grado di governare non solo gli uomini, ma la natura stessa.
Le due posizioni interagiscono, anziché negarsi, creando sempre qualcosa di nuovo. Il Pcc ha gestito al meglio la crisi del coronavirus perché uno Stato paternalista è in grado di fare breccia su una popolazione pronta a mobilitarsi in massa, a eseguire gli ordini se li ritiene giusti, corretti, volti a un’armonia, a una forma di stabilità economica e sociale. Tanto più in momenti di crisi quando quest’ultima è minacciata.
Il Pcc è l’ago della bilancia sociale in Cina, unica istituzione ad ora in grado di mantenere la stabilità.
La popolazione lo sa e quando bisogna evitare il caos, il luan, segue le direttive del partito, si mobilita. Ma di fronte ad abusi e ingiustizie la popolazione si ribella: in Cina ogni anno ci sono migliaia di «incidenti di massa» (il numero è segreto di Stato), che vanno dalla protesta di qualche petizionista, fino a vere e proprie rivolte cittadine. Ancora una volta siamo di fronte a due elementi, obbedienza e ribellione al potere, che non si annullano ma creano un nuovo campo di confronto, in continua evoluzione.
La presupposta rigidità del sistema politico cinese è un’illusione tutta nostra. La «creatività» politica con la quale la Cina – per limitarci agli ultimi 50 anni – ha gestito questioni politiche interne (e anche internazionali, si pensi all’invenzione della teoria «un paese due sistemi» o quando nel 2010 il Pcc «consigliò» a Google di spostarsi proprio a Hong Kong) è sempre viva, attiva, cangiante ed è garantita dalla possibilità di concepire danze politiche che a noi appaiono contraddittorie.
In Cina, infatti, particolarmente rilevanti sono le caratteristiche del Pcc, un sofisticato congegno di gestione del potere capace di sfaccettature minuziose, grande capacità di adattamento, sperimentazione e di «visione»: prima dell’arrivo al potere di Xi Jinping – per ricollegarci alla rivalità tra Cina e Usa e al coronavirus – in Cina si era assistito all’innalzamento sociale, politico e amministrativo della figura dello scienziato, sfociato poi in cicli politici gestiti dai «tecnocrati». Hu Jintao, presidente e segretario dal 2002 al 2012 è il fautore dello sviluppo scientifico del socialismo con caratteristiche cinesi (e si trattò di un decennio che prometteva molti più cambiamenti di quelli cui poi abbiamo realmente assistito). L’attuale dirompente motore tecnologico cinese è stato puntellato in quella decade. Xi Jinping – il cui governo è più ideologico che tecnocrate – l’ha raccolto e l’ha adeguato alle sue esigenze, interne ed esterne. Negli Usa, dopo l’impeto degli anni ’40 alla ricerca (che avrebbe portato l’America a modellare i sogni consumistici e culturali di quasi tutto il mondo e portare l’«innovazione» tecnologica da internet agli iPhone), all’inizio degli anni ’80 in realtà inizia un lento declino degli investimenti statali nell’ambito scientifico: la spesa pubblica per ricerca e sviluppo scende fino allo 0,6 per cento del Pil nel 2017. Oggi ben nove paesi superano gli Stati Uniti. Entro il 2025 secondo «The Journal of the American Medical Association», la Cina sostituirà gli Usa come leader mondiale nella ricerca e sviluppo nel settore farmaceutico.
Dare importanza al ceto intellettuale, garantendo crescita e possibilità di fare ricerca con fondi e in luoghi ad hoc, ha permesso al partito comunista cinese di sistemare due paletti fondamentali per la sua attuale forza economica: da un lato, riservando un ruolo centrale alla scienza, ha finito per portare i cosiddetti tecnocrati al potere nel primo decennio degli anni Duemila imprimendo un cambio epocale (il passaggio della Cina da economia trainata dalle esportazioni a mercato interno florido ed export di innovazione e prodotti di alto valore); dall’altro, ha posto sotto il controllo ideologico del partito un’intera generazione di intellettuali, scienziati, professori universitari. I risultati si vedono oggi. Si può trarre una lezione da tutto questo? Difficile a dirsi considerando la specificità cinese. C’è piuttosto un punto di vista, uno spiraglio di osservazione oltre alla nostra «razionalità» occidentale, a proposito del concetto di potere, tanto nella sua declinazione repressiva (il controllo sociale in Cina, soprattutto grazie all’immenso sviluppo tecnologico, è pressoché totale) quanto nella sua potenzialità di creare nuove dialettiche, nuove forme di governamentalità, all’interno di sistemi non democratici.
Si tratta di un progredire che potrebbe riguardare – presto o tardi – anche noi.
Cina e coronavirus, l’anima taoista e l’abito confuciano
Il contrattacco cinese e l'Occidente. Con l'emergenza da coronavirus da Pechino arriva uno spiraglio di osservazione a proposito del concetto di potere
Il fallimento dei test messi a disposizione dalle autorità sanitarie americane, insieme al sospetto che il governo stia nascondendo i reali numeri del contagio di coronavirus negli Usa, ha portato a una rivalutazione di quanto fatto, invece, dal governo cinese. Di ritorno dalla Cina gli emissari dell’Oms hanno raccontato di ospedali all’avanguardia e macchinari ultramoderni, sostenendo che tutti noi dovremmo ringraziare la Cina per come ha rallentato e limitato il contagio. Bruce Aylward, il leader del team dell’Oms recatosi in Cina, ancora ieri sul New York Times ha sostenuto che «il contrattacco cinese può essere replicato, ma richiederà velocità, denaro, immaginazione e coraggio politico».
Un allenatore italiano, tra i tanti al di là della muraglia, ha spiegato che il governo cinese pensa davvero alla sua popolazione. La Cina ammalia e incanta, si sa. Ma nonostante questo, l’odierna rivalutazione (dopo critiche per i ritardi e la censura delle informazioni) nasce da elementi determinanti insiti nel rapporto tra potere politico e popolazione in Cina.
Si dice che i cinesi abbiano un’anima taoista (quasi sempre sottovalutata in Occidente) e un abito confuciano. L’anima la mostrano spesso nella determinazione a non obbedire, alla legittima aspirazione alla ribellione, alla «revoca del mandato» (la storia cinese è piuttosto ricca di rivolte); il vestito è il riconoscimento di un sistema gerarchico (dalla famiglia allo Stato) in grado di governare non solo gli uomini, ma la natura stessa.
Le due posizioni interagiscono, anziché negarsi, creando sempre qualcosa di nuovo. Il Pcc ha gestito al meglio la crisi del coronavirus perché uno Stato paternalista è in grado di fare breccia su una popolazione pronta a mobilitarsi in massa, a eseguire gli ordini se li ritiene giusti, corretti, volti a un’armonia, a una forma di stabilità economica e sociale. Tanto più in momenti di crisi quando quest’ultima è minacciata.
Il Pcc è l’ago della bilancia sociale in Cina, unica istituzione ad ora in grado di mantenere la stabilità.
La popolazione lo sa e quando bisogna evitare il caos, il luan, segue le direttive del partito, si mobilita. Ma di fronte ad abusi e ingiustizie la popolazione si ribella: in Cina ogni anno ci sono migliaia di «incidenti di massa» (il numero è segreto di Stato), che vanno dalla protesta di qualche petizionista, fino a vere e proprie rivolte cittadine. Ancora una volta siamo di fronte a due elementi, obbedienza e ribellione al potere, che non si annullano ma creano un nuovo campo di confronto, in continua evoluzione.
La presupposta rigidità del sistema politico cinese è un’illusione tutta nostra. La «creatività» politica con la quale la Cina – per limitarci agli ultimi 50 anni – ha gestito questioni politiche interne (e anche internazionali, si pensi all’invenzione della teoria «un paese due sistemi» o quando nel 2010 il Pcc «consigliò» a Google di spostarsi proprio a Hong Kong) è sempre viva, attiva, cangiante ed è garantita dalla possibilità di concepire danze politiche che a noi appaiono contraddittorie.
In Cina, infatti, particolarmente rilevanti sono le caratteristiche del Pcc, un sofisticato congegno di gestione del potere capace di sfaccettature minuziose, grande capacità di adattamento, sperimentazione e di «visione»: prima dell’arrivo al potere di Xi Jinping – per ricollegarci alla rivalità tra Cina e Usa e al coronavirus – in Cina si era assistito all’innalzamento sociale, politico e amministrativo della figura dello scienziato, sfociato poi in cicli politici gestiti dai «tecnocrati». Hu Jintao, presidente e segretario dal 2002 al 2012 è il fautore dello sviluppo scientifico del socialismo con caratteristiche cinesi (e si trattò di un decennio che prometteva molti più cambiamenti di quelli cui poi abbiamo realmente assistito). L’attuale dirompente motore tecnologico cinese è stato puntellato in quella decade. Xi Jinping – il cui governo è più ideologico che tecnocrate – l’ha raccolto e l’ha adeguato alle sue esigenze, interne ed esterne. Negli Usa, dopo l’impeto degli anni ’40 alla ricerca (che avrebbe portato l’America a modellare i sogni consumistici e culturali di quasi tutto il mondo e portare l’«innovazione» tecnologica da internet agli iPhone), all’inizio degli anni ’80 in realtà inizia un lento declino degli investimenti statali nell’ambito scientifico: la spesa pubblica per ricerca e sviluppo scende fino allo 0,6 per cento del Pil nel 2017. Oggi ben nove paesi superano gli Stati Uniti. Entro il 2025 secondo «The Journal of the American Medical Association», la Cina sostituirà gli Usa come leader mondiale nella ricerca e sviluppo nel settore farmaceutico.
Dare importanza al ceto intellettuale, garantendo crescita e possibilità di fare ricerca con fondi e in luoghi ad hoc, ha permesso al partito comunista cinese di sistemare due paletti fondamentali per la sua attuale forza economica: da un lato, riservando un ruolo centrale alla scienza, ha finito per portare i cosiddetti tecnocrati al potere nel primo decennio degli anni Duemila imprimendo un cambio epocale (il passaggio della Cina da economia trainata dalle esportazioni a mercato interno florido ed export di innovazione e prodotti di alto valore); dall’altro, ha posto sotto il controllo ideologico del partito un’intera generazione di intellettuali, scienziati, professori universitari. I risultati si vedono oggi. Si può trarre una lezione da tutto questo? Difficile a dirsi considerando la specificità cinese. C’è piuttosto un punto di vista, uno spiraglio di osservazione oltre alla nostra «razionalità» occidentale, a proposito del concetto di potere, tanto nella sua declinazione repressiva (il controllo sociale in Cina, soprattutto grazie all’immenso sviluppo tecnologico, è pressoché totale) quanto nella sua potenzialità di creare nuove dialettiche, nuove forme di governamentalità, all’interno di sistemi non democratici.
Si tratta di un progredire che potrebbe riguardare – presto o tardi – anche noi.
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il primo articolo (huffpost)è di Gaetano Fausto Esposito, economista si occupa di analisi economica e dei processi di internazionalizzazione delle imprese. Coronavirus e nuove egemonie mondiali: Confucio batte Zio Sam? ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Coronavirus, a Milano i morti sono duemila: «Qui la curva non è ancora scesa»
Nelle sole ultime due settimane in città sono morte di coronavirus quasi mille persone. Il grosso dei contagi è dilagato tra fine febbraio e inizio marzo. L’epidemiologo: «La speranza è che questa linea relativamente costante presto inizi a scendere»
La catastrofe resterà scolpita in un’immagine che vedranno in pochissimi. Al cimitero milanese di Lambrate, in attesa di cremazione, prima di Pasqua c’erano oltre cinquecento bare. Per questo le accettazioni al crematorio sono state bloccate. Le famiglie stanno affidando i loro morti alle imprese di onoranze funebri che li portano per la cremazione fino a Civitavecchia. Le difficoltà di rilascio delle autorizzazioni stanno allungando i tempi: e così nella camera mortuaria dell’ospedale «Niguarda» nel giorni scorsi si contavano fino a 60 salme, 40 all’istituto per anziani «Don Gnocchi», oltre dieci ieri mattina solo nella cappella del «Pio Albergo Trivulzio».
L’ondata del Covid-19 su Milano continua a provocare morti con una tendenza ancora stabile di circa cento al giorno, due volte e mezza sopra la media. Secondo più fonti concordanti interpellate dal Corriere, i decessi a Milano nella prima metà di aprile sono stati 1.500: e se si confrontano con quelli statisticamente attesi (circa 600, una media di tra i 40 e i 45 al giorno) si scopre che nelle sole ultime due settimane in città sono morte di coronavirus quasi mille persone. Che si sommano ai già oltre mille decessi per Covid-19 nella seconda metà di marzo.
«Niente influenza»
Stimare le morti Covid-correlate in questo periodo è piuttosto semplice, perché nel 2020 l’influenza è stata breve e poco aggressiva, di fatto scomparsa da febbraio. Conseguenza: praticamente tutti i morti in eccesso rispetto alla media, da marzo in poi, sono attribuibili al coronavirus.
Riflette Carlo La Vecchia, epidemiologo e docente di statistica medica all’università «Statale» di Milano: «È un dato che si può leggere da due punti di vista. Da una parte, a Milano non c’è stata la tragedia immane di Bergamo e Brescia, dove i decessi sono stati il quadruplo. Dall’altra parte, i decessi in città sono più del doppio di quelli attesi, con una tendenza che ancora non si è fermata. La speranza è che questa linea relativamente costante presto inizi a scendere».
La strage di anziani
Gli ultimi dati diffusi dall’Istat raccontano quel che è avvenuto solo fino al 3 aprile, ma definiscono con chiarezza che la fascia d’età più falcidiata in città è quella sopra gli 80 anni. Per una gran parte, anche se ci vorranno mesi per un quadro definitivo, si tratta di anziani ospitati nelle case di riposo devastate dal contagio. Ieri anche il Comune di Milano ha diffuso una fotografia della mortalità. Ha spiegato l’assessore ai Servizi Civici, Roberta Cocco: «I dati sul mese di marzo si discostano in maniera importante rispetto agli anni precedenti: nel marzo 2018 i decessi sono stati 1.206, nel marzo 2019 1.224 e nel 2020 ben 2.130 (con un aumento di 906)». L’assessore si riferisce soltanto ai decessi di residenti in città, ai quali bisogna aggiungere una quota di non residenti, ma comunque «milanesi», più una parte di pazienti portati da fuori per essere ricoverati a causa del coronavirus.
Mentre a Brescia e Bergamo l’ondata dei decessi è partita prima, a Milano è iniziata in ritardo, proprio perché il grosso dei contagi è dilagato tra fine febbraio e inizio marzo, quando le istituzioni dibattevano su tempi e modi delle «misure di contenimento» e un movimento molto milanese invitava a reagire al pericolo con la campagna #milanononsiferma. L’ondata ritardata delle morti è così andata avanti in proporzioni pesanti anche in aprile. Il Comune ha diffuso i dati dall’1 al 9 del mese: sia nel 2018, sia nel 2019, i decessi tra i residenti in questo arco di tempo erano stati 352, mentre nel 2020 sono saliti a 825 (con un aumento di 473). A metà mese, considerando anche i non residenti, sono arrivati a 1.500.
Dato che in città da anni il 70 per cento delle persone decide per la cremazione, la gestione è andata in crisi. Il Comune ha organizzato un servizio di video-chiamate per rilasciare le autorizzazioni. Molte famiglie hanno segnalato però ritardi anche di giorni. È anche per questo che le bare restano in attesa nelle camere mortuarie.
Dalle (solite) scandinave, alle piccole Nuova Zelanda e Taiwan, fino alla grande Germania: dove la guida è al femminile la pandemia risulta meglio gestita
...ma di noi
sopra una sola teca di cristallo
popoli studiosi scriveranno
forse, tra mille inverni
«nessun vincolo univa questi morti
nella necropoli deserta»
Usa: 2.569 morti nelle ultime 24 ore
È l’ultimo aggiornamento dei ricercatori della Johns Hopkins University. Dall’inizio dell’epidemia è il maggior numero di decessi per coronavirus in un giorno negli Stati Uniti.
Trump: «Usa, raggiunto il picco dei contagi»
Gli Stati Uniti hanno probabilmente superato il picco dei contagi di coronavirus. Lo ha detto il presidente Donald Trump durante la conferenza stampa alla Casa Bianca sul Covid-19. La Casa Bianca annuncerà la nuove linee guida sulla fine del lockdown per il coronavirus giovedì.
Arcuri, abbiamo più mascherine di richiesta Regioni « Le regioni ci chiedono un fabbisogno di 3,5 milioni di mascherine al giorno. Nell’ultima settimana ne abbiamo distribuite una media di 5,1 milioni al giorno e dunque abbiamo finalmente una capacità di risposta che è superiore al fabbisogno delle Regioni». Lo ha detto il commissario Domenico Arcuri al Tg5 sottolineando che la maggior parte arriva dall’estero e ricordando che in 3 settimane 61 imprese italiane sono state autorizzate a riconvertirsi e a produrle. Quanto alle terapie intensive, ha aggiunto, sono state consegnati 2.800 ventilatori e i posti letto sono aumentati dell’80%.
Tutti gli aggiornamenti sulla diffusione di Covid-19 di mercoledì 15 aprile
...ma di noi
sopra una sola teca di cristallo
popoli studiosi scriveranno
forse, tra mille inverni
«nessun vincolo univa questi morti
nella necropoli deserta»
Non si avevano a disposizione informazioni e conoscenze, e invece della cautela ancora maggiore che una condizione simile avrebbe suggerito a chiunque fosse dotato di quel minimo sindacale di buon senso, “noncisifermava”.
Anche se i morti direttamente o indirettamente collegati a questa espressione di stupidita’ fossero stati ZERO, capiamo bene la differenza che passa tra scommettere sulla vita (propria e altrui) e gestire le situazioni col cervello attivo.
E’ un fenomeno trasversale, e diffuso ad ogni latitudine da sempre.
Questi sono i numeri di ieri. A me sembra che i big europei continuino a crescere più di noi, a parte la Germania, che comunque ha visto crescere parecchio i morti negli ultimi giorni.
Nei Paesi arabi (Qatar, Kuwait, Arabia Saudita, Emirati ecc...) come va?
...ma di noi
sopra una sola teca di cristallo
popoli studiosi scriveranno
forse, tra mille inverni
«nessun vincolo univa questi morti
nella necropoli deserta»
Questi sono i numeri di ieri. A me pare che gli altri grandi stati europei siano ancora in dietro, a parte la Germania, che comunque negli ultimi giorni sta aumentando fortemente i morti.
ieri sera mentre la leggevo mi sono soffermato sui casi in condizioni critiche.
Siamo, nonostante i numeri, al di sotto degli altri Paesi maggiormente falcidiati.
In Germania sono piu’ dei nostri.
Temo che nelle prossime settimane potranno toglierci dai riflettori sotto il profilo delle tante morti, triste per ogni bandiera.
Gia’ adesso...la Francia ieri ha registrato un numero tremendo, senza scomodare gli USA.
Il medio termine allinea le cose, attenua certe differenze determinate dalle partenze “scaglionate”
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