Attenzione: Calcio Inside! Parte III

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  • marcu9
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    Originariamente Scritto da Sean Visualizza Messaggio
    Sarri verrà esonerato. La via immediata è quella.
    Ma fino a poco fa non avevi detto che era meglio se rimanesse un altro anno?
    Sono confuso, Sean!
    Originariamente Scritto da Sean
    Tu non capisci niente, Lukino, proietti le tue fissi su altri. Sei di una ignoranza abissale. Prima te la devi scrostare di dosso, poi potremmo forse avere un dialogo civile.

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    • Sean
      Csar
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      Non sto scrivendo il mio pensiero ma quello che si sta raccogliendo in giro.

      Sarri parrebbe esonerato. Sky fa il nome di Inzaghi, cioè dice che Inzaghi piace.
      ...ma di noi
      sopra una sola teca di cristallo
      popoli studiosi scriveranno
      forse, tra mille inverni
      «nessun vincolo univa questi morti
      nella necropoli deserta»

      C. Campo - Moriremo Lontani


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      • marcu9
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        Originariamente Scritto da Sean Visualizza Messaggio
        Non sto scrivendo il mio pensiero ma quello che si sta raccogliendo in giro.

        Sarri parrebbe esonerato. Sky fa il nome di Inzaghi, cioè dice che Inzaghi piace.
        Ah okay!
        Vabè Inzaghi lo dicono ogni anno figurati...
        Originariamente Scritto da Sean
        Tu non capisci niente, Lukino, proietti le tue fissi su altri. Sei di una ignoranza abissale. Prima te la devi scrostare di dosso, poi potremmo forse avere un dialogo civile.

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          Inzaghi avrebbe dovuto firmare un mese fa il rinnovo con la Lazio ma è da appunto un mese che la va tirando per le lunghe, così dicono.
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          C. Campo - Moriremo Lontani


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          • Sean
            Csar
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            Che poi Inzaghi è l'Allegri dei poveri.

            Io lo sapevo che era meglio restare con Allegri..."eh, ma il bel giuoco"...visto che bel giuoco stasera?

            A calcio l'unico bel giuoco che esiste è quando fai risultato, vinci le partite, passi i turni. La categoria del "bello" nel calcio non esiste, non è mica un concorso di poesia.
            ...ma di noi
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            forse, tra mille inverni
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            • marcu9
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              Ma almeno l'avesse portato il bel gioco.
              Ma neanche quello.
              Quindi abbiamo un gioco pessimo e prestazioni imbarazzanti.
              Originariamente Scritto da Sean
              Tu non capisci niente, Lukino, proietti le tue fissi su altri. Sei di una ignoranza abissale. Prima te la devi scrostare di dosso, poi potremmo forse avere un dialogo civile.

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              • DR. CACARELLA
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                Originariamente Scritto da germanomosconi Visualizza Messaggio
                Con kulusevski e Arthur dovrebbe cambiare qualcosa, ormai Bernardeschi e pjanic sono andati dai aggiungi Higuain e giochi ogni partita con 3 giocatori in meno...
                Natural ha ragione, dovevano prendere Icardi
                Io lo dico dall anno scorso.

                Onestamente sono contento, così è chiaro anche ad agnelli che si debba intervenire bene sul mercato
                Cura il tuo corpo come un tempio
                Originariamente Scritto da M K K
                Desade grazie di esistere
                Originariamente Scritto da AK_47
                si chiama tumore del colon, adenocarcinoma è la tipologia di tumore che colpisce le cellule dell'epitelio ghiandolare.

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                • DR. CACARELLA
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                  Originariamente Scritto da Sean Visualizza Messaggio
                  Non sto scrivendo il mio pensiero ma quello che si sta raccogliendo in giro.

                  Sarri parrebbe esonerato. Sky fa il nome di Inzaghi, cioè dice che Inzaghi piace.
                  Finiamo male con inzaghi non scherziamo.
                  Dobbiamo fare un mercato intorno a sarri.
                  Paratici ha comprato de ligt e kukusesky ed arthur
                  Cura il tuo corpo come un tempio
                  Originariamente Scritto da M K K
                  Desade grazie di esistere
                  Originariamente Scritto da AK_47
                  si chiama tumore del colon, adenocarcinoma è la tipologia di tumore che colpisce le cellule dell'epitelio ghiandolare.

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                  • Sean
                    Csar
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                    Era nell’aria, la Juve batte il Lione con una doppietta di Ronaldo, ma prende un gol e dunque va fuori dalla Champions League. Si scatena la fronda anti Sarri, l’allenatore considerato responsabile del gioco assai poco entusiasmante dei bianconeri e dell’ennesima eliminazione in campo internazionale. Detto che il ritorno di Allegri o Conte sarebbe una scelta antistorica, nessuno un anno fa impose Sarri alla Juve, fu la dirigenza a sceglierlo. E dunque licenziarlo avrebbe poco senso, se non ammettere di aver sbagliato tutto.


                    CHAMPIONS LEAGUE

                    OTTAVI DI FINALE
                    Juventus – Lione 2-1
                    (12′ Depay L, 43′ Ronaldo rig. J, 60′ Ronaldo J)

                    Andiamo diretti al punto: io Sarri non lo manderei via. Ho scritto più volte di non essere un sarriano e di detestare abbastanza tutte le parrocchie del calcio-religione, figuriamoci il sarrismo, ma la fronda anti sarriana, un po’ snobista e conservatrice, non mi è mai piaciuta alla stessa maniera. Essendo religione a sua volta, e partendo dal presupposto dell’infallibilità juventina tout court, un falso storico che non può fare da punto di riferimento per alcuno. La Juve in Italia è il massimo e in Europa è un club come tanti, da parecchi decenni ormai. Non si può mettere in conto a Sarri anche la storia che lo precede e che segna tuttora il corso della più importante squadra italiana.

                    Se il destino di Sarri era legato alla Champions League, beh non è che abbia fallito lì dove altri hanno trionfato. Ha sbagliato molto lì dove altri hanno sbagliato tanto e fargli pagare per intero il conto adesso significherebbe rimettere in discussione tutto quanto, riportare l’orologio indietro, rimettere in discussione non solo la panchina ma tutto quello che c’è intorno.


                    Le ipotesi di riconsegnare la Juve nelle mani di Massimiliano Allegri o addirittura di Antonio Conte sono un controsenso per definizione, una scelta antistorica, una dichiarazione di fallimento. Quelle erano storie chiuse per esaurimento, sfinimento, consunzione. Far fare subito il salto a Pirlo sarebbe forse troppo prematuro, non posso scegliere un allenatore per le giovanili e poi nemmeno fargliele vedere e dargli subito la gestione della più importante squadra italiana. C’è poi sempre l’ipotesi Simone Inzaghi, ma sarebbe un’altra ripartenza da zero. Né più né meno come con Sarri un anno fa. E un anno fa, dopo lungo travaglio, si scelse Sarri e non Inzaghi. C’è poi la soluzione di Zidane, eliminato dal City di Guardiola, il migliore dei gestori di campioni.

                    Sarri è stato un tentativo di innovazione. Forse maldestro e prematuro, imposto contro la tradizione juventina, ma in quel momento necessario e inevitabile, per cercare di dare una svolta a un corso ormai troppo predeterminato e segnato. Un esperimento andato discretamente male per ora, se lo scudetto – vinto abbastanza di misura e senza mai entusiasmare nel gioco – è un fatto ormai dato per scontato è sulla Champions League che si misura un grande club. E soprattutto la Juventus, club moderno e dal carattere internazionale, che quel traguardo lo aspetta ormai da quasi un quarto di secolo. Ha addirittura ingaggiato uno dei giocatori più forti al mondo per poter afferrare quella Coppa e gli costa una cifra spudorata ogni anno, quasi da non potersi permettere di non vincere.

                    Farsi eliminare dal Lione di Garcia è stato brutto, grave, parecchio sconveniente. Si sapeva benissimo che l’anno del lockdown avrebbe avuto il suo costo altissimo, ma è anche vero che la situazione è stata la stessa per tutti. La stessa trasformazione sarriana è stata pasticciata, improvvisata, bene o male affidata a Ronaldo e Dybala e basta. Il primo ha segnato i due gol che hanno tenuto la Juve legata almeno alla speranza, su Dybala si è scommesso fin troppo buttandolo in campo nonostante l’infortunio per poi esser costretti a ritirarlo via subito. La Juve oggi è ancora legata alle sue superstar, un gruppo discretamente anziano, è tutto il resto che manca. Dalla difesa al centrocampo c’è poco o nulla di Sarri.

                    Sarri, con furba e falsa ingenuità, continua a dirsi offeso delle domande che riguardano il suo futuro, Agnelli che parla di bilancio “agrodolce” e di forte delusione per la Champions terminata così, dice di voler fare il punto della situazione insieme al suo staff, vale a dire Paratici e Nedved che lo scorso anno premettero per la svolta. Le alternative sono due: cambiare allenatore oppure puntare ancora più su di lui e costruirgli una squadra più giovane e disposta al sacrificio.

                    Mandar via Sarri si può fare benissimo, sarebbe la mossa più facile e scontata. Un minuto dopo però bisognerebbe anche chiederne ragione a chi lo ha scelto e fortemente voluto. Si sa che certi allenatori comportano una mutazione lunga, complessa, sofferta, e non si può scoprire adesso il costo salato di un’operazione avviata oltre un anno fa. Senza entrare nell’analisi delle battute di Sarri che parla di presunti “dilettanti” gente esperta di calcio non può commettere un errore simile.

                    Personalmente ho più simpatie per il calcio di Trapattoni o di Mazzone e non credo agli scienziati del football, ma non mi unisco alla fronda antisarriana. Il football di Sarri mi lascia abbastanza indifferente, mi affascina di più il suo carattere spinoso, presuntuoso, sguaiato, spesso volgare. Mi lascia intravedere una certa genuinità di fondo, un personaggio ancora molto poco costruito, grezzo.

                    La Juve ha scelto liberamente Sarri, nessuno glielo ha imposto, nessuno lo ha invocato. Essere un minimo coerenti con questa scelta mi sembra semplicemente dovuto. Né un altro allenatore può dare garanzia assoluta di vincere una Coppa che manca da troppo tempo. Detto francamente, io Sarri me lo terrei ma non ho gli incubi e le angosce che hanno i dirigenti juventini oggi.


                    CHAMPIONS LEAGUE OTTAVI DI FINALE Juventus - Lione 2-1 (12' Depay L, 43' Ronaldo rig. J, 60' Ronaldo J) *** Andiamo diretti al punto: io Sarri non lo manderei via. Ho scritto più volte di non essere un sarriano o un sarrista e di detestare abbastanza tutte le parrocchie del calcio-religione, figuriamoci il sarrismo, ma la fronda anti sarriana, un po' snobista e conservatrice, non mi è mai piaciuta alla stessa maniera. Essendo religione a sua volta, e partendo dal presupposto dell'infallibilità juventina tout court, un falso storico che non può fare da punto di riferimento per alcuno. La Juve in Italia è il massimo e in Europa è un club come tanti, da parecchi decenni ormai. Non si può mettere in conto a Sarri anche la storia che lo precede e che segna tuttora il corso della più importante squadra italiana. Oggi non si può fare di Sarri l'epicentro della nemesi bianconera. Se il destino di Sarri era legato alla Champions League, beh non è che abbia fallito lì dove altri hanno
                    ...ma di noi
                    sopra una sola teca di cristallo
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                    nella necropoli deserta»

                    C. Campo - Moriremo Lontani


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                      Agnelli: "Il bilancio della stagione è agrodolce. Ora qualche giorno per decidere"

                      Il tecnico sempre più in discussione. Il presidente :" Lo scudetto grande risultato e una pagina straordinaria di Maurizio Sarri nel calcio italiano, ma la Champions è un obiettivo mancato". Certezza su Ronaldo: "Un pilastro della Juventus"

                      "Il bilancio della stagione è agrodolce". La delusione di Andrea Agnelli è palpabile dopo l'eliminazione della Juventus dalla Champions League ad opera del Lione. Non tale da cancellare la gioia per il nono scudetto consecutivo, un "grande risultato e una pagina straordinaria di Maurizio Sarri nel calcio italiano", ma sufficiente a rendere amara la stagione dei bianconeri: "Champions deludente per tutti. Noi, i giocatori, i tifosi - prosegue il presidente della Juve -. Prima era un sogno, ora è un obiettivo. Uscire in questo modo col Lione deve lasciarci delusi, ci prenderemo qualche giorno per capire come ripartire la prossima stagione". Un risultato inaspettato, specialmente dopo il sorteggio accolto con favore dall'ambiente bianconero e che mette in discussione la posizione di Sarri: "Una serata come questa con un'avversaria più abbordabile, o almeno al momento dei sorteggi nessuno ha versato una lacrime, è deludente".Prima di ripartire servirà tracciare un bilancio "tutti assieme, con il mister, lo staff, i preparatori: non ci si può focalizzare solo sull’obiettivo mancato, bisogna considerare anche quello raggiunto".L'ultimo risultato, però, è quello che si fissa nella testa, che ronza silenziando tutti gli altri pensieri. La Champions è ancora una volta amara per la Juve: "Abbiamo questi obiettivi che devono essere onorati. Abbiamo il miglior giocatore della Champions, bisogna ripartire con rinnovato entusiasmo, senza dare per scontato che siamo campioni d’Italia".


                      RIPARTIRE DA RONALDO - Tanti gli aspetti da valutare, dall'età media molto alta della squadra alle dinamiche professionali che coinvolgono campo e dirigenza: "Abbiamo cambiato tanto, all'interno dello staff. Le dinamiche cambiano, i modi di intendersi vanno ricreati. Quando cambi così tanto sai di poter andare incontro a difficoltà, che noi abbiamo superato vincendo il nono scudetto consecutivo". Cambiamenti all'orizzonte, dunque, che però non coinvolgono Cristiano Ronaldo, uscito dal campo furibondo per l'eliminazione ma che Agnelli vede ancora in bianconero: "Ronaldo è un pilastro della Juventus".


                      LA DIRIGENZA - Nessuna conferma esplicita nei confronti di Maurizio Sarri, diverso il discorso per la dirigenza e nello specifico per Paratici, Nedved e Cherubini: "Qualche giorno fa ho fatto grandi complimenti nei loro confronti. Non si possono fraintendere parole di qualche giorno fa. É un gruppo dirigente estremamente affiatato e insieme continuerà a cercare di raggiungere gli obiettivi che devono essere perseguiti dalla Juventus. Il gruppo dirigente che ho è forte, affiatato e me lo tengo stretto". Per gli altri, ci sarà il tempo delle considerazioni, dei bilanci, delle riunioni per capire quale sarà il futuro. Partendo dall'eliminazione in Champions ma anche dal nono scudetto consecutivo: "Lo scudetto lo abbiamo vinto, era uno dei due principali obiettivi. Poi chiaramente si fanno considerazioni che vanno approfondite. Non deve essere una partita a influire sul bilancio".

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                        Barcellona-Napoli, probabili formazioni e dove vederla: Insigne sfida Messi, i catalani sono in ansia

                        Gattuso: «Mai fatto catenaccio, non dobbiamo avere paura: godiamocela, l'assenza del pubblico ci toglierà pressioni». Setién obbligato a vincere per la riconferma

                        L’inizio e la fine di un’epoca ci sta pure che coincidano, e gli ottavi di Champions tra Barcellona e Napoli sono proprio questo: poli opposti, che per una ragione assolutamente imprevista, possono attrarsi. Gattuso e Setién, inizio e fine: il risultato della sfida decreterà il destino dei due allenatori. Rino è chiamato a rendere la vita complicata al collega e tutto sommato ha da perdere soltanto eventualmente la faccia, l’altro dovrà attrezzarsi per la partita della vita: uscire dalla competizione significherebbe non aver vinto nulla, non accadeva da tredici stagioni. Nessuno glielo perdonerebbe, sarebbe la fine appunto. Sentenziata innanzitutto da Leo Messi, trascinatore assoluto in Liga e chiamato ad alzare l’asticella in Champions (soltanto due gol in questa stagione), oramai insofferente al suo allenatore. La Liga l’hanno vinta i rivali del Real Madrid e nello spogliatoio la Pulce tiene banco: da Guardiola a Luis Enrique a Valverde hanno tutti almeno un titolo nella bacheca blaugrana. Lo stop agli ottavi di Champions contro il Napoli certificherebbe il «nulla» di Setién.


                        La nuova vita di Gattuso sulla panchina azzurra è invece un inizio, e tale resterà. Nessuno mai gli imputerebbe il mancato passaggio ai quarti, appuntamento peraltro storico per la sua squadra. Con una Coppa Italia già alzata a giugno. Ma attenzione, da ex Diavolo ha ancora tanto veleno in corpo. Gli servirà, come ha detto alla vigilia «per scalare l’Everest». È pronto a salire fino in cima, a modo suo («sarà dura»). Rifiutando innanzitutto l’etichetta di difensivista. Gattuso fa l’italiano vero: «Ma vedrete, non sono un catenacciaro», dice a chi ancora oggi si ostina a definirlo «Ringhio e basta». «In Italia si vuole calcare il mio soprannome, ma i numeri dicono diversamente. Se l’organizzazione tattica viene scambiata con il difensivismo non è un mio problema, da calciatore ho fatto cose importanti con caratteristiche totalmente diverse da quelle che ricerco oggi come allenatore».

                        Niente contropiede, dunque, al Camp Nou. Il Barcellona, così vuole Rino, va colpito con il palleggio. Rivendicando il sistema della buona partita dell’andata (1-1 al San Paolo). Con o senza Lorenzo Insigne fa tanta differenza: Rino ha tenuto ancora nascosto il suo jolly ma certamente lo calerà. Quando un allenatore rimanda la decisione al giocatore significa che il capitano è già in campo. «Gioca se sta bene — ha detto — ma dovrà essere lui a dirmelo. Se se la sente, indosserà la fascia e ci darà una grande mano». Insigne, il dieci mancato per l’eredità pesante di Maradona, si ritroverà faccia a faccia con Messi, il «figlio» di Diego, nello stadio che è stato suo per un po’, ma che non gli ha dato troppa gloria, diventando poi il re di Napoli. Leo e Lorenzo nel santuario di tante vittorie e di innumerevoli trofei, dove stasera l’ombra del Pibe si sentirà nello stadio vuoto e regalerà ulteriore emozione alla sfida. «Senza tifosi è un altro sport», ha ripetuto Gattuso. Cogliendone l’aspetto positivo: «Il pubblico ti dà vibrazioni, adrenalina. Ti fa sentire la partita. Un valore in più per la squadra di casa, a noi l’assenza ci eviterà ulteriore pressione». Ai suoi dà soltanto un consiglio: «Godetevela, senza aver paura». Ma è un appuntamento con la storia, serve l’impresa.


                        Barcellona (4-3-1-2): Ter Stegen; Semedo, Piqué, Lenglet, Jordi Alba; Sergi Roberto, De Jong, Rakitic; Messi; Suarez, Griezmann. All. Setién.
                        Napoli (4-3-3): Ospina; Di Lorenzo, Manolas, Koulibaly, Mario Rui; Fabian Ruiz, Demme, Zielinski; Callejon, Mertens, Insigne. All. Gattuso.
                        Arbitro: Cakir (Turchia)
                        Tv: ore 21, Canale 5, Sky 201 e 252.

                        CorSera
                        ...ma di noi
                        sopra una sola teca di cristallo
                        popoli studiosi scriveranno
                        forse, tra mille inverni
                        «nessun vincolo univa questi morti
                        nella necropoli deserta»

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                          Roma, Commisso attacca, Pallotta risponde: "Ancora irritato perché non ti ho dato la Roma?"

                          Il patron della Fiorentina aveva accusato il presidente uscente dei giallorossi: "Non parla una parola di italiano e ha fatto promesse che non poteva mantenere"

                          Chissà se dietro a quel tweet c'è un po' della frustrazione di dover vendere la Roma a Friedkin senza nemmeno il tempo di alimentare un'asta. O se semplicemente c'era la voglia di accendere un derby a stelle strisce proprio nel momento dei saluti. Certo il presidente della Roma James Pallotta ha deciso di interrompere il silenzio "commerciale" (fatte salve le dichiarazioni ingessate che hanno accompagnato il comunicato di vendita del club) rispondendo piccato al connazionale Rocco Commisso.

                          Il proprietario della Fiorentina s'era concesso, nel dare il benvenuto al nuovo proprietario della Roma, Dan Friedkin, un commento sul presidente uscente: "Nel 2011 dovevo entrare nella Roma con DiBenedetto ma poi ho rinunciato. Poco dopo arrivò Pallotta. I miei genitori mi hanno insegnato tante cose tra cui quella di imparare dagli sbagli degli altri. Pallotta non sapeva nemmeno parlare italiano, perché lui era americano di terza generazione: io invece parlo italiano, io sono stato italiano prima di tanti altri. La prima cosa che consiglierei a Friedkin è di non fare promesse che poi non può mantenere: a Pallotta, ad esempio, dissi che prima di promettere ai tifosi della Roma che la sua squadra sarebbe arrivata nelle top-5 del mondo, doveva prima vincere qualcosa. Io non faccio mai promesse che non posso mantenere".

                          Un attacco diretto che evidenzia rapporti non proprio idilliaci. Come siano nati, lo ha raccontato proprio Pallotta poco più tardi. Inforcati gli occhaili che usa per leggere, il presidente della Roma ha preso in mano il proprio profilo twitter e digitato una risposta acerrima: "Dai Rocco, non sarai ancora irritato da quell'incontro di cinque anni fa a New York, quando ti ho detto che non ti avrei mai e poi mai avuto come socio in un grande club come la Roma?". Insomma, l'astio ha un'origine abbastanza remota. Non resta che aspettare di capire se, sulla strada ideale che percorrerà per lasciare la Roma, Pallotta avrà voglia di altre rivelazioni tenute nascoste per anni.

                          Il patron della Fiorentina aveva accusato il presidente uscente dei giallorossi: "Non parla una parola di italiano e ha fatto promesse che non poteva mant…


                          RomaPress@ASRomaPress
                          Fiorentina president Rocco Commisso: "My advice to Friedkin? Don't make promises you can't keep. Pallotta? He couldn't even speak Italian".

                          Jim Pallotta@jimpallotta13
                          C’mon Rocco, you can not still be upset from our meeting in New York over five years ago when I told you I would never ever ever have you as a partner in a great club like Roma?
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                          sopra una sola teca di cristallo
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                          forse, tra mille inverni
                          «nessun vincolo univa questi morti
                          nella necropoli deserta»

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                            Dzeko e quello sfogo che agita la Roma: nel mirino c'è Fonseca

                            Le parole del bosniaco dopo la sconfitta con il Siviglia e l'uscita dall'Europa League hanno lasciato il segno. Sotto accusa il tecnico portoghese

                            L'unico tiro in porta della partita, nella ripresa, l'ha fatto lui. Per 100 minuti tondi, Edin Dzeko si è trovato a districarsi con fatica dalle marcature intelligenti di Koundé e Diego Carlos, coppia centrale che in Liga ha subito un gol appena nelle ultime sei partite. Forse per questo, per la frustrazione di non riuscire a toccare palloni pericolosi in area, alla fine della partita l'attaccante bosniaco si è lasciato andare: "Mi ha deluso tutto, non siamo stati mai in partita, ci hanno mangiato. Provavamo a impostare il gioco da dietro, ma la palla davanti non arrivava mai. Il Siviglia giocava invece con i lanci lunghi per le punte. Non abbiamo capito che dovevamo cambiare modo di giocare. Ma c'è qualcuno che deve pensare a queste cose".


                            Nonostante la spiegazione a caldo della Roma sia stata che Dzeko parlasse di sé e dei propri compagni, è parso chiaro il riferimento all'allenatore. Chi se non lui "deve pensare a queste cose", ossia a variare l'impostazione del gioco se la partita lo richiede? Anche durante la partita Dzeko, al pari di Kolarov, si sbracciava verso la panchina, chiedendo all'allenatore di dare uno scossone a un gioco inceppato. Il piano di portare palla a terra, vista l'abilità del Siviglia nel chiudere le linee di passaggio, si è presto rivelato inefficace. Dal canto suo, Paulo Fonseca non si è nascosto, anzi: "Il principale responsabile della sconfitta sono io", ha detto e ripetuto. Poi ha fatto un'analisi onesta delle forze in campo: "Abbiamo meritato di perdere. Il Siviglia è migliore di noi. A tornare indietro, metterei di nuovo in campo la stessa squadra, che in campionato funzionava bene". È vero: la Roma nelle ultime otto partite ha raccolto sette vittore e un solo pareggio, all'Olimpico con l'Inter.


                            Nello sfogo di Edin Dzeko, oltre alla comprensibile delusione per la sconfitta che è costata l'uscita dall'Europa League, ci sono tante cose. Anzitutto, la consapevolezza che a 34 anni certe occasioni potrebbero non ripresentarsi. L'attaccante è alla Roma dal 2015. Con i giallorossi ha fatto un secondo posto in campionato, e per due volte è arrivato terzo. Si è giocato la doppia semifinale col Liverpool in Champions. Ma un trofeo non l'ha vinto mai. Una condizione frustrante. In più, c'è il discorso del mercato. Dzeko la scorsa estate era uno dei principali obiettivi in attacco per l'Inter, ma le due società non trovarono l'accordo sul prezzo. La Roma ha scelto di tenerlo, gli ha aumentato lo stipendio alla cifra monstre di 7,5 milioni netti a stagione e ha costruito attorno a lui il gioco dal centrocampo in su. Il suo contratto scade il 30 giugno 2022 e la Roma ha una nuova proprietà. E ora tutto può succedere.

                            Le parole del bosniaco dopo la sconfitta con il Siviglia e l'uscita dall'Europa League hanno lasciato il segno. Sotto accusa il tecnico portoghese
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                              Agnelli ci mette sempre la faccia e la mette sempre nelle sconfitte. Mai una apparizione dopo una vittoria mentre se ne ricordano puntuali dopo le eliminazioni in champions (dopo il Real, l'Ajax, il Lione), e questo comprova la verità di quanto disse una volta circa il suo ruolo: "il mio compito è intervenire nei momenti difficili".

                              Ora dunque è tutto in mano alla proprietà, la più antica proprietà del calcio mondiale (nel '23 saranno 100 anni tondi), autentica stella polare da seguire quando le cartine e le mappe si ingarbugliano e si confondono.

                              C'è da ragionare sull'allenatore, sul gruppo dirigente, sui giocatori (la parte più facile, perchè gli scarsi o gli inadeguati li si conoscono).

                              E' probabile che Paratici verrà diminuito nel suo ruolo con l'ingresso di un AD: da solo non riesce a dirigere l'area sportiva, vero cuore pulsante di quello che è e resta un club di calcio che misura se stesso non tanto sugli indici finanziari, le espansioni global, social o di mercato quanto e sempre sui risultati del campo.

                              Sarri pare più fuori che dentro ma scoprirlo sarà questione di pochi giorni, così come il nome dell'eventuale nuovo allenatore.

                              I giocatori da spedire sono invece parecchi e il tempo poco. Insomma, c'è tanto da fare e limitato margine di errore.
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                              C. Campo - Moriremo Lontani


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                                Ogni tanto pure la Juve si concede una vacanza dalla sua storia, dalla sua tradizione, dal suo solco. Chi ha una certa età si ricorderà di Maifredi, più addietro ancora uno strambo argentino di nome Carniglia (una sola stagione nel '69)...tutti esperimenti finiti male...e Sarri, purtroppo per lui, rientra in quegli incontri dove la Signora si prende la licenza di di vestire altri abiti rispetto agli abituali.

                                Certo Sarri è stato più fortunato dei nomi citati: quelli non vinsero niente, lui porta comunque a casa un campionato, e a 61 anni suonati può dire di aver centrato l'obiettivo, quindi il suo bilancio è positivo...però conta quello della Juve di bilancio e com'è?

                                Il campionato lo si è vinto perchè hai una stella fenomenale, ancora oggi uno dei massimi calciatori al mondo: Ronaldo. Poi c'è un Dybala che è il più talentuoso straniero che gioca in Italia, capace, quando è in forma, di illuminazioni.

                                Ma dov'è il gioco? Sarri era stato preso per questo. Inoltre Maifredi almeno era simpatico...Sarri lo è quanto le sue dita nel naso o le sue espressioni triviali.

                                Non sarebbe nemmeno giusto chiedere a Sarri di snaturarsi...e poi a 61 anni non si cambia. Col Lione in 180 minuti non un goal su azione: è questo, più della simpatia o di altri tratti, che pesa. Rispetto all'ultimo Allegri non un passo avanti.
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