A riguardo dell'articolo di Furio Zara su Repubblica circa i precedenti "illustri" di squadre campioni d'Italia che nella stagione seguente "crollano", occorre fare delle precisazioni che, per lo meno da quanto si intuisce dal sunto dell'articolo, Zara non fa ma che sono importanti, visto che parliamo di precedenti e dunque di storia del calcio.
Intanto sono errati i paragoni: non puoi mettere il Napoli con Verona e Sampdoria: la prima infatti è squadra espressione di grande piazza (dunque con un certo pubblico e certi mezzi e risorse) e le altre due sono espressioni di provincia, quindi con altre dimensioni e dunque con altre aspettative o frequentazioni dei piani alti.
Inoltre, il Verona fece un exploit irripetibile, per cui non gli si poteva certo chiedere di dare ossigeno e corso a quell'impresa eccezionale per la sua rarità; la Samp invece, e questo Zara se lo dimentica per strada, conquistò lo scudetto come apice di un percorso di crescita continuo e dunque come termine di un ciclo, non suo inizio - dal 1985 al 1991, anno dello scudetto, aveva già vinto 3 coppe Italia, una coppa delle coppe, svariate altre finali di coppe nazionali e alti piazzamenti di classifica.
In più, il giornalista dimentica che nell'anno successivo allo scudetto è vero che quella Samp arrivò sesta, ma conquistò la finale di coppa campioni...cioè, questo non lo scriviamo? Pare poco per una Samp, per una città come Genova? Non sono stati a grattarsi dopo lo scudetto.
Non sono gli esempi adatti e le ragioni e le cause del calo repentino post vittoria vanno ricercati altrove, hanno a che fare con molteplici fattori (storici, economici, sociali) di cui ho spesso parlato e su cui dunque tratterò velocemente.
I Napoli, le Roma (la Lazio è un discorso a parte, per via che il suo bacino di utenza, e dunque di "disponibilità", è ridotto), sono squadre di grandi città/piazze ma non sono "grandi" squadre (nel senso di grandi club, quelli ricchi di titoli), perchè nel corso della storia hanno vinto poco e prodotto pochissimi cicli (uno a testa Napoli e Roma, entrambi negli anni '80, difatti questo scudetto del Napoli resta isolato, quello della Roma del 2001 idem).
Hanno vinto poco perchè sono nate tardi, e questo non ha permesso di apprendere i fondamentali, ovverosia farsi una cultura della vittoria, una stratificazione di cultura; sono espressione di città a carattere terziario, mentre le 3 grandi squadre del Nord lo sono di città e mentalità industriali e imprenditoriali, dove il successo, per essere tale, deve essere replicato (le industrie non si fermano al primo modello di successo, ma continuamente programmano, inventano, producono, perchè si alimenti il "marchio" ed esso si imponga appunto come modello di "successo"), e dove, non ultimo, i denari abbondano.
Da qui discende che se tra un successo e l'altro passano decenni, una volta raggiunto l'obiettivo, trovare gli stimoli giusti per scendere dalla cima e ricominciare la (faticosa) salita diventa psicologicamente difficile. Spogliarsi di quanto fatto, archiviare il già ottenuto, uno sforzo mentale "pesante" - difatti lo stesso De Laurentiis ha considerato bastevole lo scudetto, altrimenti non avrebbe scelto al ribasso (Garcia) ma alzato l'asticella investendo, alimentando le ambizioni - il fuoco va tenuto alto con la legna.
Eccole le cause, diciamo ontologiche, della stagione attuale del Napoli, cause prime che partono da molto lontano. Finchè infatti si considererà il successo un "miracolo", frutto quasi di condizioni "irreplicabili", non si invertirà la rotta. A riprova dell'assunto sta il fatto che gli stessi Spalletti e Giuntoli hanno considerato come quasi impossibile il secondo tentativo, e idem De Laurentiis, il primo a non crederci - per cui i giocatori hanno introiettato quella sensazione.
La storia recente del calcio dimostra che però lo iato storico può essere colmato oggigiorno, ne abbiamo degli esempi in squadre come il PSG, il Chelsea, il City. Oggi l'elemento economico è predominante, rappresenta una scorciatoia per "recuperare" il tempo, per "colmare" il vuoto - se ovviamente accoppiata la ricchezza alla competenza (lo United lo conferma in negativo).
E' un modo quello. L'altro è immettere "cultura" e "sapienza". Porto ad esempio l'Inter dei cinesi: grandi problemi economici, eppure una dirigenza che sa il fatto suo maschera il tutto riuscendo (con lavoro, visione, programmazione, profonda conoscenza della materia), pur col borsellino praticamente vuoto, ad allestire squadre competitive. Occorre prendere appunti.
Intanto sono errati i paragoni: non puoi mettere il Napoli con Verona e Sampdoria: la prima infatti è squadra espressione di grande piazza (dunque con un certo pubblico e certi mezzi e risorse) e le altre due sono espressioni di provincia, quindi con altre dimensioni e dunque con altre aspettative o frequentazioni dei piani alti.
Inoltre, il Verona fece un exploit irripetibile, per cui non gli si poteva certo chiedere di dare ossigeno e corso a quell'impresa eccezionale per la sua rarità; la Samp invece, e questo Zara se lo dimentica per strada, conquistò lo scudetto come apice di un percorso di crescita continuo e dunque come termine di un ciclo, non suo inizio - dal 1985 al 1991, anno dello scudetto, aveva già vinto 3 coppe Italia, una coppa delle coppe, svariate altre finali di coppe nazionali e alti piazzamenti di classifica.
In più, il giornalista dimentica che nell'anno successivo allo scudetto è vero che quella Samp arrivò sesta, ma conquistò la finale di coppa campioni...cioè, questo non lo scriviamo? Pare poco per una Samp, per una città come Genova? Non sono stati a grattarsi dopo lo scudetto.
Non sono gli esempi adatti e le ragioni e le cause del calo repentino post vittoria vanno ricercati altrove, hanno a che fare con molteplici fattori (storici, economici, sociali) di cui ho spesso parlato e su cui dunque tratterò velocemente.
I Napoli, le Roma (la Lazio è un discorso a parte, per via che il suo bacino di utenza, e dunque di "disponibilità", è ridotto), sono squadre di grandi città/piazze ma non sono "grandi" squadre (nel senso di grandi club, quelli ricchi di titoli), perchè nel corso della storia hanno vinto poco e prodotto pochissimi cicli (uno a testa Napoli e Roma, entrambi negli anni '80, difatti questo scudetto del Napoli resta isolato, quello della Roma del 2001 idem).
Hanno vinto poco perchè sono nate tardi, e questo non ha permesso di apprendere i fondamentali, ovverosia farsi una cultura della vittoria, una stratificazione di cultura; sono espressione di città a carattere terziario, mentre le 3 grandi squadre del Nord lo sono di città e mentalità industriali e imprenditoriali, dove il successo, per essere tale, deve essere replicato (le industrie non si fermano al primo modello di successo, ma continuamente programmano, inventano, producono, perchè si alimenti il "marchio" ed esso si imponga appunto come modello di "successo"), e dove, non ultimo, i denari abbondano.
Da qui discende che se tra un successo e l'altro passano decenni, una volta raggiunto l'obiettivo, trovare gli stimoli giusti per scendere dalla cima e ricominciare la (faticosa) salita diventa psicologicamente difficile. Spogliarsi di quanto fatto, archiviare il già ottenuto, uno sforzo mentale "pesante" - difatti lo stesso De Laurentiis ha considerato bastevole lo scudetto, altrimenti non avrebbe scelto al ribasso (Garcia) ma alzato l'asticella investendo, alimentando le ambizioni - il fuoco va tenuto alto con la legna.
Eccole le cause, diciamo ontologiche, della stagione attuale del Napoli, cause prime che partono da molto lontano. Finchè infatti si considererà il successo un "miracolo", frutto quasi di condizioni "irreplicabili", non si invertirà la rotta. A riprova dell'assunto sta il fatto che gli stessi Spalletti e Giuntoli hanno considerato come quasi impossibile il secondo tentativo, e idem De Laurentiis, il primo a non crederci - per cui i giocatori hanno introiettato quella sensazione.
La storia recente del calcio dimostra che però lo iato storico può essere colmato oggigiorno, ne abbiamo degli esempi in squadre come il PSG, il Chelsea, il City. Oggi l'elemento economico è predominante, rappresenta una scorciatoia per "recuperare" il tempo, per "colmare" il vuoto - se ovviamente accoppiata la ricchezza alla competenza (lo United lo conferma in negativo).
E' un modo quello. L'altro è immettere "cultura" e "sapienza". Porto ad esempio l'Inter dei cinesi: grandi problemi economici, eppure una dirigenza che sa il fatto suo maschera il tutto riuscendo (con lavoro, visione, programmazione, profonda conoscenza della materia), pur col borsellino praticamente vuoto, ad allestire squadre competitive. Occorre prendere appunti.
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