Attenzione: Calcio Inside! Parte III

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  • robybaggio10
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    • Franciacorta
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    Lewandoski ne ha 33...ma si vede che e' uno professionale al 100%. Lui si che puo' reggere fino a 37-38 anni.
    I SUOI goals:
    -Serie A: 189
    -Serie B: 6
    -Super League: 5
    -Coppa Italia: 13
    -Chinese FA Cup: 1
    -Coppa UEFA: 5
    -Champions League: 13
    -Nazionale Under 21: 19
    -Nazionale: 19
    TOTALE: 270

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    • marcu9
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      • May 2009
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      Originariamente Scritto da robybaggio10 Visualizza Messaggio
      Lewandoski ne ha 33...ma si vede che e' uno professionale al 100%. Lui si che puo' reggere fino a 37-38 anni.
      Ma onestamente credo sia quasi impossibile che abbia tutta sta voglia di finire la carriera al Milan rischiando ogni anno di non andare in Champions...
      Originariamente Scritto da Sean
      Tu non capisci niente, Lukino, proietti le tue fissi su altri. Sei di una ignoranza abissale. Prima te la devi scrostare di dosso, poi potremmo forse avere un dialogo civile.

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      • robybaggio10
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        • Dec 2011
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        Originariamente Scritto da marcu9 Visualizza Messaggio
        Ma onestamente credo sia quasi impossibile che abbia tutta sta voglia di finire la carriera al Milan rischiando ogni anno di non andare in Champions...
        L'ho preso solo come esempio di "vecchio" ma professionista esemplare...quindi ancora forte per anni.
        Al Milan credo che piu' di un Immobile (con tutto il rispetto per Immobile) non verrebbe.
        I SUOI goals:
        -Serie A: 189
        -Serie B: 6
        -Super League: 5
        -Coppa Italia: 13
        -Chinese FA Cup: 1
        -Coppa UEFA: 5
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        -Nazionale Under 21: 19
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        • marcu9
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          Originariamente Scritto da robybaggio10 Visualizza Messaggio
          L'ho preso solo come esempio di "vecchio" ma professionista esemplare...quindi ancora forte per anni.
          Al Milan credo che piu' di un Immobile (con tutto il rispetto per Immobile) non verrebbe.
          Immobile/Belotti al momento sarebbero oro colato!
          Originariamente Scritto da Sean
          Tu non capisci niente, Lukino, proietti le tue fissi su altri. Sei di una ignoranza abissale. Prima te la devi scrostare di dosso, poi potremmo forse avere un dialogo civile.

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          • marcu9
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            Florenzi, Grifo e Cragno positivi dopo Bonucci e Verratti.

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            Tu non capisci niente, Lukino, proietti le tue fissi su altri. Sei di una ignoranza abissale. Prima te la devi scrostare di dosso, poi potremmo forse avere un dialogo civile.

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            • marcu9
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              > RINNOVO VICINO PRESUPPOSTI PER CONTINUARE CON L'INTER CI SONO TUTTI. L'INGAGGIO SALIRÀ A 13.5 MILION"">
              Originariamente Scritto da Sean
              Tu non capisci niente, Lukino, proietti le tue fissi su altri. Sei di una ignoranza abissale. Prima te la devi scrostare di dosso, poi potremmo forse avere un dialogo civile.

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              • Sean
                Csar
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                Covid, cluster nazionale: positivi anche Florenzi, Grifo, Sirigu e Cragno

                Si allarga il focolaio. L'ex romanista non ci sarà mercoledì nell'andata dei quarti di Champions Bayern-Psg, rivincita della finale 2020. L'altra positività è stata comunicata dal club tedesco del Friburgo. Fermati anche il portiere del Cagliari e quello del Torino (anche se il club granata ufficialmente non ha comunicato il nome)

                Si allarga il cluster della nazionale Anche Alessandro Florenzi, dopo Marco Verratti, è risultato positivo al Covid in casa Psg. Il club di Ligue 1 ha annunciato stamattina l'esito dell'ultimo tampone. Ma oltre a Florenzi sono risultati positivi anche Vincenzo Grifo, lo ha comunicato il Friburgo, e Alessio Cragno, portiere del Cagliari . Sale così il numero dei positivi azzurri dopo l'ultima sosta per le sfide delle qualificazioni al Mondiale, dopo i casi relativi allo staff di Mancini e allo juventino Leonardo Bonucci.

                Florenzi salta la Champions

                Il terzino era rimasto in isolamento precauzionale saltando la sfida di ieri tra Psg e Lille. L'ex romanista non potrà quindi scendere in campo per la sfida di Champions di mercoledì con il Bayern Monaco, valida per l'andata dei quarti e rivincita della finale 2020. Dalla Germania invece è arrivata la notizia della positività di Grifo: "Il giocatore è andato subito in quarantena e non partecipa alla trasferta per la partita a Mönchengladbach - ha fatto sapere il Friburgo - Tutti gli altri test effettuati sui calciatori della rosa sono risultati negativi". Grifo non ha preso parte alla trasferta contro la Lituania proprio per via della restrizioni anti-Covid vigenti in Germania, che prevedono la quarantena obbligatoria per chi arriva da determinati Paesi, tra questi appunto anche la Lituania.


                Cagliari, positivo Cragno

                Il conto degli azzurri positivi sale con Alessio Cragno. Il Cagliari fa sapere che il portiere è risultato positivo al Covid-19: "monitorato con attenzione dal suo rientro dagli impegni con la Nazionale italiana, il calciatore ha eseguito un nuovo test diagnostico nella giornata di ieri, domenica 4 aprile, e si trova attualmente in isolamento. Il gruppo squadra ha già iniziato l'isolamento fiduciario domiciliare e si atterrà rigorosamente a quanto previsto dal Protocollo. Il club ha avviato tutte le procedure del caso ed è in costante contatto con le autorità sanitarie competenti". Sabato Cragno era sceso in campo con il Verona perché gli esiti dei tamponi giovedì e venerdì erano negativi.

                Torino, il nuovo caso sarebbe Sirigu

                Sempre di oggi è la notizia di un'altra positività nel gruppo squadra del Torino, già al centro di un focolaio nelle scorse settimane. Il club granata non ha comunicato il nome del giocatore, che è già in quarantena, ma secondo quanto riportato dall'agenzia Ansa, si tratterebbe del portiere Sirigu, anche lui reduce dalla trasferta in Nazionale. "Il tesserato, in accordo con le autorità sanitarie, è già stato posto in isolamento fiduciario sotto la supervisione dello staff medico granata", si legge. Il Toro "continuerà a seguire l'iter previsto dai protocolli vigenti. Ciò consentirà a tutti i soggetti negativi ai controlli di svolgere la regolare attività", aggiunge la nota. Anche Sirigu sabato aveva disputato regolarmente il derby con la Juventus. Nelle scorse settimane il Torino era stato costretto a saltare due partite (con Sassuolo e Lazio) per la positività di molti giocatori: la partita con la Lazio era stato al centro di molte polemiche, era stata infatti la Asl a vietare la trasferta ai granata.

                Si allarga il focolaio. L'ex romanista non ci sarà mercoledì nell'andata dei quarti di Champions Bayern-Psg, rivincita della finale 2020.…
                ...ma di noi
                sopra una sola teca di cristallo
                popoli studiosi scriveranno
                forse, tra mille inverni
                «nessun vincolo univa questi morti
                nella necropoli deserta»

                C. Campo - Moriremo Lontani


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                • Sean
                  Csar
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                  Secondo il Corriere dello Sport potrebbe esserci un altro positivo in casa Juventus, il giocatore farebbe parte del gruppo dei nazionali italiani (Chiellini, Bernardeschi o Chiesa).

                  Oggi il test molecolare.


                  Fonte CDS.

                  _________________

                  Dovrebbe trattarsi di Bernardeschi.
                  ...ma di noi
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                  forse, tra mille inverni
                  «nessun vincolo univa questi morti
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                    Corsa Champions, Milan e Juve in ansia, Atalanta e Napoli in crescita

                    Atalanta e Napoli le più in forma, romane in affanno. Pioli deve recuperare i veri Ibra e Calhanoglu, ma solo la Juventus sta peggio

                    Se lo scudetto può perderlo solo l’Inter, la lotta per i milioni e il prestigio della Champions è spettacolare e combattuta. Il meglio della serie A. Dal Milan secondo alla Roma settima, e ora come ora fuori dall’eurozona, ballano 9 punti e stati d’animo differenti. Sfruttando la fredda logica dei numeri, è facile capire chi sta meglio: Atalanta e Napoli.

                    Considerando soltanto la classifica del girone di ritorno sono quelle che hanno fatto più punti (22) e, senza le coppe, promettono di non fermarsi. Se riduciamo la forbice alle ultime 8 giornate, che indicano bene lo stato di forma delle 6 contendenti, la squadra di Gasperini è un passo oltre: ne ha vinte 7 e ha perso solo contro l’Inter capolista dopo aver giocato meglio.


                    Nelle 8 giornate in questione i bergamaschi hanno messo insieme 21 punti, 10 più del Milan, che sino a sabato scorso ha pensato allo scudetto e adesso deve preoccuparsi di difendere quello che ha. Il Diavolo, strepitoso nel 2020, è franato con il nuovo anno, soprattutto per gli infortuni, ma anche adesso che i migliori sono tornati non riesce più a ritrovarsi. Il punto di forza della banda Pioli è il ritmo ossessivo in trasferta con 12 vittorie su 14 partite e una sola sconfitta a La Spezia.

                    Ma per difendere il secondo posto e non scendere sotto il quarto, il Milan deve urgentemente invertire il trend casalingo. Nel suo stadio non vince dal 7 febbraio con il Crotone e l’ultimo pareggio, arraffato alla fine con l’organizzata Samp di Ranieri, ha certificato le difficoltà. Pioli deve approfittare del calendario nelle prossime tre giornate contro Parma, Genoa e Sassuolo. Ma la sua vera «mission» è recuperare i giocatori determinanti: Ibrahimovic e Calhanoglu, decisivi a Firenze, sono tornati spenti dai viaggi con le rispettive Nazionali. E senza la loro qualità i rossoneri hanno spento la luce.

                    Solo la Juve sta peggio del Milan. Basti pensare che ha preso soltanto un punto tra Benevento e Torino, vanificando le precedenti 3 vittorie consecutive. La regina degli ultimi nove scudetti deve per la prima volta misurarsi con qualcosa che non le appartiene: la paura di sbagliare. Pirlo è con le spalle al muro.


                    La Juve può pure perdere lo scudetto, ma non uno dei posti per la Champions. I bianconeri devono ritrovare il gioco e la convinzione. E con un allenatore debuttante, seppure di grande carisma, non è facile. Il problema ormai è conclamato e il dottore non sembra aver trovato la medicina giusta. Neppure l’esperienza dei grandi vecchi ha aiutato Madama. I gol di Ronaldo e il fuoco di Chiesa sono valori aggiunti. Il resto manca. A Pirlo il compito di dare la scossa giusta sin dallo scontro diretto di mercoledì sera con il Napoli. Una specie di dentro o fuori con l’amico Gattuso.

                    Rino ha vissuto momenti burrascosi ed è già fuori dai piani di De Laurentiis per il futuro, ma sta prendendosi una bella rivincita. Superata l’emergenza, soprattutto in attacco e ritrovata serenità, il Napoli corre parecchio. Anche per gli azzurri, che vengono da 4 vittorie di fila, lo spareggio allo Stadium può essere decisivo prima dello sprint finale. In affanno le romane. La Lazio, per la verità, viene da 3 vittorie consecutive, ma non sembra più quella dell’anno scorso. I biancocelesti, come Juve e Napoli, hanno una partita da recuperare con il Torino che ancora non è in calendario, ma non possono più sbagliare. E non è facile giocare con tanta pressione addosso. Lo stesso discorso vale per la Roma, unica italiana in Europa (League), un orgoglio ma anche un bel sovraccarico di lavoro e di stanchezza. Anche di distrazioni: senza contare i processi, soprattutto a Fonseca, che si sommano a ogni partita andata nel verso sbagliato. Lazio e Roma, con il Milan, sono le squadre che nelle ultime 8 giornate hanno perso di più: tre volte. Troppe per chi ambisce a un posto al sole. Decisivi saranno gli scontri diretti. La Juve, considerando il recupero con il Napoli, ne ha 4. Tutte le altre si fermano a 3. Ma per i bianconeri, che faticano a mantenere alta la concentrazione nelle partite apparentemente più semplici, potrebbe essere un vantaggio.


                    CorSera
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                    C. Campo - Moriremo Lontani


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                    • Sean
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                      Milan, Pioli da salvatore della patria a capro espiatorio


                      Il tecnico dei rossoneri al centro delle critiche dopo i recenti risultati negativi

                      Da simbolo della meritocrazia a parafulmine di una squadra che ha cominciato a rallentare troppo, dopo avere volato per mesi: le pesanti critiche di queste ore a Pioli sono un classico della volubilità italiana nel calcio. Il Milan è arrivato al momento cruciale della sua stagione. La tautologia scopre l'acqua calda, perché vale per quasi tutte la squadre del campionato e in particolare per quelle che si stanno giocando la Champions League, traguardo ormai economico, prima ancora che tecnico, e perciò condizionante per il futuro stesso dei club sotto crisi Covid. Però nel Milan c'è una differenza: Pioli è in discussione per la prima volta da 8 mesi, da quando fu riconfermato fino a giugno 2022 in concomitanza con l'uscita di scena della figura ingombrante e per certi versi letteraria del tedesco Rangnick.

                      Il sostegno del club

                      Premessa fondamentale: a discutere l'allenatore non è la società. Il fondo Elliott, per interposto ad Gazidis, ne ha misurato l'importanza nella scalata in classifica, culminata nel titolo di campione d'inverno e nell'attuale secondo posto. E il dt Maldini, che con l'allora responsabile dell'area tecnica Boban, lo volle in panchina per rimpiazzare Giampaolo e che si è poi opposto all'idea Rangnick, ha sempre sostenuto Pioli in ogni intervento pubblico. È l'ondivago mondo della critica, preferibilmente social, a dimenticare per via degli ultimi risultati il ruolo essenziale dell'uomo che con la formidabile risalita - tra il 22 giugno 2021, data della ripresa della serie A dopo il lockdown, e il 6 gennaio 2021, data della sconfitta con la Juventus e del graduale inizio di un periodo complicato - ha incarnato un valore non propriamente italiano: il riconoscimento del merito.

                      Attacco poco pungente

                      A Pioli viene contestata la formazione di partenza con la Sampdoria. La tesi è che in assenza di Calabria l'esperimento di Saelemaekers arretrato a terzino per formare la catena di destra con Castillejo ala abbia appunto tarpato le ali all'attacco, anche perché sulla fascia sinistra la coppia Hernandez-Krunic non ha compensato, anzi ha accentuato, lo squilibrio tra fase difensiva e offensiva. La teoria appare fuorviante, perché l'allenatore ha corretto l'assetto iniziale già nell'intervallo, inserendo Kalulu per Saelemaekers, e perché gli stenti nel gioco e la scarsa capacità di pungere si sono perpetuati anche dopo gli episodi decisivi della partita: il gol di Quagliarella su regalo di Hernandez e l'immediato controregalo sampdoriano della gratuita espulsione di Silva, che ha accelerato la staffetta tra Krunic e Rebic (insieme a quella tra lo stanco Bennacer e Tonali). Il Milan ha cominciato a essere davvero pericoloso solo a un quarto d'ora abbondante dalla fine, quando Hauge ha sostituito Castillejo e non è un caso che proprio il norvegese abbia poi pareggiato nel finale.

                      Nel mirino Hernandez e Castillejo

                      Non possono dunque sfuggire due fatti oggettivi. La Sampdoria ha fisiologicamente ceduto a poco a poco, in inferiorità numerica, rischiando la beffa sul palo di Kessié. Ed è stata l'uscita del molle Castillejo, più dell'ingresso di Hauge, a determinare il cambio di passo. Significa che l'inconcludente palleggio va addebitato più che altro all'assenza di strappi, di scatti e di smarcamenti e al basso ritmo complessivo. I dati fisici confermano l'insufficiente rendimento atletico: forse giustificato dalle trasferte con le rispettive Nazionali per Çalhanoglu, Kessié, Bennacer, Krunic e Ibrahimovic, meno per Saelemaekers che col Belgio è rimasto in panchina (come Hauge con la Norvegia), non certamente per Hernandez e Castillejo, che in Nazionale non vanno. In teoria, proprio per questo, avrebbero dovuto emergere su compagni e avversari più stanchi, perché anche nella Sampdoria non mancavano i reduci dalle Nazionali. In pratica Hernandez e Castillejo sono stati tra i meno brillanti e soprattutto tra i più svagati. E' probabile che Pioli, quando non è riuscito a nascondere la delusione, si riferisse a queste lacune.

                      Il dilemma a centrocampo

                      La delicatezza della situazione è fotografata dai dati sulla cavalcata dopo il lockdown. Dal 22 giugno 2020, quando ricominciò la serie A, all'1 agosto, quando finì il campionato, il Milan vinse lo scudetto platonico del post lockdown con 9 vittorie e 3 pareggi (Spal, Napoli e Atalanta) in 12 partite. Dal 21 settembre 2020, quando è cominciato il torneo in corso, al 3 gennaio 2021, giorno del 2-0 a Benevento, ci sono state altre 15 partite con 11 vittorie e 4 pareggi (Roma, Verona, Parma e Genoa). Il totale di questo formidabile periodo è di 27 giornate di campionato con 67 punti, frutto di 20 vittorie, 7 pareggi e nessuna sconfitta: un rendimento sicuramente da scudetto. Poi, però, è arrivato il terzo ciclo di partite, inaugurato il 6 gennaio dalla sconfitta di San Siro con la Juventus (1-3): 14 giornate e appena 23 punti, con 7 vittorie, 5 sconfitte (Juventus, Atalanta, Spezia, Inter e Napoli) e 2 pareggi (Udinese e Sampdoria), una media nemmeno da Europa League. La flessione, in parte determinata dai molti infortuni, potrebbe avere una concausa tattica nello sbilanciamento del 4-2-3-1 spinto, sistema in cui la presenza di quattro giocatori offensivi poco inclini a rientrare, con l'aggiunta di un terzino d'attacco come Hernandez e senza il contrappeso del terzo centrocampista in copertura, espone il Milan al contropiede in parità o in inferiorità numerica, oltre a obbligare la squadra a scardinare spesso avversari chiusi, perché ha ormai il ruolo di favorita e l'annesso compito di fare gioco. Pioli ha legittimamente mantenuto il sistema offensivista ormai assimilato dai giocatori, marchio della squadra, e non lo ha corretto neppure durante il lungo periodo dell'emergenza infortuni. Ora che sta recuperando quasi tutti i giocatori, il dilemma della copertura a centrocampo rischia di riproporsi.

                      ...ma di noi
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                        Champions league, le partite dei quarti di finale: dal Bayern al City, perché possono vincerla in 6

                        La seconda fase finale in «era Covid» presenta meno squilibri della precedente e solo Borussia e Porto sembrano un gradino sotto. Ecco l’analisi di Real Madrid-Liverpool, Manchester City-Borussia Dortmund, Bayern Monaco-PSG e Porto-Chelsea

                        Va sempre ricordato. Il calcio «in era Covid» sta a quello «ante» come un ologramma-simulacro: scorre come la vita su un pianeta-copia del nostro, tipo le Terre parallele di un romanzo di Simak o dell’universo di Flash. È un gioco insieme familiare e alieno, con tratti noti in un contesto alterato, a partire dal pubblico off.

                        La linea-spartiacque, alla grossa, è nello spaziotempo di due match tragicamente epocali:Atalanta- Valencia 4-1 a San Siro (19 febbraio 2020) e Liverpool-Atletico Madrid 2-3 d.t.s. (11 marzo). Con quelle due «bombe biologiche» dell’espansione pandemica, si avvia la desertificazione-adulterazione. Campionati e coppe sospesi per mesi incidono su stati di forma, spezzano (invertono) inerzie positive o negative. Fino a che il rapporto troppo prossimo tra le riprese estive di tornei nazionali ed europei della stagione interrotta (2019-20) e il precoce avvio della successiva (2020-21) scioglie tutto nel continuum torbido di un’unica, estenuante marmellata. Con asimmetrie-asincronie a creare squilibri ulteriori, anche in Champions: è probabile che il Bayern l’avrebbe vinta in ogni caso, avendo mostrato — come tutti i vincitori di tornei in «era Covid» — capacità adattive superiori agli avversari: ma non c’è dubbio sia stata avvantaggiata dal precoce epilogo di Bundesliga e dalla possibilità di pianificare un’adeguata preparazione per le Final-Eight di Lisbona.

                        Inevitabile, quindi, pensare ad alcune sliding doors: per esempio, sullo stesso Liverpool, cioè su come sarebbe andata la partita con l’Atletico giocata in un contesto meno drammatico ed emergenziale, e poi il resto del torneo; o sul Manchester City, perché i Citizens lucenti di febbraio (che espugnano il Bernabeu) stanno a quelli inerti di Ferragosto (1-3 dal Lione) come un team in carne e ossa alle ombre dell’Ade omerico.


                        I quarti imminenti (martedì 6 e mercoledì 7 aprile) e tutto il finale dell’edizione in corso hanno almeno il pregio di non presentare quegli squilibri; restando invece intatta, va da sé, l’incidenza delle «frizioni» tra tornei (tra Champions e campionati). Nel week end post nazionali, ad esempio, Bayern, City e Psg hanno avuto scontri di vertice con Lipsia, Leicester e Lille; ma mentre bavaresi e Citizens hanno di fatto chiuso il discorso, i parigini (sconfitti in casa e superati) giocheranno tra i due match col Bayern una partita tirata col pur «morbido» Strasburgo. Mentre il Real — vittoria comoda con l’Elbar — avrà in mezzo al doppio Liverpool un delicato Clasico col Barça. Poche volte il ranking è stato così incerto:6 degli 8 team rimasti (con 4 coach che l’hanno vinta e 2 finalisti) hanno chance di arrivare alla finale; meno ne hanno Dortmund e Porto, che pure hanno vinto il torneo (il Porto 2 volte). Anche se, di quelle 6, 2 fatalmente usciranno subito, in scontri già da semifinale o finale.



                        Real Madrid-Liverpool (martedì 6, ore 21)
                        Blancos in crescita, Reds in ansia da prestazione


                        Uno dei classici Champions top, tra ricordi di finali ancestrali (vittoria Reds 1-0 a Parigi ‘81) e recenti (quella blanca per 3-1 a Kiev 2018, lo psicodramma di Karius). Di nuovo padrone di un Real in crescita (vedi il 3-1 nel ritorno con l’Atalanta, defraudata all’andata), Zidane (ZZ) potrebbe arrivare alla sua quarta coppa prima che Guardiola arrivi alla terza, la vera idea fissa di Pep. Assecondando il brand societario del gioco come esito naturale dell’interazione tra blancos ipertecnici, ZZ non è però un gestore inerte: ha sempre iniettato nel pragmatismo una giusta dose di assunzione del rischio, tra pressing alto e situazioni di sistema puro in difesa; vedi Cardiff 2017, in cui schianta la Juve in un match che Allegri è ancora convinto di aver perso (e sempre lo sarà) per aver difeso peggio, non per aver osato meno. Partito CR7, ZZ ha comunque rivinto la Liga, ma soprattutto ha lavorato sull’inserzione/integrazione di tanti next gen, segreto dell’attuale esuberanza e varietà offensiva, da Lucas Vázquez a Asensio, da Rodrygo a Vinicius júnior. Certo, il team dipende ancora molto da tre interruttori individuali (la regia difensiva e il carisma di Sergio Ramos; l’ubiquità illuminante di Modric; la ratio con e senza palla di Benzema). Ma con quella batteria di incursori (più da ripartenza, ma se necessario da manovra) tutto è consentito. Rispetto ai blancos, i Reds avranno insieme più motivazione e più ansia da prestazione, in quanto la Champions è l’ultimo trofeo che resta loro non solo in stagione, ma per impedire che una «crisi» o una semplice flessione dopo l’annus mirabilis 2019 (Champions-Mondiale-Premier) non si trasformi nella precoce inibizione di un ciclo che sembrava avviato a ripetere quelli storici di Shankly-Paisley. Nella crisi-flessione, com’è noto, hanno inciso motivi contingenti (i 4 difensori centrali persi in stagione tra infortuni e cessioni avventate, in primis un fuoriclasse come Van Dijk) e storico-strutturali: nessun club ha patito il Covid come il Liverpool, tra giocatori positivi, motore fuori giri per il rapporto alterato training-partite, amputazione del pubblico (la mistica di Anfield), essenziale nell’affettivo gioco heavy metal di Klopp. Per (ri) vincere il torneo (per Kloppo sarebbe la 4ª finale), i Reds dovrebbero tornare al loro calcio apnea di «ripartenza permanente» fondato su un gegenpressing ai limiti della fisiologia umana; ma se questo non fosse possibile nell’immediato, col Real dovrebbero giocare 2 gare di grande attenzione/prevenzione difensiva, come in parte hanno già fatto col Lipsia. Lo 0-3 inferto all’Arsenal è un buon segnale; il luogo della finale (Istanbul) più che un talismano.


                        Manchester City-Borussia Dortmund (martedì 6, ore 21)
                        L’ossessione di Guardiola e una squadra chiamata Haaland


                        Si sono già scritte biblioteche sul City 2020-21 (più «essenziale» e/o «spietato»), ennesimo software di aggiornamento del gioco di Pep, sempre il penultimo come un iPhone. Molti dei nuovi tratti (come ha ben sintetizzato Alessandro Cappelli su Rivista 11) sono decisivi anche, se non anzitutto, come adeguamenti al calcio-Covid: turn over massivo (grazie a rosa adeguata); pressing dosato per timing e comparti; fasi di gioco in controllo e «recupero attivo»; acuizione della polivalenza (Cancelo esterno/interno o conversioni offensive, vedi Gündogan, che permettono di giocare partite senza punte). Altri, sono stati concepiti sia per l’ennesimo controsorpasso ai Reds in un’infinita competizione-coevoluzione, sia per provare finalmente a sanare — nel tragitto di Pep — il trauma/tabù delle fallimentari Champions post Barça, caratterizzate da troppi collassi difensivi. E cioè: in generale, una minore «esposizione al rischio» dello sviluppo offensivo, senza che questo perda nulla della sua radiance; nel dettaglio, ritocchi alle varianti della «costruzione bassa», posizionamenti e marcature preventive più rigorosi/e (grazie anche a Rúben Dias), pazienza nel cercare penetrazioni meno insistite ma più chirurgiche. Il che si traduce da un lato in un minor numero di tiri in porta subiti e di occasioni lasciate all’avversario; dall’altro in un minor numero di tiri complessivi effettuati ma in percentuali molto più alte di tiri in porta rispetto ai complessivi. Basterà? Non è detto, perché il quid profondo del problema non è solo tecnico: l’ossessione di Pep (vincere la Champions «senza Xavi-Iniesta-Messi») lo ha portato spesso a un «orgasmo» trasmesso ai giocatori, anche per la perversa ingegnosità di tanti stravolgimenti autodistruttivi nelle partite chiave. Forse dovrebbe assorbire subito un po’ della «filosofia zen» che dice di ammirare in Carletto Ancelotti.
                        Quanto al Borussia Dortmund, inutile girarci intorno: il team di quest’anno è impoverito per le partenze (vedi Hakimi) e incentrato quasi esclusivamente su Haaland. Definito plasticamente da un giornalista norvegese («forte come un orso e veloce come un cavallo») e paragonato da Emanuele Atturo (su Ultimo uomo) a un «troll» delle saghe norrene, sembra poter ambire, per stare a quelle saghe, a un ruolo più centrale-regale, da Sigurd-Sigfrido, come mostra l’aneddotica sulla sua nascita, secondo cui sarebbe stato concepito dal padre Alf-Inge (difensore) e dalla madre Gry Marita sulle panche dello spogliatoio di Leeds. Fuor di metafora, il «Manchild» che si sveglia ogni mattina con le note dell’Inno-Champions sembra destinato a vincerne più d’una. Non questa, probabilmente, che gli servirà per ambientarsi.


                        Bayern Monaco-Paris Saint Germain (mercoledì 7, ore 21)
                        La squadra/macchina perfetta e gli estri di Neymar/Mbappé


                        Qui il ricordo è a breve termine: la finale di Lisbona, agosto 2020, 1-0 per i tedeschi con predominio di possesso ma occasioni equivalenti. Il Bayern è in un prolungato momento monstre: unico, tra i club dell’establishment, a contaminare in modo incessante la traduzione con l’avanguardia (ad aggiornare il suo design Bauhaus), presenta ora il miglior melting pot globale, avviato con giocatori-colonne come Alaba e Boateng e via via completato con inserti next-gen in difesa (Davies e Richards) e in offesa (Sané, Gnabry, Coman, Musala), connotati anche da un hairstyle afro-anarcoide anni ‘70 che dà al team un blend unico: un Bach o un Händel suonati da Keith Jarrett (etichetta Ecm, ovviamente bavarese).Quando forzano sembrano «ingiocabili», per il mix tra l’equilibrio morfologico (potenza-velocità-tecnica) e una consapevolezza tattica che permette loro di graduare — sotto la guida del bravissimo Flick, ex secondo di Löw — ogni ingrediente di gioco (vedi il pressing per altezza e intensità). L’esempio clou è il match del 6 marzo col Borussia Dortmund: sotto 0-2 al 9’ (doppietta, manco a dirlo, di Haaland), il Bayern risponde annichilendo l’avversario (4-2 finale, 27 tiri a 4).
                        Per il Psg, dunque, uno stress-test al limite. Non l’ideale in un percorso di crescita passato per stazioni mortificanti (la remuntada del Barcellona per 6-1 nel 2017), e che l’opulenta proprietà qatariota ha modulato (in opposizione a quella emiratina del City) sul modello Real dell’assemblaggio di fuoriclasse, cui hanno dovuto adeguarsi coach tra loro diversi come Ancelotti e Blanc, Emery e Tuchel. Il football insieme cartesiano e intenso di Pochettino sembra aver portato a un livello ulteriore, come mostra l’eclatante 1-4 del Camp Nou (contro un Barça, va detto, in transizione-decadenza); ma resta alta l’addiction dai giocatori, si tratti degli estri del recuperato Neymar (subito espulso col Lille) o delle accelerazioni — in campo aperto o nel breve — dell’uomo-ghepardo o uomo-levriero Mbappé, miglior esemplare dei nuovi X-Men con Haaland.


                        Porto-Chelsea (mercoledì 7, ore 21)
                        Il canone lusitano e il design di Tuchel


                        La sfida oggettivamente con meno glamour, almeno in apparenza. Sul Porto c’è in effetti poco da dire: arrivato fin qui per grazia di una Juve strangolata dalle sue ambiguità, è stato (ben) plasmato da Sérgio Conceição più o meno sui canoni lusitani: rigore difensivo (perno l’esperto bucaniere Pepe) e possesso ipnotico con centrocampisti tecnici di inserimento come Sérgio Oliveira, che infatti a Torino ha dominato. L’obiettivo di stagione primario, realisticamente, resta però il braccio di ferro finale col Benfica in campionato.
                        Altro discorso per il Chelsea. Dopo l’eccellente esordio della scorsa stagione (4° in premier), Frank Lampard non è riuscito quest’anno a sintetizzare il titanico mercato estivo degli oligarchi, lasciando a gennaio a Thomas Tuchel, che infila una striscia di 14 risultati senza sconfitte (non saranno le 21 vittorie de City, però…). Tecnico bavarese come il «moccioso» Nagelsmann, mentre tutti gli altri tecnici della new wave tedesca sono del vicino Baden-Württemberg, la regione della Foresta Nera (i «padri fondatori» Frank e Rangnick, i c.t. Klinsmann e Löw, gli stessi Klopp e Flick), Tuchel è stato a lungo imprigionato nel cono d’ombra proprio di Klopp, subentrandogli, come un doppelgänger, sia al Mainz che al Dortmund. Se ne smarca finalmente al Psg e ora coi Blues, dove allestisce in fretta — grazie anche a un sottile lavoro psicologico — un team rigoroso e inossidabile per principi di gioco e «design» (suo argomento preferito di letture insieme ai thriller). Il consistente filotto (16 gol fatti, 2 subiti tra Premier e Champions, dove sterilizza l’Altetico) è stato spezzato l’altro ieri dal modesto West-Bromwich: un 2-5 solo in parte giustificato dall’espulsone di Thiago Silva alla mezz’ora. Se si tratti di un incidente o di un rintocco inquietante lo sapremo presto: il Porto non è certo un avversario proibitivo per rirendere il disegno interrotto.

                        CorSera
                        ...ma di noi
                        sopra una sola teca di cristallo
                        popoli studiosi scriveranno
                        forse, tra mille inverni
                        «nessun vincolo univa questi morti
                        nella necropoli deserta»

                        C. Campo - Moriremo Lontani


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                          Sempre più in bilico il futuro di Paulo Fonseca sulla panchina della Roma. Come scrive il giornalista Nicolò Schira, il club giallorosso la scorsa settimana avrebbe parlato con l'agente di Sergio Conceicao, tecnico del Porto. I lusitani, però, sono a lavoro per blindarlo offrendogli il rinnovo fino al 2023. Conceicao, per la Roma, resta comunque la principale alternativa a Maurizio Sarri.

                          Nicolò Schira@NicoSchira
                          #Porto are working to extend Sergio #Conceicao’s contract (expires in June) until 2023, but his agent has talked with #ASRoma last week. The portoguese coach is the Giallorossi plan B (first choice as a new coach is still Maurizio #Sarri). #transfers



                          Sempre più in bilico il futuro di Paulo Fonseca sulla panchina della Roma . Come scrive il giornalista Nicolò Schira, il club giallorosso la scorsa settimana avrebbe parlato con l'agente di Sergio Conceicao , tecnico del Porto . I lusitani, però, sono a lavoro per blindarlo offrendogli il rin...
                          Last edited by Sean; 06-04-2021, 08:51:35.
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                            Juventus, Allegri è più di un’ipotesi. Pirlo rischia, deve vincere contro il Napoli

                            Il recupero di mercoledì con il Napoli sarà decisivo per il destino del tecnico: la Juve non può permettersi di mancare la Champions

                            Possibile che Andrea Pirlo il «predestinato» (copyright Fabio Paratici, 8 agosto 2020), l’allenatore «confermato al 100% per la prossima stagione» (Pavel Nedved 24 marzo 2021), l’uomo che ha avuto la certezza di essere al centro del progetto di Andrea Agnelli anche nella notte dopo l’eliminazione dalla Champions (9 marzo) sia già di fronte al bivio e venga esonerato in caso di sconfitta domani sera contro il Napoli? Possibile.

                            Del resto i predecessori di Pirlo sono stati defenestrati per molto meno (avevano solo vinto lo scudetto senza entusiasmare). Sarri è ancora sotto contratto e ha una clausola per il rinnovo automatico da oltre due milioni che scade il 30 aprile: dopo quella data scatterà il terzo anno di ingaggio per lui e lo staff a 6 milioni netti. Allegri è libero, è riapparso su Sky la sera in cui la Juve ha toccato il punto più basso con la sconfitta in casa per mano del Benevento. E sabato, come rivelato da Il Giornale, ha visto il derby con il presidente Agnelli, del quale è rimasto ottimo amico.


                            La Juve nella sua storia non ha mai amato i cambi in corsa, ma da Parola a Lippi, passando per Trapattoni, ha una certa passione per i ritorni di fiamma: a bocce ferme, il reingaggio di Allegri potrebbe essere complicato per i pessimi rapporti con il direttore Paratici (in scadenza a giugno ma con un triennale nel cassetto) e il vicepresidente Nedved che dopo cinque anni di vittorie hanno deciso per il cambio con Sarri in nome di un «gioco europeo».

                            Ma l’emergenza è sotto gli occhi di tutti e tutti sono uomini di mondo: alle parole di rivalsa di Pirlo non seguono mai i fatti e dopo la sconfitta contro la squadra di Pippo Inzaghi, la Juve vista nel derby è sembrato un gruppo in cui i giocatori (esclusi Chiesa e Ronaldo) non vedono l’ora che la stagione finisca. Se la missione principale di Pirlo, voluto in prima persona dall’amico presidente, era quella di portare entusiasmo con le sue idee innovative, il fallimento è evidente, nonostante qualche serata di grandeur(contro Barcellona, Milan e Lazio), ci sia comunque stata.

                            Sarebbe assurdo, oltre che ingiusto nonostante la sua totale assenza di autocritica, addebitare tutto il conto della situazione a Pirlo, alla prima esperienza assoluta: «È un problema della Juve in generale...» ha chiosato non a caso capitan Chiellini, mentre era in Nazionale. Dal caso Suarez (approcciato sul mercato senza sapere che era tesserabile solo come extracomunitario) al trio di giocatori esclusi per la cena in zona rossa. Dagli insulti tra Agnelli e Conte, ai tabelloni pubblicitari presi a calci da Nedved la sera dell’eliminazione europea, passando per il comitato di salute pubblica Baronio-Tudor-Pinsoglio che urla a gran voce dalla panchina perché Pirlo non si fa sentire: il quadro è quello di una confusione diffusa e di un ambiente sfibrato dai suoi stessi successi, nel quale il gioco delle colpe coinvolge tutti. Con i calciatori in prima linea.


                            Saranno loro, con le loro gambe e i loro piedi, a votare la fiducia a Pirlo nella sfida di domani contro il Napoli: la Juve è quarta, a pari punti con la squadra di Gattuso. Domenica 18 affronta l’Atalanta e nelle ultime quattro giornate ha in calendario Milan, Sassuolo e Inter. Una volata tiratissima anche in caso di successo col Napoli per un allenatore che avrà tante qualità ma non certo uno spirito battagliero, dato che questa squadra non ha mai vinto più di tre gare di fila e ha perso punti con avversarie medio-piccole, sbagliando atteggiamento.

                            A mali estremi, quindi potrebbero essere pronti estremi rimedi: non entrare in Champions significherebbe perdere almeno altri 50 milioni, con il bilancio in rosso e in piena pandemia. Significherebbe, al di là delle frasi di facciata, anche perdere Ronaldo. Tra costi e benefici, il ritorno di Allegri adesso è più di un’ipotesi. Presto potrebbe rivelarsi una necessità.


                            CorSera
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                            C. Campo - Moriremo Lontani


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                              Tra le nebbie potrebbe appalesarsi la stessa conclusione in cui incappò Maifredi, cioè chiudere la stagione senza coppe (in questo caso mancando la champions league).

                              Nell'articolo si toccano diversi punti dolenti circa Pirlo:

                              - l'assenza di spirito battagliero, il che trattandosi di Juventus è una mancanza non da poco

                              - il vuoto, il silenzio comunicativo (e la difficoltà di cambiare in corso di partita)

                              - il non riuscire a trasmettere stimoli

                              - l'assenza di autocritica, il che fa sospettare che Pirlo sia chiuso nelle sue idee e nella sua torre d'avorio, scollegato dalla realtà

                              e potremmo allungare l'elenco.

                              E' da dicembre che avrebbe dovuto essere sostituito ma ormai inutile tornarci sopra.

                              In tutto questo il recupero col Napoli verrà giocato con 3 assenze per covid (Bonucci, Demiral, Bernardeschi). Siamo all'assurdo dell'assurdo, perchè questo recupero si gioca in quanto il Napoli all'andata, con due positivi, non volle andare a Torino magheggiando per schivare la partita. Adesso invece con 3 positivi la Juventus deve giocare in un completo affossamento di ogni logica egualitaria e dunque di uniformità e regolarità che sostengono ogni competizione sportiva.
                              ...ma di noi
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                              C. Campo - Moriremo Lontani


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                              • KURTANGLE
                                Inculamelo: l'ottavo nano...quello gay
                                • Jun 2005
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                                eh si immagino l'assenza di bonucci e bernardeschi quanto possa influire...
                                io sarei favorevole ad un ulteriore rinvio così recuperiamo ospina
                                Originariamente Scritto da SPANATEMELA
                                parliamo della mezzasega pipita e del suo golllaaaaaaaaaaaaazzzoooooooooooooooooo contro la rubentus
                                Originariamente Scritto da GoodBoy!
                                ma non si era detto che espressioni tipo rube lanzie riommers dovevano essere sanzionate col rosso?


                                grazie.




                                PROFEZZOREZZAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA

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