Attenzione: Calcio Inside! Parte III

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  • Fabi Stone
    Bodyweb Senior
    • Jan 2015
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    Prima ti innamoravi del Pallone, per calciatori e persone così...non personaggi.
    Riva è stato l'esempio di bandiera senza interessi, perché lui sposò una terra prima che una maglia.
    Lo disse sempre a chi gli chiedeva di eventuali rimpianti sportivi.
    "Sicuramente la mia bacheca sarà più vuota di molti colleghi meno bravi forse, a chi non piace vincere? Piace pure a me, solo che io sto bene qui".

    Adesso il ragazzino si innamora de sti pori stronzi e spera nelle SuperLeghe.

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    • fede79
      Stratocaster Addicted
      • Oct 2002
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      • Roma
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      Originariamente Scritto da Fabi Stone Visualizza Messaggio
      Prima ti innamoravi del Pallone, per calciatori e persone così...non personaggi.
      Riva è stato l'esempio di bandiera senza interessi, perché lui sposò una terra prima che una maglia.
      Lo disse sempre a chi gli chiedeva di eventuali rimpianti sportivi.
      "Sicuramente la mia bacheca sarà più vuota di molti colleghi meno bravi forse, a chi non piace vincere? Piace pure a me, solo che io sto bene qui".

      Adesso il ragazzino si innamora de sti pori stronzi e spera nelle SuperLeghe.
      Nei primi anni 80 poteva venire alla Roma (si parlava di forte interessamento della Juve), ma lui decise di legarsi per sempre alla sua terra.

      Onore a lui.
      sigpic
      Free at last, they took your life
      They could not take your PRIDE

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      • germanomosconi
        Bodyweb Senior
        • Jan 2007
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        • pordenone
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        Simpatici i beduini che fischiano durante il minuto di silenzio...
        Originariamente Scritto da Marco pl
        i 200 kg di massimale non siano così irraggiungibili in arco di tempo ragionevole per uno mediamente dotato.
        Originariamente Scritto da master wallace
        IO? Mai masturbato.
        Originariamente Scritto da master wallace
        Io sono drogato..

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        • Sean
          Csar
          • Sep 2007
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          • In piedi tra le rovine
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          Originariamente Scritto da fede79 Visualizza Messaggio

          Nei primi anni 80 poteva venire alla Roma (si parlava di forte interessamento della Juve), ma lui decise di legarsi per sempre alla sua terra.

          Onore a lui.
          L'interesse della Juventus, col famoso "no" di Riva, fu degli anni '70, la prima metà dei '70. Ci furono offerte miliardarie (assegno in miliardi in lire negli anni '70), Riva lo ha più volte raccontato, ma non ci fu modo di portarlo via dalla Sardegna.

          Tra l'altro lui nemmeno nasce sardo, è lombardo...e quindi è ancora più straordinario quel suo attaccamento al Cagliari, alla Sardegna, ai sardi ed è un caso che è praticamente unico...perchè vinto lo scudetto al Cagliari, fatto vincere uno scudetto al Cagliari, i sardi avrebbero certo compreso se lui avesse voluto decidere di proseguire altrove, in fin dei conti la sua missione a Cagliari si poteva dare per conclusa - aveva portato il Cagliari al primo posto, al titolo di campione d'Italia...e invece Riva fece proprio una scelta di vita, sposò quella vita, quella gente, quella idea di appartenenza e in fondo questo lo ha reso ancora più grande nel già grandissimo mito del giocatore che era, perchè era il più forte attaccante italiano ma il suo mettere radici in quella terra di adozione ha certo dato ancora più spessore al suo mito.
          ...ma di noi
          sopra una sola teca di cristallo
          popoli studiosi scriveranno
          forse, tra mille inverni
          «nessun vincolo univa questi morti
          nella necropoli deserta»

          C. Campo - Moriremo Lontani


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          • Sean
            Csar
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            • In piedi tra le rovine
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            Intanto l'Inter vince 1-0 sul Napoli e fa sua la supercoppa. Ottava per il club, la quinta per Inzaghi.
            ...ma di noi
            sopra una sola teca di cristallo
            popoli studiosi scriveranno
            forse, tra mille inverni
            «nessun vincolo univa questi morti
            nella necropoli deserta»

            C. Campo - Moriremo Lontani


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            • Sean
              Csar
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              • In piedi tra le rovine
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              Gigi Riva è morto, calcio sotto choc: le ultime ore in ospedale, l’arresto cardiaco. I medici: «Non ha voluto l’angioplastica»

              Le ultime ore del campione del Cagliari e della Nazionale in ospedale: aveva scherzato con il direttore sanitario, che gli aveva detto che i giornalisti chiedevano di lui e tutta l’Italia era preoccupata. I medici: «Abbiamo provato a convincerlo, non ha voluto l’angioplastica»


              Se n’è andato con un tiro mancino dei suoi, un siluro a 130 chilometri orari, anzi no, una rovesciata come contro il Vicenza nel 1970. L’avevamo lasciato che brontolava perché non poteva fumare le sigarette, vietatissime all’ospedale, e non si decideva sull’angioplastica da fare, voleva prendere tempo per pensare. Stava parlando con Gianna, la mamma dei figli Nicola e Mauro, al suo fianco negli ultimi anni fragili e in fondo sempre, anche quando lui sembrava lontano. Aveva scherzato con il direttore sanitario, Raimondo Pinna, che era entrato in stanza e gli aveva detto che i giornalisti chiedevano di lui, che tutta la città era preoccupata, ma avrebbe dovuto dire la Sardegna, pure l’Italia, perché anche Piantedosi aveva fatto un tweet per abbracciarlo. Passano dieci minuti. Alle 17.50 l’arresto cardiaco. Alle 19.10 Gigi Riva era morto.

              Settantanove anni portati tra acciacchi e malinconie, un corpo usurato da scontri sul campo che non lasciavano prigionieri, ormai sardo tra i sardi ai quali aveva dato voce e dignità dalla periferia economica e politica, ma soprattutto uno scudetto, l’unico, che aveva fatto piangere di gioia un popolo intero, i Quattro Mori, Gesù Bambino che arriva da Leggiuno e dribbla i grandi della A portando il Cagliari in trionfo.
              Rombo di Tuono è stato ricoverato alle 3 del mattino di ieri all’ospedale San Michele, nella città che lo ha adottato nel ’63 e lo ha amato, ricambiato, come uno di famiglia. La coronarografia delle 10.30 ha subito evidenziato una gravissima malattia. «Bisogna fare un’angioplastica», gli ha detto Marco Corda, il direttore del reparto di cardiologia. Ma lui aveva paura. E poi dei sardi aveva preso la testardaggine. «Ci voglio pensare, ne devo parlare con i miei cari», aveva replicato al medico, che non poteva forzarlo. Non si poteva nemmeno essere sicuri che l’intervento andasse bene, il paziente era molto fragile, ma era vigile e cosciente e ci voleva il suo consenso.

              Le condizioni, però, non sembravano gravi. Un bollettino medico inviato proprio mentre arrivava l’attacco cardiaco, pensate voi al tempismo, diceva che Gigi Riva era «sereno» e le sue «condizioni generali stabili». «Nonostante tutti i tentativi per convincerlo, era deciso di non far subito l’intervento. Non ci aspettavamo che potesse degenerare così rapidamente», si è quasi giustificato Corda ieri sera in conferenza stampa, perché davanti a sé non aveva soltanto giornalisti che coprivano un fatto di cronaca, ma quasi degli orfani, sbigottiti all’idea che il loro mito se ne fosse andato. Corda ha aggiunto: «Lui ha ascoltato tutto. “Grazie tante, dottore”. E io ho risposto: “Non si preoccupi, saremo sempre noi in debito con lei”. Era quello che sentivo davvero».

              «Gli avevo chiesto se aveva bisogno di qualcosa, se c’era tutto quello che gli serviva. Mi è sembrato sereno, cordiale, aveva scherzato», ricorda Raimondo Pinna, che sì, adesso dirige l’Arnas Brotzu che comprende il San Michele dove ci ha lasciato Riva. Ma era anche un bambino di 8 anni quando il Cagliari vinse lo scudetto. «I miei miti erano lui e Albertosi».

              Siamo tutti orfani di Gigi, ma soprattutto Nicola e Mauro, i suoi figli veri, e le nipoti, cinque femmine, nessuna con quell’amore invincibile che ha divorato il nonno fin da bambino, nel campetto dell’oratorio di Leggiuno, per strada, nei cortili dei collegi che dovette frequentare perché la famiglia era indigente, dove lo costrinsero a usare la mano destra anziché la sinistra, ma non poterono impedirgli di esercitare il suo tiro mancino diventato leggenda.

              Nicola ieri era convinto: «Papà lo operiamo domattina. E così ci leviamo questo pensiero. Per fortuna si può risolvere». Tutta la Sardegna ora è in lutto, perfino per decreto: Solinas chiude il mandato disponendo lutto regionale sino al giorno delle esequie. Mattarella, Meloni, Malagò, Gravina, Zoff, i tifosi, i non tifosi. Un’isola intera, emigrata in Italia e nel mondo. Ci ha lasciato Rombo di Tuono, un uomo mite, un uomo buono.​

              CorSera​​
              ...ma di noi
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              C. Campo - Moriremo Lontani


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              • Sean
                Csar
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                Addio Gigi Riva, è morto il più grande di tutti. Se ne va un pezzo della nostra storia e del nostro cuore. Un grande italiano


                Non ci ha lasciato il tempo di soffrire e tremare per lui, solo quello di piangere.
                Se ne è andato Gigi RivaGigirriva, Rombo di Tuono come lo chiamò magnificamente Gianni Brera, di cui era amico – in silenzio, da uomo aspro ma generoso, ombroso ma passionale, grande, enorme, chiuso in se stesso e proprio per questo molto, ma molto umano. Poteva essere Dio e non si comportò mai come tale, rimase uguale agli altri perché sostanzialmente dentro era convintemente un pastore, un pescatore, un minatore sardo. Un uomo di popolo, nato povero, e rimasto sempre tenacemente attaccato a quella tradizione. Orgoglioso e molto geloso della sua solitudine.

                Il grande campione che è stato non lo dirò certo io, tutto ciò che ha fatto fa parte dell’epopea del calcio, cosa ha fatto lo ha detto la storia del nostro calcio e non solo quella. Io vi dirò che Gigi Riva è stato davvero un pezzo d’Italia, cui dette in sacrificio entrambe le gambe, è stato un attaccante come nessun altro (35 gol in 42 partite azzurre è ancora un record imbattuto), è stato la nostra bandiera, Italia-Germania 4-3, la nostra gioventù, il Cagliari dello scudetto più ricordato ed esaltante (1970), la Sardegna, il suo popolo, la sua gente, la sua vita, quel mondo così lontano e di provincia per cui disse no al grande calcio, alla Juventus, ai soldi. Gigi Riva è stato la parte migliore di noi stessi. Avesse avuto un Coppi come compagno di strada direi Gino Bartali. Ma forse è stato anche di più.

                Non ho potuto conoscerlo da giocatore, l’ho conosciuto bene da dirigente della Nazionale. Ed era una persona straordinaria, immensa, che sapeva commuovere. Indispensabile e fondamentale per i giocatori, che gli volevano un bene da moritre, e riconoscevano in un lui una grande autorità morale. Per noi tutti italiani Gigi Riva è stato come Pertini, Don Milani, De André un grande italiano.

                Negli anni 90 eravamo insieme a Bari, una sera tardi su un marciapiede della città vecchia, un uomo anziano, molto malandato che zoppicava e camminava a fatica, attraverso’ la strada per assicurarsi dell’impressione che aveva avuto: “Ma sei Riva? Tu sei Gigi Riva?”. E si mise a piangere per la commozione e i ricordi che quell’uomo gli scatenava, Riva suscitava gli stessi sentimenti che anni dopo avrebbe suscitato Maradona. Qualcosa di molto oltre al calcio, molto vicino alla religione e al culto.

                Ogni incontro per lui era un pezzo di vita degli altri che gli veniva addosso, sentiva il dovere di ascoltare e di darsi a ognuno per quel che era possibile. Si è dato talmente che la sua anima è rimasta segnata, consumata. Mi ha colptto che abbia rifiutato l’operazione al cuore che probabilmente lo avrebbe salvato, ma non mi ha stupito del tutto. Il nostro io profondo è spesso imperscritabile.

                E’ morto Gigirriva, Rombo di Tuono però non è morto, il rombo non si spegne, quelle si sente ancora.

                Gigi Riva, la morte improvvisa de grande campione della Nazionale e de Cagliari. Restò a vita in Sardegna, suo il record di 35 gol in Nazionale
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                «nessun vincolo univa questi morti
                nella necropoli deserta»

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                • Sean
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                  L’ultima intervista a Gigi Riva: «Dissi no al miliardo della Juve. La depressione va e viene. Le ammiratrici? Da giovane ho fatto cose che non erano normali»

                  Questa intervista risale al 28 giugno 2023.

                  Ha sentito Ranieri?
                  «Gli ho telefonato prima della partita con il Bari. Mi raccomando, gli ho detto, guarda che tutta l’Isola è a tuo favore. Lui era un po’ commosso e un po’ teso per la gara».

                  Cinquanta minuti al telefono con Gigi Riva sono quasi un miracolo. Per certo un regalo della leggenda del Cagliari, l’uomo che ha riscattato un intero popolo con il suo tiro mancino, portando in Sardegna l’unico scudetto della storia. Era il 12 aprile del 1970 e sul campo dell’Amsicora Rombo di Tuono infilava con Bobo Gori i due gol della vittoria allo stesso club contro il quale i rossoblù di Claudio Ranieri hanno appena riconquistato la Serie A. Spegne la televisione, si mette comodo sulla poltrona, giura che non sta fumando nessuna sigaretta: «Le ho già fumate prima, ma non chiedermi quante perché mi vergogno».

                  Il suo ricordo più bello?
                  «Beh, lo scudetto. Avevamo festeggiato con tutta la squadra. Gli scapoli vivevano insieme in una foresteria e i tifosi venivano anche di notte a tenerci svegli».

                  È nato a Leggiuno, in Lombardia, però si considera sardo.
                  «Io sono sardo perché sono di poche parole, spesso e volentieri ho il muso, mi preoccupo per i problemi di questa terra bellissima e reagisco a modo mio».

                  Il suo angolo del cuore?
                  «Forse il tratto tra Pula e Villasimius. Di notte ci andavo in macchina, magari per fare una passeggiata, e ascoltavo la musica. Mi è sempre piaciuto guidare l’auto, avevo una macchina potente: ricordo certi viaggi da Cagliari a Oristano, con qualche amico la sera per fare un giro. Un bel periodo».

                  De André è stato la sua colonna sonora. Ha mai visto un suo concerto?
                  «Sì, una volta, ma non l’ho aspettato alla fine perché dovevo prendere l’aereo. Ero già stato a casa sua, avevamo brindato con un bel po’ di whisky, vincendo entrambi la timidezza».

                  Nel docufilm che da ieri sta trasmettendo Sky, «Nel nostro cielo un rombo di tuono», c’è una scena in cui voi due siete di spalle. Per coglierne tutta la dolcezza bisogna aspettare i titoli di coda.
                  «Lo so... Anche se devo dire la verità: il film l’ho visto solo all’anteprima e ho una gran confusione in testa, ero emozionatissimo. Devo rivederlo da solo in casa con calma».

                  È riservatissimo: come ha ceduto a Riccardo Milani, che ha firmato la pellicola?
                  «Ma infatti la prima volta che mi ha mandato a dire che voleva fare un film su di me non ho detto sì. Poi è venuto lo stesso a trovarmi, mi ha spiegato cosa intendeva fare ed era una bella storia. È stato molto corretto sia con la Sardegna, perché la ama anche lui, sia con noi giocatori».

                  Oggi quale squadra le piace?
                  «Non seguo più il calcio. Cagliari a parte, mi piace solo la Nazionale: ora, dopo il buio, si è rimessa a posto».

                  Le sue partite più belle?
                  «Le partite importanti erano quelle di campionato contro Juventus, Milan e Inter: quando le battevi era una bella soddisfazione».

                  Tutti la volevano e lei, testardo, non ha ceduto nemmeno al miliardo offerto dalla Juve.
                  Ride. «Quando Arrica, il mio presidente, scoprì che non andavo, non fu contento per niente. Ma non sono testone: io ero una persona chiusa, avevo avuto un’infanzia tragica, i miei genitori erano mancati presto. Poi sono venuto a Cagliari e abbiamo costruito una gran bella cosa: lo scudetto era il sogno di ogni squadra».

                  Lo avete realizzato con Manlio Scopigno.
                  «È stato un maestro, un fratello maggiore: mi ha insegnato a vivere. Mi diceva: perché ti incavoli? Vieni, risolvi il problema. Lo sogno ancora».

                  E i suoi genitori li sogna?
                  «Sì, anche se so già che è impossibile ritrovarli in casa il giorno dopo e mi devo rassegnare. Mi spiace solo di non aver dato loro niente delle soddisfazioni che mi sono tolto io, non ho potuto farli partecipare, non hanno vissuto quel periodo, anni meravigliosi. È un vero dispiacere».

                  Chi altro riceve in casa?
                  «Qualche compagno di squadra di allora e tutti gli amici importanti. Organizziamo delle cenette qui, cucino io le bistecche, mi piace rigirarle e portarle a tavola».

                  In collegio la costrinsero a usare la mano destra al posto della sinistra. Ma nessuno riuscì a toglierle il tiro mancino.
                  «Io adoperavo il piede destro solo per camminare».

                  Ha perdonato Norbert Hof, il «boia del Prater» che le spezzò una gamba durante Italia-Austria nel 1970?
                  «Ma sì, l’ho perdonato. Certo, poteva evitare quell’entrata. Però dopo due anni mi sono fratturato un’altra volta e lì mi sono fatto male da solo...».

                  Ha digerito il Pallone d’oro dato a Rivera e non a lei?
                  «No, non ancora. Mi era stato promesso che l’anno dopo sarebbe toccato a me e poi invece mi sono fatto male».

                  Vogliamo parlare delle ammiratrici di allora?
                  «Aspetto ancora un po’ prima di raccontare le follie che hanno fatto, cose che non erano normali...».

                  A quale maglia è più affezionato?
                  «Ne ho di tutti colori, ma per me la maglia più bella resta quella bianca, pulita, senza sponsor, dello scudetto».​
                  Quando torna allo stadio?
                  «Mai più. Mi piglia l’agitazione. Invece mi devo mettere in testa che la vita è questa».

                  Pochi mesi fa è scomparso Pelè, due anni prima Maradona: leggende che ha conosciuto. Un giorno lontanissimo giocherete insieme in Paradiso.
                  «Eh, non so se sarà lontanissimo... La loro morte mi ha fatto effetto. Alla mia età prima di dormire sei un po’ teso al pensiero: non è che la morte sia una grande cosa».

                  La depressione come va?
                  «Va e viene. Ma adesso l’ho un po’ superata».

                  Se rinascesse rifarebbe il calciatore?
                  «Sì, sperando che il Padreterno mi dia le stesse doti che avevo: saper giocare al calcio, divertirmi in campo, sognare di fare gol prima di una partita e poi segnare per davvero».

                  Sempre in Sardegna?
                  «Quello che ha reso per me tutto speciale è che ero sardo tra i sardi: ovunque andassi, da Alghero o Sassari a Cagliari, ero uno di loro».​

                  CorSera​​​​
                  ...ma di noi
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                  forse, tra mille inverni
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                  nella necropoli deserta»

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                    La Supercoppa giocata nel gran baraccone di Riad va all’Inter, battuto un Napoli in dieci per l’espulsione di Simeone, decide un gol di Lautaro. Ovviamente finisce tra i veleni, il Napoli infuriato con l’arbitro, per la disparità di trattamento da parte dell’arbitro. Nessuno riconosce mai la superiorità dell’Inter, il vento arbitrale spira a suo favore. Per Inzaghi un’altra coppetta, il suo destino si deciderà con lo scudetto….


                    INTER – NAPOLI 1-0

                    La gioia e la rabbia. Per l’Inter l’aver vinto la Supercoppa è una semplice e banale dimostrazione della sua superiorità, tecnica, di gioco, di squadra, di potenza, dimostrata nel più classico dei modi, ossia con un gol di Lautaro, oggi il miglior giocatore del campionato italiano.

                    Viceversa per il Napoli, che forse un anno fa questa partita l’avrebbe vinta senza problemi, è la dimostrazione che il vento oggi spira a favore dell’ Inter, non solo per la sua potenza, ma anche perché gli arbitri non le giocano certo contro, anzi soffiano anche loro a favore dei nerazzurri. Stando almeno alla vulgata complottista. L’espulsione di Simeone ha scatenato una ridda di polemiche e di veleni e soprattutto un’accusa all’arbitro Rapuano di disparità di trattamento e di non aver usato la stessa fermezza con Çalhanoğlu e gli altri interisti.

                    E’ un po’ il destino oggi di queste partite e in particolare dell’ Inter la cui superiorità tecnica non viene riconosciuta come immacolata. Inzaghi mette nella sua collezione un’altra Copp, è sicuramente un allenatore da classiche, non ha ancora pienamente dimostrato di esserlo nelle corse a tappe.

                    Gli chiederanno uno scudetto a tutti i costi, in una situazione difficile e intricata, con la Juventus che incalza e mette ansia. Questa stramba, ingombrante e quasi fastidiosa Supercoppa giocata a Riad, è meglio averla vinta che persa direbbe Catalano, ma non cambia molto il panorama del nostro calcio, non cambia equilibrio alcuno. I conti si fanno sullo scudetto, non su altro.

                    SUPERCOPPA ITALIANA (RIAD) Giovedì 18 gennaio 2024 Napoli - Fiorentina 3-0 Venerdì 19 gennaio 2024 Inter - Lazio 3-0 Lunedì 22 gennaio 2024 INTER - NAPOLI 1-0 *** La gioia e la rabbia. Per l’Inter l’aver vinto la Supercoppa è una semplice e banale dimostrazione della sua superiorità, tecnica, di gioco, di squadra, di potenza,

                    ...ma di noi
                    sopra una sola teca di cristallo
                    popoli studiosi scriveranno
                    forse, tra mille inverni
                    «nessun vincolo univa questi morti
                    nella necropoli deserta»

                    C. Campo - Moriremo Lontani


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                      La sua storia la conoscevo, naturalmente.
                      Ma non ero del tutto a conoscenza dei numeri in nazionale.
                      Pazzesco
                      Spesso vado più d'accordo con persone che la pensano in maniera diametralmente opposta alla mia.

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                        • In piedi tra le rovine
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                        Gigi Riva assomigliava al suo lago, a Leggiuno, sponda lombarda del Maggiore. Le stesse increspature che nascondevano spazi profondi. Aveva passato l’esistenza a cercare di mettersi in pari con la Vita. Persi i genitori da piccolo, cresciuto con la sorella. Solo il calcio a dargli tepore e affetto. Un ragazzino gracile e con le gambe esili, figlio di quella provincia lombarda che la sua gente la voleva solida e silenziosa. Poi divenne «Rombo di Tuono», la potenza dentro due gambe che sembravano arare i campi di calcio.

                        Gigi Riva, un italiano che non diresti. La sua malinconia, il suo sorriso timido. I suoi infortuni tremendi, le gioie inarrivabili. Falciato dalla sfortuna, risorto con una rabbia giusta e lieve. Poteva giocare ovunque, lo scelse il Cagliari. Un matrimonio indissolubile di quelli per amore e non per soldi che il denaro va e viene. L’aveva pescato dal Legnano, una squadra con una maglia lilla e un passato da ricordare. In quella terra di fabbrichette e imprenditori volenterosi, Riva era l’evasione dopo una settimana con le maniche della camicia sempre arrotolate. Il Bologna gli aveva messo gli occhi addosso, lui finì con un’altra casacca, sempre rossoblu: il Cagliari. Non si può dire che la scelse, ma la trovò e si ritrovò a casa. Una casa vera come quella che lui aveva solo sfiorato. Dove riempiva il frigorifero con i premi per i gol segnati nei tornei serali in provincia: forme di formaggio e prosciutti.

                        Girava per i campi dei paesini per giocare nei tornei serali con la squadra del Leggiuno che la gente del lago chiamava «Il piccolo Brasile». Sua madre c’era ancora e pensava che tutto quel bendidio il suo Gigi l’avesse rubato. Non è riuscita a vederlo quando indossò la maglia azzurra e tutta l’Italia si stropicciava gli occhi solo per lui. Rimase il suo rimpianto più grande come rivelarono le lacrime in una puntata memorabile di «Sfide». La mamma goduta per uno spicchio di vita troppo breve. Non gli bastò vincere uno scudetto impossibile, voleva riscattare l’orgoglio di tutta un’isola. Lui che era diventato più sardo di Grazia Deledda.

                        Il legame con Cagliari

                        C’era arrivato in punta di piedi a Cagliari e fatto voler bene prima come uomo e poi da calciatore. Amava le auto veloci e le canzoni di Fabrizio De Andrè. Le sigarette e i compagni leali. L’Inter di Moratti e la Juve di Agnelli gli fecero una corte spietata. Eppure per i nerazzurri tifava da bambino, quando giocava con la figurina di Nacka Skoglund nella tasca sinistra dei calzoncini. Il suo Cagliari, una squadra di quelle che i compagni restano amici per sempre e i tifosi recitano come un mantra infinito. Albertosi,martiradonna,mancin,cera,niccolai, tomasini, nenè, brugnera,gori, greatti e poi lui: Riva. Gente che di nome faceva Ricciotti come Greatti, brasiliani scartati dalla grande Juve (Nenè) e un difensore che faceva gol nella porta sbagliata (Niccolai). E Scopigno un allenatore che chiamavano filosofo ma era solo saggio e intelligente.

                        Riva e la Nazionale: l’altro amore

                        L’altro legame indimenticabile era con l’azzurro. Prima, durante e dopo. La maglia della Nazionale con il numero 11 scolpito. Un Europeo vinto una sera di giugno del 1968 che tutto l’Olimpico di Roma si illuminò come un falò di felicità infinita. Il primo successo del dopoguerra, un filo interrotto con il Mondiale del 1938. Poi i Mondiali del Messico che vincerli non sarebbe stata un’eresia. E lui ci provò e quando faceva gol sentiva davvero il rombo di un tuono, come l’aveva battezzato l’altro gran lombardo Gianni Brera.

                        Poi la carriera da dirigente, ancora Cagliari, ancora Nazionale. E non c’è azzurro che non gli abbia regalato confidenze, chiesto consigli. Resta ancora il goleador delle partite in azzurro, anche adesso che i calendari si sono moltiplicati e fa impressione leggere che lui segnò 35 gol in sole 42 partite. Tutte vere, persino le amichevoli. Dietro di lui Meazza. Davanti in silenzio e gli occhi gonfi di dolore e gratitudine i suoi tifosi. Tutti. Del Cagliari e del resto del mondo. Perché Gigi Riva era così. Un patrimonio dell’umanità.


                        CorSera













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                          IL ROMANISTA (M. IZZI) - [...] In un'intervista rilasciata a Giampaolo Murgia di Giallorossinel novembre 1982, Gigi Riva, il simbolo vivente del Cagliari dichiarò: «A 25 anni avrei potuto trasferirmi a Roma, è vero. Ero a un bivio della mia vita, non solo della carriera. Roma, i romani mi sono sempre piaciuti, per il calore genuino, per la competenza della folla, per una specie di comunione d'intenti manifestatasi tante volte. Ma scelsi la Sardegna, terra che è diventata anche mia».Gigi Riva avrebbe potuto trasferirsi nella capitale? Detta così è una notizia estremamente interessante, quantomeno da approfondire. Nato il 7 novembre 1944, Riva compì 25 anni nel 1969. In quel periodo, effettivamente, la Roma di Alvaro Marchini si era data molto da fare per acquistare una punta. Il 25 luglio 1968 Helenio Herrerarilasciò un'intervista al Corriere dello Sport in cui fece il punto di tutte le trattative che erano state portate avanti sino a quel momento. [...]

                          Nel pomeriggio di quel 24 luglio Herrerapartecipò a una riunione (assieme al Presidente Alvaro Marchini, ad Aldo Pasquali e a Gaetano Anzalone), per cercare di trovare una soluzione percorribile. È in quella circostanza che si parlò di Riva? Lo riteniamo fortemente improbabile. Rombo di tuono era un pezzo forte di quel calcio mercato, all'Hotel Gallia (dove si tenevano le contrattazioni del calcio mercato) si parlò molto di lui, ma in relazione all'interessamento della Juventus, non certo di quello della Roma, che non avrebbe avuto i mezzi per portare realisticamente avanti un discorso del genere. E allora, la testimonianza di Gigi Riva? A nostro avviso lo snodo a cui si riferiva è legato non all'estate del 1968 o del 1969, ma a quella del 1973. In quella stagione la Roma, dopo una sofferta riflessione, era arrivata a designare Manlio Scopigno alla guida della squadra (il ballottaggio era stato sostenuto dal «filosofo» con un certo Nils Liedholm). Scopigno, grande timoniere del Cagliari dello scudetto, avrebbe portato in giallorosso quello che era un suo storico pretoriano, vale a dire Domenghini. È assolutamente plausibile (anche se riscontri oggettivi ci mancano), che Gaetano Anzalone, prima di chiudere l'acquisto di Pierino Prati, abbia fatto un sondaggio con il Cagliari, trovando tutt'altro che un muro nella controparte dirigenziale sarda. Se Scopigno parlò con Riva per proporgli l'avventura romana non lo sappiamo [...]. Una cosa è certa, Riva ha dichiarato di aver preso in considerazione l'idea di approdare a Roma e nel marzo 1974 Anzalone, facendo un punto su quello che erano le prospettive future del club dichiarò, sempre a Giallorossi: «Se i tifosi mi chiedono Riva […] difficilmente riuscirò ad accontentarli».

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                            Originariamente Scritto da Irrlicht Visualizza Messaggio
                            La sua storia la conoscevo, naturalmente.
                            Ma non ero del tutto a conoscenza dei numeri in nazionale.
                            Pazzesco
                            Consideriamo poi che non si giocava con la frequenza di oggi...

                            In Riva è tutto stra-ordinario, come in effetti accade a certe singolari personalità che nascono sotto alla tutela di numi particolari e dunque destinate a vite, storie, imprese fuori dal normale.

                            Un lombardo che sposa la terra e la gente di Sardegna è uno dei tratti più distintivi che mostra come con Riva si sia davanti ad una storia fuori dal comune, come fuori dal comune era ovviamente quel suo talento calcistico che lo ha issato fin sulle vette della storia del calcio non solo italiano.

                            Una personalità particolare, come spesso accade nei grandi, e forse anche questo ha avuto un ruolo nel suo scegliere di vivere per sempre su di una isola e circondato da gente il carattere del quale egli sentiva come affine.

                            La sua scomparsa costringe il calcio italiano, nella ricapitolazione delle memorie e dei consuntivi, a fare i conti con l'oggi e a misurare tutta la distanza che separa questo calcio e le sue miserie dalle grandiosità dello ieri - di tutti gli attaccanti che ha adesso l'Italia, se li mescoli assieme non esce fuori nemmeno il calcagno del piede sinistro di Riva, per tacere poi di tutto il carnevalesco carrozzone in cui si è trasformato il calcio.

                            L'Italia, un tempo movimento calcistico centrale, capace di trovare nuovi filoni aurei in maniera continuativa, per cui se Riva rimane un campionissimo, un archetipo degli attaccanti, i suoi immediati successori furono comuqnue grandissimi attaccanti, in una abbondanza da terra della cuccagna, oggi è come se le fonti si fossero sigillate e l'aridità (anche umana) impera sulle desolate lande di un calcio da queste parti diventato marginale e provinciale.

                            Se Riva poi ha avuto in Brera il suo Omero, adesso ci sono tanti scribacchini e zerbini nel giornalismo, regredito a livello barbarico forse ancora più del calcio di cui si occupa, degni aedi di un così miserevole rovesciamento.
                            Last edited by Sean; 23-01-2024, 09:47:13.
                            ...ma di noi
                            sopra una sola teca di cristallo
                            popoli studiosi scriveranno
                            forse, tra mille inverni
                            «nessun vincolo univa questi morti
                            nella necropoli deserta»

                            C. Campo - Moriremo Lontani


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                              Originariamente Scritto da fede79 Visualizza Messaggio

                              IL ROMANISTA (M. IZZI) - [...] In un'intervista rilasciata a Giampaolo Murgia di Giallorossinel novembre 1982, Gigi Riva, il simbolo vivente del Cagliari dichiarò: «A 25 anni avrei potuto trasferirmi a Roma, è vero. Ero a un bivio della mia vita, non solo della carriera. Roma, i romani mi sono sempre piaciuti, per il calore genuino, per la competenza della folla, per una specie di comunione d'intenti manifestatasi tante volte. Ma scelsi la Sardegna, terra che è diventata anche mia».Gigi Riva avrebbe potuto trasferirsi nella capitale? Detta così è una notizia estremamente interessante, quantomeno da approfondire. Nato il 7 novembre 1944, Riva compì 25 anni nel 1969. In quel periodo, effettivamente, la Roma di Alvaro Marchini si era data molto da fare per acquistare una punta. Il 25 luglio 1968 Helenio Herrerarilasciò un'intervista al Corriere dello Sport in cui fece il punto di tutte le trattative che erano state portate avanti sino a quel momento. [...]

                              Nel pomeriggio di quel 24 luglio Herrerapartecipò a una riunione (assieme al Presidente Alvaro Marchini, ad Aldo Pasquali e a Gaetano Anzalone), per cercare di trovare una soluzione percorribile. È in quella circostanza che si parlò di Riva? Lo riteniamo fortemente improbabile. Rombo di tuono era un pezzo forte di quel calcio mercato, all'Hotel Gallia (dove si tenevano le contrattazioni del calcio mercato) si parlò molto di lui, ma in relazione all'interessamento della Juventus, non certo di quello della Roma, che non avrebbe avuto i mezzi per portare realisticamente avanti un discorso del genere. E allora, la testimonianza di Gigi Riva? A nostro avviso lo snodo a cui si riferiva è legato non all'estate del 1968 o del 1969, ma a quella del 1973. In quella stagione la Roma, dopo una sofferta riflessione, era arrivata a designare Manlio Scopigno alla guida della squadra (il ballottaggio era stato sostenuto dal «filosofo» con un certo Nils Liedholm). Scopigno, grande timoniere del Cagliari dello scudetto, avrebbe portato in giallorosso quello che era un suo storico pretoriano, vale a dire Domenghini. È assolutamente plausibile (anche se riscontri oggettivi ci mancano), che Gaetano Anzalone, prima di chiudere l'acquisto di Pierino Prati, abbia fatto un sondaggio con il Cagliari, trovando tutt'altro che un muro nella controparte dirigenziale sarda. Se Scopigno parlò con Riva per proporgli l'avventura romana non lo sappiamo [...]. Una cosa è certa, Riva ha dichiarato di aver preso in considerazione l'idea di approdare a Roma e nel marzo 1974 Anzalone, facendo un punto su quello che erano le prospettive future del club dichiarò, sempre a Giallorossi: «Se i tifosi mi chiedono Riva […] difficilmente riuscirò ad accontentarli».

                              Ritengo molto improbabili queste ipotesi ricostruttive de Il Romanista, perchè Anzalone non aveva i soldi necessari e a quel tempo Riva era il massimo pezzo pregiato del mercato e la Roma entrava in uno dei periodi più bassi della sua storia, gli anni '70 furono un decennio di crisi (nacque proprio allora il termine "Rometta"), con cessioni illustri (Capello, Landini e Spinosi alla Juve proprio ad inizio '70, quando ci sarebbe stata quella fantomatica offerta) per cercare di tenere a galla la società.

                              Già sotto alla presidenza Viola sarebbe stato un altro discorso, più credibile, ma per il periodo a cui fa riferimento Il Romanista è assai inverosimile.
                              Last edited by Sean; 23-01-2024, 10:23:46.
                              ...ma di noi
                              sopra una sola teca di cristallo
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                              forse, tra mille inverni
                              «nessun vincolo univa questi morti
                              nella necropoli deserta»

                              C. Campo - Moriremo Lontani


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                                Originariamente Scritto da Sean Visualizza Messaggio

                                Ritengo molto improbabili queste ipotesi ricostruttive de Il Romanista, perchè Anzalone non aveva i soldi necessari e a quel tempo Riva era il massimo pezzo pregiato del mercato e la Roma entrava in uno dei periodi più bassi della sua storia, gli anni '70 furono un decennio di crisi (nacque proprio allora il termine "Rometta"), con cessioni illustri (Capello, Landini e Spinosi alla Juve proprio ad inizio '70, quando ci sarebbe stata quella fantomatica offerta) per cercare di tenere a galla la società.

                                Già sotto alla presidenza Viola sarebbe stato un altro discorso, più credibile, ma per il periodo a cui fa riferimento Il Romanista è assai inverosimile.
                                Lo dice Riva nell’intervista.

                                Non scordiamoci poi che i giocatori di allora avevano ben altri parametri oltre al denaro.
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