Attenzione: Calcio Inside! Parte III

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    Milan, Pioli ha un Ibra in più: in nove giorni si decide la corsa per l’Europa

    Lazio sabato all’Olimpico, Juventus martedì a San Siro e Napoli domenica: passano da qui le speranze di Europa dei rossoneri. Ma Zlatan ha dimostrato di cambiare ancora le partite

    Se il Milan pensava che dopo due vittorie consecutive con Lecce e Roma la corsa all’Europa sarebbe diventata una passeggiata, s’è sbagliato di grosso. E la brusca frenata dell’altra sera a Ferrara ne è stata la prova. Troppa supponenza nell’approccio al match. «Non siamo solo da settimo posto» ha ribadito con orgoglio Pioli a fine partita, ma a un mese dalla fine del torneo i risultati non sono un dettaglio. E pareggiare con l’ultima in classifica, salvando la pelle al 95’ su autogol, dopo aver giocato più di mezza partita con un uomo in più, significa che il Diavolo deve fare ancora i conti con i suoi antichi fantasmi. E che nello sprint verso le coppe non c’è ancora niente di scontato. L’Europa del Milan è ancora tutta conquistare. Anche perché, dietro, il Verona e le altre non mollano: sottovalutare l’ambizione della provincia potrebbe essere un errore fatale. Specie ora che il Milan è atteso da un trittico di fuoco, tre partite che avranno un peso enorme: Lazio sabato all’Olimpico, Juve martedì a San Siro, Napoli la domenica successiva a Fuorigrotta. La verità, tutta la verità, in 9 giorni.

    Crescono Leao e Paquetà, fin qui deludenti, ma la principale buona notizia è che il Milan ha ora un Ibra in più. Contro la Spal, il suo ingresso ha riscritto la sceneggiatura di una partita che sembrava segnata, a conferma del fatto che con Zlatan basta la presenza. Non è suggestione, non è un modo di dire: andate a riguardarvi il 2-2, è proprio la presenza fisica dello svedese a indurre il povero Vicari a deviare involontariamente la palla nella sua porta. Classe, fisicità, leadership: con Ibrahimovic è tutto un altro Milan. Urla, si arrabbia, dà direttive: non è solo un campione, è un capo popolo. L’infortunio al polpaccio è alle spalle, ma non ha ancora 90 minuti di autonomia. L’ipotesi più probabile è che sabato parta ancora dalla panchina. Ma con lui mai dire mai. Anche per Rebic che avrebbe un bisogno estremo di rifiatare.

    La Lazio sarà senza attacco titolare, Immobile e Caicedo sono squalificati. Ma Inzaghi e i suoi credono nello scudetto e non intendono fermarsi. All’Olimpico peraltro non hanno mai perso: 12 vittorie e 3 pari. Il Milan deve però tenersi stretto il suo 7° posto, perché l’EuroLeague è l’unico modo per salvare almeno in parte l’annata. Occhio, perché il Verona è a -1 e domenica andrà a Brescia. Chi si ferma qui rischia grosso.


    CorSera
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    sopra una sola teca di cristallo
    popoli studiosi scriveranno
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    C. Campo - Moriremo Lontani


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      Cambiano gli orari delle partite (in campo alle ore 21, non alle 21,45)

      Anticipata anche la gara delle 19,30 (forse di mezzora) ma il problema è quello delle 17,15. L'ad della Lega, Luigi De Siervo, sta trattando con Umberto Calcagno che ha preso il posto pro tempore di Damiano Tommasi all'Aic

      Il calcio by night sul modello spagnolo non funziona. Non piace ad alcuni medici sportivi, a cominciare da quelle della Lazio, ma soprattutto non raccoglie i consensi delle (pay) tv. Alla ripresa della stagione, la Lega di serie A aveva stabilito tre orari: 17,15; 19,30 e 21,45. Le 17,15 erano state fortemente contestate dal sindacato calciatori, troppo caldo in questo periodo: ma la Lega aveva stabilito che solo una minima parte delle partite si gioca in quell'orario e soprattutto mai al Sud. Le tv invece sono contrarie all'orario serale, quello delle 21,45: troppo tardi, la gente al mattino dopo andare a lavorare e poi negli incontri scontati gli ascolti crollano nel secondo tempo.

      E' necessario quindi rivedere tutto: la Lega sta cercando di anticipare (tutti) gli orari delle partite. Anzichè alle 21,45 si dovrebbe giocare alle 21 o alle 21,15. Anticipata anche la gara delle 19,30 (forse di mezzora) ma il problema è quello delle 17,15, il sindacato calciatori non ne vuole sapere di giocare prima. L'ad della Lega, Luigi De Siervo, sta trattando con Umberto Calcagno che ha preso il posto pro tempore di Damiano Tommasi all'Aic. Si cerca una soluzione che stia bene a tutti. Intanto, la Lega dovrebbe tenere un'assemblea forse la prossima settimana perchè il 12 luglio si avvicina: se Sky non pagherà i 131 milioni dell'ultima rata di questa stagione, la Lega staccherà il segnale e non verranno più trasmesse le partite decisive delle ultime giornate (con un danno enorme per i tifosi e gli sponsor).

      Fra i falchi c'è soprattutto De Laurentiis, Andrea Agnelli invece è per il dialogo. Sky comunque ha assicurato che salderà la rata della prossima stagione. Intanto, Gravina e Dal Pino, che lavorano con grande sintonia e buon senso, stanno cercando di convincere il governo, soprattutto Speranza e Cts, ad aprire le port ai tifosi per le ultime giornate di campionato. Non si sa ancora in quale percentuale. Ma la partitissima scudetto del 20 luglio fra Juve e Lazio potrebbe essere vista dal vivo da qualche migliaio di tifosi, quanti ancora non si sa (non facile comunque sceglierli perchè la Juve ha molti abbonati: possibile un sorteggio?).

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        Juventus 72
        Lazio 68
        Inter 64
        Atalanta 60
        Roma 48
        Napoli 45
        Milan 43
        Verona 42
        Cagliari 39
        Parma 39
        Bologna 38
        Sassuolo 37
        Fiorentina 31
        Udinese 31
        Torino31
        Sampdoria 29
        Genoa 26
        Lecce 25
        Spal 19
        Brescia 18
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          La classifica ci consegna il primo (anzi il secondo, visto che Brescia e Spal sono virtualmente retrocesse) verdetto della stagione: conosciamo le 4 che andranno in champions: Juve, Lazio, Inter e Atalanta.

          Tra queste e il quinto posto s'è creato un fossato incolmabile, vuoi per i punti e vuoi per la condizione e situazione di chi insegue.

          La Roma s'è infatti definitivamente dissolta nel conclamarsi di tutti i mali che l'hanno attanagliata in questi quasi 10 anni americani, mali a volte solo nascosti da qualche sporadico risultato e da molto fumo, tante chiacchiere che questo sole di luglio ha rivelato nella sua impietosità:

          Ci troviamo con Pallotta di fronte ad una delle peggiori presidenze dell'era recente (dagli '80 in poi) romanista.

          Crollo verticale dal lato sportivo, crollo abissale da quello societario, conti in sprofondo rosso, squadra ormai squagliata, anarchia ad ogni livello, in quasi 10 anni un continuo abortire progetti e protagonisti.

          Figuarsi se i calciatori, già molto sensibili alla assonnante brezza di Trigoria, non hanno preso la palla al balzo per fregarsene di tutto e andare in vacanza...tanto, chi comanda? Pallotta da Boston? I manichini in società? Petrachi, che è stato rimosso per aver detto la verità/contestato il capo del vapore?

          Capello suggerisce a Fonseca di "non ascoltare le radio", come se il problema fosse quello: le onde radio influiscono sulle prestazioni dei giocatori? Capello con l'età è andato.

          Il disastro della Roma, condannata ad un eterno ritorno al punto zero, è un continuo vuoto societario che poi si riflette nel vuoto dei progetti calcistici e nel conseguente libertinaggio nei confronti dei giocatori, ai quali basta un mese per capire di essere in una bella città dove si guadagna per potersi permettere di non giocare: la vacanza pagata, un sogno di tutti, un incubo solo per i poveri tifosi che ormai, nonostante le tante chiese dell'Urbe, non sanno più a che santo votarsi.

          Continua invece la clamorosa stagione dell'Atalanta: pre o post Covid nulla è cambiato: goal, gioco, punti: ormai è una stabile forza del nostro calcio con la quale fare i conti quando si tratta di considerare i piazzamenti champions.

          Napoli fuori dalla coppa principale, ma, dato che la società è economicamente sana, sul mercato non dovrebbe risentirne.
          Last edited by Sean; 03-07-2020, 08:24:27.
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            Dugarry, frasi choc su Messi: ''Ragazzino basso e mezzo autistico''

            L'ex attaccante francese, nel difendere il connazionale Griezmann, critica la "Pulce" argentina con parole inaccettabili: ''Di cosa dovrebbe avere paura? Se ha un problema con Messi, può mangiarselo''. Critiche anche a Setien: ''E' un incompetente''. Poi il mea culpa: ''Chiedo scusa''

            "Di cosa dovrebbe avere paura Griezmann, di un ragazzino basso e mezzo autistico? Se ha un problema con Messi, può mangiarselo". Queste dichiarazioni choc portano la firma di Christophe Dugarry, ex attaccante di Bordeaux, Milan e Barcellona, che non ha usato mezzi termini parlando della polemica tra l'ex Atletico e l'ambiente blaugrana.


            "Setien? Incompetente"

            Ma non è tutto perché Dugarry ha sparato a zero contro il tecnico dei catalani, Quique Setien, sotto accusa in Catalogna dopo aver (quasi) perso il duello con il Real Madrid nella Liga: "Setien? E' un brav'uomo ma non ha l'attitudine del grande tecnico. Sono sicuro che non abbia niente contro Griezmann. E' semplicemente un incompetente".


            Mea culpa: "Sono dispiaciuto, chiedo scusa"

            Subito dopo questi attacchi, soprattutto quello a Messi, i social si sono scatenati e successivamente l'ex attaccante rossonero ha scritto un messaggio di pubbliche scuse sui propri profili, quando tuttavia le sue dichiarazioni avevano ormai già fatto il giro del web: "Sono sinceramente dispiaciuto per le mie dichiarazioni su Lionel Messi. Non volevo offendere le persone con disturbi autistici, non era mia intenzione. Mi scuso con le persone che ho offeso e lo farò di nuovo alle 18 questa sera".

            L'ex attaccante francese, nel difendere il connazionale Griezmann, critica la "Pulce" argentina con parole inaccettabili: ''Di cosa dovre…
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              Antonio Matarrese: «Italia ‘90 resta una ferita aperta»

              L’ex presidente di Lega e Figc: «Non dimentico neanche Usa ‘94, il rigore sbagliato da Roberto Baggio in finale, i giocatori, che, tutti, indistintamente, piangevano»

              Antonio Matarrese, domani taglierà il traguardo degli 80 anni. Come e dove festeggerà?

              «Come sempre. A Bari, in famiglia. La festa migliore che possa esserci».


              Mentre spegnerà le candeline, ci sarà con lei qualche amico del mondo del calcio?

              «So solo che alcuni personaggi del calcio, di ieri e di oggi, mi stanno preparando in segreto una sorpresa».

              La prima linea del calcio le manca?

              «Talvolta sì. M’interrogo sul contributo che potrei ancora dare. Poi mi dico che tocca ad altri, ora, essere protagonisti e assumersi responsabilità».

              Presidente del Bari, della Lega e della Federcalcio. Vicepresidente di Fifa e Uefa. Qual è l’esperienza più bella che ha vissuto da dirigente di alto livello?

              «Essere a capo della Figc e del calcio italiano per tanti anni. Anche la guida del Bari mi ha emozionato molto».

              Qual è il ricordo più nitido impresso nella sua memoria?

              «Il giorno in cui con la signora De Palo, vedova del defunto presidente del Bari, attraversammo il terreno di gioco del vecchio Stadio della Vittoria stracolmo di tifosi. Ci tremavano le gambe».

              Tra i supplementari e i rigori di Italia-Brasile, finale mondiale del 1994 a Pasadena, cosa fece? Pregò?

              «Ero frastornato. Però il peggio stava solo per arrivare. Dopo il rigore sbagliato da Roberto Baggio i giocatori, tutti, indistintamente, piangevano. Paolo Maldini uscì dagli spogliatoi e mi invitò a consolare i suoi compagni. In realtà dovevamo consolarci a vicenda».

              E tra i supplementari e i rigori di Italia-Argentina, semifinale dei Mondiali del 1990 a Napoli, cosa pensò?

              «Nulla e non voglio nemmeno pensarci oggi, a 30 anni di distanza. Quella è una ferita che ancora non si rimargina».

              Chi le ha insegnato più calcio?

              «Tre straordinari presidenti: Dino Viola, Paolo Mantovani e Silvio Berlusconi. E il Cavaliere, oltre a conoscere la materia, si è sempre distinto per la sua umanità».

              Che tipo era Sepp Blatter?

              «Il più cinico, abile e intraprendente manager calcistico. Ha amato la Fifa più di se stesso».

              La partita che mette in cima alla lista delle gioie?

              «La finale dei Mondiali di Spagna nel 1982. Rappresentò il mio esordio da presidente della Lega e vicepresidente della Figc».

              E quella che vorrebbe non si fosse mai disputata?

              «Devo ripetermi. Italia-Argentina del 1990».

              Chi è stato il giocatore che ha amato di più?

              «Nessuno, sa perché? Da presidente della Federcalcio m’imponevo di non fare preferenze fra gli azzurri».

              Con quale allenatore ha avuto maggiore feeling?

              «Arrigo Sacchi. Uomo e commissario tecnico eccezionale, ma anche faticoso, lucido e leale».

              È vero che quando venne assegnata la finale di Coppa dei Campioni del ’91, e le chiesero «perché Bari?», lei rispose «perché è la mia città»?

              «La finale del San Nicola tra Stella Rossa e Marsiglia ha fatto storia. Nel calcio, e non solo, quando si ha il potere bisogna esercitarlo. Altrimenti significa che non lo meriti».

              Salto nell’attualità. Di fronte all’emergenza coronavirus il calcio italiano come si è comportato?

              «Inizialmente ha mostrato più di un’indecisione, dovuta all’eccessiva presenza della politica. Poi ha reagito con chiarezza e fermezza. Il presidente Gravina ha agito come avrei fatto io. Spiegando alla politica che l’invasione nel mondo del calcio non sempre è un’idea positiva».

              Ripartire senza tifosi e in piena estate ha senso?

              «Non vi era altra scelta».

              Come ha vissuto i mesi del lockdown?

              «Scappavo di casa all’alba, andavo a correre vicino al mare. Tentavo di non farmi riconoscere. Un paio di volte la polizia mi ha beccato, ma mi ha pure perdonato».

              Qual è il suo più grande rimpianto?

              «Non essere tornati dagli Stati Uniti con la Coppa del Mondo sull’aereo».

              Ha governato in più epoche la Lega, cioè la Confindustria del pallone. Che idea si è fatto della gestione in corso?

              «Tenere le fila della Lega non è un gioco da ragazzi. Ciascun presidente di società ritiene di avere la ricetta giusta per risolvere i problemi. Paolo Dal Pino è un manager pratico, di spessore. Essenziale è che non ceda mai alle pressioni».

              Il calcio italiano risalirà ai massimi livelli mondiali?

              «Il destino del nostro calcio è stare sempre ai massimi livelli. Succederà di nuovo, parola di prossimo 80enne».



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                        ...ma di noi
                        sopra una sola teca di cristallo
                        popoli studiosi scriveranno
                        forse, tra mille inverni
                        «nessun vincolo univa questi morti
                        nella necropoli deserta»

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                          popoli studiosi scriveranno
                          forse, tra mille inverni
                          «nessun vincolo univa questi morti
                          nella necropoli deserta»

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                            sopra una sola teca di cristallo
                            popoli studiosi scriveranno
                            forse, tra mille inverni
                            «nessun vincolo univa questi morti
                            nella necropoli deserta»

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                                forse, tra mille inverni
                                «nessun vincolo univa questi morti
                                nella necropoli deserta»

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